[...]
Ma ora usciamo dall’immagine e volgiamoci al messaggio che attraverso quell’immagine il profeta ci vuole trasmettere «Guardate alla roccia da cui foste tagliati». Che cos’è questa roccia, questa cosa solida, sicura, duratura, di cui ti puoi fidare,su cui ti puoi appoggiare e addirittura fondare ?
1. È l’ascolto di Dio. «Ascoltatemi, voi che cercate l’Eterno» (v. 1). La prima tappa della cura ricostituente dell’anima è l’ascolto di Dio: cercare Dio per ascoltarlo. La ricerca che diventa ascolto,l’ascolto che alimenta la ricerca. Non è che prima devi trovare Dio, e solo dopo lo puoi ascoltare. No, lo ascolti cercandolo, lo cerchi ascoltandolo. Lo si può infatti ascoltare, perché c’è una parola di Dio accessibile. «Ascoltatemi»: ecco la prima «roccia»! Tutto comincia con l’ascolto.
Non col parlare, non col ragionare, non col discutere, ma con l’ascolto. Anche il bambino impara a parlare ascoltando: la sua parola nasce dall’ascolto.
«Ascolta Israele» (Schemà Israèl), così comincia il dialogo di Dio con il suo popolo e, con esso, l’avventura della fede. «La fede vien dall’udire, e l’udire si ha per mezzo della parola di Cristo» (Romani 10,17).
«Ascoltatemi»: in fondo Dio non chiede altro: non chiede sacrifici, né grandi cerimonie, né funzioni solenni; chiede misericordia, questo sì (Osea 6,6; Matteo 9.13), ma prima di tutto chiede ascolto. Dio ci fa molti doni, ma il più grande dono che possiamo fare noi a Dio è ascoltarlo.
Ma ascoltare non è così facile come sembra. È più facile parlare che ascoltare. Nel mondo tutti parlano, pochi ascoltano. Molti parlano anche di Dio, senza però averlo ascoltato: che cosa possono dire ? Rischiano il vaniloquio. Quanto è facile parlare prima di ascoltare! Quanto è difficile ascoltare prima di parlare!
La ricerca di Dio non comincia né dal sentimento, né dall’intuizione, né dal pensiero,ma dall’ascolto. «Ascoltatemi, voi che cercate!»: se non cercate, non udirete mai nulla.
Solo chi cerca, trova. Solo chi chiede, ottiene. Solo chi ha fame, viene saziato. Questa dunque è la prima tappa della cura ricostituente dell’anima: la ricerca di Dio che diviene ascolto. Nell’ora buia della storia è più che mai tempo di cercare Dio!
2. Ma poi c’è una seconda tappa della cura. «Guardate ad Abramo, vostro padre, e a Sara, che vi ha partorito» (v. 2). Chi è vostro padre ? Non è Lutero, né Calvino, né Valdo, né Agostino, e neppure l’apostolo Paolo e neppure il profeta Isaia: è Abramo, padre di tutti i credenti (Romani 4,17-18). «Guardate a vostra madre». Chi è vostra madre ? Non è la Vergine Maria, benché il Concilio Vaticano II l’abbia incautamente proclamata «Madre della Chiesa»; ma non è neppure la grande chiesa cristiana con la sua storia imponente; e non è neppure la piccola Chiesa valdese con la sua Piccola storia.
Vostra madre è Sara, «che vi ha partorito. Ma attenzione: neppure loro, Abramo e Sara sono la «roccia». La «roccia» è la vocazione rivolta da Dio ad Abramo. «Io lo chiamai»: ecco la «roccia»: la chiamata di Dio. La parola, la cosa più effimera che ci sia, è una roccia, la cosa più solida che ci sia.
Ecco il grande paradosso evangelico, il paradosso di Dio: Dio è Nome, Spirito, Parola, e la Parola è la roccia e la roccia è la parola, anche solo una, quella della tua chiamata: è lei la tua roccia.
Ma la vocazione non viene mai da sola, è sempre accompagnata da una benedizione. «Lo chiamai quand’era solo», cioè non aveva figli legittimi ed era diventato impotente per l’età avanzata, e Sara era anch’essa troppo anziana per poter ancora concepire. «E lo benedissi» – benedissi lui e Sara, «e lo moltiplicai»: nacque Isacco, e da lui Esaù e Giacobbe, e da loro due popoli. Ecco allora la «roccia» da cui proveniamo:la vocazione con dentro la benedizione. Quando Dio chiama, benedice; chiama per benedire. Noi siamo stati chiamati: ecco perché siamo qui; e siamo stati benedetti: ecco perché siamo ancora qui. E perché la vocazione con dentro la benedizione è una roccia ? Perché è «senza pentimento» (Romani 11,29). Dio non si pente di averti chiamato. Ecco la seconda tappa della cura dell’anima: la vocazione con dentro la benedizione.
3. Infine c’è una terza tappa, che è il coronamento delle altre due: la consolazione.
«Così l’Eterno consolerà Sion, consolerà tutte le sue rovine». Notate, vi prego, questa bellissima espressione: «consolerà tutte le rovine»: non solo le persone afflitte, ma le rovine, non solo qualche rovina, ma tutte le rovine! Che cosa vuol dire ? Vuol dire che Dio non butta via le macerie come facciamo noi, le raccoglie, le ricupera, le riscatta, le ricicla: Dio è un grande riciclatore, ricicla anche noi!
Con Dio nulla è mai perduto, nessuna speranza è troppo ardita; con lui non si spera mai troppo, ma sempre troppo poco!
La caratteristica principale della consolazione di Dio è che non lascia le cose come stanno, ma le trasforma: trasforma «il deserto in un Eden, la terra arida in un giardino dell’Eterno». Consolare, per Dio, significa trasformare il deserto in giardino, il male in bene, il dolore in letizia, il peccato in santità, la morte in vita.
«Guardate alla roccia da cui foste tagliati». Ora sappiamo che cos’è questa «roccia» e qual è una cura ricostituente per la nostra anima: è la ricerca di Dio che diventa ascolto; è la vocazione di Dio che diventa benedizione; è la consolazione di Dio che diventa trasformazione del mondo nel mondo di Dio. 17 Febbraio 2019: la roccia è stabile e non sarà smossa; in lei l’anima trova rifugio e forza.
«Forte Rocca è il nostro Dio, nostra speme in lui si fonda». Amen.
Parte del testo della predicazione del pastore Paolo Ricca nella Chiesa Valdese di Via IV Novembre, in Roma, il 17 Febbraio 2019.