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Meditazioni

 

Vedi anche i Video culti del Pastore Marfè

 

 

 

Domenica 26 Gennauo 2026
Gesù, fonte di acqua viva

Letture

II Re 5, 9-15

9 Naaman dunque venne con i suoi cavalli e i suoi carri, e si fermò alla porta della casa di Eliseo.
10 Ed Eliseo gli inviò un messaggero a dirgli: «Va', làvati sette volte nel Giordano; la tua carne tornerà sana, e tu sarai puro».
11 Ma Naaman si adirò e se ne andò, dicendo: «Ecco, io pensavo: egli uscirà senza dubbio incontro a me, si fermerà là, invocherà il nome del SIGNORE,
del suo Dio, agiterà la mano sulla parte malata, e guarirà il lebbroso.
12 I fiumi di Damasco, l'Abana e il Parpar, non sono forse migliori di tutte le acque d'Israele? Non potrei lavarmi in quelli ed essere guarito?» E, voltatosi, se n'andava infuriato.
13 Ma i suoi servitori si avvicinarono a lui e gli dissero:
«Padre mio, se il profeta ti avesse ordinato una cosa difficile, tu non l'avresti fatta? Quanto più ora che egli ti ha detto: "Làvati, e sarai guarito"?»
14 Allora egli scese e si tuffò sette volte nel Giordano, secondo la parola dell'uomo di Dio; e la sua carne tornò come la carne di un bambino; egli era guarito.
15 Poi tornò con tutto il suo sèguito dall'uomo di Dio, andò a presentarsi davanti a lui, e disse: «Ecco, io riconosco adesso che non c'è nessun Dio in tutta la terra, fuorché in Israele.
E ora, ti prego, accetta un regalo dal tuo servo».
16 Ma Eliseo rispose: «Com'è vero che vive il SIGNORE di cui sono servo, io non accetterò nulla». Naaman insisteva perché accettasse, ma egli rifiutò.

Romani 1,13-17

13 Non voglio che ignoriate, fratelli, che molte volte mi sono proposto di recarmi da voi (ma finora ne sono stato impedito)
per avere qualche frutto anche tra di voi, come fra le altre nazioni.
14 Io sono debitore verso i Greci come verso i barbari, verso i sapienti come verso gli ignoranti;
15 così, per quanto dipende da me, sono pronto ad annunciare il vangelo anche a voi che siete a Roma.

16 Infatti non mi vergogno del vangelo; perché esso è potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede;
del Giudeo prima e poi del Greco;
17 poiché in esso la giustizia di Dio è rivelata da fede a fede, com'è scritto: «Il giusto per fede vivrà».


Giovanni 4,5-14 (testo della predicazione)

5 Giunse dunque a una città della Samaria, chiamata Sicar, vicina al podere che Giacobbe aveva dato a suo figlio Giuseppe;
6 e là c'era la fonte di Giacobbe. Gesù dunque, stanco del cammino, stava così a sedere presso la fonte. Era circa l'ora sesta.

7 Una donna della Samaria venne ad attingere l'acqua. Gesù le disse: «Dammi da bere».
8 (Infatti i suoi discepoli erano andati in città a comprare da mangiare.)
9 La donna samaritana allora gli disse: «Come mai tu che sei Giudeo chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?»
Infatti i Giudei non hanno relazioni con i Samaritani.
10 Gesù le rispose: «Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è che ti dice: "Dammi da bere", tu stessa gliene avresti chiesto,
ed egli ti avrebbe dato dell'acqua viva».
11 La donna gli disse: «Signore, tu non hai nulla per attingere, e il pozzo è profondo; da dove avresti dunque quest'acqua viva?
12 Sei tu più grande di Giacobbe, nostro padre, che ci diede questo pozzo e ne bevve egli stesso con i suoi figli e il suo bestiame?»
13 Gesù le rispose: «Chiunque beve di quest'acqua avrà di nuovo sete;
14 ma chi beve dell'acqua che io gli darò, non avrà mai più sete;
anzi, l'acqua che io gli darò diventerà in lui una fonte d'acqua che scaturisce in vita eterna».

 

Cara sorella e caro fratello,
il lezionario Un Giorno, una parola ci propone per oggi questo testo di Giovanni che costituisce la prima parte di un racconto ben noto, l’incontro con la samaritana, che non è presente nei vangeli sinottici.

Nella sua interezza il racconto è molto articolato e dettagliato, si apre mostrandoci Gesù in cammino per adempiere alla sua missione di conversione e guarigione che si è svolta proprio come un percorso senza sosta, dalla mangiatoia alla croce per poi concludersi con lo sconvolgente evento, della resurrezione (la tomba vuota e le apparizioni).

Siamo intorno a mezzogiorno, Gesù è stanco, i discepoli sono andati in cerca di cibo, e lui si siede vicino ad una fonte posta nel podere donato da Giacobbe a Giuseppe e chiede da bere a una donna.
Dopo una conversazione serrata che ha per oggetto l’acqua e che sembra un po’ una commedia degli equivoci, il racconto si conclude con la donna che afferma «Io so che il Messia (che è chiamato Cristo) deve venire; quando sarà venuto ci annuncerà ogni cosa» (v. 25)alla quale Gesù risponde: «Sono io, io che ti parlo!»(v. 26).
L’epilogo sta dunque in questa autoaffermazione da parte di Gesù quale Messia, atteso da popolo ebraico. Questo ci fa intuire come la struttura dell’intero racconto sia stata concepita dall’evangelista proprio per culminare in questa conclusione. Nel breve volgere di pochi versetti assistiamo al passaggio da una manifestazione molto umana e carnale di Gesù, la fatica fisica del Dio incarnato che in quanto essere umano ha bisogno di ristoro e di acqua, alla rivelazione della sua natura divina quale Cristo, il Messia atteso e annunciato dai profeti.

Questo apparente e improvviso scarto tra la dimensione umana e quella divina non ci deve meravigliare perché le interpretazioni teologiche dell’Evangelo di Giovanni pongono in evidenza come l’evangelista mostri che in ogni singolo avvenimento della “vita” di Gesù incarnato è già all’opera il Cristo presente nella chiesa. La rivelazione di Dio nella vita di Gesù, la “Parola fatta carne”, è il culmine di ogni rivelazione divina e in questa rivelazione, conclusa nella vita terrena di Gesù, si concentra l’intero processo di salvezza dell’umanità da parte di Dio. Qui si trova l’apice di ogni processo di salvezza, che si è svolto prima di questa incarnazione e che, dopo la vita terrena di Gesù, si svilupperà nella sua comunità (O. Cullmann)secondo una visione che stabilisce una continuità fino dalla creazione, preesistente nella storia di Israele e che prosegue con l’azione del Cristo glorificato nella Chiesa (B. Corsani).

Tuttavia, questa mattina, siamo invitati a riflettere (solo) sulla prima parte del racconto la quale ci offre un concentrato di spunti di riflessione che da un lato lascia imbarazzati nella scelta e dall’altro ci stupisce per la genialità narrativa dell’evangelista. Come spesso mi accade, di fronte alla ricchezza di questi testi, anche questa volta mi sono posto la domanda: come trovare parole di senso compiuto che non sviliscano o, peggio, distorcano il significato originario rischiando di piegarlo alle nostre visioni contemporanee? Forse bisognerebbe tacere, limitarsi a ascoltare e meditare riscoprendo la potenza e l’efficacia dell’Evangelo sine glossa, cioè senza aggiunte che possano sminuirlo e alterarlo! Ma poiché non voglio sottrarmi al compito di commentare lo farò evidenziando tre elementi, il luogo, l’incontro, l’acqua che cercherò di ricondurre alla dimensione personale di ciascuna/o di noi.


a) La Samaria

Gesù sta risalendo dalla Giudea per recarsi di nuovo in Galilea e così passa attraverso la Samaria e si ferma a Sicar, presso la fonte del podere dato da Giacobbe a suo figlio Giuseppe. Da secoli i rapporti tra i giudei e i samaritani erano compromessi. Intorno al 922 a.C., dopo la morte del re Salomone, le popolazioni del nord si erano separate dal regno di Giuda, posto al sud, dando vita ad un regno indipendente con capitale Samaria, instabile e contraddistinto da continui avvicendamenti sul trono e sommosse contro i re, fino alla distruzione ad opera dell’impero Assiro nel 722 a.C.. Oltre alle vicende politiche gli ebrei del vecchio regno del nord, i Samaritani, erano malvisti da parte di quelli del sud che li accusavano di non essere “abbastanza ebrei” per aver mescolato la fede ebraica facendo coesistere con la Torah anche il culto di divinità pagane dando luogo a un sincretismo incompatibile con la fede ebraica.

Più avanti nel testo al Cap. 10 di Giovanni al v.16 Gesù, nel paragonarsi al buon pastore, dice di avere altre pecore e afferma che “vi sarà un solo gregge, un solo pastore”, ponendosi così nella prospettiva di realizzare l’antica profezia di Ezechiele (cap. 37, v. 21-22) "Ecco, io prenderò i figli d'Israele dalle nazioni dove sono andati, li radunerò da tutte le parti, e li ricondurrò nel loro paese; farò di loro una stessa nazione, nel paese, sui monti d'Israele; un solo re sarà re di tutti loro; non saranno più due nazioni, e non saranno più divisi in due regni”. Infattipoi l’evangelista ci dice che Gesù restò due giorni e che molti Samaritani “credettero a motivo della sua parola” (v. 42).

Dunque la Samaria, dove si svolge questo incontro, è anche il luogo nel quale Gesù inizia a estendere la sua predicazione e la sua missione di salvezza oltre all’ambito degli ebrei ortodossi, una missione che, come abbiamo letto nel passo della lettera ai Romani, si estenderà poi, grazie agli apostoli, alle popolazioni pagane, dando quel respiro di universalità e di inclusività, per usare un termine oggi di moda, che è una delle caratteristiche principali del messaggio cristiano: nessuna e nessuno è esclusa/o, tutti sono cercati.
Ma la scelta di questa collocazione, attinente alla storia d’Israele, letta dentro la nostra storia personale ci ricorda che per quante incertezze, dubbi, ondeggiamenti, sincretismi possano confondere il nostro modo di pensare, il nostro atteggiamento e comportamento, Gesù ci cerca, vuole incontrarci, bussa alla nostra porta. La Parola fatta carne è offerta a tutte e tutti, non è preclusa a nessuna persona che sia disposta ad ascoltarla e ad accoglierla.

b) L’incontro con la donna


Qualora questo ci sembrasse poco, consideriamo ora che Gesù si rivolge a una donna tanto da suscitare la meraviglia dei suoi discepoli (v. 27). Una donna che, oltre ad essere samaritana, ha una storia personale non del tutto lineare come emerge dal successivo dialogo in cui ella ammette di aver avuto cinque mariti e di vivere con un uomo che non è suo marito.

Ancora una volta Gesù rompe gli schemi rivolgendo la sua attenzione a una persona ai margini: samaritana, donna e con una storia personale non specchiata. Ma questa donna anonima viene toccata dalle parole di Gesù tanto da intuire che egli sia proprio il Cristo. E’ proprio a lei che la Parola incarnata riserva il privilegio di rivelare la propria identità di Messia: «Sono io, io che ti parlo!» (v.26).

Che forza in questa duplice affermazione “Sono io” e “io che ti parlo” !
Lasciatemi sottolineare l’uso del “tu” in “ti parlo”. Gesù avrebbe potuto limitarsi a dire “sono io” o anche “sono proprio io”. Invece, questa ulteriore interlocuzione «io che ti parlo!» dà all’incontro un significato speciale. Gesù si rivolge personalmente alla donna, è un dialogo tra loro due, la sua attenzione è riservata a proprio a lei, e dunque, da ultimo, la rivelazione è destinata proprio a lei che poi con la propria testimonianza farà da cassa di risonanza spingendo molti altri, anzi “molti di più”, a recarsi da lui, ad ascoltarlo e a credere.
Questo “tu” che le parla, il “tu” del“io che ti parlo”, Gesù, siamo noi, è ciascuna e ciascuno di noi!


c) L’acqua dono di Dio


L’ acqua, questo elemento indispensabile per la nostra vita (basti pensare il corpo umano è composto circa al 65% da acqua e nei neonati questa percentuale va dal 75 al 80%), è un soggetto ricorrente in tutta la Bibbia e con molteplici significati. La chiave biblica riporta oltre 100 citazioni della parola “acqua”e circa 90 del termine “acque”. Troviamo l’acqua che viene separata dalla terra nel racconto della creazione, l’acqua del diluvio attraverso la quale Dio cancella tutto e crea la premessa per un nuovo inizio, l’acqua del fiume Giordano che purifica dalla lebbra Naaman, capo dell'esercito del re di Siria, come abbiamo letto nel passo della II Re, quella che trasporta Mosè affinché venga adottato dalla figlia del faraone, l’acqua del battesimo impartito da Giovanni Battista precursore di Gesù, l’acqua con la quale Gesù lava i piedi ai discepoli come segno di servizio e umiltà, l’acqua che insieme al sangue esce dal costato del Cristo crocifisso perforato da una lancia e si potrebbe continuare con molte molte altre citazioni.

Apparentemente nel nostro testo l’acqua svolge il ruolo di innescare il dialogo tra Gesù e la donna, il pretesto a cui Gesù ricorre per attaccare discorso con questa sconosciuta ed è l’oggetto di un fraintendimento tra i due quando Gesù capovolge i ruoli offrendo lui dell’acqua alla donna che non capisce il significato profondo di questa offerta. Due sono gli aspetti che colpiscono.
Il primo è la sorta di contrapposizione tra i termini sorgente, fonte e acqua viva (v.6 e 14) dal punto di vista di Gesù e il termine pozzo (v.11 e 12) usato dalla Samaritana.

Per la donna l’acqua da attingere dal pozzo con il secchio è un compito faticoso di cui noi abituati ad avere l’acqua corrente che esce dai rubinetti casa abbiamo perso la cognizione della ripetitività stancante. Per rendercene conto basta pensare a quelle aree deserte o in via di desertificazione nel mondo (p.e. in Africa) dove donne e bambini sono costretti a percorre ogni giorno una lunga, assolata e polverosa strada per procurarsi l’acqua necessaria al fabbisogno domestico.
Questa è anche una splendida metafora dei nostri affannosi tentativi di dare un senso alle nostre vite da soli, attingendo dalla profondità del pozzo della nostre esistenze.
Una condizione che spesso diventa alienante, un pozzo senza fondo, e che purtroppo induce tante persone, spesso molto giovani, a cercare un falso sostegno nell’abuso di alcol e di droghe.
Ma una situazione che può capitare di vivere a ciascuna e ciascuno di noi a causa di malattie, problemi lavorativi, rapporti affettivi compromessi e persino malintesi e difficoltà nella vita comunitaria delle nostre chiese:
pretendere di attingere l’acqua ristoratrice da soli dai nostri pozzi esistenziali.

Gesù capovolge la situazione e dice «Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è che ti dice: "Dammi da bere", tu stessa gliene avresti chiesto, ed egli ti avrebbe dato dell'acqua viva» (v.10).
Il Gesù essere umano in cammino ha bisogno di riposarsi, ha sete e chiede da bere, ma subito dopo Dio, incarnato in Gesù, si propone come sorgente,
come dice Gregorio di Nazanzio (greco, dottore della chiesa vissuto tra il 329 e il 390 d.C.)
“ha sete di essere bevuto”, si presenta come sorgente di vita che zampilla.

E noi ? Cosa ci dicono questa immagine e questo ribaltamento di prospettiva?
Abbiamo sete di salute, di ricchezza, di potere e di notorietà che non possono essere soddisfatte perché queste sono fonti fasulle.
La sorgente-Gesù è l’unica fonte che può riempire di senso la nostra vita e che ci permette di viverla pienamente, è l’unico e sicuro nostro punto di riferimento.
Da questa sorgente che ha la capacità di cambiare e trasformare per sempre le nostre vite sgorga lo Spirito di Dio che si manifesta in Gesù il quale dice:
«chi beve dell'acqua che io gli darò, non avrà mai più sete; anzi, l'acqua che io gli darò diventerà in lui una fonte d'acqua che scaturisce in vita eterna» (v.14).
Questa acqua non solo disseta per sempre, in modo definitivo, ma trasforma chi ne beve a sua volta in una sorgente che zampilla per gli altri
perché ci fa diventare veri esseri viventi, come Dio ci ha creati e desidera che siamo.

Cara sorella e caro fratello, come nel dialogo personale con questa donna Gesù fa emergere la sua condizione personale, così Egli viene incontro a ciascuna e ciascuno di noi,
ci pone di fronte alle nostre fatiche, fisiche e psicologiche, ci induce a riflettere su a quali obiettivi le rivolgiamo, ci interroga sul senso che stiamo dando alla nostra vita con il nostro agire,
mette a nudo le nostre insoddisfazioni e le nostre contraddizioni.
Non siamo forse anche noi come i Samaritani? Non commettiamo spesso l’errore di seguire altre divinità come il denaro, il successo, il prestigio?
Non siamo esposti al rischio di sovrapporre al vero, unico e eterno Dio idoli effimeri che dispensano odio, violenza e ingiustizia?

Anche noi, come la Samaritana, siamo alla ricerca di una fonte di acqua viva che elimini per sempre la nostra sete.
Spesso ripiegati su noi stessi e presi dal nostro io non ci accorgiamo che Gesù ci chiama per donarci gratuitamente l’acqua viva dello Spirito di Dio che ristora e rigenera.


Allora l’invito è uscire questa mattina da questo luogo con la gioia per questo dono e con la salda convinzione che Gesù è la sorgente d’acqua di cui dobbiamo avere sete per diventare veri esseri umani.

Egli è il Vivente, la sorgente zampillante che si rivela a noi incontrandoci sul bordo dei pozzi delle nostre titubanze, paure e incertezze.
Quando esitiamo rattristati e impauriti da quanto ci circonda, ricordiamoci che Gesù è la sorgente che ci attende, che ha sete della nostra sete,
che ci viene incontro e ci trasforma in altrettante sorgenti zampillanti affinché la grazia e il Regno di Dio siano annunciati a chiunque e ovunque.
Amen

Predicazione di Valdo Pasqui – Domenica 26 Gennaio 2025 Chiesa Evangelica Valdese di Firenze


 

Domenica 12 Gennaio 2025

«Ma dunque, sei tu re?»

Letture:

 

Poiché, ecco, io creo nuovi cieli e una nuova terra;
non ci si ricorderà più delle cose di prima;
esse non torneranno più in memoria.
Gioite, sì, esultate in eterno per quanto io sto per creare;
poiché, ecco, io creo Gerusalemme per il gaudio, e il suo popolo per la gioia.
Io esulterò a motivo di Gerusalemme e gioirò del mio popolo;
là non si udranno più voci di pianto né grida d'angoscia;

Isaia 65,17-19


grazia a voi e pace da colui che è, che era e che viene,
dai sette spiriti che sono davanti al suo trono e da Gesù Cristo, il testimone fedele, il primogenito dei morti e il principe dei re della terra.
A lui che ci ama, e ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue,
che ha fatto di noi un regno e dei sacerdoti al suo Dio e Padre, a lui sia la gloria
e la potenza nei secoli dei secoli. Amen.

Ecco, egli viene con le nuvole e ogni occhio lo vedrà; lo vedranno anche quelli
che lo trafissero, e tutte le tribù della terra faranno lamenti per lui. Sì, amen.
«Io sono l'alfa e l'omega», dice il Signore Dio, «colui che è, che era e che viene, l'Onnipotente».

Apocalisse 1,4b-8

testo per la predicazione:

Pilato dunque rientrò nel pretorio; chiamò Gesù e gli disse: «Sei tu il re dei Giudei?» Gesù rispose: «Dici questo di tuo, oppure altri te l'hanno detto di me?»
Pilato gli rispose: «Sono io forse Giudeo? La tua nazione e i capi dei sacerdoti ti hanno consegnato a me; che cosa hai fatto?»
Gesù rispose: «Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori combatterebbero perché io non fossi consegnato
ai Giudei; ma ora il mio regno non è di qui».
Allora Pilato gli disse: «Ma dunque, sei tu re?»
Gesù rispose: «Tu lo dici; sono re; io sono nato per questo, e per questo sono
venuto nel mondo: per testimoniare della verità. Chiunque è dalla verità ascolta la mia voce».

Giovanni 18, 33-37

 

Cari fratelli e care sorelle,

le letture scelte per oggi ci indagano, ci interrogano e un po’ ci inquietano. Nel breve brano scelto per la predicazione, molti gli interrogativi che ci scrutano dentro.
Siamo nella seconda parte del Vangelo di Giovanni, quella in cui Gesù dopo essersi rivelato al mondo, si rivela ai suoi e lo fa dopo l’annuncio della sua passione.
Si parla di regno, di re, di verità, di questo mondo e di un non meglio specificato “altro” mondo.
Temi difficili, che ci fanno riflettere sul discorso escatologico, sulle “cose ultime”, come si è soliti dire.
In Giovanni il tema del Regno non è poi così presente come negli altri Vangeli e può forse essere compreso se inserito all’interno dell’intero libro.
Il Vangelo di Giovanni viene spesso definito come quel luogo teologico dove si racconta la storia del Cristo, un racconto cristologico, dunque, che ruota intorno a delle tematiche principali in cui, almeno apparentemente,
non sembra esserci il Regno.

A Giovanni stanno a cuore il tema dell’incarnazione (nel prologo “la Parola si fa carne”), quindi il tema dell’inviato: Gesù, il figlio preesistente all’evento della sua nascita, è inviato dall’amore del Padre, il suo destino terreno si compie perché inviato. E si compie in un mondo in cui regnano le tenebre che solo la luce della Verità potrà illuminare ( E questa parola ci sta particolarmente a cuore: “Lux lucet in tenebris”). Quella di Giovanni quindi non è tanto un’escatologia che rimanda al mondo che verrà ma che si compie nell’incontro del Padre con il Figlio, sulla croce.

Che assurdità! Regno, re, croce. Non stanno insieme. Non possono stare insieme.

Caliamoci nella lettura. Pilato è colpito da questo strano personaggio. “Ma chi sei? Ma non hai paura di me?” Dirà poco dopo: “Posso farti vivere o morire, lo sai questo?”. E questo pazzo di Gesù non risponde o fa discorsi a dir poco assurdi fino a proclamarsi re.

Un re parecchio strano. Che era entrato a Gerusalemme sul dorso di un puledro d’asina. Su un “ciuchino”, non su un cavallo. Che strano questo re. Un re che si lascia spogliare fino a farsi crocifiggere nudo. Nell’ arte lo si rappresenta sempre con una fascia ai fianchi, ma i Romani, veri professionisti nell’infliggere sofferenza fisica e psicologica, crocifiggevano nudi: con tutto ciò che quel tipo di morte comporta, la nudità diventava un ulteriore motivo di scherno.

Che strano questo re. Accetta la sofferenza. E che sofferenza.

Ora, nel corso dei tempi, questo concetto di sofferenza è stato stravolto. Permettetemi di raccontarv

i un episodio che mi è capitato qualche tempo fa. Incontro una donna. Ci parliamo. Scatta una certa confidenza e complicità. Ci mettiamo a nudo raccontandoci reciproche sofferenze del passato. Scopro che è stata vittima di violenza domestica e ha addosso un notevole numero di punti di sutura. La cosa di per sé già basterebbe a crearmi sdegno, ma non finisce qui. Mi racconta di essersi recata da una persona per chiedere aiuto e questa, per tutta risposta, ha pensato di aiutarla portandola davanti al Crocifisso e dicendole “Guarda quanto ha sofferto Lui. Puoi e devi soffrire anche tu!”. Non voglio certo mettere in dubbio le buone intenzioni di quella persona, ma io credo che così il messaggio cristiano venga decisamente stravolto. Vi ricordate ormai una ventina di anni fa il film “The Passion”? Provocò reazioni contrastanti. Personalmente, a me non piacque affatt,o perché venne dedicato un tempo a mio avviso eccessivo alla flagellazione e alla sofferenza, con il rischio di far passare il messaggio che la salvezza dell’essere umano venga dalle sofferenze patite dal Cristo. E questo è aberrante. È quello che fa dire a una vittima di violenza domestica “soffri in silenzio”. No! Non è questo il messaggio cristiano. La salvezza non viene dalla sofferenza, non viene dalla morte in sé ma viene dall’amore con cui Dio ha accettato di morire al mio posto. Eccolo il messaggio. Gesù non è stato il primo né l’ultimo condannato a morte innocente. Quanti innocenti continuano a morire ogni giorno! Penso ai bambini israeliani e palestinesi. Non sono forse innocenti condannati a morte? Penso ai bambini russi e ucraini. Penso alle donne uccise dalla cieca violenza maschile. Penso alle vittime di violenza domestica e di violenza sessuale, penso alla pedofilia … le vittime non muoiono, forse, nel senso stretto del termine, ma è una morte anche quella. E poi si potrebbe andare avanti con le condanne a morte nei paesi che si ritengono civili e dove spesso le condanne, già di per sé ingiuste, arrivano dopo un processo sommario. Tutti morti innocenti. Ma nessuno di loro muore per salvare me, muore al mio posto, muore per recarmi salvezza. E’ Dio stesso a farlo, è nella sua piena libertà che Dio decide di sottomettersi, decide, anche se libero, di rinunciare alla sua libertà o, meglio, usare la sua libertà per diventare il servo innocente, il servo obbediente, sottomettersi per primo e per recarmi salvezza. Che strana questa idea di libertà e di sottomissione. Eppure è la realtà cristiana: siamo davvero liberi se usiamo la libertà per servire e per servire Dio. Lutero stesso, in apertura del testo “Libertà del cristiano” dice chiaramente che il cristiano è, sì, libero signore sopra ogni cosa ma anche servo volenteroso sottomesso a ciascuno. E, come ci ricorda anche Giovanni, poco più avanti del brano che abbiamo letto, quando ci racconta la morte in croce, Dio stesso, in Cristo e sulla croce, si sottomette per primo e lo fa affinché la croce diventi per l’essere umano porta di accesso alla salvezza.

Che strano però questo re, e che strano questo regno. Un regno che non è di questo mondo. Un regno che trova la sua realizzazione solo nell’incontro misterioso del Padre e del Figlio, che Gesù stesso dice essere una cosa sola, sulla croce. Quel Figlio apparentemente abbandonato ma che avrà la forza di dire “È compiuto!”. E’ compiuto cosa? La sua missione. L’inviato dall’ amore del Padre ha una missione da compiere e la compie in tre momenti:

  1. la Parola si fa carne

  2. Compie la sua missione terrena (si rivela al mondo)

  3. Ritorna, ma non alla fine dei tempi, bensì sulla croce come elevazione e glorificazione (e in questo modo si rivela ai suoi, e a noi).

E’ compiuto”. Con queste parole ho annunciato la morte di mio padre al ministro che si sarebbe occupato del funerale. Lui ha apprezzato. Altri hanno pensato che fossi megalomane. E invece non siamo megalomani se proviamo a ricondurre la nostra morte a quella di Cristo. Ma non certo perché la nostra morte o la nostra sofferenza possa essere minimamente paragonata a quella di Gesù, ma perché è la nostra fede che ce lo chiede. A me piace molto definire la fede (ammesso che si possa definire…) non tanto come il nostro sì a Dio ma come il nostro amen al sì di Gesù Cristo. Se il Cristo non avesse detto quel sì (che gli è costato, gli è costato un prezzo elevatissimo), se non avesse accettato la pazzia della morte di croce, saremmo ancora immersi nelle tenebre e senza via d’uscita. Dire amen al sì di Gesù Cristo, cioè rimettersi completamente in Lui, gettarsi nel suo amore folle che accetta la morte più ignominiosa che ci potesse essere, lasciare agire Dio in noi, lasciarci modellare per vivere in un mondo, che non è forse il suo regno, ma è il mondo nel quale ha deciso di vivere, in cui continua a vivere da Risorto, in cui ci chiede di seguirlo, di sottometterci sì, ma in libertà, perché Dio stesso lo ha fatto per primo.

Pilato, più per compiacere la folla che per altro, fece mettere quel cartello sulla croce: “Il re dei Giudei” e così facendo sarebbe dovuto essere un ulteriore motivo di scherno. Come la veste rossa e la corona di spine. E invece, così facendo, quel Dio incredibile, quel Dio che sa prendere le nostre miserie e trasformarle, quel Dio che tutto può, ha mostrato una grande verità: eccolo il vostro re, sì è sulla croce, è re sì, ma re di riconciliazione e di perdono.

Perché è con la sua morte, offerta liberamente e per amore, che ci ha riconciliati.

Solo credendo in Lui possiamo, per grazia, essere salvati.

Una mia amica ha un quadro dove è rappresentato Gesù che porta la croce. La prima volta che lo vidi mi colpì per un particolare: aveva la veste rossa addosso. Con una certa arroganza, devo ammetterlo, scossi la testa dicendo: “Ma questo pittore l’ha letto il Vangelo? Ma non lo sa che la veste rossa gli viene poi tolta?” Ma che presunzione assurda la mia! Ok, il quadro non sarà coerente con la lettura del Vangelo ma solo ora mi rendo conto che l’autore forse voleva comunicare qualcosa: quel Gesù è e rimane RE! Anche se nudo. E mi spingo oltre. Nelle nostre chiese riformate abbiamo tolto, e aggiungo – giustamente - il Crocifisso. E conosciamo i motivi. Non solo o non tanto per l’osservanza al secondo comandamento ma, e questo è a mio avviso il motivo principale, perché Cristo è il Vivente in mezzo a noi.

Tutto vero. Io però sono convinta che già nel Crocifisso sia presente il Risorto. Quel Re di riconciliazione e perdono che passa dal venerdì santo per arrivare alla Pasqua e poi alla Pentecoste. Un unico mistero. Che non possiamo separare.

Dov’è allora il Regno? Dov’è ora il Re?

Il Regno è già qui perché il Re-Crocifisso ma Vivente è in mezzo a noi.

E’ un Re che ha lasciato il suo trono per vivere nelle miserie umane, nelle tenebre umane per portarci la luce. Luce che, pur se offuscata dal peccato, continua a essere in noi, risplende ogni qual volta viene osservata la volontà del Padre. “Lux lucet in tenebris”, e luce che non potrà mai spengersi. Nessuna guerra, nessuna violenza, nessun omicidio potrà mai spengerla. E noi lo crediamo. Vano, altrimenti, sarebbe stato l’estremo sacrificio di Gesù-Dio che “sapendo che era venuta per lui l’ora di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine” (Gv 13,1).

Amen

 

Predicazione di Mara Venturi - Chiesa Evangelica Valdese di Firenze Domenica 12 Gennaio 2025

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Ultimo aggiornamento: 26 Gennaio 2025
 ©Chiesa Evangelica Valdese di Firenze