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Meditazioni

 

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Domenica 12 Gennaio 2025

«Ma dunque, sei tu re?»

Letture:


Poiché, ecco, io creo nuovi cieli e una nuova terra;
non ci si ricorderà più delle cose di prima;
esse non torneranno più in memoria.
Gioite, sì, esultate in eterno per quanto io sto per creare;
poiché, ecco, io creo Gerusalemme per il gaudio, e il suo popolo per la gioia.
Io esulterò a motivo di Gerusalemme e gioirò del mio popolo;
là non si udranno più voci di pianto né grida d'angoscia;

Isaia 65,17-19


grazia a voi e pace da colui che è, che era e che viene,
dai sette spiriti che sono davanti al suo trono e da Gesù Cristo, il testimone fedele, il primogenito dei morti e il principe dei re della terra.
A lui che ci ama, e ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue,
che ha fatto di noi un regno e dei sacerdoti al suo Dio e Padre, a lui sia la gloria
e la potenza nei secoli dei secoli. Amen.

Ecco, egli viene con le nuvole e ogni occhio lo vedrà; lo vedranno anche quelli
che lo trafissero, e tutte le tribù della terra faranno lamenti per lui. Sì, amen.
«Io sono l'alfa e l'omega», dice il Signore Dio, «colui che è, che era e che viene, l'Onnipotente».

Apocalisse 1,4b-8

testo per la predicazione:

Pilato dunque rientrò nel pretorio; chiamò Gesù e gli disse: «Sei tu il re dei Giudei?» Gesù rispose: «Dici questo di tuo, oppure altri te l'hanno detto di me?»
Pilato gli rispose: «Sono io forse Giudeo? La tua nazione e i capi dei sacerdoti ti hanno consegnato a me; che cosa hai fatto?»
Gesù rispose: «Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori combatterebbero perché io non fossi consegnato
ai Giudei; ma ora il mio regno non è di qui».
Allora Pilato gli disse: «Ma dunque, sei tu re?»
Gesù rispose: «Tu lo dici; sono re; io sono nato per questo, e per questo sono
venuto nel mondo: per testimoniare della verità. Chiunque è dalla verità ascolta la mia voce».

Giovanni 18, 33-37

 

Cari fratelli e care sorelle,

le letture scelte per oggi ci indagano, ci interrogano e un po’ ci inquietano. Nel breve brano scelto per la predicazione, molti gli interrogativi che ci scrutano dentro.
Siamo nella seconda parte del Vangelo di Giovanni, quella in cui Gesù dopo essersi rivelato al mondo, si rivela ai suoi e lo fa dopo l’annuncio della sua passione.
Si parla di regno, di re, di verità, di questo mondo e di un non meglio specificato “altro” mondo.
Temi difficili, che ci fanno riflettere sul discorso escatologico, sulle “cose ultime”, come si è soliti dire.
In Giovanni il tema del Regno non è poi così presente come negli altri Vangeli e può forse essere compreso se inserito all’interno dell’intero libro.
Il Vangelo di Giovanni viene spesso definito come quel luogo teologico dove si racconta la storia del Cristo, un racconto cristologico, dunque, che ruota intorno a delle tematiche principali in cui, almeno apparentemente,
non sembra esserci il Regno.

A Giovanni stanno a cuore il tema dell’incarnazione (nel prologo “la Parola si fa carne”), quindi il tema dell’inviato: Gesù, il figlio preesistente all’evento della sua nascita, è inviato dall’amore del Padre, il suo destino terreno si compie perché inviato. E si compie in un mondo in cui regnano le tenebre che solo la luce della Verità potrà illuminare ( E questa parola ci sta particolarmente a cuore: “Lux lucet in tenebris”). Quella di Giovanni quindi non è tanto un’escatologia che rimanda al mondo che verrà ma che si compie nell’incontro del Padre con il Figlio, sulla croce.

Che assurdità! Regno, re, croce. Non stanno insieme. Non possono stare insieme.

Caliamoci nella lettura. Pilato è colpito da questo strano personaggio. “Ma chi sei? Ma non hai paura di me?” Dirà poco dopo: “Posso farti vivere o morire, lo sai questo?”. E questo pazzo di Gesù non risponde o fa discorsi a dir poco assurdi fino a proclamarsi re.

Un re parecchio strano. Che era entrato a Gerusalemme sul dorso di un puledro d’asina. Su un “ciuchino”, non su un cavallo. Che strano questo re. Un re che si lascia spogliare fino a farsi crocifiggere nudo. Nell’ arte lo si rappresenta sempre con una fascia ai fianchi, ma i Romani, veri professionisti nell’infliggere sofferenza fisica e psicologica, crocifiggevano nudi: con tutto ciò che quel tipo di morte comporta, la nudità diventava un ulteriore motivo di scherno.

Che strano questo re. Accetta la sofferenza. E che sofferenza.

Ora, nel corso dei tempi, questo concetto di sofferenza è stato stravolto. Permettetemi di raccontarv

i un episodio che mi è capitato qualche tempo fa. Incontro una donna. Ci parliamo. Scatta una certa confidenza e complicità. Ci mettiamo a nudo raccontandoci reciproche sofferenze del passato. Scopro che è stata vittima di violenza domestica e ha addosso un notevole numero di punti di sutura. La cosa di per sé già basterebbe a crearmi sdegno, ma non finisce qui. Mi racconta di essersi recata da una persona per chiedere aiuto e questa, per tutta risposta, ha pensato di aiutarla portandola davanti al Crocifisso e dicendole “Guarda quanto ha sofferto Lui. Puoi e devi soffrire anche tu!”. Non voglio certo mettere in dubbio le buone intenzioni di quella persona, ma io credo che così il messaggio cristiano venga decisamente stravolto. Vi ricordate ormai una ventina di anni fa il film “The Passion”? Provocò reazioni contrastanti. Personalmente, a me non piacque affatt,o perché venne dedicato un tempo a mio avviso eccessivo alla flagellazione e alla sofferenza, con il rischio di far passare il messaggio che la salvezza dell’essere umano venga dalle sofferenze patite dal Cristo. E questo è aberrante. È quello che fa dire a una vittima di violenza domestica “soffri in silenzio”. No! Non è questo il messaggio cristiano. La salvezza non viene dalla sofferenza, non viene dalla morte in sé ma viene dall’amore con cui Dio ha accettato di morire al mio posto. Eccolo il messaggio. Gesù non è stato il primo né l’ultimo condannato a morte innocente. Quanti innocenti continuano a morire ogni giorno! Penso ai bambini israeliani e palestinesi. Non sono forse innocenti condannati a morte? Penso ai bambini russi e ucraini. Penso alle donne uccise dalla cieca violenza maschile. Penso alle vittime di violenza domestica e di violenza sessuale, penso alla pedofilia … le vittime non muoiono, forse, nel senso stretto del termine, ma è una morte anche quella. E poi si potrebbe andare avanti con le condanne a morte nei paesi che si ritengono civili e dove spesso le condanne, già di per sé ingiuste, arrivano dopo un processo sommario. Tutti morti innocenti. Ma nessuno di loro muore per salvare me, muore al mio posto, muore per recarmi salvezza. E’ Dio stesso a farlo, è nella sua piena libertà che Dio decide di sottomettersi, decide, anche se libero, di rinunciare alla sua libertà o, meglio, usare la sua libertà per diventare il servo innocente, il servo obbediente, sottomettersi per primo e per recarmi salvezza. Che strana questa idea di libertà e di sottomissione. Eppure è la realtà cristiana: siamo davvero liberi se usiamo la libertà per servire e per servire Dio. Lutero stesso, in apertura del testo “Libertà del cristiano” dice chiaramente che il cristiano è, sì, libero signore sopra ogni cosa ma anche servo volenteroso sottomesso a ciascuno. E, come ci ricorda anche Giovanni, poco più avanti del brano che abbiamo letto, quando ci racconta la morte in croce, Dio stesso, in Cristo e sulla croce, si sottomette per primo e lo fa affinché la croce diventi per l’essere umano porta di accesso alla salvezza.

Che strano però questo re, e che strano questo regno. Un regno che non è di questo mondo. Un regno che trova la sua realizzazione solo nell’incontro misterioso del Padre e del Figlio, che Gesù stesso dice essere una cosa sola, sulla croce. Quel Figlio apparentemente abbandonato ma che avrà la forza di dire “È compiuto!”. E’ compiuto cosa? La sua missione. L’inviato dall’ amore del Padre ha una missione da compiere e la compie in tre momenti:

  1. la Parola si fa carne

  2. Compie la sua missione terrena (si rivela al mondo)

  3. Ritorna, ma non alla fine dei tempi, bensì sulla croce come elevazione e glorificazione (e in questo modo si rivela ai suoi, e a noi).

E’ compiuto”. Con queste parole ho annunciato la morte di mio padre al ministro che si sarebbe occupato del funerale. Lui ha apprezzato. Altri hanno pensato che fossi megalomane. E invece non siamo megalomani se proviamo a ricondurre la nostra morte a quella di Cristo. Ma non certo perché la nostra morte o la nostra sofferenza possa essere minimamente paragonata a quella di Gesù, ma perché è la nostra fede che ce lo chiede. A me piace molto definire la fede (ammesso che si possa definire…) non tanto come il nostro sì a Dio ma come il nostro amen al sì di Gesù Cristo. Se il Cristo non avesse detto quel sì (che gli è costato, gli è costato un prezzo elevatissimo), se non avesse accettato la pazzia della morte di croce, saremmo ancora immersi nelle tenebre e senza via d’uscita. Dire amen al sì di Gesù Cristo, cioè rimettersi completamente in Lui, gettarsi nel suo amore folle che accetta la morte più ignominiosa che ci potesse essere, lasciare agire Dio in noi, lasciarci modellare per vivere in un mondo, che non è forse il suo regno, ma è il mondo nel quale ha deciso di vivere, in cui continua a vivere da Risorto, in cui ci chiede di seguirlo, di sottometterci sì, ma in libertà, perché Dio stesso lo ha fatto per primo.

Pilato, più per compiacere la folla che per altro, fece mettere quel cartello sulla croce: “Il re dei Giudei” e così facendo sarebbe dovuto essere un ulteriore motivo di scherno. Come la veste rossa e la corona di spine. E invece, così facendo, quel Dio incredibile, quel Dio che sa prendere le nostre miserie e trasformarle, quel Dio che tutto può, ha mostrato una grande verità: eccolo il vostro re, sì è sulla croce, è re sì, ma re di riconciliazione e di perdono.

Perché è con la sua morte, offerta liberamente e per amore, che ci ha riconciliati.

Solo credendo in Lui possiamo, per grazia, essere salvati.

Una mia amica ha un quadro dove è rappresentato Gesù che porta la croce. La prima volta che lo vidi mi colpì per un particolare: aveva la veste rossa addosso. Con una certa arroganza, devo ammetterlo, scossi la testa dicendo: “Ma questo pittore l’ha letto il Vangelo? Ma non lo sa che la veste rossa gli viene poi tolta?” Ma che presunzione assurda la mia! Ok, il quadro non sarà coerente con la lettura del Vangelo ma solo ora mi rendo conto che l’autore forse voleva comunicare qualcosa: quel Gesù è e rimane RE! Anche se nudo. E mi spingo oltre. Nelle nostre chiese riformate abbiamo tolto, e aggiungo – giustamente - il Crocifisso. E conosciamo i motivi. Non solo o non tanto per l’osservanza al secondo comandamento ma, e questo è a mio avviso il motivo principale, perché Cristo è il Vivente in mezzo a noi.

Tutto vero. Io però sono convinta che già nel Crocifisso sia presente il Risorto. Quel Re di riconciliazione e perdono che passa dal venerdì santo per arrivare alla Pasqua e poi alla Pentecoste. Un unico mistero. Che non possiamo separare.

Dov’è allora il Regno? Dov’è ora il Re?

Il Regno è già qui perché il Re-Crocifisso ma Vivente è in mezzo a noi.

E’ un Re che ha lasciato il suo trono per vivere nelle miserie umane, nelle tenebre umane per portarci la luce. Luce che, pur se offuscata dal peccato, continua a essere in noi, risplende ogni qual volta viene osservata la volontà del Padre. “Lux lucet in tenebris”, e luce che non potrà mai spengersi. Nessuna guerra, nessuna violenza, nessun omicidio potrà mai spengerla. E noi lo crediamo. Vano, altrimenti, sarebbe stato l’estremo sacrificio di Gesù-Dio che “sapendo che era venuta per lui l’ora di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine” (Gv 13,1).

Amen

 

Predicazione di Mara Venturi - Chiesa Evangelica Valdese di Firenze Domenica 12 Gennaio 2025

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Ultimo aggiornamento: 12 Gennaio 2025
 ©Chiesa Evangelica Valdese di Firenze