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Domenica 26 Gennauo 2026
Letture II Re 5, 9-15 9 Naaman dunque venne con i suoi cavalli e i suoi carri, e si fermò alla porta della casa di Eliseo. Romani 1,13-17 13 Non voglio che ignoriate, fratelli, che molte volte mi sono proposto di recarmi da voi (ma finora ne sono stato impedito)
5 Giunse dunque a una città della Samaria, chiamata Sicar, vicina al podere che Giacobbe aveva dato a suo figlio Giuseppe;
Cara sorella e caro fratello, Nella sua interezza il racconto è molto articolato e dettagliato, si apre mostrandoci Gesù in cammino per adempiere alla sua missione di conversione e guarigione che si è svolta proprio come un percorso senza sosta, dalla mangiatoia alla croce per poi concludersi con lo sconvolgente evento, della resurrezione (la tomba vuota e le apparizioni). Siamo intorno a mezzogiorno, Gesù è stanco, i discepoli sono andati in cerca di cibo, e lui si siede vicino ad una fonte posta nel podere donato da Giacobbe a Giuseppe e chiede da bere a una donna. Questo apparente e improvviso scarto tra la dimensione umana e quella divina non ci deve meravigliare perché le interpretazioni teologiche dell’Evangelo di Giovanni pongono in evidenza come l’evangelista mostri che in ogni singolo avvenimento della “vita” di Gesù incarnato è già all’opera il Cristo presente nella chiesa. La rivelazione di Dio nella vita di Gesù, la “Parola fatta carne”, è il culmine di ogni rivelazione divina e in questa rivelazione, conclusa nella vita terrena di Gesù, si concentra l’intero processo di salvezza dell’umanità da parte di Dio. Qui si trova l’apice di ogni processo di salvezza, che si è svolto prima di questa incarnazione e che, dopo la vita terrena di Gesù, si svilupperà nella sua comunità (O. Cullmann)secondo una visione che stabilisce una continuità fino dalla creazione, preesistente nella storia di Israele e che prosegue con l’azione del Cristo glorificato nella Chiesa (B. Corsani). Tuttavia, questa mattina, siamo invitati a riflettere (solo) sulla prima parte del racconto la quale ci offre un concentrato di spunti di riflessione che da un lato lascia imbarazzati nella scelta e dall’altro ci stupisce per la genialità narrativa dell’evangelista. Come spesso mi accade, di fronte alla ricchezza di questi testi, anche questa volta mi sono posto la domanda: come trovare parole di senso compiuto che non sviliscano o, peggio, distorcano il significato originario rischiando di piegarlo alle nostre visioni contemporanee? Forse bisognerebbe tacere, limitarsi a ascoltare e meditare riscoprendo la potenza e l’efficacia dell’Evangelo sine glossa, cioè senza aggiunte che possano sminuirlo e alterarlo! Ma poiché non voglio sottrarmi al compito di commentare lo farò evidenziando tre elementi, il luogo, l’incontro, l’acqua che cercherò di ricondurre alla dimensione personale di ciascuna/o di noi. Gesù sta risalendo dalla Giudea per recarsi di nuovo in Galilea e così passa attraverso la Samaria e si ferma a Sicar, presso la fonte del podere dato da Giacobbe a suo figlio Giuseppe. Da secoli i rapporti tra i giudei e i samaritani erano compromessi. Intorno al 922 a.C., dopo la morte del re Salomone, le popolazioni del nord si erano separate dal regno di Giuda, posto al sud, dando vita ad un regno indipendente con capitale Samaria, instabile e contraddistinto da continui avvicendamenti sul trono e sommosse contro i re, fino alla distruzione ad opera dell’impero Assiro nel 722 a.C.. Oltre alle vicende politiche gli ebrei del vecchio regno del nord, i Samaritani, erano malvisti da parte di quelli del sud che li accusavano di non essere “abbastanza ebrei” per aver mescolato la fede ebraica facendo coesistere con la Torah anche il culto di divinità pagane dando luogo a un sincretismo incompatibile con la fede ebraica. Più avanti nel testo al Cap. 10 di Giovanni al v.16 Gesù, nel paragonarsi al buon pastore, dice di avere altre pecore e afferma che “vi sarà un solo gregge, un solo pastore”, ponendosi così nella prospettiva di realizzare l’antica profezia di Ezechiele (cap. 37, v. 21-22) "Ecco, io prenderò i figli d'Israele dalle nazioni dove sono andati, li radunerò da tutte le parti, e li ricondurrò nel loro paese; farò di loro una stessa nazione, nel paese, sui monti d'Israele; un solo re sarà re di tutti loro; non saranno più due nazioni, e non saranno più divisi in due regni”. Infattipoi l’evangelista ci dice che Gesù restò due giorni e che molti Samaritani “credettero a motivo della sua parola” (v. 42). b) L’incontro con la donna Ancora una volta Gesù rompe gli schemi rivolgendo la sua attenzione a una persona ai margini: samaritana, donna e con una storia personale non specchiata. Ma questa donna anonima viene toccata dalle parole di Gesù tanto da intuire che egli sia proprio il Cristo. E’ proprio a lei che la Parola incarnata riserva il privilegio di rivelare la propria identità di Messia: «Sono io, io che ti parlo!» (v.26). Che forza in questa duplice affermazione “Sono io” e “io che ti parlo” ! Apparentemente nel nostro testo l’acqua svolge il ruolo di innescare il dialogo tra Gesù e la donna, il pretesto a cui Gesù ricorre per attaccare discorso con questa sconosciuta ed è l’oggetto di un fraintendimento tra i due quando Gesù capovolge i ruoli offrendo lui dell’acqua alla donna che non capisce il significato profondo di questa offerta. Due sono gli aspetti che colpiscono. Per la donna l’acqua da attingere dal pozzo con il secchio è un compito faticoso di cui noi abituati ad avere l’acqua corrente che esce dai rubinetti casa abbiamo perso la cognizione della ripetitività stancante. Per rendercene conto basta pensare a quelle aree deserte o in via di desertificazione nel mondo (p.e. in Africa) dove donne e bambini sono costretti a percorre ogni giorno una lunga, assolata e polverosa strada per procurarsi l’acqua necessaria al fabbisogno domestico. Gesù capovolge la situazione e dice «Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è che ti dice: "Dammi da bere", tu stessa gliene avresti chiesto, ed egli ti avrebbe dato dell'acqua viva» (v.10). E noi ? Cosa ci dicono questa immagine e questo ribaltamento di prospettiva? Cara sorella e caro fratello, come nel dialogo personale con questa donna Gesù fa emergere la sua condizione personale, così Egli viene incontro a ciascuna e ciascuno di noi,
Domenica 12 Gennaio 2025 «Ma dunque, sei tu re?» Letture:
Poiché, ecco, io creo nuovi cieli e una nuova terra; Isaia 65,17-19
grazia a voi e pace da colui che è, che era e che viene, Apocalisse 1,4b-8 testo per la predicazione: Pilato dunque rientrò nel pretorio; chiamò Gesù e gli disse: «Sei tu il re dei Giudei?» Gesù rispose: «Dici questo di tuo, oppure altri te l'hanno detto di me?» Giovanni 18, 33-37
Cari fratelli e care sorelle, le letture scelte per oggi ci indagano, ci interrogano e un po’ ci inquietano. Nel breve brano scelto per la predicazione, molti gli interrogativi che ci scrutano dentro. A Giovanni stanno a cuore il tema dell’incarnazione (nel prologo “la Parola si fa carne”), quindi il tema dell’inviato: Gesù, il figlio preesistente all’evento della sua nascita, è inviato dall’amore del Padre, il suo destino terreno si compie perché inviato. E si compie in un mondo in cui regnano le tenebre che solo la luce della Verità potrà illuminare ( E questa parola ci sta particolarmente a cuore: “Lux lucet in tenebris”). Quella di Giovanni quindi non è tanto un’escatologia che rimanda al mondo che verrà ma che si compie nell’incontro del Padre con il Figlio, sulla croce. Che assurdità! Regno, re, croce. Non stanno insieme. Non possono stare insieme. Caliamoci nella lettura. Pilato è colpito da questo strano personaggio. “Ma chi sei? Ma non hai paura di me?” Dirà poco dopo: “Posso farti vivere o morire, lo sai questo?”. E questo pazzo di Gesù non risponde o fa discorsi a dir poco assurdi fino a proclamarsi re. Un re parecchio strano. Che era entrato a Gerusalemme sul dorso di un puledro d’asina. Su un “ciuchino”, non su un cavallo. Che strano questo re. Un re che si lascia spogliare fino a farsi crocifiggere nudo. Nell’ arte lo si rappresenta sempre con una fascia ai fianchi, ma i Romani, veri professionisti nell’infliggere sofferenza fisica e psicologica, crocifiggevano nudi: con tutto ciò che quel tipo di morte comporta, la nudità diventava un ulteriore motivo di scherno. Che strano questo re. Accetta la sofferenza. E che sofferenza. Ora, nel corso dei tempi, questo concetto di sofferenza è stato stravolto. Permettetemi di raccontarv i un episodio che mi è capitato qualche tempo fa. Incontro una donna. Ci parliamo. Scatta una certa confidenza e complicità. Ci mettiamo a nudo raccontandoci reciproche sofferenze del passato. Scopro che è stata vittima di violenza domestica e ha addosso un notevole numero di punti di sutura. La cosa di per sé già basterebbe a crearmi sdegno, ma non finisce qui. Mi racconta di essersi recata da una persona per chiedere aiuto e questa, per tutta risposta, ha pensato di aiutarla portandola davanti al Crocifisso e dicendole “Guarda quanto ha sofferto Lui. Puoi e devi soffrire anche tu!”. Non voglio certo mettere in dubbio le buone intenzioni di quella persona, ma io credo che così il messaggio cristiano venga decisamente stravolto. Vi ricordate ormai una ventina di anni fa il film “The Passion”? Provocò reazioni contrastanti. Personalmente, a me non piacque affatt,o perché venne dedicato un tempo a mio avviso eccessivo alla flagellazione e alla sofferenza, con il rischio di far passare il messaggio che la salvezza dell’essere umano venga dalle sofferenze patite dal Cristo. E questo è aberrante. È quello che fa dire a una vittima di violenza domestica “soffri in silenzio”. No! Non è questo il messaggio cristiano. La salvezza non viene dalla sofferenza, non viene dalla morte in sé ma viene dall’amore con cui Dio ha accettato di morire al mio posto. Eccolo il messaggio. Gesù non è stato il primo né l’ultimo condannato a morte innocente. Quanti innocenti continuano a morire ogni giorno! Penso ai bambini israeliani e palestinesi. Non sono forse innocenti condannati a morte? Penso ai bambini russi e ucraini. Penso alle donne uccise dalla cieca violenza maschile. Penso alle vittime di violenza domestica e di violenza sessuale, penso alla pedofilia … le vittime non muoiono, forse, nel senso stretto del termine, ma è una morte anche quella. E poi si potrebbe andare avanti con le condanne a morte nei paesi che si ritengono civili e dove spesso le condanne, già di per sé ingiuste, arrivano dopo un processo sommario. Tutti morti innocenti. Ma nessuno di loro muore per salvare me, muore al mio posto, muore per recarmi salvezza. E’ Dio stesso a farlo, è nella sua piena libertà che Dio decide di sottomettersi, decide, anche se libero, di rinunciare alla sua libertà o, meglio, usare la sua libertà per diventare il servo innocente, il servo obbediente, sottomettersi per primo e per recarmi salvezza. Che strana questa idea di libertà e di sottomissione. Eppure è la realtà cristiana: siamo davvero liberi se usiamo la libertà per servire e per servire Dio. Lutero stesso, in apertura del testo “Libertà del cristiano” dice chiaramente che il cristiano è, sì, libero signore sopra ogni cosa ma anche servo volenteroso sottomesso a ciascuno. E, come ci ricorda anche Giovanni, poco più avanti del brano che abbiamo letto, quando ci racconta la morte in croce, Dio stesso, in Cristo e sulla croce, si sottomette per primo e lo fa affinché la croce diventi per l’essere umano porta di accesso alla salvezza. Che strano però questo re, e che strano questo regno. Un regno che non è di questo mondo. Un regno che trova la sua realizzazione solo nell’incontro misterioso del Padre e del Figlio, che Gesù stesso dice essere una cosa sola, sulla croce. Quel Figlio apparentemente abbandonato ma che avrà la forza di dire “È compiuto!”. E’ compiuto cosa? La sua missione. L’inviato dall’ amore del Padre ha una missione da compiere e la compie in tre momenti:
“E’ compiuto”. Con queste parole ho annunciato la morte di mio padre al ministro che si sarebbe occupato del funerale. Lui ha apprezzato. Altri hanno pensato che fossi megalomane. E invece non siamo megalomani se proviamo a ricondurre la nostra morte a quella di Cristo. Ma non certo perché la nostra morte o la nostra sofferenza possa essere minimamente paragonata a quella di Gesù, ma perché è la nostra fede che ce lo chiede. A me piace molto definire la fede (ammesso che si possa definire…) non tanto come il nostro sì a Dio ma come il nostro amen al sì di Gesù Cristo. Se il Cristo non avesse detto quel sì (che gli è costato, gli è costato un prezzo elevatissimo), se non avesse accettato la pazzia della morte di croce, saremmo ancora immersi nelle tenebre e senza via d’uscita. Dire amen al sì di Gesù Cristo, cioè rimettersi completamente in Lui, gettarsi nel suo amore folle che accetta la morte più ignominiosa che ci potesse essere, lasciare agire Dio in noi, lasciarci modellare per vivere in un mondo, che non è forse il suo regno, ma è il mondo nel quale ha deciso di vivere, in cui continua a vivere da Risorto, in cui ci chiede di seguirlo, di sottometterci sì, ma in libertà, perché Dio stesso lo ha fatto per primo. Pilato, più per compiacere la folla che per altro, fece mettere quel cartello sulla croce: “Il re dei Giudei” e così facendo sarebbe dovuto essere un ulteriore motivo di scherno. Come la veste rossa e la corona di spine. E invece, così facendo, quel Dio incredibile, quel Dio che sa prendere le nostre miserie e trasformarle, quel Dio che tutto può, ha mostrato una grande verità: eccolo il vostro re, sì è sulla croce, è re sì, ma re di riconciliazione e di perdono. Perché è con la sua morte, offerta liberamente e per amore, che ci ha riconciliati. Solo credendo in Lui possiamo, per grazia, essere salvati. Una mia amica ha un quadro dove è rappresentato Gesù che porta la croce. La prima volta che lo vidi mi colpì per un particolare: aveva la veste rossa addosso. Con una certa arroganza, devo ammetterlo, scossi la testa dicendo: “Ma questo pittore l’ha letto il Vangelo? Ma non lo sa che la veste rossa gli viene poi tolta?” Ma che presunzione assurda la mia! Ok, il quadro non sarà coerente con la lettura del Vangelo ma solo ora mi rendo conto che l’autore forse voleva comunicare qualcosa: quel Gesù è e rimane RE! Anche se nudo. E mi spingo oltre. Nelle nostre chiese riformate abbiamo tolto, e aggiungo – giustamente - il Crocifisso. E conosciamo i motivi. Non solo o non tanto per l’osservanza al secondo comandamento ma, e questo è a mio avviso il motivo principale, perché Cristo è il Vivente in mezzo a noi. Tutto vero. Io però sono convinta che già nel Crocifisso sia presente il Risorto. Quel Re di riconciliazione e perdono che passa dal venerdì santo per arrivare alla Pasqua e poi alla Pentecoste. Un unico mistero. Che non possiamo separare. Dov’è allora il Regno? Dov’è ora il Re? Il Regno è già qui perché il Re-Crocifisso ma Vivente è in mezzo a noi. E’ un Re che ha lasciato il suo trono per vivere nelle miserie umane, nelle tenebre umane per portarci la luce. Luce che, pur se offuscata dal peccato, continua a essere in noi, risplende ogni qual volta viene osservata la volontà del Padre. “Lux lucet in tenebris”, e luce che non potrà mai spengersi. Nessuna guerra, nessuna violenza, nessun omicidio potrà mai spengerla. E noi lo crediamo. Vano, altrimenti, sarebbe stato l’estremo sacrificio di Gesù-Dio che “sapendo che era venuta per lui l’ora di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine” (Gv 13,1). Amen
Predicazione di Mara Venturi - Chiesa Evangelica Valdese di Firenze Domenica 12 Gennaio 2025 |
![]() Ultimo aggiornamento: 26 Gennaio 2025 ©Chiesa Evangelica Valdese di Firenze |