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[L'Attesa] [La Gioia] [La Parola][Il Cielo][La stalla di Betlemme]


La stalla di Betlemme

"Ora, o mio Signore, tu lasci andare in pace il tuo servo,
secondo la tua parola; perchè i miei occhi hanno visto la tua salvezza"
Luca 2, 29-30

Gesù Cristo

divenuto essere umano
nella stalla di Betlemme
per il bene dell'umanità:
gioisci, cristianità.





Chi, alla mangiatoia

depone finalmente
ogni violenza
ogni onore,
ogni reputazione,
ogni vanità,
ogni superbia,
ogni ostinazione,
chi sta dalla parte degli umili
e lascia Dio solo essere grande,
chi, nel bambino nella mangiatoia,
vede la magnificenza di Dio
proprio nell'umiliazione,
costui festeggerà l'autentico Natale.

 

Testi  tratti da:
Dietrich Bonhoeffer, Meditazioni sul Natale, a cura di M.Weber,
Claudiana, Torino, 2004.





Il Cielo
“Oh, squarciassi tu i cieli, e scendessi!”
Isaia 63,19 e cap. 64

Nel gruppo di studio biblico che si riunisce periodicamente il sabato pomeriggio abbiamo letto, le scorse settimane, quello strano libro che è l’Ecclesiaste, Qohelet: l’estremo limite cronologico della Sapienza ebraica, che con intrepido coraggio i rabbini alla fine del primo secolo hanno incluso, chiudendo il canone della Bibbia ebraica. In questo libro caustico, dove sembra abbondare uno smagato scetticismo, abbiamo trovato autentiche perle, ed una è questa: “Ricordati, Dio è in cielo e tu sei sulla terra” (5,2).[...]

Ma Israele sa che a volte Dio fa questo balzo, squarcia la dura e spessa crosta consolidata come lava fra lui e noi, fra la sua santità e la nostra miseria, la nostra indegnità e rivolta, fra la sua eternità e la nostra storia sporca, inquinata. Dio ha varcato i cieli, è intervenuto nella storia del suo popolo e in tal modo nella storia dei popoli, perché Dio non ha coccoli preferiti, ma testimoni. [...]


Comunque, anche per chi è meno portato alla meditazione, avvertiamo tutti, nella nostra piccola esperienza quotidiana, di essere avvolti e gravati  come da una cappa di piombo. Ci diamo da fare, ma sbattiamo continuamente contro problemi gravi, che non di rado ci appaiono più grandi di noi, dal fronte della salute, a quello dell’economia, a quello della politica; le soluzioni sono difficili, sfuggenti, sempre provvisorie e ci sembra spesso di brancolare nella nebbia. Ognuno può fare un’ ennesima volta l’inventario e il bilancio, che verosimilmente terrà banco anche in questo volger d’anno, sempre ‘vecchio’.

Ma ecco risuonare un gran grido: “Oh, squarciassi tu i cieli, e scendessi!” [...]

È il grido di Natale. Possa essere per noi in forte misura questo, il Natale: questo grido. E’ il grido al quale Dio ha cominciato a rispondere, facendo brillare nella nostra oscurità e nella nostra nebbia la sua luce. I cieli sì sono squarciati, aperti, anche se non ancora come ci si poteva aspettare, e come forse ci piacerebbe: perché il Disceso non è venuto, per ora, trionfante, risolutivo, non è venuto il grande castigamatti (chi se la sarebbe cavata, o scampata??), ma è venuto a vivere veramente con noi, le nostre fragili gioie e confuse speranze e le nostre tante e gravi miserie, e a  portarci già il grande e pedagogico dono di Dio: la gratuità generosa nel vivere.[...]


Quello che già Israele sapeva e sa, noi lo sappiamo o dovremmo saperlo più a fondo: la Parola, la Risposta di Dio diventata carne, vita umana. Dio ha squarciato i cieli, ed è sceso, in basso quanto non avremmo mai immaginato: non c’è situazione senza uscita nella quale non sia il Dio con noi”, neppure la situazione estrema, la morte. Perché Natale è solo il preludio di una vita, spesa per noi, di una passione patita per noi, di una morte tragica affrontata per noi, del mattino di Pasqua, nostra salda speranza. Dio non si elimina, la sua Vita non si soffoca ne si spegne, quella vita che, accesa a Natale (qualunque ne sia stata la data), impugnata da Dio è risultata indistruttibile, e resta feconda e indicativa. “Te ne rimarrai impassibile, o SIGNORE? Tacerai e ci affliggerai fino all’estremo?” Poiché sei venuto fa che il seme che TU hai piantato porti la sua messe di vita piena, tu che in Cristo sei nostro Padre!

Il tuo “regno” si è fatto prossimo, vicino, tangibile con Gesù. Venga questo tuo Regno! E poiché ci hai chiamati a esserne testimoni, aiutaci a capire, a dire, e a fare. E grazie, grazie perché da Natale possiamo guardare a lui, ascoltare lui, cercare di seguire lui essere perdonati e rialzati da lui.


tratto dalla predicazione del Pastore Gino Conte presso la Chiesa Valdese di Firenze Domenica 22 dicembre 2002, 4a d’Avvento


 [leggi l'intero testo della predicazione in PDF]

 




La Parola

"La Parola è stata fatta carne e ha abitato per un tempo tra noi, e noi abbiamo contemplato la sua gloria"
Giovanni 1,14

Se l'evangelo fosse: "La Parola è stata fatta spirito" [...]
Se la Parola fosse stata fatta spirito, sarebbe rimasta, per molti, lontano dalla vita concreta.

Se l'evangelo fosse: "La Parola è stata fatta religione", i credenti (o coloro che tali si considerano) sarebbero felici, ma non lo sarebbero i miscredenti o i non credenti (o coloro che tali si considerano). [...]
Se la Parola fosse stata fatta religione, essi ne sarebbero esclusi.

Se l'evangelo fosse: "La Parola è stata fatta scienza" [...]
Se la Parola fosse stata fatta scienza, resterebbe muta davanti alle grandi domande della vita.

Se l'evangelo fosse: "La Parola è stata fatta arte" [...]
Se la Parola fosse stata fatta arte, bisognerebbe guardare altrove per la guarigione dell'umanità.

Se l'evangelo fosse: "La Parola è stata fatta sport" [...]
Se la Parola fosse stata fatta sport, l'
«uomo che gioca» l'uomo nuovo dovrebbero essere la stessa cosa. Ma non lo sono.

Se l'evangelo fosse... Ma l'evangelo è: "La Parola è stata fatta carne". Non spirito, non religione, non scienza, non arte, non sport, am carne. "Carne", cioè quello che siamo tutti, la base materiale di tutto e di tutti , senza la quale nulla e nessuno esisterebbe nell'ordine della creazione, quanto meno nulla sarebbe percepibile. Non c'è spirito senza carne, non c'è musica senza strumento, non c'è dipinto senza colore, non c'è statua senza marmo, non c'è scrittura senza inchiostro, non c'è poesia senza mano che la compone, o voce che la recita, o orecchio che la ode, o ochio che la legge. "Carne", cioè quello che siamo tutti, senza eccezione, non quello che è solo qualcuno. La Parola è stata fatta quello che siamo tutti. Così nessuno è escluso. Dopo Natale non c'è Parola senza carne. Voglia Iddio che non ci sia neppure carne senza Parola.


             tratto da
Paolo Ricca, "Grazia senza confini" , Claudiana, Torino, 2006, pp.238.




La Gioia

“O SIGNORE, tu mi hai messo in cuore più gioia di quella che essi provano quando il loro grano e il loro mosto abbondano!” 
Salmo 4,7

Non è una stupenda confessione di fede? Così senta e possa dire chiunque fa, pubblicamente o nel segreto del suo cuore, la sua professione di fede. E’ la nostra? Lo è stata stamattina, al risveglio? Lo è ora? È essa che ci ha portato qui, è per essa che siamo ora riuniti? [...]

“Tu mi hai messo in cuore più gioia…”. E’ quasi una dichiarazione d’amore. E infatti proprio di questo si tratta: il credente è uno che ha preso sul serio la parola che Dio ci rivolge, come persone e come popolo di chiamati alla fede, attraverso il profeta (Isaia 62,5): “Come la sposa è la gioia del suo sposo -e viceversa!- così tu sarai la gioia del tuo Dio”. La comunione di vita - di vita eterna - che ci offre, sappiamo a qual prezzo, e nella quale vuole coinvolgerci, è GIOIA. Gioia di vivere: con lui, alla sua presenza, sapendo che a questo mondo c’è Lui, il Padre. [...]


Il nostro lavoro ci può dare gioia, e il frutto del nostro lavoro, anche; ma è pur sempre minacciato: possiamo perderlo, magari dopo avere stentato tremendamente a trovarlo; e ci può causare non solo fatica (è la regola), ma tensione, frustrazione, difficili rapporti umani, incertezze e dubbi sull’effettiva ‘bontà’, sull’utilità sociale del nostro lavoro: possiamo non vederne il senso, al di là dello stipendio… . Eppure Dio ci mette gioia in cuore [...]


Quando ci mettiamo a tavola e ci ricordiamo di ringraziarlo per il pane quotidiano e tanto di più, ci mette gioia in cuore, perché ci ha dato il lavoro, e forze e capacità per farlo, e in questo duro  mondo del lavoro non siamo soli a cavarcela, ma lui ci dà di giorno in giorno la vita, e di che viverla; e si aspetta che la nostra gioia riconoscente si manifesti anche nella nostra attenzione verso coloro che in quel preciso momento non hanno lavoro, e nemmeno cibo, pur essendo creature di Dio che egli vuole altrettanto gioiose quanto noi; e forse vuole che giungano alla gioia attraverso noi, come noi ci giungiamo attraverso altri. Non ci chiama a rattristarci perché c’è chi muore di fame, ma affinché noi aiutiamo e almeno un uomo, una donna, un bambino abbiano da noi il pane e si viva insieme in una gioia di vivere reale e comunicativa (che ne è del nostro “Natale per gli altri” ?!?).


La malattia va in giro come una bestia feroce, minacciosa, e di colpo colpisce attorno a noi, accanto a noi, colpisce noi. Ma Dio ci mette in cuore questa gioia: sapere che lui non è dalla parte del male, non è dietro il ‘destino’ crudele che (ci) colpisce, ma è in Gesù Cristo che ha passato più di metà della sua vita pubblica a lottare instancabile contro la malattia, a farci capire che non è questa la volontà di Dio, non comunque la volontà ultima e piena di Dio. [...]


La gioia di Dio è generosa e comunicativa, è un invito ad entrare nel gioco di Dio che ‘ride’  dei potenti e delle forze del mondo e del male (Sal. 2), anche se, ora, è un riso doloroso come lo sguardo di Gesù sul mondo, sulla chiesa, sulla chiesa, sull’uomo. [...]


Questa GIOIA paradossale, ma più vera, profonda e forte di tutto, è per noi e per il mondo. Oggi; e per sempre.



tratto dalla predicazione del Pastore Gino Conte presso la Chiesa Valdese di Firenze Domenica 10  dicembre 2000, 2a d’Avvento


               [leggi l'intero testo della predicazione in PDF]


 
L'attesa

"Beati quei servitori che il padrone, arrivando, troverà vigilanti"             
Luca 12, 37 
 

Aspettare chi ?  

La risposta non è difficile: aspettiamo Gesù. Ma che cosa significa aspettare  Gesù ?  Di solito si aspetta un assente. Se uno è presente, non ha più senso aspettarlo. Ma Gesù non è forse presente? O invece è assente ? O è tutt'e due: presente e assente, un po' come l'apostolo Paolo che scrive ai Corinzi di essere "assente di persona, ma presente in spirito "(II Corinzi 5,3) ? [...]

Gesù era stato con noi, e sarà con noi, ma non è con noi. Gesù è una storia passata che non c'è più, oppure una storia futura che non c'è ancora, ma non una storia contemporanea a quella che stiamo vivendo. Gesù c'era ieri, ci sarà domani, ma non c'è oggi. Proprio nel momento in cui è considerato assente Gesù si manifesta come presente e si rivela non solo come colui che era e che sarà, ma anche come colui che è.  [....]

"Dove due o tre sono riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro" (Matteo 18,20). Dunque, non c'è solo la promessa di Gesù di essere presente, c'è l'esperienza della sua presenza, ed è questa esperienza che caratterizza la fede cristiana. [....]



Aspettiamo perchè ?

Aspettare Gesù vuol dire :

[...] esistere e resistere nel paradosso cristiano, e aspettare il suo superamento,
cioè l' Avvento di un tempo in cui ci sarà solo

presenza senza assenza,
realtà senza apparenza,
ricchezza senza povertà,
santità senza peccato,
gioia senza tristezza,
serenità senza soffrenza,
vita senza morte.

[...] aspettare il momento in cui ciò che è nascosto sarà reso manifesto, e ciò che è invisibile diventerà visibile, e il mondo intero vedrà la gloria del Signore, e vedremo ciò che abbiamo sempre creduto senza vederlo. Allora il velo che copre la faccia dei popoli sarà tolto, e noi tutti, a viso scoperto, vedremo Dio faccia a faccia, e saremo trasformati nell'immagine del Figlio, di gloria in gloria, per lo Spirito del Signore (II Corinzi 3,18)

[...] averlo senza accaparrarlo, amarlo senza possederlo, come chi vuole conservare la sua vita la perde, così chi vuole possedere Dio senza aspettarlo, lo perde. Aspettare Gesù vuol dire: avere tutto senza possedere nulla !


Aspettare quanto ?

Il tempo dell'attesa è il tempo dell'amore. 
L'amore è paziente e accetta qualunque attesa, anche lunghissima.
L'amore è impaziente, brucia ogni attesa e grida "Vieni!".
L'attesa è lunga perchè, amando Gesù  lo vorremmo già qui.
L'attesa è breve perchè, amando Gesù sette anni (e quanti altri saranno necessari) si sembreranno, come Giacobbe, pochi giorni. [...]


Ecco allora spiegata la beatitudine dell'Avvento:

aspettare significa vegliare, e vegliare significa amare colui che viene.

Beati coloro che aspettano, perchè se aspettano vuol dire che vegliano, e se vegliano vuol dire che amano, e se amano sono felici nell'attesa. Nessuno infatti è più felice di colui che ama.

                   tratto da
Paolo Ricca, "Grazia senza confini" , Claudiana, Torino, 2006, pp.238.
  
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Ultimo aggiornamento: 24 Dicembre 2006