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Meditazioni

 

Vedi anche i Video culti del Pastore Marfè

 

 

Domeni 2 Giugno - 2nda dopo Pentecoste

Chi ha prestato orecchio alla sua parola e l'ha udita?
Geremia 23, 18

Letture

I Giovanni 4, 13 - 21

13 Da questo conosciamo che rimaniamo in lui ed egli in noi: dal fatto che ci ha dato del suo Spirito.14 E noi abbiamo veduto e testimoniamo che il Padre ha mandato il Figlio per essere il Salvatore del mondo.
15 Chi riconosce pubblicamente che Gesù è il Figlio di Dio, Dio rimane in lui ed egli in Dio.
16 Noi abbiamo conosciuto l'amore che Dio ha per noi, e vi abbiamo creduto. Dio è amore; e chi rimane nell'amore rimane in Dio e Dio rimane in lui.
17 In questo l'amore è reso perfetto in noi: che nel giorno del giudizio abbiamo fiducia, perché qual egli è, tali siamo anche noi in questo mondo.
18 Nell'amore non c'è paura; anzi, l'amore perfetto caccia via la paura, perché chi ha paura teme un castigo. Quindi chi ha paura non è perfetto nell'amore. 19 Noi amiamo perché egli ci ha amati per primo.
20 Se uno dice: «Io amo Dio», ma odia suo fratello, è bugiardo; perché chi non ama suo fratello che ha visto, non può amare Dio che non ha visto.
21 Questo è il comandamento che abbiamo ricevuto da lui: che chi ama Dio ami anche suo fratello.

Geremia 23,16-29

16 Così parla il SIGNORE degli eserciti: «Non ascoltate le parole dei profeti che vi profetizzano; essi vi nutrono di cose vane; vi espongono le visioni del proprio cuore, e non ciò che proviene dalla bocca del SIGNORE.
17 Dicono a quelli che mi disprezzano: "Il SIGNORE ha detto: 'Avrete pace'; e a tutti quelli che camminano seguendo la caparbietà del proprio cuore: 'Nessun male vi colpirà'".
18 Infatti chi ha assistito al consiglio del SIGNORE, chi ha visto, chi ha udito la sua parola? Chi ha prestato orecchio alla sua parola e l'ha udita?
19 Ecco, la tempesta del SIGNORE, il furore scoppia, la tempesta scroscia, scroscia sul capo degli empi.
20 L'ira del SIGNORE non si placherà, finché non abbia eseguito, compiuto i disegni del suo cuore; negli ultimi giorni, lo capirete appieno.
21 Io non ho mandato quei profeti; ed essi corrono; io non ho parlato a loro, ed essi profetizzano.
22 Se avessero assistito al mio consiglio, avrebbero fatto udire le mie parole al mio popolo; li avrebbero distolti dalla loro cattiva via e dalla malvagità delle loro azioni.
23 sono io soltanto un Dio da vicino», dice il SIGNORE, «e non un Dio da lontano? 24 Potrebbe uno nascondersi in luogo occulto in modo che io non lo veda?», dice il SIGNORE. «Io non riempio forse il cielo e la terra?», dice il SIGNORE.
25 «Io ho udito ciò che dicono i profeti che profetizzano menzogne nel mio nome, dicendo: "Ho avuto un sogno! ho avuto un sogno!"
26 Fino a quando durerà questo? Hanno essi in mente, questi profeti che profetizzano menzogne, questi profeti dell'inganno del loro cuore, 27 pensano forse di far dimenticare il mio nome al mio popolo con i loro sogni che si raccontano l'un l'altro, come i loro padri dimenticarono il mio nome per Baal?
28 Il profeta che ha avuto un sogno, racconti il sogno; colui che ha udito la mia parola, riferisca la mia parola fedelmente. Che ha da fare la paglia con il frumento?», dice il SIGNORE. 29 «La mia parola non è forse come un fuoco», dice il SIGNORE, «e come un martello che spezza il sasso?



Care sorelle e cari fratelli,

per aiutarci a comprendere meglio il significato di questo passo, proposto dal Lezionario Un giorno una parola come testo per la predicazione per questa domenica, è necessario richiamare in breve il contesto in cui queste parole sono state pronunciate. I commentari ci insegnano che Geremia ha profetizzato a Gerusalemme verso la fine del VII sec, circa tra il 626 e il 609 a.C. e che i temi della sua predicazione sono l’annuncio della distruzione di Gerusalemme (nel 586 a.C.) e la successiva deportazione e dispersione del popolo di Israele a Babilonia.
Geremia, come la maggior parte dei grandi profeti dell’Antico Testamento, prima cerca di resistere alla chiamata che Dio gli rivolge, adducendo come motivazione «…io non so parlare, non sono che un ragazzo» (Cap. 1,6), poi si piega alla sua volontà. Da quel momento ha inizio il suo servizio che lo condurrà a vivere un’esperienza personale dolorosa e tragica perché pur amando profondamente il suo popolo deve annunciare questi due eventi catastrofici. Due visioni accompagnano l’investitura e l’affidamento della missione a Geremia da parte di Dio (Cap. 1,11-12). Con la prima il Signore afferma che vigila sulla Sua parola per mandarla ad effetto e con la seconda annuncia che una calamità sta per abbattersi su Giuda, i suoi re e sacerdoti e il suo popolo. Sempre nel Cap.1 al v.10, con un’espressione molto poetica il Signore sintetizza la missione che affida al profeta: «Vedi, io ti costituisco oggi sulle nazioni e sopra i regni, per sradicare, per demolire, per abbattere, per distruggere, per costruire e per piantare». Dunque da subito dopo il giudizio e la condanna si intravede la speranza di una rinascita, una nuova Gerusalemme e la riabilitazione di Israele.

Che cosa ha scatenato l’ira di Dio? La malvagità di Israele, dei suoi re, dei dirigenti dell’apparto statale, dei sacerdoti e dei profeti, che hanno adorato altri dei e hanno disubbidito alla Torah, alla legge. In particolare il Capitolo 7 contiene una serie di accuse circostanziate, accompagnate dall’invito al cambiamento e alla conversione fino all’apice del v.11 in cui, per bocca del profeta, il Signore accusa il Suo popolo di aver fatto della Sua casa, cioè il tempio, una «spelonca di ladri», cosa che immediatamente ci rimanda alla scena dei Vangeli quando Gesù entra nel tempio, rovescia i tavoli dei cambiamonete e dei venditori. Avvalendosi di un linguaggio fatto di lamentazioni e oracoli di condanna, di invettive e minacce, ma anche di esortazioni e promesse, il libro di Geremia ci presenta dunque un Dio irato, deluso dal suo popolo, deciso a punirlo a causa dei suoi peccati, della sua infedeltà e arroganza. Solo dall’esilio babilonese sarà poi possibile costruire e piantare un nuovo Israele.

Il compito di Geremia è arduo, egli sarà un profeta inascoltato, considerato portatore di sventura. Annunciare la conquista di Gerusalemme da parte di Nabucodonosor e la deportazione a Babilonia lo costringerà ad affrontare oltraggi, offese, la prigionia e anche il rischio di morire, perché gli oracoli, le profezie e i racconti che rivolge a Israele non sono graditi e vengono osteggiati dai sacerdoti e dai potenti del regno di Giuda. E infatti il Signore lo prepara dicendogli: «ti stabilisco come una città fortificata, una colonna di ferro e un muro di bronzo [… ]perché essi ti faranno la guerra, ma non vinceranno, perché io sono con te per liberarti» (Cap.1,18-19).
Comunque Geremia annuncia l’imminente sventura che sta per abbattersi sul popolo di Israele senza trionfalismi o sfide; egli interpreta la sua missione di servo della parola Dio e la sua sofferenza per quanto il suo popolo è condannato a subire giunge fino al punto di maledire il giorno in cui è nato, poiché è sconvolto dal “vedere tormento e dolore” (Cap. 20).

Arriviamo così al Cap.23 che ci propone una nuova serie di oracoli del Signore intercalati dalle frasi: “Perciò così parla il Signore” e “dice il Signore”. Nella prima parte le invettive e la condanna sono rivolte ai cattivi pastori che hanno disperso e non hanno avuto cura della “mie pecore” , il popolo di Israele, mentre nella seconda di di cui fanno parte i vv. 16-29 che abbiamo letto contiene le accuse contro i falsi profeti. Ho scelto di soffermarmi su tre punti che emergono in modo piuttosto evidente:

a) I falsi profeti
b) La presenza di Dio nella storia
c) La parola di Dio

a) I falsi profeti sono coloro che «espongono le visioni del proprio cuore, e non ciò che proviene dalla bocca del SIGNORE» (v.16), cioè sono coloro che parlano per sé stessi e di sé stessi, che spacciano le proprie opinioni e visioni come se fossero ispirate dal Signore e quindi dicono menzogne al popolo, vivono nella malvagità: «commettono adultèri, agiscono con ipocrisia, rafforzano la mano dei malfattori, al punto che nessuno si converte dalla sua malvagità» (v.14). Il testo parla di adultèri ma non penso si riferisca esclusivamente al significato sessuale, ritengo che gli si debba anche attribuire il significato più estensivo di “tradimento” nei confronti del patto che Dio aveva stabilito con il Suo popolo, patto che il Signore non ha dimenticato ma che è stato violato da Israele non seguendo i suoi comandamenti.
I falsi profeti hanno una caratteristica specifica, non sono dei ciarlatani, sono dei fanatici della verità, della propria verità, alla quale non rinunciano perché si sentono inattaccabili. Sono convinti di possedere la verità e capaci di presentarla in modo semplice e attraente così da essere facilmente creduti e da riuscire a diffonderla rapidamente.
Così il testo in particolare precisa che i falsi profeti si rivolgono al popolo promettendo la pace e che «nessun male vi colpirà», quando invece il disegno di Dio è un altro, la distruzione, per sradicare e demolire affinché dopo sia possibile costruire e piantare una città e un popolo nuovi. I falsi profeti sostengono di conoscere il disegno di Dio è invece diffondono menzogne perché non ascoltano più la Sua voce. Non è più il tempo in cui allo Shema Israel (Ascolta Israele) il popolo di Israele risponde attuando la volontà di Dio. Al contrario, i falsi profeti e i sacerdoti hanno preteso di asservire il Signore al proprio volere.

Tutto questo non ci suona certamente nuovo. Quanti falsi profeti abbiamo avuto e abbiamo tutt’ora, quanti si sono ammantati di un’aura profetica e hanno compiuto o sono stati complici delle peggiori nefandezze in nome di Dio e di Cristo? Nella professione di fede abbiamo ascoltato la voce profetica che si levò 90 anni fa dal Sinodo di Barmen contro il regime nazista che aveva forzato il messaggio di Dio facendo della chiesa evangelica tedesca uno strumento del proprio potere, ma quanti altri falsi profeti potremmo citare pensando alle giustificazioni che sono state date alle deportazioni dall’Africa, al colonialismo e all’apartheid, sulla base di interpretazioni forzate della Bibbia. In un contesto diverso da quello della Gerusalemme del libro di Geremia, sono falsi profeti anche coloro che attualmente profetizzano la pace e la sicurezza attraverso il riarmo e gli interventi militari, giustificati con la necessità di difendere il proprio paese dalle aggressioni delle parti avverse.
Purtroppo non è affatto facile riconoscere i falsi profeti. Due citazioni bibliche ci posso aiutare dal restare intrappolati nella loro rete. La prima la troviamo proprio nel passo della I lettera di Giovanni: “Se uno dice: «Io amo Dio», ma odia suo fratello, è bugiardo; perché chi non ama suo fratello che ha visto, non può amare Dio che non ha visto. Questo è il comandamento che abbiamo ricevuto da lui: che chi ama Dio ami anche suo fratello.” Ecco uno strumento di analisi, una cartina di tornasole: ogni insegnamento e profezia che sidiscostanodal comandamento dell’amore sono falsi e privi di fondamento. La seconda citazione è dalla II Lettera di Pietro v.20-21: “nessuna profezia della Scrittura proviene da un'interpretazione personale; infatti nessuna profezia venne mai dalla volontà dell'uomo, ma degli uomini hanno parlato da parte di Dio, perché sospinti dallo Spirito Santo”. Qui ci viene fornito un metodo: valutare con cura se chi si spaccia per profeta sia veramente ispirato dallo Spirito Santo. Che Dio ci doni sempre il discernimento per vagliare e valutare.

b) La presenza di Dio nella storia: il libro di Geremia ci dice che nessuno ascolta più la voce del Signore, tuttavia Egli è presente e ben attivo nella storia di Israele e delle nazioni che lo circondano. Il testo ci descrive il modo concreto in cui Dio mette in atto nel mondo reale la sua azione. Il Signore dice: “sono io soltanto un Dio da vicino….e non un Dio da lontano? Potrebbe uno nascondersi in luogo occulto in modo che io non lo veda?” e “Io non riempio forse il cielo e la terra?”.
In questo passaggio “lontano” e “vicino” non vanno intesi tanto come presenza e assenza di Dio, temi più consoni alla nostra percezione contemporanea di cristiani in un tempo di crisi e sconvolgimenti. Nella realtà storica del regno di Giuda del libro di Geremia questo «Dio da vicino» è il dio addomesticato dal potere, al quale i falsi profeti fanno dire quello che vogliono per tenere a bada il popolo e indicargli come certa una salvezza che non sta nei piani del vero e unico Dio. Il dio da vicino è il dio a buon mercato trasformato in oggetto da adorare, messo alla pari degli altri idoli e dei. Il «Dio da lontano» è invece quello che riempie il cielo e la terra, che è ovunque, alla cui vista nessuno può nascondersi rifugiandosi in un luogo occulto. Il Dio da lontano è il Dio che, attraverso le parole pronunciate dal profeta, si manifesta, interviene attivamente nella storia del suo popolo, delle nazioni e dell’umanità e che tutto vede.
Ma qualcuno potrebbe obiettare: allora questo è un Dio onnipresente e onnisciente che incute timore, di cui dobbiamo avere paura? La risposta ce la fornisce un altro passo della I Giovanni: «Dio è amore; e chi rimane nell'amore rimane in Dio e Dio rimane in lui. In questo l'amore è reso perfetto in noi: che nel giorno del giudizio abbiamo fiducia, perché qual egli è, tali siamo anche noi in questo mondo. Nell'amore non c'è paura; anzi, l'amore perfetto caccia via la paura, perché chi ha paura teme un castigo. Quindi chi ha paura non è perfetto nell'amore. Noi amiamo perché egli ci ha amati per primo».

Il vecchio patto del monte Sinai è stato rotto a causa dell’infedeltà di Israele, ma Dio ha stabilito un nuovo patto fondato sulla grazia e sull’amore. Questo amore non esclude il giudizio e dunque la condanna, ma ci libera dalla paura (“caccia via la paura”), ci dà fiducia, ci concede il privilegio di non temere il castigo, a condizione di convertirci e amare “perché egli ci ha amati per primo”. Nell’amore si risolve ogni condanna e punizione. Tuttaviail Signore non èun dio buonista o bonaccione, come profetizza Geremia Dio non rinuncia al giudizio e alla condanna della malvagità, ma se riconosciamo pubblicamente «che Gesù è il Figlio di Dio» possiamo attendere con fiducia il giorno del giudizio cercando di tendere alla perfezione tramite l’amore di Dio che ci consente di rimanere in Lui. Se crediamo in Gesù Cristo come Figlio di Dio e riconosciamo che l’amore di Dio per noi si è manifestato donandoci suo Figlio come nostro Salvatore, «Salvatore del mondo», allora diventiamo creature nuove, libere dalla paura e dal peccato. Con e in Gesù Cristo l’azione di Dio nella storia dell’umanità si è attuata e si manifesta in un modo nuovo, per grazia ci è concesso di vivere una nuova vita, riconciliati con Dio e con tutta l’umanità, chiamati ad essere suoi testimoni al servizio dell’Evangelo.

c) La parola di Dio: “colui che ha udito la mia parola, riferisca la mia parola fedelmentecosì dice il Signore tramite Geremia, rivolgendosi ai falsi profeti e al popolo di Israele. In questo “ha udito” riecheggia di nuovolo Shema Israel fondamentale per l’ebraismo e che include anche noi cristiani grazie all’insegnamento di Gesù, trasmessoci dai suoi apostoli e dalle prime comunità cristiane.
Per udire occorre ascoltare. Dio prende l’iniziativa e parla e se noi lo ascoltiamo allora udiamo e da quel momento il nostro compito, come Geremia, diventa riferire e trasmettere fedelmente la parola che ascoltiamo.

Care sorelle e cari fratelli, oggi, in questo momento così tragico, sembra che Dio non parli. Fino a qualche tempo fa spesso mi sorgeva la domanda: Dio, perché taci? Poi ho realizzato che è una domanda sbagliata, che sorge da un misto di codardia e infedeltà nei confronti del Signore. E’ vero, siamo destabilizzati in mezzo a tanta violenza,distruzione, cinismo, disprezzo della vita umana soprattutto dei più indifesi, le bambine e i bambini, e così ci sembra che Dio taccia. Ma non è così. Il problema, ancora un volta è in noi. Intenti a rimuginare sulle nostre questioni personali e comunitarie, ci comportiamo come i discepoli che accompagnano Gesù nel suo cammino verso la croce discutendo chi debba avere l’onore di sedere a destra e a sinistra del suo trono e chi tra di loro sia il maggiore e non hanno capito niente di quello che sta per accadere, nonostante Gesù l’abbia loro annunciato in più occasioni. Siamo diventate/i incapaci di ascoltare la voce di Dio e la parola che Egli ci rivolge, proprio come Israele al tempo di Geremia.

Ma Dio ci parla e ci dice che il tempo a nostra disposizione sta per finire (the game is over) e che dobbiamo convertirci, ci chiama a svegliarci dal nostro torpore, dalla assuefazione al quieto vivere, ci chiede di non rinchiuderci nelle zone di conforto delle nostre comunità, che pur ci preoccupano per l’invecchiamento e la scarsa crescita, ci chiama a non temere di esporci al mondo esterno e ci chiede di domandarci con onestà se la nostra testimonianza è sufficiente, genuina e efficace. Il Signore ci chiede di prendere posizione contro ogni sopruso e prevaricazione, contro la proliferazione delle armi, a favore di coloro i cui i diritti sono negati e ai quali giustizia non è fatta.
Il Signore ci fornisce anche gli strumenti per testimoniare e attuare la sua parola.
La conclusione del passo di Geremia, al v.29, ci ricorda che: “«La mia parola non è forse come un fuoco», dice il SIGNORE, «e come un martello che spezza il sasso?”. Questa parola che Dio ci chiede di riferire fedelmente è speciale, diversa da tutte le altre: brucia come un fuoco, il fuoco inestinguibile del pruno ardente di Mosè, ed è potente come un mazzuolo che frantuma le pietre dure dei cuori induriti dall’egoismo e dall’indifferenza. La parola di Dio che in Gesù Cristo si è fatta carne e si è abbassata alla nostra condizione umana ci ha detto e ancora ci dice che «Dio è amore; e chi rimane nell'amore rimane in Dio e Dio rimane in lui» e che «chi ama Dio ami anche suo fratello».

Dunque apriamo bene le nostre orecchie, ascoltiamo quello che il Signore ci sta dicendo, liberati dal Suo amore abbandoniamo ogni paura e troviamo il coraggio di annunciare l’Evangelo di pace, giustizia e riconciliazione perché “ogni ginocchio si piegherà davanti a me, ogni lingua mi presterà giuramento” (Isaia 45, 23).
Amen

Predicazione di Valdo Pasqui (sovrintendente X Circuito dell’Unione delle Chiese Metodiste e Valdesi), presso chiesa evangelica valdese di Firenze, domenica 2 Giugno 2024

 

Domenica 10 Marzo

4a del Tempo di Passione
Laetare - Gioite con Gerusalemme! - Isaia 66,10

Isaia 54, 7-10

7 «Per un breve istante io ti ho abbandonata, ma con immensa compassione io ti raccoglierò.
8 In un eccesso d'ira, ti ho per un momento nascosto la mia faccia,ma con un amore eterno io avrò pietà di te»,dice il SIGNORE, il tuo Redentore.
9 «Avverrà per me come delle acque di Noè; poiché, come giurai che le acque di Noè non si sarebbero più sparse sopra la terra,così io giuro di non irritarmi più contro di te,di non minacciarti più.
10 Anche se i monti si allontanassero e i colli fossero rimossi,l'amore mio non si allontanerà da te, né il mio patto di pace sarà rimosso»,dice il SIGNORE, che ha pietà di te.

Giovanni 12, 20-24

20 Ora tra quelli che salivano alla festa per adorare c'erano alcuni Greci.
21 Questi dunque, avvicinatisi a Filippo, che era di Betsàida di Galilea, gli fecero questa richiesta: «Signore, vorremmo vedere Gesù».
22 Filippo andò a dirlo ad Andrea; e Andrea e Filippo andarono a dirlo a Gesù.
23 Gesù rispose loro, dicendo:
«L'ora è venuta, che il Figlio dell'uomo deve essere glorificato.
24 In verità, in verità vi dico che se il granello di frumento caduto in terra non muore, rimane solo; ma se muore, produce molto frutto.»


Testo della predicazione: Luca 22, 54-62

54 Dopo averlo arrestato, lo portarono via e lo condussero nella casa del sommo sacerdote; e Pietro seguiva da lontano.
55 Essi accesero un fuoco in mezzo al cortile, sedendovi intorno. Pietro si sedette in mezzo a loro.
56 Una serva, vedendo Pietro seduto presso il fuoco, lo guardò fisso e disse: «Anche costui era con Gesù». 57 Ma egli negò, dicendo: «Donna, non lo conosco».
58 E poco dopo, un altro lo vide e disse: «Anche tu sei di quelli». Ma Pietro rispose: «No, uomo, non lo sono».
59 Trascorsa circa un'ora, un altro insisteva, dicendo: «Certo, anche questi era con lui, poiché è Galileo».
60 Ma Pietro disse: «Uomo, io non so quello che dici». E subito, mentre parlava ancora, il gallo cantò.
61 E il Signore, voltatosi, guardò Pietro; e Pietro si ricordò della parola che il
Signore gli aveva detta: «Oggi, prima che il gallo canti, tu mi rinnegherai tre volte».
62 E, andato fuori, pianse amaramente.



Care sorelle e cari fratelli,
il testo che il lezionario ci propone oggi, in questa quarta domenica del tempo di passione, è molto noto, riportato da tutti e quattro i Vangeli con poche varianti nelle rispettive narrazioni, di solito citato come il “rinnegamento di Pietro”. Gesù è stato appena arrestato e portato nella casa del sommo sacerdote (Caiafa) e in questa versione di Luca che abbiamo ascoltato l’episodio precede il processo che avverrà la mattina seguente nel sinedrio, mentre nelle versioni degli altri evangelisti questa scena e il giudizio sommario del sinedrio sono collocati nello stesso tempo e luogo.

La narrazione è articolata secondo una scansione temporale che è paragonabile a un crescendo musicale, un graduale ma progressivo aumento d’intensità, non del suono, ma della tensione che avvolge i protagonisti della scena che sono alcuni personaggi anonimi, Pietro e Gesù la cui presenza si manifesta solo alla fine, per un attimo, proprio all’apice della sequenza.
Pietro segue da lontano quanto sta accadendo e si mescola con le persone sedute in mezzo al cortile. Luca non dice niente degli altri discepoli (solo Giovanni parla di un altro discepolo, noto al sommo sacerdote, che entra nel cortile, parla con la portinaia, fa entrare Pietro e poi esce di scena, una variante che non cambia la scena).

Dunque solo Pietro è presente, intenzionato a vedere come si mettono le cose e non si percepisce quali siano le sue reali intenzioni, cosa pensi di fare.

Di sicuro possiamo immaginare che in lui si stiano affollando i pensieri e i sentimenti più vari. Da altri episodi abbiamo imparato che egli è di carattere impulsivo, spesso ha agito di slancio, quindi non saremmo molto lontani dal vero nel pensare a una sua istintiva intenzione di intervenire, di fare qualcosa, frenata però dall’essere stato colto di sorpresa, sebbene Gesù avesse più volte preannunciata la sua imminente passione e fine. Di fatto Pietro è irretito dallo sgomento, dal senso di impotenza che lo pervade, bloccato dalla paura, perché in quel tipo di situazione in ogni essere umano scatta la molla dell’istinto di preservazione della propria vita, di non esporsi e di salvarsi. Insomma un vero e proprio tumulto di sensazioni e reazioni che, a differenza degli altri apostoli, per un verso lo costringono a restare sul posto e per un altro lo inducono a dissimulare, a nascondere, anzi a negare la propria identità di discepolo di Gesù.

Vediamo ora come si svolge il crescendo.
Prima una donna, una serva della casa, guarda Pietro e afferma che anche lui stava con Gesù, Pietro risponde: «Donna, non lo conosco»
Poco dopo unuomo lo apostrofa dicendogli «Anche tu sei di quelli», cioè anche tu sei uno dei seguaci di Gesù, Pietro risponde «No, uomo, non lo sono».
Dopo un’ora circa ecco un altro uomo afferma con sicurezza che Pietro fosse tra coloro che stavano con Gesù perché è un Galileo e Pietro ribadisce seccamente «Uomo, io non so quello che dici». Tre negazioni che non danno luogo a dubbi, tanto sono perentorie e decise!

I tre personaggi anonimi che apostrofano Pietro svolgono un ruolo importante in questa scena perché con la loro domande e la loro insistenza provocano la reazione di Pietro e perché rappresentano un campione della folla che spesso ha accompagnato Gesù. In tante occasioni è stato seguito da folle in cerca di segni, desiderose di guarigioni, affamate non solo di pane ma anche di giustizia. Ha guarito, ha saziato, ha mostrato con le proprie opere la misericordia e la compassione di Dio per le ultime, gli esclusi e gli abbandonati della società. Ha fatto il suo ingresso a Gerusalemme con il giubilo e gli inni di “osanna”, ma ora che gli scribi e i farisei, da lui messi sotto accusa per il loro comportamento, sono riusciti a prenderlo, “a incastrarlo”, ecco palesarsi quelli che additano i suoi discepoli, i “complici del malfattore”. E’ gente che probabilmente sa poco o niente di Gesù e dei discepoli, non hanno avuto modo di conoscere la sua predicazione e le sue opere, così come può darsi che siano rimasti indifferenti, ma ora assumono un ruolo attivo per mostrasi zelanti col potere. Ahimè, è un comportamento che conosciamo bene, per secoli anche i nostri avi valdesi sono stati presi di mira e costretti a vivere in clandestinità, esuli e poi quasi rinchiusi nelle valli. Ai giorni nostri, con le piattaforme social, si sono diffusi i seminatori di odio (hate speach), i creatori di false notizie (fakes news) e il cyberbullismo. Questi tre personaggi sono l’anteprima, di quanto accadrà di lì a poco quando Pilato chiederà alla folla se liberare Gesù o Barabba con il ben noto esito e torna alla memoria la famosa frase di Calvero, il protagonista di Luci della ribalta, interpretato e diretto da Charly Chaplin che, riferendosi al pubblico, dice: «C'è grandezza in ognuno. Ma come folla, sono come un mostro senza testa che non sa mai da che parte andare. Può essere spinto in qualsiasi direzione».

Torniamo al nostro racconto, eccoci al culmine della tensione, come quando l’atmosfera si carica di elettricità e il cielo diventa sempre più scuro prima dello scoppio di un temporale, prima del primo lampo e del conseguente primo tuono e poi dello scroscio della pioggia. Gesù si volta e guarda Pietro, il gallo canta, la tempesta scoppia Pietro se ne va in lacrime, «andato fuori, pianse amaramente».
In questa dinamica, più che il canto del gallo, mi sembra decisivo lo sguardo di Gesù rivolto a Pietro che lo scuote dalla paralisi e ne provoca la reazione, ci torneremo tra breve, ma prima parliamo un attimo del secondo protagonista, Simone detto Pietro. Chi è Pietro?

  • Il pescatore che con il fratello Andrea sono i primi discepoli scelti da Gesù per farne «pescatori d’uomini» (Marco 1,16-20).

  • Colui che, invitato da Gesù a scendere dalla barca e a camminare sull’acqua, «Vieni!», «ebbe paura e, cominciando a sommergersi, gridò: “Signore, salvami!”. E Gesù, stesa subito la mano, lo afferrò e gli disse: “O uomo di poca fede, perché hai dubitato?”» (Matteo 14, 29-31);

  • L’unico discepolo che quando Gesù chiede: «E voi, chi dite che io sia?», risponde: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente» (Matteo 16,15-16), una professione di fede con la quale riconosce in Lui il Messia e la natura divina di Figlio di Dio;

  • è a Pietro che, secondo il Vangelo di Matteo, Gesù risponde con le parole : «Tu sei beato, Simone, figlio di Giona, perché non la carne e il sangue ti hanno rivelato questo, ma il Padre mio che è nei cieli. E anch'io ti dico: tu sei Pietro, e su questa pietra edificherò la mia chiesa, e le porte dell'Ades non la potranno vincere. Io ti darò le chiavi del regno dei cieli; tutto ciò che legherai in terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai in terra sarà sciolto nei cieli». (Matteo 16, 18-19).

  • L’apostolo che poco prima dell’arresto di Gesù aveva affermato «Signore, sono pronto ad andare con te in prigione e alla morte» (Luca 14,33) e per questo Gesù l’aveva ripreso avvisandolo che invece l’avrebbe rinnegato tre volte prima del canto del gallo.

Questo Pietro, nonostante la sua comprensione di Gesù come Figlio di Dio e l’investitura da Lui ricevuta, è il Pietro che dubita, che non riesce a fidarsi/affidarsicompletamente e non ce la fa a camminare sulle acque e che ora non trova il coraggio di fare o dire qualcosa, scoppia a piangere constatando la propria limitatezza: ha ripudiato Gesù, il Maestro, e dunque non gli resta altro che uscire piangendo amaramente. Il pastore Paolo Ricca, nel suo ultimo libro “Secondo Marco”,nel commentare il passo che descrive questo episodio nel Vangelo di Marco (Cap. 14, 66-72), con la sua ben nota efficacia scrive: “Con questa immagine finale di un Pietro in lacrime per i suoi entusiasmi svaniti, per le sue promesse tradite, per la sua fede smarrita, Marco prende le distanze da ogni possibile retorica sul «principe degli apostoli» che con le chiavi in mano, apre e chiude la porta del cielo, o della «roccia» sulla quale sarebbe costruita la Chiesa, e ci consegna un Pietro consapevole (grazie a un duplice canto di un gallo!) di essere un peccatore che può contare solo sulla misericordia e sul perdono di colui che ha rinnegato tre volte. In questo Pietro ogni cristiano e ogni ministro della Chiesa si possono facilmente riconoscere.
Leggendo questo commento, mi sono ricordato di una recente meditazione tenuta da una biblista cattolica che ha definitoPietro come “pietra angolare” della chiesa. Lapsus o convinzione? Non saprei dire, ma è opportuno ribadire che l’unica “pietra angolare”, la chiave di volta che fa si che l’intero edificio cristiano sia saldo, è Gesù Cristo, Colui nel quale Dio ha portato a compimento la Sua opera, Colui che le dà solidità, perfezione, armonia e bellezza. Attorno e sulla figura di Pietro è stao detto e costruito tanto, ma spesso si è dimenticata la sua debolezza e il suo rinnegamento di Gesù facendone un episodio da incorniciare come un bel quadro da guardare in tempo di penitenza perdendo la reale sostanza di questo evento.E così mi viene anche spontaneo aggiungere, consapevole di dire qualcosa di ecumenicamente poco corretto verso i fratelli e sorelle cattoliche, che tutta la costruzione della chiesa romana edificata su Pietro e sul primato pietrino, per non parlare del dogma dell’infallibilità papale [“quando compie il proprio ufficio di pastore e dottore di tutti i cristiani”, costituzione Pastor aeternus del 10 luglio 1870, ribadita dal concilio Vaticano II nella costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen gentium del 1964, Enciclopedia Treccani online] crolla di fronte a questa scena. Episodio nel quale si manifesta tutta la fragilità e lo smarrimento di Pietro con un profondo valore istruttivo (catechetico) e spirituale per noi cristiani.
Ma guai se criticassimo o condannassimoPietro per il suo rinnegamento: Pietro siamo noi che di continuo nel nostro rapporto con Gesù ci comportiamo come lui.E ora arriviamo a quello che per me è il punto centrale del nostro racconto, dopo la terza negazione da parte di Pietro,nella quale si coglie si un po’ di stizza nella sua risposta alterzo interlocutore, visto che più o meno gli risponde “ma cosa vai dicendo ? Perché dici cose prive di senso? “ il gallo canta e«il Signore, voltatosi, guardò Pietro; e Pietro si ricordò della parola che il Signore gli aveva detta». ImprovvisamenteGesù irrompe nella scena e si manifesta solo tramite uno sguardo che incrocia quello di Pietro. Proprio questo gesto del Maestro fa scattare in lui il ricordo di quanto gli aveva predetto e provoca il suo pianto e la sua uscita-fuga. Mi chiedo: Che tipo di sguardo sarà stato? Quale comunicazione silenziosa sarà intercorsa da Gesù a Pietro? Cosa gli avrà fatto capire?

Uno sguardo di rimprovero ? Proprio tu Pietro che hai confessato che io sono il Figlio di Dio, ora dici che non mi conosci, rinneghi di essere mio discepolo e ti nascondi tra la gente!
Questa ipotesi mi sembra poco convincente poiché Gesù in precedenza ha cercato di far capire ai suoi discepoli la sostanza del cammino irreversibile che lo attende e che deve percorrere fin sulla croce. Del resto cosa sarebbe cambiato per Gesù se Pietro avesse ammesso di conoscerlo? Gesù è consapevole di essere la vittima designata dal sommo sacerdote e dal sinedrio. Sa che deve affrontare una strada dolorosae che la deve percorrere fino in fondo, da solo, affinché la missione che il Padre gli ha affidato sia compiuta.
Uno sguardo di commiserazione ?
Povero Pietro, tu che avevi dichiarato di essere pronto ad andare in prigione e a morire con me, ora te ne stai nascosto e impaurito e non hai neppure il coraggio di ammettere che sei uno dei miei discepoli!
Anche questa ipotesi mi sembra debole. Gesù conosce perfettamente l’animo umano, l’ha dimostrato in tanti episodi nei quali ha colto e interpretato i sentimenti e i pensieri delle donne e degli uomini con i quali è entrato in relazione. Gesù conosce l’impulsività di Pietro, sa che gli slanci fatti di risposte e le promesse avventate sono una caratteristica della sua personalità, ma sa anche che non hanno secondi fini. Pietro prova un grande affetto per Gesù, ma non ha ancora compreso pienamente la missione di Colui che ha riconosciuto come il Cristo, il Figlio di Dio. Le reazioni e le affermazioni di Pietro sono profondamente umane, dunque limitate sebbene ispirate dalle migliori intenzioni. In questo Pietro ci riconosciamo con tutte le nostre aspirazioni, indecisioni, speranze, incertezze e fragilità, con la nostra fede che necessità sempre di essere fortificata e rinnovata dalla grazia di Dio.
L’umanità e la divinità che convivono in Gesù non possono generare uno sguardo di rimprovero o di commiserazione, né tanto meno condannare Pietro.
Lo sguardo di Gesù è uno sguardo di misericordia e di perdono, uno sguardo attraverso il quale ha detto a Pietro: capisco la confusione di tuoi sentimenti, l’amarezza per vedere tutto compromesso, il desiderio di restarmi fedele annegato nella paura per la tua vita, avverto la tua angoscia per cosa ti potrebbe accadere se tu ammettessi di essere stato uno dei miei discepoli, non ti condanno perché solo a me spetta il compito di percorrere questa strada: il granello di frumento deve morire per produrre molto frutto (cfr. la lettura di Giovanni).
Gesù con lo sguardo dice a Pietro: la mia grazia sia con te, vai, mettiti in salvo, ci rivedremo e tu mi sarai testimone, ma ora lasciami, c’è una croce che mi aspetta e sulla quale devo salire perché amo i peccatori come te e li amo così tanto che li perdono come perdono te che mi hai rinnegato tre volte.
Lo sguardo di Gesù inonda Pietro della grazia salvifica di Dio, così Pietro si pente e si ravvede, finalmente comprende quale sia la missione del Cristo, Figlio di Dio, capisce che non può fare niente perché il compimento della missione di salvezza di Gesù per lui e per tutti gli uomini e le donne trascende, va oltre, i suoi limiti umani. Il pianto di Pietro non esprimesolo dolore e pentimento, è anche il pianto liberatorio del credente riscattato e perdonato, un pianto di riconoscenza e gratitudine per quello sguardo di Gesùattraverso il quale gli è stata rinnovata l’antica promessa del Signore al suo popolo che abbiamo letto alla fine del passo di Isaia: «l'amore mio non si allontanerà da te, né il mio patto di pace sarà rimosso».Cara sorella e caro fratello, anche noi siamo come Pietro, la nostra natura umana ci porta ad oscillare continuamente tra la speranza e il dubbio, tra il desidero di annunciare l’Evangelo, la buona novella, e l’incapacità di metterlo in pratica concretamente con le nostre azioni, tra le aspirazioni a trasformare il mondo e la società e la disillusione per quanto invece vediamo e sentiamo accadere intorno a noi. Come Pietro siamo spesso indotti dalle circostanze a guardare a distanza, a non prenderci le nostre responsabilità, a trovare mille giustificazioni per passare dalla porta larga invece di scegliere quella stretta, in buona sostanza a rinnegare il nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo. Ma anche quando la nostra fede vacilla, attraverso la preghiera e invocando il sostegno dello Spirito Santo, se volgiamo il nostro sguardo a Gesù troviamo il suo sguardo di perdono e di misericordia che ci riempie della grazia di Dio. Pentiamoci, piangiamo di vergogna per le nostre colpe e i nostri rinnegamenti, che queste lacrime si trasformino nel segno della gratitudine e dellagioia per la salvezza che ci è stata donata da Dio in Cristo Gesù. Amen

Predicazione di Valdo Pasqui (sovrintendente X Circuito dell’Unione delle Chiese Metodiste e Valdesi), presso chiesa evangelica valdese di Firenze, domenica 10 Marzo 2024

 

Domenica 7 Gennaio 2024

1ma domenica dopo l'Epifania

«Dio ha scelto le cose deboli del mondo per svergognare le forti»

Testi:

Isaia 42,1-9

1 «Ecco il mio servo, io lo sosterrò; il mio eletto di cui mi compiaccio; io ho messo il mio spirito su di lui, egli manifesterà la giustizia alle nazioni.
2 Egli non griderà, non alzerà la voce, non la farà udire per le strade.
3 Non frantumerà la canna rotta e non spegnerà il lucignolo fumante;
manifesterà la giustizia secondo verità.
4 Egli non verrà meno e non si abbatterà finché abbia stabilito la giustizia sulla terra; e le isole aspetteranno fiduciose la sua legge».
5 Così parla Dio, il SIGNORE, che ha creato i cieli e li ha spiegati, che ha disteso la terra con tutto quello che essa produce, che dà il respiro al popolo che c'è sopra e lo spirito a quelli che vi camminano.
6 «Io, il SIGNORE, ti ho chiamato secondo giustizia e ti prenderò per la mano;
ti custodirò e farò di te l'alleanza del popolo, la luce delle nazioni,
7 per aprire gli occhi dei ciechi, per far uscire dal carcere i prigionieri e dalle prigioni quelli che abitano nelle tenebre.
8 Io sono il SIGNORE; questo è il mio nome; io non darò la mia gloria a un altro, né la lode che mi spetta agli idoli.
9 Ecco, le cose di prima sono avvenute e io ve ne annuncio delle nuove;
prima che germoglino, ve le rendo note».

Matteo 18,1-5

1 In quel momento, i discepoli si avvicinarono a Gesù, dicendo: «Chi è dunque il più grande nel regno dei cieli?»
2 Ed egli, chiamato a sé un bambino, lo pose in mezzo a loro e disse:
3 «In verità vi dico: se non cambiate e non diventate come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli.
4 Chi pertanto si farà piccolo come questo bambino, sarà lui il più grande nel regno dei cieli.
5 E chiunque riceve un bambino come questo nel nome mio, riceve me.

 

testo della predicazione I Corinzi 1,26-31

26 Infatti, fratelli, guardate la vostra vocazione; non ci sono tra di voi molti sapienti secondo la carne, né molti potenti, né molti nobili;
27 ma Dio ha scelto le cose pazze del mondo per svergognare i sapienti;
Dio ha scelto le cose deboli del mondo per svergognare le forti;
28 Dio ha scelto le cose ignobili del mondo e le cose disprezzate,
anzi le cose che non sono, per ridurre al niente le cose che sono,
29 perché nessuno si vanti di fronte a Dio.
30 Ed è grazie a lui che voi siete in Cristo Gesù, che da Dio è stato fatto per noi sapienza, giustizia, santificazione e redenzione;
31 affinché, com'è scritto: «Chi si vanta, si vanti nel Signore».

Care sorelle e cari fratelli,
il nuovo anno è cominciato da appena una settimana, ieri era l’Epifania con la quale si conclude il periodo nel quale ricordiamo la nascita del nostro Salvatore Gesù Cristo. Tempo di bilanci e di discorsi, alcuni sono stati già fatti, altri sono in corso sia quelli finanziari (consuntivi e preventivi) sia quelli politici compresi purtroppo quelli militari delle tante guerre in corso. Anche ciascuna e ciascuno di noi ha fatto il proprio bilancio personale e nei nostri culti abbiamo avuto l’occasione per fare il bilancio del nostro rapporto con Dio rivolgendoci direttamente a Lui nella confessione di peccato.

Ora è il momento di rivolgere il pensiero all’anno che abbiamo davanti e ai giorni che il Signore ci concederà di vivere.
Di solito siamo abituati a formulare alcuni buoni propositi, salvo poi non riuscire quasi mai a mantenerli tutti, ma questa mattina più che sui propositi mi vorrei soffermare sulla predisposizione d’animo, l’atteggiamento con il quale ci accingiamo a vivere il nuovo anno perché stiamo vivendo un tempo difficile, e angoscioso che mette alla prova la nostra fede.
L’anno da poco conclusosi ci ha lasciate/i intrappolati in un groviglio di catastrofi naturali, guerre e violenze, una rete mortale che rischia di irretirci e paralizzarci come la tela di un ragno predatore. Ciascuna/o di noi ha vissuto e vive gli eventi mondiali con sentimenti di orrore e pena che si mescolano alle proprie situazioni personali economiche, lavorative, familiari e di salute, acuendo le condizioni negative e critiche, offuscando quelle più favorevoli e positive, certamente generando apprensione, sconforto, senso di impotenza.

Certamente non vogliamo seguire l’esempio della moglie di Lot che, durante la fuga, essendosi voltata indietro a guardare la distruzione di Sodoma fu trasformata in statua di sale (Genesi 19,26). Anzi, avremmo tanto desiderio di cancellare tutto quanto accaduto, come se fosse un brutto sogno, un incubo che al risveglio si dissolve, confidando in un nuovo inizio contraddistinto da segnali evidenti di pace e riconciliazione.
Gesù nel Padre Nostro ci ha insegnato a dire «venga il tuo regno; sia fatta la tua volontà, come in cielo, anche in terra» (Matteo 6,10) e così ci ha dato due indicazioni per guardare al nuovo anno:
- la prima è quella di vegliare, essere vigilanti, in attesa del ritorno di Gesù, la sua seconda venuta con la quale avverrà il compimento del Regno di Dio; non sappiamo quando e come, ma per fede siamo certi che avverrà; viviamo questa attesa con desiderio, pregando e vegliando;
- la seconda è quella di vivere i giorni che ci saranno donati rimettendoci alla volontà di Dio, il che significa che dobbiamo mantenere salda la certezza che Dio è presente e agisce nelle nostre vite e nella storia.

Queste due considerazioni sono essenziali per iniziare il percorso del nuovo anno malgrado gli accadimenti che ci turbano, ci affliggono e che rischiano di mettere in discussione queste certezze e hanno degli effetti negativi, in parte destabilizzanti, su di noi se non restiamo saldi nella fede, ne menziono alcuni:
- la violenza e le guerre con le loro scie di sangue e di morti innocenti ci interrogano sull’apparente silenzio di Dio;
- i vani appelli per cessare delle operazioni militari e per proteggere la popolazione civile accrescono il rischio dell’assuefazione e dell’indifferenza alle stragi e ai morti;
- sembrano prevalere le ideologie (nazionalismi, sovranismi, imperialismi, affermzione di un presunto nuovo equilibrio mondiale, etc.) che perseguono il consolidamento e l’estensione del potere mediante l’uso della forza, senza rispetto per la dignità e i diritti umani, motivandole con la necessità di difendere l’integrità e la sicurezza della propria nazione e del proprio popolo;
- la Bibbia viene strumentalizzata da molti potenti per perseguire i propri obiettivi, sono quelli che si ergono a difesa del cristianesimo, ma analoghi atteggiamenti sono ormai consueti anche nelle altre religioni del ceppo abramitico e con analoghe forzature dei relativi testi sacri; tutti costoro giustificano così le guerre e i più efferati atti di violenza contro civili, in particolare, donne e bambini indifesi.
Per anni abbiamo udito appelli inascoltati che richiamavano l’attenzione sui pericoli dell’idolatria del consumismo e della crescita illimitata, le cui conseguenze sono sotto i nostri occhi: cambiamento climatico, migrazioni, dislocazione delle attività produttive nelle nazioni dove non ci sono tutele della salute e dei diritti dei lavoratori, privatizzazione selvagge a danno delle fasce più deboli (vedi Argentina), aumento del divario tra ricchi e poveri. Ora un nuovo dio si è affiancato al dio mercato, o forse è lo stesso che ha gettato la maschera e mostra il suo vero volto, la “forza”: raggiungere i propri obbiettivi con l’uso spietato della violenza e delle armi senza alcun rispetto per la vita dei civili inermi e di tanti bambini e bambine. Il nuovo anno si è aperto nel nome di questo dio “forza”, è sufficiente leggere i discorsi spudorati e spregiudicati dei maggiori leader mondiali per rendersene conto.

Di fronte a questo dilagare dell’uso della “forza” senza limiti si è smarrita la capacità di riconoscere nell’altro e nell’altra un essere umano come noi, le leggi del diritto umanitario faticosamente costruite, dopo tante guerre sanguinose, sono sistematicamente ignorate e il limite che tutela l’integrità degli esseri umani e il diritto alla vita ormai è stato ampiamente superato.
In questo scenario di morte e distruzione, vegliare in attesa del ritorno di Gesù e fare la volontà di Dio, ci impegnano a proclamare l’Evangelo, la buona novella, di liberazione, amore e pace, ma ci pongono anche degli interrogativi. Come riuscire a farlo in modo credibile, convincente e efficace per arrestare un metastasi che sembra irreversibile? Come riuscire ad attivare un processo di cambiamento che sia al tempo stesso pacifico e capace di indurre una trasformazione, secondo il significato del termine metanoia (cambiamento di mentalità), per vincere questo dio “forza”, oggi apparentemente invincibile, e fare in modo che il mondo (ri)scopra il vero e unico Dio, con la D maiuscola, quello che ci ha donato il proprio Figlio e servo Gesù Cristo, e in Lui la grazia, la salvezza, la redenzione e la vita eterna? Come fronteggiare l’indifferenza e l’incredulità, quando noi stessi ci sentiamo incerti, impotenti, scoraggiati, indeboliti?

Il passo della Prima lettera ai Corinzi risponde a questi interrogativi attraverso una sintesi molto efficace dell’operare di Dio e ci indica la prospettiva dalla quale guardare al nuovo anno. Paolo ci ricorda: Dio che detiene la sapienza ha scelto le cose pazze del mondo per «svergognare i sapienti» (v.27). Dio non privilegia i saggi, i forti e i potenti del mondo. In tutta la sua missione terrena suo Figlio Gesù si è rivolto ai sapienti che lo circondavano, i farisei e gli scribi, mettendo in discussione la loro interpretazione restrittiva e asfissiante della legge data da Dio agli ebrei, tramite Mosè. Gesù con le sue parole e le sue azioni ha rivelato il vero scopo della legge: rendere giustizia, usare misericordia e avere compassione per gli ultimi, gli emarginati e i dimenticati, un filo rosso che attraversa tutti i libri dell’Antico Testamento.

Questa pazzia di Dio, scrive Paolo al v.25 «è più saggia degli uomini», questa pazzia-saggezza può vincere la forza perché Dio, il creatore, ha scelto le cose deboli per «svergognare le cose forti».
Nel passo di Matteo che abbiamo ascoltato poco fa, dopo che tra i discepoli si è accesa la discussione di chi sia il più grande nel regno dei cieli, Gesù mostra loro un bambino, per sua natura indifeso e debole e li ammonisce: «In verità vi dico:se non cambiate e non diventate come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli» (Matteo 18,3). Diostessoha scelto di farsi debole e umileincarnandosi nel suo Figlio per condividere fino alla morte la nostra condizione umana. Nel regno che con Gesù Cristo ha avuto inizio e di cui attendiamo il compimento non c’è posto per i sapienti e i potenti, i capi di stato e i grandi boss della finanza che governano con arroganza e spietatezza questo mondo, se non si convertiranno facendosi umili e deboli come bambini non vi entreranno. Questa promessa ci infonde coraggio e determinazione.
E infine Paolo ci ricorda che Dio ha scelto le cose ignobili, disprezzate e le cose che non sono per «ridurre a niente le cose che sono». La nascita di Gesù è stata annunciata ai pastori, i più reietti nella scala sociale delle Palestina dell’epoca. Gesù ha scelto i propri discepoli tra persone semplici e umili, si è intrattenuto con i pubblicani, si è preso cura di lebbrosi, storpi, paralitici, ciechi, prostitute, samaritani, tutte persone ai margini della società del suo tempo. Gesù ha ascoltato il lamento dei disprezzati, il grido dei sofferenti, si è occupato degli ultimi, la sua missione terrena è stata tutta improntata a mettere in discussione l’ordine precostituito delle cose, a rovesciare i modelli di vita del suo tempo che allora come oggi ponevano al primo posto la sopraffazione, la violenza, il privilegio. Alla fine dela sua vita terrena, subito dopo che la folla lo ha acclamato trionfalmente come il liberatore, il nuovo re, rinuncia al potere, si sottomette alla volontà di Dio suo Padre e, abbandonato da tutti, accetta l’umiliazione, lo scherno, la morte, l’annientamento di se stesso - la riduzione a niente - per poi risorgere sconfiggendo la morte.

Dio che si è fatto debole e umile in Gesù Cristo, che ha scelto le cose ignobili disprezzate, che svergogna i sapienti e i potenti pratica la bontà, il diritto e la giustizia e si compiace di queste cose, non della forza.

Ma Paolo, dopo averci fornito questa lettura dell’opera di Dio, attraverso suo Figlio Gesù Cristo, ci ammonisce: «nessuno si vanti di fronte a Dio» (v.29) ma «Chi si vanta, si vanti nel Signore» che è una citazione di Geremia 9,24 che scrive:

«ma chi si gloria si glori di questo: che ha intelligenza e conosce me, che sono il SIGNORE. Io pratico la bontà, il diritto e la giustizia sulla terra, perché di queste cose mi compiaccio», dice il SIGNORE.

Il Signore a noi chiede di gloriarci di Lui e in Lui e ci invita a vivere i giorni che ci attendono al suo servizio e al servizio degli altri senza vantarci per quello che faremo ma rendendo a Lui solo l’onore e la gratitudine.
Questa è la prospettiva che rinvigorisce la nostra fede vacillante e che ci permette di affrontare il nuovo anno con energie rinnovate, speranza e fiducia. Giustizia, diritto e bontà sono le cose di cui si compiace il Signore e che si sono manifestate concretamente e umanamente in Cristo Gesù che «da Dio è stato fatto per noi sapienza, giustizia, santificazione e redenzione» (v.30).
Grazie a Lui e alla sua morte i nostri peccati sono stati rimessi una volta per tutte, mediante la sua resurrezione anche noi siamo redenti e per noi si aperta una prospettiva nuova:
non una vita spesa nell’attesa della morte come fine di tutto o una vita incentrata su una fede autoreferenziale, egoista, chini e chine a guardare il nostro ombelico, ma una vita spesa nel dono di sé, nell’amore per il prossimo e nella ricerca della riconciliazione ovunque e comunque, in attesa che Cristo ritorni per instaura il suo regno di pace e di giustizia.
L’ultimo versetto del passo di Isaia che abbiamo letto afferma: «Ecco, le cose di prima sono avvenute e io ve ne annuncio delle nuove; prima che germoglino, ve le rendo note» (Isaia 42,9)
Come credenti in Cristo Dio ci chiede di incamminarci nel nuovo anno con questo atteggiamento di fiducia verso le cose nuove che il Signore sta per annunciare, confidando che Egli comunque sta sempre dalla parte delle vittime innocenti delle guerre e delle violenze, che anche quando sembra tacere agisce con bontà per la realizzazione della giustizia e del diritto.
Guardiamo avanti consapevoli che Dio non pretende da noi cose straordinarie, ma non vuole che la nostra fede sia tiepida e ridotta al lumicino. Dio ci chiama al suo servizio per essere testimoni credibili dell’Evangelo di liberazione, del regno che viene, condividendo con Lui le cose pazze e quelle deboli che sconfiggono la forza. Egli ci darà il coraggio di metterci in gioco, costi quello che costi, senza esitare, vegliando nella preghiera, rendendo grazie di tutto ciò che Egli ha fatto, fa e farà per noi e tramite di noi. Amen

Predicazione di Valdo Pasqui (sovrintendente X Circuito dell’Unione delle Chiese Metodiste e Valdesi), presso chiesa evangelica valdese di Firenze, domenica 7 gennaio 2024

 

 

Domenica 26 Novembre 2023

Preghiera di intercessione dedicata al tema della lotta alla violenza maschile

 

Introduzione:

Sabato 18 novembre le forze dell'ordine ritrovano il corpo senza vita di Giulia Cecchettin.
Lunedì 20 novembre, Venezia, marito e moglie guardano al telegiornale un servizio sulla morte di Giulia Cecchentin, l’uomo a quel punto commentato “Chissà cosa aveva combinato”. La moglie, inorridita, gli ha risposto che erano parole da criminale, di tutta risposta il marito le ha sferrato un pugno all’addome che le avrebbe lasciato un grosso livido sul costato. Subito dopo ha preso in mano un coltello e l’ha colpita, la punta della lama, arrotondata, non è penetrata, grazie al maglione che la donna indossava che ha attutito la coltellata.
Venerdì 24 novembre, Aosta, ragazzo 18enne segue la ragazza minore che lo aveva lasciato e la minaccia dicendo: “Ti faccio fare la fine di Giulia Cecchentin!”

Preghiera:

Questo è il mondo in cui viviamo, Signore. E siamo certi che questo non è il mondo che tu desideri.
Tutto è compiuto, hai detto.
Noi siamo qui, tra il già e il non ancora, in attesa di vedere la nuova Gerusalemme dicendere dal cielo,
dacci l’acqua della vita e fa che noi stessi diventiamo una fonte inesauribile di questa acqua,
riversa su di noi e attraverso di noi la tua grazia trasformatrice, la tua guistiza e la tua pace.
Signore, ti preghiamo questa mattina per le tante donne che migrano sole o con la propria famiglia in cerca di una vita più solida, libera e sicura.
Molte di loro perdono la vita nelle difficili rotte migratorie, nel deserto, nelle carceri libiche, tra i boschi innevati dei balcani o nel Mar Mediterraneo.
Ti preghiamo perché coloro che sono al potere ascoltino e trasformino in politiche giuste, le voci che chiedono aiuto.
Ti preghiamo perchè non sia più illegale migrare e perchè la nostra rete di accoglienza sia forte e salda.
Signore, ti preghiamo per le tante donne che vivono nello sfruttamento lavorativo nei campi;
per quelle che vedono il loro lavoro messo a rischio a causa di delocalizzazioni delle fabbriche e di speculazioni finanziarie;
per quelle che continuano ad avere un salario inferiore a quello degli uomini o per quelle che non riescono a raggiungere livelli apicali se non a costo di una spregiudicatezza senza scrupoli.
Fa' Signore che, radicate e fondati nel tuo amore, sappiamo compiere azioni di giustizia e di solidarietà nei confronti di queste nostre sorelle.
Ti preghiamo in particolare per tutte quelle donne che in questo momento sono vittime di violenza maschile di ogni tipo,
da forza di ribellarsi e metti sul loro cammino persone coraggiose in grado di aiutarle.
E ti preghiamo per questo nostro occidente, perché possa liberarsi della cultura patriarcale che alimenta modelli di maschilità violenta e prevaricarice,
tu che in Cristo ci hai mostrato un modello diverso di maschilità, convertici e salvaci.
Te lo chiediamo nel nome e per l’amore dello stesso Gesù, Dio, tuo figlio, uomo nostro fratello, che ci ha insegnato a dirti
Padre nostro......

 

 

Domenica della Riforma 5 Novembre 2023

 

16 Ogni Scrittura è ispirata da Dio e utile a insegnare, a riprendere, a correggere, a educare alla giustizia, 
17 affinché l'uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona.

2Timoteo 3,16 -17

Care sorelle, cari fratelli,

E’ grande quanto il mio pollice e fatta con pagine che non si strappano. Le pagine sono tenute insieme da una colla che rimane efficiente anche a una temperatura di meno 40 gradi. La copertina è di color marrone e poco appariscente, ma è infinitamente preziosa per coloro che la leggono di nascosto: sto parlando della bibbia che i prigionieri in Siberia tenevano ben nascosta e che oggi possiamo vedere in una mostra di bibbie. A suo tempo, era severamente vietato possedere una bibbia e quindi questi piccoli libri resistenti all’acqua furono nascosti addirittura nelle pentole di cucina. Nelle terribili e disumane condizioni di vita che allora vigevano nei campi di prigionia dell’Unione Sovietica, esisteva un profondo bisogno di essere confortati e sostenuti dalla Parola di Dio.

Ma non è necessario andare tanto lontano. Nell’Ottocento, qui a Firenze, i cristiani che si erano convertiti al protestantesimo e leggevano la bibbia a casa in lingua italiana, venivano condannati a pene detentive. E anche ai giorni nostri esistono paesi come la Corea del Nord dove il possesso di una bibbia è severamente proibito e viene punito con la condanna ai lavori forzati o addirittura con la morte.

E’ sempre stata la bibbia, la parola di Dio, che anche nelle condizioni più difficili ha trovato la strada per arrivare alle persone che la chiedevano. E’ sempre stata la lettura della bibbia ciò che i potenti temevano, tanto da vietarne lo studio. Sono profondamente colpita quando sento quale rischio altissimo è stato affrontato dalle persone, pur di leggere il Libro di Libri. Oggi celebriamo la commemorazione della Riforma che ha trovato il suo inizio e tutta la sua forza nel fatto che delle persone non hanno messo in disparte la bibbia, non si sono affidate alle interpretazioni e tradizioni, ma hanno sentito un forte desiderio di sapere la Parola originale. Sono persone come Martin Lutero, Giovanni Calvino e, ancora prima, Pietro Valdo, che hanno scoperto la libertà nella parola di Dio, una libertà che li ha reso forti e indipendenti contro i potenti del loro tempo. "Ogni scrittura ispirata da Dio è utile utile a insegnare, a riprendere, a correggere, a educare alla giustizia, affinché l'uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona“ così scrive Paolo al suo discepolo Timoteo, e lo ammonisce di rimanere fedele alle sacre scritture che Timoteo aveva imparato fin da bambino. Nel frattempo, Timoteo è diventato un giovane che segue le orme di Paolo, e Paolo, come piace fare agli anziani, gli dà alcuni consigli per proseguire il cammino, come abbiamo appena ascoltato.

Conosco ben questi ammonimenti, io stessa a volte ho richiamato i ragazzi cresimandi quando uscivano di corsa dalla lezione: "Non dimenticate le vostre Bibbie“ e se avevo gridato abbastanza forte loro si giravano di nuovo e mettevano il libro nello zaino. Però, anche dopo la confermazione mi sarebbe piaciuto raccomandare di non dimenticare la Bibbia, perché volevo dire: "Prendete la Bibbia in mano e leggetela, lì c’è nascosto un tesoro che scoprirete solo se l’aprite e la leggete con gli occhi, l’ascoltate con le orecchie e l’assorbite nei vostri cuori.“

Ma anch’io nella mia vita di tutti i giorni sto facendo l’esperienza di dover ricordare a me stessa: Non dimenticare la Bibbia. Perché ci sono altri argomenti e compiti che vengono spinti in prima linea. A dire il vero, le ore passate per leggere e rispondere alle e-mail, per studiare i protocolli o guardare il telegiornale, sono molte di più della lettura della bibbia. Ci sono tante cose che giorno per giorno trovo in primo piano, e così la parola di Dio fa fatica ad arrivare sin da me! E dovremmo rispondere onestamente, quando un giovane come allora Timoteo ci chiede: Perché dovrei leggere la Bibbia, cosa ne ricavo? "A che cosa serve“, per dirla con le parole di Paolo.

Mettiamola così: prendere in mano la Bibbia e leggerla è una azione liberatoria. Mi è permesso di ammettere qualcosa che al giorno d’oggi è difficile confessare.
Posso ammettere di essere una persona che ha bisogno di conforto e di consigli.

Prendere in mano la bibbia significa che posso essere qualcuno che cerca consolazione. Non so come succede a voi, ma di solito alla domanda "come stai“ la risposta dovrebbe essere che tutto va bene. Ogni altra cosa probabilmente porterebbe via troppo tempo a chi ha fatto la domanda. Tuttavia non è sempre così. Forse sono preoccupata per i miei figli o per la mia salute. Forse ho paura di tutte queste crisi che stiamo vivendo. Prendendo la Bibbia in mano ammetto che non tutto va bene nella mia vita e che sto cercando una risposta alla domanda chi sia il mio unico conforto nella vita e nella morte. E’ una grande fortuna se non evitiamo questa domanda e apriamo la Bibbia per trovarvi consolazione.

Quando prendo in mano la Bibbia, mi è permesso essere una persona che cerca consiglio.
Confesso a me stessa che ci sono delle cose in questo mondo che mi rendono perplessa, impotente, e ciò significa: non ho subito pronta la risposta o una opinione,
e certamente non il perfetto consiglio a portata di mano. In concreto, gli attacchi alla gente in Israele del 7 ottobre mi hanno lasciato con un senso di grande perplessità e impotenza. E fino ad oggi faccio fatica a capire che cosa sia successo.

Prendere in mano la Bibbia significa per me: ammettere la mia debolezza.
I salmi dell’Antico Testamento, ad esempio, sono pieni di questo sconforto di fronte al male che c’è nel mondo.
Ma quando prendo in mano la Bibbia, mi imbatto anche nel messaggio quasi folle di Gesù, la sua sfida verso noi, di rimanere umano malgrado le esperienze, qualcuno che crede nella pace e la cerca.

Non dimenticare la Bibbia. Se un giovane come Timoteo mi chiedesse che cosa ne ricavo, gli risponderei: per me prendere in mano la Bibbia significa ammettere il mio bisogno di conforto e di consigli. E poi può succedere qualcosa di strano. Alle volte, succede che sia la parola di Dio a prendere me per mano, mi fa vedere con più chiarezza, mi consola e mi libera.

La Bibbia in Siberia era grande come un pollice. Ma quelli che l’hanno presa in mano, avranno sperimentato come le parole li abbiano preso per mano.
Una esperienza che può ripetersi oggi, ovunque si prenda in mano la parola di Dio e si lascia guidare da essa.
No, non dimentichiamo la Bibbia.
In altre parole, per usare una delle 95 tesi nel giorno della festa della Riforma, il vero tesoro della Chiesa è il santissimo vangelo della gloria e grazia di Dio.

E la pace di Dio che supera ogni nostra comprensione custodisca i nostri cuori e le nostre menti in Gesù Cristo.
Amen

Predicazione della pastora luterana Susanne Krage-Deutel presso la Chiesa Valdese di Firenze in occasione del culto interdenominazionale della Riforma Domenica 5 Novembre 2023

 

 

 

 

 

 

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Ultimo aggiornamento: 9 Giugno 2024
 ©Chiesa Evangelica Valdese di Firenze