Ci sono molti modi di incontrare il deserto. Anche per chi nel deserto non ci è mai stato, la Bibbia ci offre molti spunti tra loro molto diversi.
Si va così da un deserto come “terra sterile in cui Dio non esercita la sua azione fecondante” (Lv 16,8), a una terra inospitale, ovviamente senza acqua che fa mormorare il popolo contro Mosè: «che cosa berremo?» (Es 15,22-24). Allo stesso tempo il deserto è un luogo dove fuggire e trovare rifugio: “Voltarono le spalle davanti agli Israeliti e presero la via del deserto” (Gdc 21,42). Nel deserto Dio mette alla prova il suo popolo e Gesù fu messo alla prova dal diavolo. Ma il deserto è anche il luogo dove Dio porta i suoi doni: le quaglie, la manna, l’acqua (Es 16,13, 14-66, 17, 1-7).
Nella mia esperienza, nel deserto è fiorita la “relazione”. Proprio perché il deserto appare immensamente vuoto, la “presenza”, qualunque essa sia, è immensamente grande e forte da riempire gli spazi, il cuore, i sentimenti, le emozioni. È una sorta di spiritualità nuova e smisurata quella che il deserto può trasmettere, un spiritualità anche laica dove si incontrano le religioni. Si può, si deve, leggere il Corano nel deserto.
La relazione nel deserto è speciale perché gli elementi in apparente equilibrio sono così fragili che nel deserto si ha bisogno dell’altra persona, per conoscere la via spendo da dove viene, per sapere la fonte dove dissetarsi facendoci indicare l’ultimo pozzo, l’ultima oasi. La relazione solidale nel deserto è una condizione per vivere, per costruire comunità, per muoversi in sicurezza, per difendersi se necessario da chi concepisce il deserto solo come luogo di razzia, al tempo stesso dove colpire e dove nascondersi.
Il deserto è il luogo che unisce, più che dividere, perché lo si percorre tra due sponde, portando vita (sale), ricchezza (oro), sapori (spezie), saperi (manoscritti). Nel deserto ho conosciuto la solidarietà con i rifugiati. Fuggono dai deserti della miseria, della fame, della siccità, dell’ambiente devastato, della corruzione, della violenza, delle guerre. E nel deserto vengono ricacciati, imprigionati, violentati, torturati, ricattati. La relazione con loro è la condizione per “salvare” loro, certo, ma soprattutto per salvare la nostra umanità.
È nel deserto delle Libie, è nelle Gaza desertificate che può rinascere l’umanità, con la nostra catena d’amore e di solidarietà, col nostro grido di pace. L’hanno fatta nel deserto e la chiamano pace.
La bomba atomica nasce nei deserti di Alamogordo, del Nevada, del Sahara, non solo negli atolli. La bomba è il nuovo idolo del potere e del dominio, la tentazione di onnipotenza: “Ti darò tutto il potere e la loro gloria… se ti prostrerai in adorazione davanti a me , tutto sarà tuo” (Lc 4,6-7). Nel deserto del Nevada nasce il fiore della pace francescana. La conversione più difficile, certo, ma è fiorita.
Nel deserto ci sentiamo abbracciare dall’umanità, dagli esseri non umani perché nessun ostacolo pare separarci e tutto sembra colmare lo spazio. Nascono relazioni nuove, anche da inventare. Miraggi? No, sogni, perché non ci sono sogni troppo grandi. È il luogo dell’utopia possibile, dove ancora oggi i pesci nuotano. Non si è mai soli nel deserto. Di notte il cielo ti cade addosso, ti veste con tutte le sue stelle, ti fa sentire vicine le persone lontane.
Il vento nel deserto è un vento di libertà, che supera gli ostacoli, che fa rotolare le illusorie barriere, ti allontana e ti avvicina allo stesso tempo. Il deserto parla con il suo silenzio. Il deserto diventa fiore perché tutto si incontra, tutto ti avvolge, tutto ti parla, tutto ti fa sbocciare. Basta ascoltare le sue voci
Luciano Ardesi - Dossier con i materiali liturgici 2025 preparati dalla Commissione globalizzazione e ambiente della Federazione delle chiese evangeliche in Italia