Meditazioni
di
Avvento
[ L'Attesa] [ La
Gioia] [ La Parola][ Il Cielo][ La stalla di Betlemme]
La stalla di Betlemme
"Ora, o mio
Signore, tu lasci andare in pace il tuo servo,
secondo la tua parola; perchè i miei occhi hanno visto la tua
salvezza"
|
Gesù Cristo
divenuto
essere umano
nella stalla
di Betlemme
per il bene
dell'umanità:
gioisci, cristianità.
|
Chi, alla mangiatoia
depone
finalmente
ogni violenza
ogni onore,
ogni
reputazione,
ogni
vanità,
ogni superbia,
ogni
ostinazione,
chi sta dalla
parte degli umili
e lascia Dio
solo essere grande,
chi, nel
bambino nella mangiatoia,
vede la
magnificenza di Dio
proprio
nell'umiliazione,
costui festeggerà l'autentico Natale.
|
Testi
tratti da:
Dietrich
Bonhoeffer, Meditazioni sul
Natale, a cura di M.Weber,
Claudiana, Torino, 2004. |
“Oh,
squarciassi tu i cieli, e scendessi!”
Isaia
63,19 e cap. 64
Nel
gruppo di studio biblico che si riunisce periodicamente il sabato
pomeriggio
abbiamo letto, le scorse settimane, quello strano libro che è
l’Ecclesiaste,
Qohelet: l’estremo limite cronologico della Sapienza ebraica, che
con intrepido
coraggio i rabbini alla fine del primo secolo hanno incluso, chiudendo
il
canone della Bibbia ebraica. In questo libro caustico, dove sembra
abbondare
uno smagato scetticismo, abbiamo trovato autentiche perle, ed una
è questa: “Ricordati,
Dio è in cielo e tu sei sulla terra” (5,2).[...]
Ma
Israele sa che a volte
Dio fa questo balzo, squarcia la dura e spessa crosta consolidata come
lava fra lui e noi, fra la sua santità e la
nostra miseria, la nostra indegnità e rivolta, fra la sua
eternità e la nostra
storia sporca, inquinata. Dio ha
varcato i cieli, è intervenuto nella storia del suo popolo e in
tal
modo nella storia dei popoli, perché Dio non ha coccoli
preferiti, ma
testimoni. [...]
Comunque,
anche per chi è meno portato alla
meditazione, avvertiamo tutti, nella nostra piccola esperienza
quotidiana, di
essere avvolti e gravati come da una
cappa di piombo. Ci diamo da fare, ma sbattiamo continuamente contro
problemi
gravi, che non di rado ci appaiono più grandi di noi, dal fronte
della salute,
a quello dell’economia, a quello della politica; le soluzioni
sono difficili,
sfuggenti, sempre provvisorie e ci sembra spesso di brancolare nella
nebbia.
Ognuno può fare un’ ennesima volta l’inventario e il
bilancio, che
verosimilmente terrà banco anche in questo volger d’anno,
sempre ‘vecchio’.
Ma ecco
risuonare un gran grido: “Oh,
squarciassi tu i cieli, e scendessi!” [...]
È
il
grido di Natale. Possa
essere per noi in forte misura questo, il Natale: questo grido.
E’ il grido al
quale Dio ha cominciato a rispondere, facendo brillare nella nostra
oscurità e
nella nostra nebbia la sua luce. I cieli sì sono squarciati,
aperti, anche se
non ancora come ci si poteva aspettare, e come forse ci piacerebbe:
perché il
Disceso non è venuto, per ora, trionfante, risolutivo, non
è venuto il grande
castigamatti (chi se la sarebbe cavata, o scampata??), ma è
venuto a vivere
veramente con noi, le nostre fragili gioie e confuse speranze e le
nostre tante
e gravi miserie, e a portarci già
il
grande e pedagogico dono di Dio: la gratuità generosa nel
vivere.[...]
Quello
che già Israele sapeva e sa, noi lo sappiamo
o dovremmo saperlo più a fondo: la Parola, la Risposta
di Dio diventata carne, vita umana. Dio ha
squarciato i cieli, ed è sceso, in basso quanto non avremmo mai
immaginato: non
c’è situazione senza uscita nella quale non sia il “Dio con noi”, neppure la
situazione estrema, la morte.
Perché Natale è solo il preludio di una vita, spesa per
noi, di una passione
patita per noi, di una morte tragica affrontata per noi, del mattino di
Pasqua,
nostra salda speranza. Dio non si elimina, la sua Vita non si soffoca
ne si
spegne, quella vita che, accesa a Natale (qualunque ne sia stata la
data),
impugnata da Dio è risultata indistruttibile, e resta feconda e
indicativa. “Te ne rimarrai impassibile, o SIGNORE?
Tacerai e ci affliggerai fino all’estremo?”
Poiché sei venuto fa che
il seme che TU hai piantato porti la sua messe di vita
piena, tu
che in Cristo sei nostro Padre!
Il
tuo “regno” si è fatto prossimo,
vicino, tangibile
con Gesù. Venga questo tuo Regno! E poiché ci hai
chiamati a esserne testimoni,
aiutaci a capire, a dire, e a fare. E grazie, grazie perché da
Natale possiamo
guardare a lui, ascoltare lui, cercare di seguire lui essere perdonati e
rialzati da lui.
tratto
dalla predicazione del Pastore Gino Conte presso la Chiesa Valdese
di Firenze Domenica 22 dicembre 2002, 4a
d’Avvento
[leggi
l'intero testo della predicazione in PDF]
"La Parola è stata
fatta carne e ha abitato per un tempo tra noi, e noi abbiamo
contemplato la sua gloria"
Se l'evangelo
fosse: "La Parola è stata fatta spirito" [...]
Se la Parola fosse
stata fatta spirito, sarebbe rimasta, per molti, lontano dalla vita
concreta.
Se l'evangelo
fosse: "La Parola è stata fatta religione", i credenti (o coloro
che tali si considerano) sarebbero felici, ma non lo sarebbero i
miscredenti o i non credenti (o coloro che tali si considerano). [...]
Se la Parola fosse
stata fatta religione, essi ne sarebbero esclusi.
Se l'evangelo
fosse: "La Parola è stata fatta scienza" [...]
Se la Parola fosse
stata fatta scienza, resterebbe muta davanti alle grandi domande della
vita.
Se l'evangelo
fosse: "La Parola è stata fatta arte" [...]
Se la Parola fosse
stata fatta arte, bisognerebbe guardare altrove per la guarigione
dell'umanità.
Se l'evangelo
fosse: "La Parola è stata fatta sport" [...]
Se la Parola fosse
stata fatta sport, l' «uomo che gioca» l'uomo nuovo dovrebbero
essere la stessa cosa. Ma non lo sono.
Se l'evangelo
fosse... Ma l'evangelo è: "La
Parola è stata fatta carne". Non spirito, non religione,
non scienza, non arte, non sport, am carne. "Carne", cioè quello
che siamo tutti, la base materiale di tutto e di tutti , senza la quale
nulla e nessuno esisterebbe nell'ordine della creazione, quanto meno
nulla sarebbe percepibile. Non c'è spirito senza carne, non
c'è musica senza strumento, non c'è dipinto senza colore,
non c'è statua senza marmo, non c'è scrittura senza
inchiostro, non c'è poesia senza mano che la compone, o voce che
la recita, o orecchio che la ode, o ochio che la legge. "Carne", cioè quello che siamo tutti,
senza eccezione, non quello che è solo qualcuno. La Parola
è stata fatta quello che siamo tutti. Così nessuno
è escluso. Dopo Natale non c'è Parola senza carne. Voglia
Iddio che non ci sia neppure carne senza Parola.
tratto da
Paolo Ricca, "Grazia senza
confini" , Claudiana, Torino, 2006, pp.238.
La
Gioia
“O
SIGNORE, tu mi hai messo in
cuore più gioia di
quella che essi provano quando il loro grano e il loro mosto
abbondano!”
Salmo 4,7
Non è una
stupenda confessione di fede? Così senta e possa dire chiunque
fa,
pubblicamente o nel segreto del suo cuore, la sua professione di fede.
E’ la
nostra? Lo è stata stamattina, al risveglio? Lo è ora?
È essa che ci ha portato
qui, è per essa che siamo ora riuniti? [...]
“Tu mi hai messo in cuore più
gioia…”.
E’ quasi
una dichiarazione d’amore. E infatti proprio di questo si tratta:
il credente è
uno che ha preso sul serio la parola che Dio ci rivolge, come persone e
come
popolo di chiamati alla fede, attraverso il profeta (Isaia 62,5):
“Come la sposa
è la gioia del suo sposo -e viceversa!- così tu
sarai la gioia del
tuo Dio”. La comunione di vita - di vita eterna - che ci offre,
sappiamo a qual
prezzo, e nella quale vuole coinvolgerci, è GIOIA. Gioia
di vivere: con lui, alla sua presenza, sapendo che a
questo mondo c’è Lui, il Padre. [...]
Il nostro lavoro ci
può dare gioia, e il frutto del
nostro lavoro, anche; ma è pur
sempre minacciato: possiamo perderlo, magari dopo avere stentato
tremendamente
a trovarlo; e ci può causare non solo fatica (è la
regola), ma tensione,
frustrazione, difficili rapporti umani, incertezze e dubbi
sull’effettiva
‘bontà’, sull’utilità sociale del
nostro lavoro: possiamo non vederne il senso,
al di là dello stipendio… . Eppure Dio ci mette gioia
in cuore [...]
Quando ci mettiamo a tavola
e ci ricordiamo di ringraziarlo per il pane quotidiano e tanto di
più, ci mette
gioia in cuore, perché ci ha dato il lavoro, e forze
e capacità per
farlo, e in questo duro mondo del
lavoro non siamo soli a cavarcela, ma lui ci dà di
giorno in giorno la
vita, e di che viverla; e si aspetta che la nostra gioia riconoscente
si
manifesti anche nella nostra attenzione verso coloro che in quel
preciso
momento non hanno lavoro, e nemmeno cibo, pur essendo creature di Dio
che egli
vuole altrettanto gioiose quanto noi; e forse vuole che giungano alla
gioia
attraverso noi, come noi ci giungiamo attraverso altri. Non ci chiama a
rattristarci perché c’è chi muore di fame, ma
affinché noi aiutiamo e almeno un
uomo, una donna, un bambino abbiano da noi il pane e si viva insieme in
una
gioia di vivere reale e comunicativa (che ne è del nostro
“Natale per gli
altri” ?!?).
La malattia
va in giro come una bestia feroce, minacciosa, e di colpo colpisce
attorno a
noi, accanto a noi, colpisce noi. Ma Dio ci mette in cuore questa
gioia: sapere che lui non è
dalla
parte del male, non è dietro il ‘destino’ crudele
che (ci) colpisce, ma è in Gesù
Cristo che ha passato più di metà della sua vita pubblica
a lottare
instancabile contro la malattia, a farci capire che non è questa
la volontà di
Dio, non comunque la volontà ultima e piena di Dio. [...]
La gioia di Dio è
generosa e
comunicativa, è un invito ad entrare nel gioco di Dio che
‘ride’ dei potenti e delle
forze del mondo e del male
(Sal. 2), anche se, ora, è un riso doloroso come lo sguardo di
Gesù sul mondo,
sulla chiesa, sulla chiesa, sull’uomo. [...]
Questa GIOIA paradossale, ma più vera,
profonda e forte di tutto, è per noi e per il mondo. Oggi; e per
sempre.
tratto
dalla predicazione del Pastore Gino Conte presso la Chiesa Valdese
di Firenze Domenica 10 dicembre 2000, 2a
d’Avvento
[ leggi
l'intero testo della predicazione in PDF]
"Beati quei servitori che il padrone,
arrivando, troverà
vigilanti"
Luca 12, 37
Aspettare
chi ?
La risposta
non è difficile: aspettiamo
Gesù. Ma che cosa significa aspettare Gesù
?
Di solito si aspetta un assente. Se uno è presente, non ha
più senso aspettarlo. Ma Gesù non è forse
presente? O invece è assente ? O è tutt'e due: presente e
assente, un po' come l'apostolo Paolo che scrive ai Corinzi di essere
"assente di persona, ma presente in spirito "(II Corinzi 5,3) ? [...]
Gesù era stato con noi, e sarà con noi, ma non è
con noi. Gesù è una storia passata che non c'è
più, oppure una storia futura che non c'è ancora, ma non
una storia contemporanea a quella che stiamo vivendo. Gesù c'era
ieri, ci sarà domani, ma non c'è oggi. Proprio nel
momento in cui è considerato assente Gesù si manifesta
come presente e si rivela non solo come colui che era e che
sarà, ma anche come colui che è. [....]
"Dove due o tre sono riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a
loro" (Matteo 18,20). Dunque, non
c'è solo la promessa di
Gesù di essere presente, c'è l'esperienza della sua
presenza, ed è questa esperienza che caratterizza la fede
cristiana. [....]
Aspettiamo
perchè ?
Aspettare
Gesù vuol dire :
[...] esistere e
resistere nel paradosso cristiano, e aspettare il suo
superamento,
cioè l' Avvento di un tempo in
cui ci sarà
solo
presenza senza assenza,
realtà
senza apparenza,
ricchezza
senza povertà,
santità
senza peccato,
gioia senza
tristezza,
serenità
senza soffrenza,
vita senza morte.
[...] aspettare il
momento in cui ciò che è nascosto
sarà reso manifesto, e ciò che è invisibile
diventerà visibile, e il mondo intero vedrà la gloria del
Signore, e vedremo ciò che abbiamo sempre creduto senza vederlo. Allora il velo che copre
la faccia dei popoli sarà tolto, e noi
tutti, a viso scoperto, vedremo Dio faccia a faccia, e saremo
trasformati nell'immagine del Figlio, di gloria in gloria, per lo
Spirito del Signore (II Corinzi 3,18)
[...] averlo senza
accaparrarlo, amarlo senza possederlo, come chi
vuole conservare la sua vita la perde, così chi vuole possedere
Dio senza aspettarlo, lo perde. Aspettare
Gesù vuol dire: avere
tutto senza possedere nulla !
Aspettare
quanto ?
Il tempo
dell'attesa è il tempo
dell'amore.
L'amore è paziente e accetta qualunque attesa,
anche lunghissima.
L'amore è impaziente, brucia ogni attesa e
grida "Vieni!".
L'attesa è lunga perchè, amando
Gesù lo vorremmo già qui.
L'attesa è breve
perchè, amando Gesù sette anni (e quanti altri saranno
necessari) si sembreranno, come Giacobbe, pochi giorni. [...]
Ecco allora
spiegata la beatitudine dell'Avvento:
aspettare
significa
vegliare, e vegliare significa amare colui che viene.
Beati coloro
che
aspettano, perchè se aspettano vuol dire che vegliano, e se
vegliano vuol dire che amano, e se amano sono felici nell'attesa.
Nessuno infatti è più felice di colui che ama.
tratto da
Paolo Ricca, "Grazia senza
confini" , Claudiana, Torino, 2006, pp.238.
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