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"Libertà religiosa e minoranze" Ripensare l’insegnamento religioso nella scuola pubblica Religione cattolica a scuola. Il rischio di un monoconfessionalismo di Stato Scelta relativa all'insegnamento della relogione cattolica a scuola 2024-2025 Riforma, 16 gennaio 2024 Chiese e società Insegnamento religione cattolica, fuga di studenti ma sanatoria per 6400 docentiRiforma, 11 gennaio 2024 Una carta geografica al posto del crocifisso in classe?Torre Pellice, Mercoledì 2 Ottobre
Crocifisso: questione di arredo o simbolo divisivo?Di Agenzia NEV - 7 Giugno 2019 No agli insegnanti di religione cattolica nelle commissioni d'esameRoma (NEV CS/25), 9 maggio 2019 |
Laicità dello stato 1870 – 1929
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La storia dell’Italia moderna, per quanto riguarda la sua cultura politica, si colloca fra queste due date: la fine del potere temporale della Chiesa e la firma dei Patti lateranensi. |
Piccola guida per una scelta consapevole dell'insegnamento della religione cattolica (IRC) nella scuola pubblica prodotta dall’ associazione "31 Ottobre, per una scuola laica e pluralista".
28/01/2009
Una questione che impegna anche noi valdesi e metodisti leggi la dichiarazione della moderatora Maria Bonafede
Impedita a prestare cura d'anime "Non è lecito ad un istituto ospedaliero negare la visita e frapporre ingiustificati ostacoli all'esercizio di diritti espressamente riconosciuti in una legge di Stato, in particolare trattandosi di una materia delicata quale è quella della libertà religiosa": non si è fatta attendere la lettera della pastora Maria Bonafede, moderatora della Tavola valdese, al direttore generale dell'Ospedale "Cervello" di Palermo, dott. Francesco Falgares, dopo che lo scorso 12 novembre al reparto Traumatologia dello stesso ospedale era stato negato l'accesso alla pastora Elisabetta Ribet accorsa per prestare assistenza spirituale ad un membro della sua comunità.
"Una vera e propria discriminazione - ha dichiarato all'Agenzia stampa NEV la pastora Ribet -. Non mi hanno fatta passare perché ero fuori orario di visita. Ho mostrato il tesserino di ministro di culto della Tavola valdese anche al primario, ma a nulla sono valse le mie spiegazioni. Il dottore mi ha buttata fuori senza complimenti. Una palese violazione del principio di pluralismo religioso di questo paese".
Il diritto di un malato a ricevere cura d'anime da parte di un suo ministro di culto è sancito dalla legge, nella fattispecie dall'Intesa tra la Tavola valdese e lo Stato italiano, e precisamente all'art. 6 della legge 449/1984, che recita:
"l'assistenza spirituale dei ricoverati … negli istituti ospedalieri, nelle case di cura o di riposo e nei pensionati, è assicurata tramite ministri iscritti nei ruoli tenuti dalla Tavola valdese. L'accesso di tali ministri ai predetti istituti è a tal fine libero e senza limitazione di orario…".
Lo ha fatto notare nella sua lettera al dott. Falgares la pastora Bonafede, auspicando che tutti gli operatori dell'ospedale, primari compresi, siano messi al corrente di tale disposizione.
Tratto da NEV - Notizie evangeliche del 26 novembre 2008
La chiesa Valdese di Firenze esprime la propria solidarietà alla pastora Elisabetta Ribet ed alla sorella della Chiesa Valdese di Palermo che sono stati oggetto di questa grave ed ingiustificata violazione di un diritto sancito dalla legge. Siamo profondamente colpiti dal fatto che ad oltre venti anni dalla stipula dell'Intesa tra la Tavola valdese e lo Stato italiano i responsabili e gli operatori di una struttura sanitaria pubblica non ne fossero a conoscenza. Esprimiamo la nostra preoccupazione per il fatto che, nonostante la grande attenzione rivolta in questi ultimi mesi dagli organi di informazione alle problematiche etiche legate alle cure mediche, nel nostro paese possano essere negati i più elementari diritti di assistenza spirituale ai malati.
Il Concistoro della Chiesa Valdese di Firenze, 28 Novembre 2008
4 dicembre 2008, Le scuse del direttore generale dell'Ospedale "Cervello" di Palermo
Soddisfazione è stata espressa dalla pastora Maria Bonafede, moderatore della Tavola Valdese, e da Dora Bognandi, direttore del Dipartimento per la libertà religiosa della Chiesa avventista, per la firma avvenuta oggi da parte del Consiglio dei ministri per le modifiche di legge in riferimento alle Intese delle due confessioni con lo Stato italiano.
Le modifiche apportate alle Intese riguardano, per la Chiesa evangelica valdese (Unione delle chiese metodiste e valdesi), la possibilità di accedere anche alle quote non espresse dai contribuenti dell’otto per mille dell’Irpef (modifica alla legge n. 409 del 1993), mentre per l'Unione italiana delle Chiese cristiane avventiste del 7° Giorno (UICCA) si tratta del riconoscimento dei titoli di studio rilasciati dall'Istituto di cultura biblica avventista di Firenze (modifica alla legge n. 516 del 1988).
"Accogliamo con soddisfazione l’approvazione da parte del Consiglio dei Ministri del ddl di ratifica. Ci auspichiamo che in brevissimo tempo il Governo provveda anche alla ratifica delle altre Intese già negoziate e firmate, o siglate, dai precedenti governi, compreso quello presieduto dall’on. Berlusconi, relative a comunità di fede che svolgono un ruolo sempre più importante e riconosciuto nella società italiana - ha dichiarato Maria Bonafede -. Augurandoci che l’iter parlamentare sia il più rapido possibile per tutte le Intese in corso, rinnoviamo il nostro impegno a gestire gli ulteriori fondi otto per mille che ci verranno assegnati in base a questa revisione dell’Intesa nella stessa linea di laicità e trasparenza che ci ha caratterizzato negli anni scorsi, senza destinare neanche un euro a finalità di culto".
"L'approvazione delle due modifiche è senz'altro una buona notizia! - ha affermato Dora Bognandi -. Significa che si sta superando un'impasse che dura da anni. Ringraziamo il governo per questo primo passo anche se auspichiamo che tra brevissimo lo stesso avvenga per la altre Intese in attesa di approvazione".
Ora le rispettive revisioni di legge dovranno essere approvate da Camera e Senato.
Le bozze d'Intesa, approvate dal Governo Prodi lo scorso 7 marzo 2007, che oggi - a norma dell’articolo 8 della Costituzione - chiedono di essere riprese in esame dal Governo in carica, riguardano: la Congregazione cristiana dei Testimoni di Geova e l'Unione buddista italiana (che nel 2000 avevano già ottenuto la firma dal Governo D'Alema), nonché la Chiesa Apostolica in Italia, la Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli ultimi giorni, la Sacra arcidiocesi ortodossa d’Italia, l'Unione induista italiana.
Tratto da NEV - Notizie evangeliche del 3 ottobre 2008
Sintesi dell'intervento del pastore e teologo Daniele Garrone, decano della Facoltà valdese di teologia, pronunciato nella sede di Bruxelles del Parlamento europeo, nell'ambito del convegno "Secularism and Religions" (28 agosto 2008). [leggi]
Roma (NEV), 25 giugno 2008
La preoccupazione per il clima di razzismo e xenofobia nel nostro paese è stata espressa dalle Conferenze dei quattro Distretti delle chiese valdesi e metodiste in Italia che si sono riunite, come ogni anno nel mese di giugno, per esaminare la vita spirituale e amministrativa delle chiese e delle opere sociali del territorio. La conferenza del III Distretto (Centro Italia), in particolare, ha approvato un ordine del giorno in cui “invita le chiese a vigilare sulle violazioni dei diritti umani (compreso il diritto di asilo) subite dagli stranieri, regolarmente o irregolarmente presenti nel nostro territorio, e a rispondere a tali violazioni con voce profetica; a iniziare e proseguire percorsi di riflessione sulle potenzialità di incontro e dialogo con individui, comunità e culture, percepite come ‘altre da noi’”. Il II Distretto (Nord Italia) ha fatto propria la presa di posizione delle chiese di Genova contro le norme sull’immigrazione contenute nel “pacchetto sicurezza” del governo e in particolare contro l’introduzione del reato di immigrazione clandestina (vedi NEV 25). Richiamando l’attenzione sulla difesa della Costituzione, sull’educazione dei più giovani e sul tema del lavoro, il IV Distretto (Sud Italia) ha esortato le chiese a decidere se stare “dalla parte di chi agita la paura dell’altro ed alimenta gli egoismi”; “di chi esercita il controllo mafioso del territorio”; “di chi occupa le istituzioni democratiche per asservirle alla tutela di interessi privati”, “di chi fa della Parola di Dio uno strumento di discriminazione e di controllo sociale; o dalla parte del Signore della vita”. I pastori e i deputati delle chiese locali hanno deliberato anche su questioni che saranno sottoposte all’esame del prossimo Sinodo delle chiese valdesi e metodiste, che si terrà a Torre Pellice (Torino), dal 24 al 29 agosto.
Leggi anche "Rom: il dovere di una minoranza"
"La questua"
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Versamenti dell’otto per mille, stipendi degli insegnanti di religione, convenzioni su scuola e sanità
Curzio Maltese fa i conti al Vaticano nel libro pubblicato di recente dalla Feltrinelli |
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E' uscito in libreria, "La questua" di Curzio Maltese (Feltrinelli, maggio 2008), che ripropone una lunga inchiesta condotta dal giornalista di Repubblica sui finanziamenti alla Chiesa cattolica, sia attraverso il canale dell’Otto per mille che per altre vie: dal finanziamento all’Insegnamento religioso confessionale alle agevolazioni fiscali. Complessivamente si tratta di una cifra che, secondo Maltese, è "vicina a 4 miliardi e mezzo di euro, tra finanziamenti diretti dello Stato e degli enti locali e mancato gettito fiscale". Un miliardo di euro deriva direttamente dall’Otto per mille, 950 milioni corrispondono agli stipendi dei 22.000 insegnanti di religione, altri 700 arrivano alla Chiesa cattolica dallo Stato e dagli enti locali per le convenzioni su scuola e sanità.
A queste cifre si aggiunge, sempre secondo l’analisi di Curzio Maltese, il cumulo di vantaggi fiscali: tra 400 e 700 milioni "il mancato incasso per l’ICI, in 500 milioni lo sconto del 50% su Ires, Irap e altre imposte, in 600 milioni l’elusione fiscale legalizzata del mondo del turismo cattolico che gestisce ogni anno da e per l’Italia un flusso di quaranta milioni di visitatori e pellegrini". Con questa cifra, 4,5 milioni di euro, conclude Maltese, la Chiesa cattolica "costa agli italiani più del sistema politico", più della vituperata "casta". E quanto costano le altre confessioni di fede? Molto meno, con ogni evidenza e – soprattutto – producono una diversa ricaduta di benefici sociali. E’ il caso della Chiesa valdese che destina il 100% dei fondi ricevuti ad attività culturali, sociali ed assistenziali realizzate in Italia ed all’estero. Nel 2007 si è trattata di una cifra di poco inferiore a 6 milioni di euro, rendicontate al dettaglio su diversi organi di stampa e sui siti istituzionali. "Ho incontrato la moderatrice della Tavola valdese, Maria Bonafede, -'il Ruini dei valdesi -, nella modesta sede romana vicina alla Stazione Termini – scrive Maltese a pag. 58. – 'Per motivi etici avevamo rinunciato alle quote non espresse ma nel 2000, visto l’uso che ne faceva lo Stato, le abbiamo chieste. Ogni volta ci rinviano. Se le ottenessimo oggi le vedremmo solo nel 2010'…. La Tavola valdese – conclude Maltese – usa i soldi dell’Otto per mille al 94% per la carità e il rimanente per la pubblicità. I pastori valdesi vivono delle donazioni spontanee. Lo stipendio base, uguale dalla moderatrice all’ultimo pastore, è di 650 euro al mese. Maria Bonafede spiega: 'I soldi dell’Otto per mille arrivano dalla società ed è lì che devono tornare. Se una Chiesa non riesce a mantenersi con libere offerte, è segno che Dio non vuole farla sopravvivere". |
«Io credo in un’America dove la separazione tra Chiesa e Stato sia assoluta; dove nessun prelato cattolico dica al presidente (anche se è cattolico) come agire, e nessun ministro protestante dica ai suoi parrocchiani come votare; dove nessuna Chiesa o scuola confessionale abbia finanziamenti pubblici o preferenze politiche.
Io credo in un’America che sia ufficialmente né cattolica, né protestante, né ebraica; dove nessun pubblico funzionario richieda o accetti direttive sugli affari pubblici dal Papa, dal Consiglio nazionale delle Chiese o da qualsiasi altra fonte ecclesiastica; dove nessun ente religioso cerchi di imporre, direttamente o indirettamente, la sua volontà sulla popolazione o sugli atti pubblici dei suoi rappresentanti»
John Fitzgerald Kennedy
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Leggi anche L'abbaglio di papa Ratzinger di Paolo Naso
Benedetto XVI ha celebrato il quarantesimo anniversario della Comunità di S. Egidio nella chiesa romana di S. Bartolomeo, dedicata alla memoria dei martiri della fede del XX secolo. Nell’occasione, egli ha svolto un’importante riflessione sul tema appunto del martirio, sottolineandone la centralità. "Martire", come si sa, significa, alla lettera, "testimone": in particolare, il termine è passato a indicare chi ha reso testimonianza con il proprio sangue. Il martirio è una vera e propria dimensione della vita della chiesa: vi è una testimonianza resa a Dio perché, alla sua base, vi è la martyria resa da Dio stesso, Cristo crocifisso.
La chiesa di S. Bartolomeo ricorda i martiri di tutte le confessioni cristiane: la testimonianza resa mediante il sangue è ecumenica, universale, per eccellenza. L’universalità della chiesa si esprime anzitutto in questo: che il nome del Dio di Gesù Cristo viene proclamato, proprio nel silenzio di chi è ucciso, in modo univoco e chiaro. Ogni confessione di fede resa a parole è necessariamente ambigua: decisiva, fondamentale, ma ambigua. Lo è anche quella di Pietro nel Nuovo Testamento: Gesù la dichiara ispirata direttamente da Dio, poi però respinge Pietro ("Allontanati da me, Satana"), precisamente perché l’apostolo vorrebbe rifiutare la croce. Le parole sulla croce, anche le più corrette, possono essere equivoche: solo la parola della croce è inequivocabile ed essa è pronunciata in modo eminente da chi porta la croce nella propria carne. Tre brevi riflessioni al riguardo.
I martiri sono sempre stati, per la chiesa, un vanto. Naturalmente non è bene che la chiesa, e le chiese, nascondano la povertà della loro testimonianza dietro il coraggio e la sofferenza di alcuni. Tuttavia questi alcuni costituiscono il dono di Dio alla sua chiesa mediocre e compromessa ed è quindi giusto ricordarli con orgoglio autocritico. Con orgoglio, perché essi manifestano la fedeltà di Dio, che non viene mai meno, che nutre la comunità cristiana, la sostiene e, come si esprime il linguaggio della fede, la benedice, in modo costoso, sommamente impegnativo. Con orgoglio autocritico: perché il martirio accade costantemente nel mezzo del compromesso e del rinnegamento anche e proprio delle chiese. I nomi dei martiri rendono gloria a Dio e non alle chiese, ma appunto in questo consiste anche la gloria delle chiese: nel fatto che c’è sempre qualcuno che prende la propria croce e segue Gesù.
Il martirio del XX secolo, poi, ha spesso una caratteristica particolare, rispetto a quello delle origini cristiane: il nome di Gesù è frequentemente proclamato nel cuore di conflitti apparentemente del tutto secolari. In queste settimane, oltre al quarantesimo anniversario della comunità di S. Egidio, si ricorda anche quello dell’assassinio di Martin Luther King. Egli ha testimoniato Cristo lottando per i diritti civili dei neri. Oscar Romero (un martire che i papi non ricordano volentieri), è stato ucciso a motivo della sua solidarietà attiva con i poveri del Salvador; Dietrich Bonhoeffer perché cospirava contro Hitler. Il martirio del XX secolo è spesso un martirio politico. Anche in questo, Dio vuole dirci qualcosa: la croce di Gesù si erge in terra sconsacrata, fuori dalla porta della città santa. I martiri hanno le mani sporche delle lotte e delle sofferenze condivise anche con chi non crede. Si può dire "Signore, Signore!" senza rendere testimonianza; e si può rendere testimonianza pronunciando il Nome in una pratica di lotta condivisa con chi, quel Nome, non ha ritenuto di doverlo confessare.
Infine, il terzo elemento. Di fronte al martirio, non sempre le chiese si collocano dalla parte giusta, dalla parte del testimone. Non solo a motivo del loro silenzio, ma anche e proprio della loro complicità. Mentre Bonhoeffer era in prigione, le chiese tedesche ringraziavano Iddio per il fallimento dell’attentato a Hitler che egli aveva contribuito a preparare; chi ha ammazzato il vescovo Romero aveva amici nella gerarchia della chiesa del Salvador e anche più in alto. I martiri sono il dono di Dio alla chiesa, abbiamo detto, ma anche la sua critica, carica d’amore e per questo severissima. Celebrarli significa anche riflettere sulla testimonianza ecclesiale oggi: da che parte si sta nelle grandi e piccole sfide che dividono gli animi, anche nel nostro paese. Prendere partito: non un partito qualsiasi, certo (quelli sono persino troppi, come vediamo anche in questi giorni), bensì il partito di coloro con il quale Gesù, il Martire di Dio, si identifica.
Fulvio Ferrario, docente di teologia sistematica alla Facoltà valdese di teologia di Roma
Tratto da NEV - Notizie evangeliche del 9 aprile 2008
Il tema della laicità dello Stato è prepotentemente entrato nel dibattito politico e tutto fa presagire che proseguirà anche dopo le elezioni di aprile. Mai come in questi mesi, infatti, la Conferenza episcopale italiana (CEI) ha agito come una vera e propria lobby politica, promuovendo e bocciando liste e candidati: benissimo Casini e la sua UDC; benino il Pdl ma deve impegnarsi di più per proporre candidati moralmente autorevoli e promuovere un’agenda più vicina alla dottrina sociale della chiesa cattolica; malissimo il Pd colpevole di avere raggiunto un accordo con i temibili radicali e di avere imbarcato il prof. Veronesi; bene Ferrara ma alla larga dalla sua lista corsara, salvo riparlarne dopo le elezioni e avendo contato i voti. E così via.
Oltre che sulle liste la CEI interviene anche sui programmi elettorali, insistendo con una campagna a martello sui temi della bioetica, dell’aborto, della pillola "del giorno dopo", dell’eutanasia, del testamento biologico.
E così, più per reazione che per intenzione, partiti e candidati parlano spesso di laicità. Molto più spesso di quanto non sia accaduto nei mesi scorsi. Bene, il variegato mondo protestante italiano non potrebbe che apprezzare il fatto che uno dei grandi fili rossi della migliore cultura liberale europea diventi tema di campagna elettorale.
Il tema della laicità è infatti nel DNA di una comunità protestante che ha sempre posto al centro della propria testimonianza l’idea che la fede è una libera scelta del credente, che non ammette interferenze e condizionamenti da parte dello Stato. La separazione tra la Chiesa e lo Stato, quindi, serve proprio a tutelare la libertà della scelta religiosa, il libero esercizio del culto, la libera professione del proprio credo. Al tempo stesso garantisce la possibilità della convivenza in società plurali nelle quali hanno gli stessi diritti coloro che credono, coloro che non credono e coloro che credono diversamente dalla maggioranza.
Tutto questo il protestantesimo italiano lo ha detto e vissuto negli anni delle persecuzioni religiose; in quelli dell’Italia liberale e del fascismo concordatario; del centrismo democristiano e dei referendum sul divorzio e l’aborto; lo ha ribadito negli anni della revisione del Concordato (1984) e della stipula delle prime Intese ai sensi dell’articolo 8 della Costituzione, così come - in tempi più recenti - quando l’Italia si è scoperta al tempo stesso più secolarizzata e pluralista.
Ogni volta che la Chiesa cattolica interferiva nelle decisioni politiche di una democrazia sovrana - pensiamo alle campagne referendarie, non ultima quella sulla fecondazione medicalmente assistita - il protestantesimo italiano ha suonato le campane della laicità. Al capezzale di Piergiorgio Welby come nelle manifestazioni per il riconoscimento delle coppie di fatto, nella difesa della 194 come nel sostegno alla ricerca scientifica sulle cellule embrionali.
Ebbene, nel dibattito sulla laicità di questi giorni di tutto questo non vi è alcuna traccia.
Nel vivace confronto elettorale di questi giorni si parla di laicità con i cattolici di Scienza e Vita e con i musulmani, con gli ebrei e con gli atei devoti, con i teodem e con i teocon, con le femministe e con i movimenti omosessuali. Ma non con i protestanti che restano fuori, in una sorta di conventio ad excludendum.
Perché? La risposta più ovvia è che non si fanno sentire, non sono abbastanza forti da levare la loro voce e da costruire efficaci lobby.
Pur riconoscendo qualche fondamento a questa motivazione - che però rimanderebbe a un’amara riflessione sul pluralismo informativo e la libertà di espressione nel nostro paese - essa non ci pare né sufficiente né adeguata a spiegare una così grave omissione culturale.
Chi in Italia si richiama a Lutero e Calvino, viene di fatto ignorato dal dibattito pubblico sulla laicità perché nel nostro paese esiste una "questione protestante", un nodo storico e culturale che si trascina da secoli. Come la "questione meridionale" o quella "cattolica". È il prodotto di una cultura tipica della Controriforma, trionfante in Italia, che ha negato la possibilità di pensare e vivere la fede cristiana fuori dal recinto dogmatico della tradizione cattolica. In questa prospettiva il protestantesimo non viene criticato, viene semplicemente ignorato e quindi nei fatti negato come interlocutore; al contrario il cattolicesimo viene elevato al rango di universalità cristiana, in grado di rappresentare l’intera comunità dei credenti in Gesù Cristo.
La "questione protestante" è quindi il frutto di un intreccio di arroganza confessionalistica, di ignoranza storica e teologica, di pregiudizio culturale e politico.
E questo spiega perché i protestanti restano fuori dai talk show televisivi e dai grandi dibattiti culturali di questi giorni: il loro problema sembra essere che, pur essendo cristiani come la maggioranza degli italiani, sono però portatori di un punto di vista teologicamente altro e distinto da quello cattolico. Al tempo stesso vicini nella fede in Cristo ma anche così irrimediabilmente distanti dalla tradizione cattolica, dalle adunate in San Pietro e dai devozionalismi di fronte alle statue dei santi. Cristiani ma laici, laici ma credenti. Nulla di strano in Francia, in Germania, in Olanda. Un’identità ovvia e perfettamente visibile negli Stati Uniti. Difficile da pensare in Italia. E così, nonostante tante parole sull’Europa, si finisce per ignorare quell’intreccio tra laicità e protestantesimo che ha costituito un tratto fondamentale della modernizzazione del continente. Eppure, ignorando il confronto con quella tradizione culturale e teologica, ogni discorso sulla laicità ha il fiato molto, molto corto.
Paolo Naso NEV - Notizie evangeliche del 27 febbraio 2008
Roma, Camera dei deputati 20 Febbraio 2008
In occasione dei sessant'anni della Costituzione repubblicana, la Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI) e l'Associazione internazionale per la difesa della libertà religiosa (AIDLR) promuovono il convegno “La libertà religiosa alla luce dell'articolo 8 della Costituzione”. L'iniziativa si colloca nel quadro delle celebrazioni del 17 febbraio, data che ricorda l'emancipazione riconosciuta ai valdesi da re Carlo Alberto nel 1848; al tempo stesso cade nel ventennale dell'Intesa che regolamenta i rapporti tra lo Stato italiano e l'Unione italiana delle chiese cristiane avventiste del settimo giorno (UICCA).
Al convegno, che avrà luogo il 20 febbraio presso la Camera dei Deputati, parteciperanno tra gli altri:
Negli anni, il 17 febbraio si è proposto e consolidato come una data simbolica del valore civile e democratico della libertà religiosa: da qui la proposta, fortemente appoggiata dalla FCEI e già posta all'attenzione del Parlamento, di istituirla come “Giornata della libertà di coscienza, di religione e di pensiero”.
In occasione del Convegno sarà inoltre presentato il volume “Uniti per l'Evangelo”, a cura di Gianni Long e Renato Maiocchi. Il testo, edito dalla Claudiana, raccoglie una serie di contributi relativi ai quarant'anni di attività della FCEI.
Ad introdurre i lavori è stato il presidente dell’AIDLR, Daniele Benini, che è anche presidente della UICCA. Ha moderato Domenico Maselli, presidente della FCEI. L’intervento centrale è stato affidato al presidente Oscar Luigi Scalfaro, che in qualità di padre costituente, ha tracciato la genesi dell’art. 8 della Costituzione.
Scalfaro ha dichiarato di ricordare molto bene il dibattito sull’art. 8: "Si sentiva nell’aria la grandiosità del momento. Avevo 27 anni ed avevo appena superato il concorso da magistrato. La discussione intorno alla prima, assoluta, fondamentale libertà, quella di coscienza, era in mano soprattutto ai giovani". Per Oscar Luigi Scalfaro la libertà religiosa e di coscienza è quella che presuppone lo stato laico che a sua volta è condizione perché uno stato sia democratico.
A evidenziare i problemi attuali è stato il professor Marco Ventura, docente di diritto ecclesiastico dell’Università di Siena. Egli ha indicato "tre meccanismi bloccati" relativi all'applicazione dell'art. 8 della Costituzione: la legge sulla libertà religiosa, il cui percorso ha incontrato ostacoli politici ed ideologici; le 8 Intese firmate dal governo lo scorso 4 aprile e mai giunte in Parlamento; la Consulta islamica anch'essa oggetto di una impasse che non sembra sbloccarsi. Queste difficoltà nascono da due questioni di base: l'interpretazione del testo costituzionale sulla "eguale libertà" di tutte le confessioni religiose e il legame, non da tutti riconosciuto, tra l'art. 8 e il principio di laicità dello Stato.
Francesco Margiotta Broglio, ordinario di relazioni tra stato e chiesa all’Università di Firenze, ricordando l’opera del giurista evangelico Giorgio Peyrot e dello storico Giorgio Spini "senza i quali non saremmo oggi a celebrare questi anniversari", ha ripercorso le tappe dai governi Craxi degli anni '80 ad oggi, dei tentativi, tutti senza successo, di giungere ad una legge sulla libertà religiosa che superi quella sui "culti ammessi" di epoca fascista.
Una legge, quella sulla libertà religiosa, la cui approvazione, ha con forza affermato il ministro Paolo Ferrero, avrebbe un impatto innovativo sulla società italiana. "Negli anni '80 – ha spiegato Paolo Ferrero -, le prime Intese rappresentavano il perfezionamento di una realtà in larga parte già presente nel Paese. Oggi, in un contesto sociale mutato, l'approvazione di una legge sulla libertà religiosa avrebbe una forte connotazione simbolica e culturale". Questa legge, secondo Paolo Ferrero, sarebbe, riprendendo la famosa frase di Cavour, uno snodo centrale per tornare "a fare gli italiani", cioè per ridefinire le relazioni di chi vive nell'Italia multiculturale di oggi e orientare il futuro della nostra società verso l'apertura e l'inclusione. "Le decisioni cruciali su cosa sarà l'Italia tra venti o trent'anni devono infatti essere prese oggi", ha concluso Paolo Ferrero. "Una legislatura si sta chiudendo, un’altra se ne aprirà.
Quali impegni l’aspettano nel campo di quel pluralismo religioso che solo uno stato consapevolmente laico può consentire? - si è chiesto l'on. Valdo Spini nel suo intervento - Innanzitutto la piena applicazione dell’articolo 8 della Costituzione, quello che afferma che i rapporti tra lo Stato italiano e le confessioni religiose diverse dalla cattolica sono regolate sulla base di Intese. Il tema non potrà non ripresentarsi nella prossima legislatura. Mi è sembrato allora giusto concludere questa legislatura presentando una proposta di legge per istituire una Giornata dedicata alla libertà di coscienza, di religione e di pensiero, comprendendo quindi credenti e non credenti, collocandola proprio il 17 febbraio, cioè nella data del primo atto di libertà religiosa nel nostro paese, appunto la concessione dei diritti civili ai valdesi" ha dichiarato Valdo Spini.
Tutti gli intervenuti si sono detti d'accordo sul progetto. Su questo tema è intervenuto il senatore Lucio Malan che ha dichiarato: "Concordo con l'importanza di una legge sulla libertà religiosa, un cui testo ho io stesso presentato al Senato durante questa legislatura, e sull'istituzione di una Giornata della libertà di religione. Questo è un tema che dovremmo imparare a considerare non solo nell'ambito della nostra realtà italiana, ma globalmente, pensando anche a quei paesi in cui essa è gravemente violata".
Presente anche l’on. Mercedes Frias, che ha espresso un saluto all'assemblea, e vari esponenti sia di comunità religiose – ebrei, musulmani, buddisti, baha'i – sia dell'associazionismo laico.
sintesi tratta da NEV - Notizie evangeliche del 20 febbraio 2008
A seguito della recente recrudescenza in Italia di manifestazioni antisemitiche, il presidente della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI), Domenico Maselli, in segno di solidarietà ha scritto oggi al presidente dell’Unione delle comunità ebraiche (UCEI), Renzo Gattegna, per esprimere la propria indignazione:"Sembra impossibile che, a 70 anni dalle deprecate leggi razziali, vi sia ancora qualcuno che osi negare le tragedie provocate dal razzismo e dall’intolleranza".
Nella sua lettera Maselli sottolinea la sincera e reciproca simpatia esistente tra la comunità evangelica italiana e quella ebraica dovuta anche alla "comune realtà di emarginazione e ghettizzazione". Facendo riferimento alle celebrazioni del 17 Febbraio (data che ricorda l'emancipazione riconosciuta ai valdesi da re Carlo Alberto nel 1848), il presidente FCEI osserva come proprio "in questi giorni ricordiamo i primi passi fatti dal nostro paese sulla strada della libertà religiosa nel 1848 ed auspichiamo che sia possibile fare nuovi progressi per godere di una piena libertà in uno Stato che sia autenticamente liberale, laico e democratico".
Fondamentale per Maselli l’apporto dato alla crescita democratica del nostro popolo dalle Amicizie Ebraico-Cristiane: "Credo che sia necessario che le nostre comunità cerchino sempre nuovi strumenti di collaborazione e di incontro".
Parole di solidarietà sono giunte anche dal pastore Mario Affuso, presidente della chiesa apostolica italiana di Firenze, al rabbino capo della comunità ebraica di Firenze, Joseph Levi.
NEV - 13 Febbraio 2008
Nel servizio mandato in onda per il 75° anniversario dell’ascesa di Adolf Hitler sono stati associati nazismo e Riforma protestante, omettendo che il partito cattolico di Franz Von Papen contribuì massicciamente all’ascesa di Hitler e che il suo Governo firmò un Concordato con il Vaticano. Il giornalista non riferisce di teologi protestanti quali Karl Barth o Dietrich Bonhoeffer, morto in un campo di concentramento per aver complottato contro Hitler, di Martin Niemoeller, pastore protestante della chiesa confessante anti-Nazista, che passò in un campo gli ultimi 7 anni del regime hitleriano.
La protesta del professor Fulvio Ferrario della Facoltà valdese di teologia
"Il fatto che il Suo telegiornale abbia colto la ricorrenza del settantacinquesimo anniversario della presa del potere da parte di Hitler come pretesto per un insulto gratuito nei confronti dei 'figli della Riforma' appare notevole persino rispetto agli standard di disinformazione e di bassa apologetica alla quale si è abituati nel nostro paese".
Con queste parole il teologo Fulvio Ferrario, professore della Facoltà valdese di teologia di Roma, in una lettera indirizzata al direttore del TG2 Mauro Mazza, ha espresso un giudizio negativo sul servizio andato in onda il 30 gennaio sera nell’edizione delle 20.30 del TG2, sull’ascesa di Adolf Hitler.
Il servizio, a firma di Tommaso Ricci, incentrato sul 75esimo anniversario della presa del potere da parte di Hitler il 30 gennaio 1933, si concentrava sul tema del rapporto tra chiese e nazionalsocialismo e, dopo aver segnalato due pubblicazioni recenti, presentava una statistica dalla quale emergerebbe che il successo del partito hitleriano è stato molto più alto nelle regioni a maggioranza protestante rispetto a quelle a maggioranza cattolica.
Fulvio Ferrario, nella sua missiva inviata al direttore Mazza, tiene a precisare che:
"Il servizio non dice che in occasione delle elezioni tedesche del ’33 era assai più rappresentato il partito cattolico di Franz von Papen, il quale non era un martire della Resistenza, bensì il vicecancelliere del successivo governo Hitler. Già il 20 luglio 1933 tale governo firmerà il Concordato col Vaticano, il che contribuirà a rafforzarlo. Anche questo è omesso da Ricci. Egli ci dice invece, chiudendo il servizio, che il potere sarebbe stato offerto a Hitler 'su un piatto d’argento' dai 'figli della Riforma' che, per fortuna, suggerisce la prosa del giornalista, l’Italia non ha conosciuto: il che peraltro, osservo, non le ha risparmiato il fascismo, anch’esso legato al Vaticano da un Concordato".
Tratto dal comunicato stampa NEV - Notizie evangeliche del 31 gennaio 2008
di Daniele Garrone, decano della Facoltà valdese di teologia
Di fronte a quello che sta succedendo a seguito dell’invito rivolto al Papa a presiedere l’apertura dell’anno accademico all’Università La Sapienza di Roma, mi viene in mente solo il vecchio adagio di Gino Bartali: "Tutto sbagliato, tutto da rifare". Purtroppo, nulla si può rifare e si rimane attoniti spettatori dell’ennesimo colpo inferto, da ogni parte, alla asfittica laicità del nostro paese. Le critiche all’iniziativa del rettore vengono - da destra e sinistra, da cattolici militanti e da chierichetti atei - stigmatizzate come violazione della libertà di parola. Tutti - compresi gli ex fascisti e gli ex-comunisti, dunque gli eredi delle culture non liberali - diventano profeti di liberalismo.
Ritenere non opportuno un invito a tenere un discorso è cosa diversa dall’impedire a qualcuno di esprimere le proprie opinioni.
Il Papa non è un semplice accademico che sostiene tesi controverse o formula ipotesi non condivise da pochi o da molti. Il Papa parla di valori non negoziabili, non formula ipotesi; pretende di esplicitare la verità; si pronuncia non come esponente di una delle varie religioni e confessioni presenti sulla agorà, ma come esperto di umanità in grado di indicare i fondamenti dello Stato e i criteri di una corretta laicità. Il Papa pretende di sapere per tutti noi come si debbano rettamente coniugare fede e ragione. Se vogliamo, il Papa è anche l’ultimo sovrano assoluto per diritto divino. Benedetto XVI bolla la ricerca del pensiero scientifico e filosofico della modernità “post-cristiana” come dittatura del relativismo. Cioè pronuncia una drastica censura nei confronti di quello che è lo spirito della ricerca libera e senza presupposti che spero presieda all’insegnamento nelle nostre università. Benedetto XVI persegue, con grande intelligenza, una strategia di rimonta nei confronti della società laica e pluralista.
Tutto questo andava ricordato nel momento in cui lo si invitava. Si doveva sapere che il Papa non viene a discutere o a confrontarsi, ma viene per essere ascoltato con reverenza ed eventualmente accolto con una genuflessione. Si doveva sapere che era legittimo dissentire dall’invito, non perché si è oscurantisti ma perché non si può né si vuole riconoscere la pretesa che egli statutariamente e quindi inevitabilmente porta con sé. Per queste ragioni io non l’avrei invitato a presiedere l’apertura dell’anno accademico. Lo inviterei però, domani stesso, a partecipare come uno dei relatori ad un dies academicus: si darebbe un bellissimo esempio di cosa può essere una università libera e laica e veramente plurale. Perché - sebbene gli italiani, in primis gli atei devoti, di destra come di sinistra, non lo sappiano - qualunque “capo religioso”, persino il Papa, nella democrazia discorsiva è “uno dei relatori”. Nulla di meno - e va detto con forza e io lo faccio con assoluta convinzione - ma neanche nulla di più.
Una volta che l’invito - inopportuno a mio avviso - era stato rivolto, il Papa doveva parlare. Il dissenso era legittimo; se il dissenso poneva problemi di ordine pubblico - in una università il dissenso si esprime con il dibattito delle idee e con un po’ di humour - essi dovevano essere risolti come ogni altro problema di ordine pubblico. Nessuno, tuttavia, può essere posto al riparo dal dissenso che si manifesta nelle forme legittime. Tra l’altro, giova ricordare che Gesù si espose sulla pubblica piazza, senza aver prima negoziato con l’autorità le condizioni consone alla sua visita. Anzi parlò senza essere invitato. Ci pensino quelli che nel Papa ravvisano il Vicario e che oggi vedono in lui la vittima di un sopruso.
Chi pensava che Benedetto XVI fosse meno capace di “comunicare” del suo predecessore, ha oggi una bella smentita. Non andando alla Sapienza, il Papa diventa una vittima dell’intolleranza laica, la nuova inquisizione lo sta portando al rogo. Bisogna vegliare per lui. Me lo si lasci dire, visto che i miei antenati di inquisizione ne sapevano qualcosa: quando c’è l’inquisizione non si tratta di qualche sberleffo o magari di qualche insulto in mezzo ad un folla compunta e persino adorante.
Per giorni non si parlerà d’altro. E anche senza questo incidente, ogni giorno, dalla mattina alla sera, le televisioni italiane (l’Europa e il mondo sono un’altra cosa) parlano del Papa e dei suoi moniti e dei suoi rimbrotti e dei suoi non possumus che vogliono dire “non dovete”. Ora tutti faranno a gara per riparare, per scusarsi, per far vedere che - per quanto atei - si sa dare alla chiesa e al papa il dovuto riconoscimento. Per fortuna le occasioni non mancheranno: c’è una legge sulla libertà religiosa da lasciar sepolta; la 194 da rivedere; il riconoscimento delle unioni civili da non prendere neppure in considerazione; la vita da tutelare. Forse si potrebbe anche porre qualche limite alla diffusione dei contraccettivi. E poi siamo italiani, la fantasia non ci manca, sapremo come farci perdonare. D’altronde, se non abbiamo avuto Lutero, Kant e Jefferson non è colpa nostra.
Tratto da NEV - Notizie evangeliche del 16 gennaio 2008
Essere anticlericali non significa essere contro la chiesa di Roma ma contro le ingerenze religiose
«Passare dall’autonomia come rifiuto dell’ingerenza alla ricerca della convivenza tra diversi: è qui la nuova frontiera della laicità» ha detto Fausto Bertinotti in un’intervista a La Repubblica (29/11). Più che «nuova frontiera», questo è l’abc della laicità, come ripete da tempo il protestante Jean Baubérot, che ne è uno dei più autorevoli esperti, per il quale «la laicità è un vivere insieme su uno stesso territorio ed essa permette di fare società tra individui e gruppi differenti».
È stato così fin dall’inizio nel Paese che ha inventato il termine stesso di laicità. All’inizio, si trattava di permettere la convivenza tra cattolici, protestanti, ebrei e non credenti in un Paese che i papi chiamavano «figlia primogenita della Chiesa» e in cui i non cattolici non avevano diritto di cittadinanza. Per questo, la legge del 1905 istituì «la separazione tra le chiese e lo Stato»: proprio per impedire che una chiesa qualsiasi pretendesse di imporre i propri principi all’intera società, come vorrebbe fare oggi in Italia la Chiesa di Roma in nome del «bene comune».
La laicità infatti – dice ancora Baubérot – «è costituita da tre principi essenziali: a) il rispetto della libertà di coscienza e di culto; b) la lotta contro ogni dominio della religione sullo Stato e la società civile; c) l’uguaglianza delle religioni e delle convinzioni, compreso il diritto di non credere».
È quanto recita il primo articolo di quella legge: «La Repubblica assicura la libertà di coscienza. Essa garantisce il libero esercizio dei culti». Non dice che la religione viene relegata nel privato, come spesso si sostiene, ignorando sia la lettera sia lo spirito della legge.
Anche Bertinotti sembra condividere questo luogo comune quando dice che «non si può pretendere di rinchiudere la fede in un fatto unicamente privato». Non è questo il punto. Piuttosto, come diceva un altro protestante, Paul Ricœur, in una delle sue ultime interviste: «Il merito dell’Occidente [sta] nell’avere dissociato la sfera politica da quella religiosa, non per ricacciare quest’ultima nel privato bensì per collocarla in un pubblico non fornito di potere e posizione istituzionale». E lo diceva dopo aver affermato che c’è «un aspetto dell’America» che gli era «non solo estraneo ma addirittura insopportabile: il fondamentalismo protestante, che consiste nell’attribuire una specie di simbolismo biblico agli avvenimenti politici». E aggiungeva: «Bisogna liberare la politica da criteri che non le appartengono».
La Francia di 100 anni fa non era meno cattolica dell’Italia di oggi ma la cultura laica che poco alla volta si è affermata ha fatto sì che la Chiesa cattolica ha accettato di essere parte integrante, ma non egemone, di quella società civile che è lo spazio pubblico dove avviene la discussione sostanziata da specifiche argomentazioni.
In questo spazio – che non va confuso appunto con quello politico istituzionale dove i parlamentari, anche cattolici, prendono le decisioni in piena libertà di coscienza – la Chiesa di Roma può legittimamente intervenire, alla pari con tutte le altre associazioni, sforzandosi – come dice Jürgen Habermas (cf. La Repubblica del 30/11), che però lo esige solo per la sfera istituzionale – di «tradurre laicamente» le proprie argomentazioni in modo da renderle comprensibili a tutti.
Se invece si ostina ad affermare fondamentalisticamente che certe questioni etiche sono «non negoziabili», si taglia fuori ipso facto dalla laica «convivenza tra diversi». Infatti, contrariamente a quanto ha detto la senatrice teodem Paola Binetti dopo la bocciatura a grande maggioranza dell’emendamento alla Finanziaria che chiedeva l’abrogazione dell’esenzione Ici sugli immobili di proprietà della Chiesa che svolgono un’attività commerciale («Questa compattezza è il segnale che nel Partito Democratico la cifra della laicità non sarà quella dell’anticlericalismo bensì della ragione, che vuol difendere le attività che servono al bene comune senza fare battaglie ideologiche»), l’anticlericalismo non va confuso con un atteggiamento anticattolico o antireligioso. La laicità ha sempre avuto un carattere anticlericale in quanto è stata e sarà sempre una «sana» reazione contro qualsiasi tipo di clericalismo, sia quello delle gerarchie cattoliche sia quello di chiunque pretenda di imporre la propria visione alla società e allo Stato.
Jean-Jacques Peyronel Riforma del 21 dicembre 2007
Stimatissimi Membri e Collaboratori della Consulta Regionale, Vi trasmettiamo questa nostra presa di posizione, sperando nella Vostra comprensione per le ragioni della nostra assenza.
Gent.mo Assessore Toschi,
Le scriviamo in merito al XI meeting sui diritti umani organizzato dalla Regione Toscana e dedicato alla libertà religiosa. Come ognuno di noi ha già avuto occasione di fare sia personalmente sia a nome delle comunità di fede che rappresentiamo, le rinnoviamo il nostro più vivo apprezzamento per questa iniziativa e il nostro sostegno personale e comunitario, nonché i migliori auguri per una proficua riuscita. Teniamo tuttavia ad esprimerle il nostro dispiacere per la mancanza di una voce dal mondo evangelico nel pur ricco programma dell’11 dicembre p.v.
Ormai siamo abituati a vedere la confessione cattolica chiamata come unica rappresentate del Cristianesimo nei confronti tra le religioni monoteistiche, con la consueta omissione delle componenti evangelica ed ortodossa. Ci colpisce però che questo avvenga anche nell’ambito di una manifestazione sulla libertà religiosa e nel momento in cui è in funzione nella Regione Toscana una consulta per il dialogo interreligioso a cui partecipano una grande pluralità di confessioni e movimenti.
Riteniamo che una discussione sul tema della libertà religiosa in Italia dovrebbe includere anche, e forse soprattutto, le confessioni cristiane di minoranza, di cui la componente evangelica per storia religiosa e tradizione e culturale non è certamente parte ininfluente, non fosse altro per quella data del 17 febbraio 1848, l’emancipazione dei valdesi, momento di partenza di un lungo cammino verso l’effettivo godimento del diritto di libertà religiosa nella nostra amata Italia, e per il fatto che ben 5 delle 6 intese sin qui trasformate in legge in adempimento dell’articolo 8, comma 3, della Costituzione, riguardino confessioni evangeliche.
Per i motivi sopraindicati abbiamo convenuto di non partecipare al XI meeting sui diritti umani organizzato dalla Regione Toscana e dedicato alla libertà religiosa.
Siamo certi che Lei comprenderà le ragioni della nostra assenza ma anche lo spirito costruttivo con cui le abbiamo espresso questo nostro pensiero, che non muta in nulla il nostro giudizio estremamente positivo nei confronti dell’iniziativa, degli organizzatori e suoi in particolare. Cordialmente
Per il Consiglio dei pastori di Firenze:
Past. Giuliano Giorgi, presidente Chiesa apostolica in Italia
Past. Pawel Gajewski Chiesa evangelica valdese
Eliseo Longo Chiesa Cristiana dei Fratelli
Dr. Tiziano Rimoldi Chiesa Cristiana Avventista
Leggi anche il commento di Roberto Davide Papini (PDF) pubblicato sulla Nazione del 9 Dicembre.
di Valdo Spini
Sono le otto intese firmate appunto il 4 aprile dal Governo Prodi. Alcune di grande rilievo. Si tratta di intese già firmate dai governi precedenti, che venivano ripresentate alla firma della Presidenza del Consiglio, previo eventuale aggiornamento del testo, ove necessario. Queste otto intese non sono però ancora state a tuttoggi presentate dal Governo stesso alla prescritta approvazione del Parlamento nella forma di disegni di legge. Sono rimaste cioè a Palazzo Chigi. Si riferisce che vi sono problemi di copertura. Speriamo che per risolverli non si aspetti l’approvazione della finanziaria, perché altrimenti, a parte le turbolenze politiche, su andrebbe al 2008, e, più passa il tempo, più le cose si fanno difficili. Questo per quanto riguarda l’attuazione dell’art. 8 della Costituzione.
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Confessione religiosa |
Data firma intesa |
4 aprile 2007 |
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Unione delle Chiese Cristiane Avventiste del 7° giorno(modifica) |
4 aprile 2007 |
4 aprile 2007 |
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4 aprile 2007 |
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4 aprile 2007 |
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Sacra Arcidiocesi d'Italia ed Esarcato per l'Europa meridionale |
4 aprile 2007 |
4 aprile 2007 |
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4 aprile 2007 |
Per quanto attiene invece all’approvazione di una legge generale sulla libertà religiosa (impegno prima di Domenico Maselli e, successivamente, di chi scrive), per l’ applicazione della Costituzione verso tutte le confessioni che non hanno né intese, né concordato, col relativo superamento della legislazione sui culti ammessi, siamo di nuovo fermi. Dopo che, il 4 luglio scorso, il relatore, l’onorevole Zaccaria, ha predisposto e fatto approvare come testo base il suo testo “unificato”, si è svolto un secondo ciclo di audizioni delle confessioni religiose interessate. Esso ha visto una posizione più critica della Conferenza Episcopale Italiana cattolica, rispetto a quella che si era verificata sui testi di partenza, probabilmente da attribuire alla esplicita menzione del principio di laicità dello stato che Zaccaria ha introdotto nel suo testo. Ha detto infatti il segretario della CEI, mons. Betori nella sua audizione del 16 luglio: “suscita anzitutto sorpresa e contrarietà l'introduzione del principio di laicità, addirittura quale fondamento della legge sulla libertà religiosa, e la correlata disposizione secondo cui a tale principio è data attuazione nelle leggi della Repubblica (come reca l'articolo 1, comma 2, del testo base).”(Si ricorderà che il principio della laicità dello stato è stato affermato in una sentenza della Corte Costituzionale).
Di fatto sono stati poi presentati un migliaio (!) circa di emendamenti, in prevalenza dalle opposizioni di centro-destra e tutto si è fermato. Il governo, si ricorderà, aveva parlato di presentare un suo testo, ma poi non se ne è fatto di niente, probabilmente, perché, essendosi ormai avviato il cammino della legge, si è riservato di intervenire eventualmente con emendamenti durante il cammino parlamentare. Il tema è di grande rilievo etico ed è poi particolarmente scottante, ma anche urgente, perché darebbe una disciplina generale ai rapporti col mondo musulmano.
Come si vede la stessa politica di attuazione della Costituzione nel campo dei rapporti stato-chiese segna il passo. Di fatto la maggioranza di centro-sinistra, aldilà delle buone intenzioni, non si sta mostrando decisa e compatta negli obiettivi e negli strumenti per conseguirli. Un anno di legislatura è abbondantemente passato senza che le iniziative prese si siano concretizzate in leggi approvate.
Questi temi erano peraltro abbondantemente compresi nel programma dell’unione. Si può quindi chiedere al governo e alla sua maggioranza di svegliarsi? Credo proprio di sì. È un invito valido in tutti i casi. Se il governo dovesse malauguratamente cadere è bene che abbia fatto quello che deve fare ed avere quindi le sue carte in regola in questa delicata materia. Se invece, come personalmente mi auguro, il governo e la legislatura andranno avanti, si sarà in grado di portare effettivamente all’approvazione questi determinanti e significativi impegni e per dimostrare che lo stato italiano non rinuncia ad attuare la Costituzione nei apporti tra stato e chiese e quindi ad affermare la sua autonomia.
Nel frattempo, in sede di discussione del decreto finanziario al senato, è avvenuto che un emendamento presentato dai senatori della neonata Costituente Socialista, per la destinazione ad un piano di edilizia popolare di mezzo miliardo attinto dalla quota dell’8 per mille non attribuito ad alcuna confessione religiosa, sia stato dichiarato pudicamente inammissibile e quindi non sottoposto a votazione. È proprio vero che se lo stato si fa pecora, lupo se lo mangia!
In tale contesto, la presentazione, prima del prossimo17 febbraio, di una proposta di legge per trasformare questa ricorrenza in giornata nazionale per la libertà di religione e di coscienza si conferma quanto mai opportuna.
Tratto da Diaspora Dicembre 2007
Roma, 5 dicembre 2007 (NEV-CS107)
"Finalmente il governo si è preso l'impegno di trovare i fondi necessari per la copertura finanziaria dei disegni di legge sulle otto Intese - due modifiche e sei nuove - firmate lo scorso 4 aprile dalla Presidenza del Consiglio".
Lo ha dichiarato l'on. Valdo Spini (gruppo misto), valdese, al termine della sua interpellanza svoltasi oggi alla Camera dei Deputati. Spini, tuttavia, si è detto solo parzialmente soddisfatto e ha invitato il governo, nel caso chiedesse la fiducia sulla legge finanziaria per l’anno 2008, di stare bene attento a che nel testo sia trascritto questo preciso impegno".
Le bozze d'Intesa già approvate dal Consiglio dei ministri riguardano: la Congregazione cristiana dei Testimoni di Geova, la Chiesa Apostolica in Italia, la Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli ultimi giorni, la Sacra arcidiocesi ortodossa d’Italia, l'Unione induista italiana e l'Unione buddista italiana. Inoltre ci sono due modifiche a Intese già esistenti che riguardano la Chiesa evangelica valdese (Unione delle chiese metodiste e valdesi), che consentirà di accedere anche alle quote non espresse dai contribuenti dell’otto per mille dell’Irpef, e l'Unione italiana delle Chiese cristiane avventiste, per il riconoscimento dei titoli di studio rilasciati dall'Istituto di cultura biblica avventista di Firenze.
Spini si è detto "sorpreso" del fatto che le Intese con le suddette confessioni religiose, pur firmate otto mesi fa, non siano ancora state tradotte in disegni di legge, come invece stabilito a norma dell'art. 8 della Costituzione italiana.
Ad assicurare la copertura finanziaria necessaria ai disegni di legge è stata Rosa Rinaldi, sottosegretaria al Ministero del lavoro e della previdenza sociale, precisando che sono state reperite le risorse in un fondo di accantonamento per la finanziaria 2008, e che subito dopo la sua approvazione sarà possibile riprendere l'iter parlamentare delle Intese già siglate.
Editoriale del pastore Luca Baratto pubblicato sul numero 46 di NEV-Notizie evangeliche. L'autore, curatore del programma di Radiouno “Culto Evangelico”, prendendo spunto dalle ultime dichiarazioni del cardinale Roger Etchegaray, riflette sul celibato ecclesiastico e spiega i motivi che hanno spinto la Riforma protestante del XVI secolo ad abbandonare tale pratica. Con una domanda finale sulla compatibilità o meno tra l'attuale concezione cattolica del sacerdozio ordinato e l'abolizione del celibato dei preti.
Le parole del cardinale Roger Etchegaray sulla possibilità di ordinare dei preti sposati riaprono, a poco più di un anno dalle analoghe affermazioni del cardinale Hummes, la questione più ampia del celibato ecclesiastico. Un dibattito che, da un lato, seguo sentendomi un osservatore esterno, perché l'argomento riguarda una chiesa alla quale non appartengo; dall'altro, rievoca uno dei termini della polemica confessionale tra cattolici e protestanti.
Da ragazzo (non molti anni fa), ho ancora fatto in tempo ad avere tra le mani quei pessimi libelli polemici che riducevano l'intera esperienza di Martin Lutero al suo matrimonio con Katharina von Bora: come a suggerire che la protesta del monaco tedesco fosse nata dalla sua bramosia sessuale. Altri tempi, altri libri, altri autori. Oggi la figura di un pastore protestante sposato non fa scalpore, mentre a fare notizia è anche la più debole affermazione sul celibato dei preti.
Il celibato ecclesiastico non nasce con il cristianesimo ma si sviluppa al suo interno come regola della chiesa cristiana occidentale. Una disciplina dalla quale la Riforma protestante del XVI secolo decise di allontanarsi, soprattutto per due motivi.
Il primo ha a che fare con la testimonianza biblica, sulla cui autorità il protestantesimo ha inteso riformare la chiesa. Secondo la testimonianza delle Scritture il celibato, infatti, non è un valore. Nell'Antico Testamento il matrimonio è un dono che riguarda tutto il popolo di Dio: ci sono sacerdoti, mogli di sacerdoti e, soprattutto, figli e figlie di sacerdoti: la più grande delle benedizioni è infatti avere una progenie a cui testimoniare le grandi cose che il Signore ha fatto. Nel Nuovo Testamento vengono citate le mogli degli apostoli (1 Corinzi 9:5) e dei vescovi (Tito 1:5-7) che, è specificato, per la loro reputazione è meglio che abbiano una sola sposa (1 Timoteo 3:1-6). Insomma, l'imposizione del celibato non trova fondamento nella testimonianza biblica.
C'è però una seconda e più ampia ragione che ha spinto i Riformatori ad ammettere il matrimonio dei pastori: una diversa valutazione del mondo secolare. La vocazione cristiana secondo il protestantesimo può essere vissuta soltanto nel mondo secolare: non esistono né luoghi appartati come i monasteri, né condizioni particolari come il sacerdozio, nei quali vivere una fedeltà maggiore di quella che ti consente la vita di tutti i giorni. Per questo la Riforma chiuse i primi e abolì, con l'idea del sacerdozio universale, la distinzione tra clero e laicato.
Un pastore si distingue dai membri di chiesa per i doni ricevuti dal Signore, per la preparazione teologica che ha, ma è un laico come tutti gli altri che è chiamato ad esprimere la sua vocazione nella vita di tutti i giorni, accompagnando la sua comunità, e condividendo con essa tutti quei doni che il Signore elargisce: tra questi, il matrimonio, con le responsabilità che esso comporta – la famiglia. In positivo, l'avere famiglia ha sicuramente contribuito a radicare la predicazione dei pastori tanto nelle Scritture quanto nell'esperienza e nei problemi quotidiani; a comprendere la sessualità in termini più positivi; a seguire la complessità dei cambiamenti della società, i diritti di uomini e donne nella società e nella chiesa, tanto che oggi non ci sono solo i pastori e le loro mogli, ma anche le pastore con i loro mariti.
E' per questa visione delle cose che, nella discussione sul celibato ecclesiastico, non posso non provare simpatia per i preti sposati e quanti vivono con dolore il conflitto tra la propria vocazione al servizio del Signore e quella a formarsi una famiglia. Certo mi rendo anche conto che parlare di celibato ecclesiastico apre anche questioni che non si risolvono nell'ambito delle scelte personali o nelle leggi, sempre emendabili, della chiesa cattolica. In campo c'è anche la discussione sul concetto di sacerdozio ordinato che nei rapporti tra cattolici e protestanti è la questione delle questioni. Tanto che la domanda cruciale – che non è retorica perché sono realmente interessato ad una risposta qualificata – mi sembra questa: se l'abolizione del celibato ecclesiastico sia compatibile con l'attuale concezione del sacerdozio ordinato. Forse una risposta a questo quesito ci potrebbe dare l'idea di quanto tempo dovrà passare perché un prete sposato possa ritrovare il suo posto nella chiesa di Roma.
pastore Luca Baratto
di Giuseppe Platone, direttore del settimanale Riforma
Tra poco s’inaugura a Torino (22-24 ottobre) la «Fiera internazionale dei diritti e delle pari opportunità». Quindi per tre giorni, in Italia, si concentrerà il dibattito internazionale sui diritti per il superamento di tutte le forme di discriminazione indicate dall’Unione europea e basate sul genere, l’orientamento sessuale, l’origine etnica, la religione e le convinzioni personali, l’età e le disabilità.
La nostra Commissione sinodale per la diaconia sarà presente a questo importante evento denominato Melting Box con un proprio stand, materiale di informazione e disponibilità al dialogo in una manifestazione che valorizza le differenze. Uno dei dibattiti preliminari alla stessa Fiera dei diritti ha affrontato il tema della persecuzione dei cristiani nel mondo.
Un confronto che ha preceduto di poco l’assassinio a Gaza di Rami Ayyad, giovane evangelico battista, gestore della libreria della Società biblica palestinese: un delitto che ci rende attenti al problema della persecuzione contro le minoranze religiose.
I dati internazionali sono preoccupanti. In molte regioni dell’Asia si registrano gravissime violazioni nei confronti della libertà religiosa. In India, per fare un solo esempio, l’attività missionaria cristiana è oggetto di violenza sistematica che giunge sino all’omicidio, come nel caso del sacerdote cattolico don Agnos Bara e del pastore protestante Gilbert Raj. Anche in Cina le direttive del Partito impongono la carcerazione per cattolici e protestanti non sottomessi allo Stato, mentre continuano a funzionare a pieno ritmo i campi di concentramento e di tortura per Falun Gong e induisti tibetani (fonte: Asia News). L’Algeria nel 2006 ha approvato una legge che punisce le conversioni all’Islam. In Iraq i cristiani sono il 4% della popolazione e costituiscono – afferma il Consiglio ecumenico delle chiese – il 40% dei rifugiati.
La Fiera internazionale dei diritti ha impostato il dibattito sulla persecuzione dei cristiani sostenendo che «garantire la libertà religiosa è la condizione per far maturare democrazia e sviluppo economico». Il nostro giornale è stato invitato a tale confronto. Abbiamo accettato sia come cittadini – perché il superamento delle discriminazioni fondate sulle convinzioni religiose è uno degli ambiti di discriminazione sui quali l’Unione europea oggi ci invita a riflettere e agire – sia come credenti: perché dialogo, confronto, parità nella reciprocità, stabilire ponti è costitutivo dell’ethos protestante.
Ma ci pare altrettanto giusto osservare che, proprio perché siamo contrari a ogni forma di discriminazione sul piano religioso internazionale, urge far ordine anche in casa nostra. Nel maggio del 2002 Riforma pubblicava e commentava il «Disegno di legge sulla libertà religiosa». Cinque anni dopo quel disegno, ulteriormente migliorato, giace ancora nei cassetti del Parlamento. Si tratta di una proposta che sottolinea il carattere laico dello Stato e quello pubblico della scuola e prospetta un atteggiamento paritario dello stato nei confronti delle religioni.
La discriminazione tra maggioranza e minoranze religiose c’è anche qui. Meno drammatica che altrove ma altrettanto condizionante.
Quanti anni dovremo ancora aspettare?
Tratto da Riforma del 19 ottobre 2007
Aung San Suu Kyi si ispira alla lotta non violenta di Gandhi e Martin Luther King.
Leggi l'articolo di Erberto F. Lo Bue su Riforma
Il
Sinodo valdese e metodista riafferma il suo essere chiesa a tutti gli
effetti e il suo instancabile impegno a favore del movimento
ecumenico.
Il Sinodo delle chiese valdesi e metodiste, riunito dal 26 al 31
Agosto a Torre Pellice (TO) preoccupato per gli ultimi documenti
vaticani, in particolare quelli riferiti alla reintroduzione della
messa in latino di Pio V, anti-protestante nei suoi contenuti
teologici, e alla riaffermazione della chiesa cattolica come unica ed
autentica chiesa di Cristo, ha voluto invitare i propri membri di
chiesa a non disertare il movimento ecumenico. Nonostante nei due
recenti documenti vaticani soffi "uno spirito che è più quello della
Controriforma che quello che animò il Concilio Vaticano II",
l'impegno ecumenico va, secondo il Sinodo, rinnovato e intensificato.
Ecco il testo dell'ordine del giorno del 31 Agosto 2007
L'ODG SULL'ECUMENISMO
Noi membri componenti il Sinodo della Chiesa evangelica valdese, Unione delle Chiese metodiste e valdesi in Italia,
- considerando la situazione ecumenica creatasi a seguito del recente motu proprio intitolato Summorum Pontificum di Benedetto XVI che ha ridato spazio alla messa in latino secondo il messale romano di Pio V (1570), caratterizzato dalla negazione di tutto ciò che la Riforma aveva affermato sul piano del rinnovamento del culto pubblico cristiano, e del documento intitolato Risposte a quesiti riguardanti alcuni aspetti circa la dottrina della chiesa, datato 29 giugno 2007 dalla Congregazione per la Dottrina della fede nel quale, tra le altre cose, si afferma che l’unica Chiesa di Cristo "sussiste esclusivamente nella sola Chiesa Cattolica" romana e che le chiese nate dalla Riforma del XVI secolo "non possono, secondo la dottrina cattolica, essere chiamate chiese 'in senso proprio' ",
- constatando che in questi due documenti vaticani soffia uno spirito che è più quello della Controriforma che quello che animò il Concilio Vaticano II nelle sue spinte e decisioni riformatrici,
- ringraziamo Dio per avere chiamato le nostre chiese a esistere e a sussistere per servirlo e testimoniarlo, per aver messo nel nostro cuore la certezza di esser parte della Chiesa una, santa, cattolica, apostolica, nella quale Cristo per pura misericordia ci accoglie, giustifica e santifica, e per averci resi consapevoli che questa appartenenza dipende solo dalla Parola di Dio, cioè dalla promessa di Cristo che dice: "dovunque due o tre sono riuniti nel mio nome, quivi sono io in mezzo a loro" (Mat. 18,20);
- ringraziamo Dio per aver suscitato da più di un secolo il movimento ecumenico, che è stato e resta per noi una grande scuola di umiltà e fraternità vissuta, e per aver suscitato anche per le nostre chiese in Italia rapporti amichevoli e fraterni con tanti cattolici - singole persone, gruppi, movimenti, comunità, parrocchie - che costituiscono ormai una realtà, certo ancora minoritaria, ma tanto più preziosa, vissuta insieme nella condivisione degli aspetti fondamentali della fede cristiana, nell’ascolto comune della Parola di Dio e nella tensione verso una reciproca accoglienza alla Mensa del Signore;
- ringraziamo Dio per averci liberato da otto secoli come valdesi e da cinque come protestanti dalla sudditanza al Pontefice romano, che noi riconosciamo come fratello in Cristo, ma non come maestro di fede, tanto più dovendo constatare ancora una volta che il papato e la curia romana sono oggi, come già nel XVI secolo, un ostacolo all’unità cristiana;
- invitiamo le Chiese valdesi e metodiste a non disertare oggi il
movimento ecumenico e a non ridurre il loro impegno ecumenico ma anzi
ad intensificarlo e rinnovarlo dovunque sia possibile, manifestando
nel contempo con serenità e fermezza questa nostra presa di
posizione.
Lo dice il Sinodo delle chiese valdesi e metdiste, riunito a Torre
Pellice (TO) dal 26 al 31 agosto, a proposito della recente ordinanza
ministeriale del ministro Fioroni.
Il Sinodo "denuncia la discriminazione" di cui sono oggetto gli studenti delle scuole superiori che non si avvalgono dell'insegnamento della religione cattolica (IRC). La denuncia è da imputarsi alla recente ordinanza del ministro della Pubblica Istruzione Giuseppe Fioroni, la quale attribuisce il "credito scolastico" agli studenti che seguono l’ora di religione cattolica anche in sede di scrutini finali e quindi sul voto di diploma di maturità.
Per il Sinodo si tratta di un "sistema premiale" volto a fronteggiare il "drastico calo" nella scelta di avvalersi dell'IRC: una "misura discriminatoria nei confronti degli studenti che scelgono di non avvalersi dell'IRC".
Il Sinodo ha inoltre ribadito "l'urgenza di istituire nella scuola di stato, e sotto la sua piena responsabilità, un insegnamento non confessionale del fatto religioso rivolto a tutti gli studenti".
Accogliendo la richiesta di sospensiva dei punti 13 e 14 dell'articolo 8 dell'ordinanza ministeriale 26 del 15 marzo 2007, presentata da numerose associazioni laiche e confessioni religiose, tra cui la Tavola valdese, il TAR del Lazio aveva stabilito che l'insegnamento della religione rimane "una materia extracurriculare" che non può concorrere a formare credito scolastico. "Sul piano didattico – si legge infatti nella sospensiva del TAR n. 2408/07 - l'insegnamento della religione non può, a nessun titolo, concorrere alla formazione del 'credito scolastico' di cui all'art. 11 del D.P.R. n. 323/1998, per gli esami di maturità, che darebbe postumamente luogo ad una disparità di trattamento con gli studenti che non seguono né l'insegnamento religioso e né usufruiscono di attività sostitutive". Il 29 maggio il ministro Fioroni faceva ricorso al Consiglio di Stato contro la suddetta sospensiva, ricorso che è stato prontamente accolto. Ora si attende il giudizio di terzo livello da parte della Corte di Cassazione.
A cura dell'Agenzia NEV -
Notizie evangeliche del 30 agosto 2007
Il tema della libertà e del pluralismo religioso è da tempo messo
al centro dell'impegno della chiesa valdese e di molte chiese
evangeliche.
La chiesa evangelica valdese di Firenze è sempre stata impegnata a
promuovere e partecipare ad inziative ed incontri, di carattere
culturale, sociale e religioso, aventi al centro il confronto non
solo in ambito cristiano ma anche con il mondo ebraico e quello
islamico (incontri interreligiosi in Via Spaventa, Consulta per il
dialogo interreligioso e la pace tra le culture, promossa dalla
Regione Toscana, Conferenza permanente per il dialogo tra le
confessioni religiose promossa dalla commissione cultura del Comune
di Firenze, Amcizia ebraico-cristiana, settimana di preghiera per
l'unità dei cristiani) vedi Ecumenismo .
Si tratta di un tema che non ha confini e che, al di là dei pur
importantissimi riferimenti generali, deve essere declinato e difeso
soprattutto di fronte ai casi concreti. Testimonianza di questa
sensibilità è la posizione espressa dall'assembla della chiesa
attraverso l'ordine del
giorno approvato lo scorso 21 Febbraio a fronte degli episodi di
intolleranza verso la comunità islamica di Colle Val d’Elsa per
la costruzione della Moschea.
L'attualità ci offre purtroppo un'occasione molto importante e simbolica per riflettere. Si tratta del caso di Mohamed Hegazi, un venticinquenne egiziano che si è convertito dall'Islam al cristianesimo e che rischia la morte perché vuole ufficializzare la sua scelta di fede. Al Azhar, massima autorità sunnita d'Egitto, lo ha definito ''apostata che merita di essere ucciso, tanto più per essersi vantato e felicitato di avere lasciato l'Islam facendosi fotografare con la moglie vicino al Vangelo''. Su questo caso si legga l'articolo di Magdi Allam pubblicato dal Corriere della Sera il 20 Agosto.
Occorre riaffermare con forza il diritto di ognuno e in ogni luogo di professare la sua fede religiosa non solo in Italia, ma anche nel resto del mondo compresi i paesi a maggioranza islamica. Dal mese di settembre, con la ripresa delle attività, sarà nostro impegno riprendere il confronto sui temi della libertà, del pluralismo religioso e della reciprocità nel rispetto dei diritti fondamentali di ogni essere umano.
Firenze, 22 Agosto 2007
Intervento di Gabriele De Cecco membro del concistoro della Chiesa Valdese di Firenze
Se prendiamo il significato di laicità come aspirazione dell'uomo a rendere autonomi il proprio pensiero e la propria attività dall'ingerenza dell'autorità religiosa, la questione che si pone per il cittadino è il problema politico dell'adeguatezza dello Stato. Dal punto di vista del credente si aggiunge la questione dell'adeguatezza dell'autorità religiosa.
Una questione che si fa difficile se l'autorità religiosa trova la sua ragion d'essere nella gestione del sacro, cioè di quella lontananza e quel mistero che permettono, a chi si sente dentro o comunque più vicino al recinto del sacro, il monopolio della interpretazione della volontà divina e dei fondamenti etici.
Dal punto di vista del Cristiano il problema sembrerebbe molto semplice (nonostante i pessimi esempi). Cristo è Dio che elimina le lontananze e si incarna, che annuncia la Grazia come alternativa alla costruzione delle torri di babele religiose, che delegittima il percorso stesso dell'autorità religiosa (la Legge è PER l'uomo), che non viene per i giusti né a rispondere alle domande religiose dei Farisei, che sceglie una Samaritana per annunciare la fine dei luoghi di culto certificati, che con la sua morte squarcia la cortina del tempio (quella tenda oltre la quale c'era il luogo sacro, del rapporto ravvicinato con Dio, riservato all'autorità religiosa).
Insomma, se Cristo è “la via, la verità e la vita”, è accaduto, per decisione di Dio (un Dio che si relaziona con l'uomo e cambia queste sue modalità di relazione), che la chiesa non può essere altro che comunità di uomini equidistanti da Dio. Questa chiesa non ha altri mediatori e capi che Cristo, non ha in tasca la verità, non ha nulla da imporre e nulla da chiedere. Questa chiesa non giudica, ma chiama a responsabilità. Questa chiesa sa che non da lei, ma dalla misericordia di Dio, deriva la dignità del pensiero e delle attività umane, fino alla possibilità che può essere loro donata di diventare “parabole” del Regno che viene (vedi il pensiero e l'azione del tutto autonomi e “laici” del buon samaritano).
Allora perché noi cristiani rischiamo così spesso di sentirci sotto un giogo che non c'è più? Soprattutto, viene da dire, perché questo giogo lo facciamo così spesso portare ad altri?
Ho intitolato il mio intervento “fede e coscienza falsificante” Dire “falsa coscienza” mi sembrava ad un tempo poter suonare troppo offensivo e rivelarsi invece troppo poco significativo. Quello che si insinua in noi, a detrimento della fede, è una coscienza della realtà che agisce per progressive falsificazioni. Non è falsa perché un “grande vecchio” ci manovra (o almeno non parliamo qui dei grandi vecchi che manovrano), non è falsa perché siamo disonesti (o almeno non parliamo qui dei disonesti). E' falsificante perché allontana e rende misteriosa la realtà, attraverso un processo di sacralizzazione, che ha aspetti attinenti la nostra psiche e la nostra organizzazione sociale. Difficile dire dove finisca l' uno e dove inizi l'alto di questi aspetti, e comunque è un altro discorso. Facile, invece, dire che si tratta di un succedaneo della “sacralizzazione” che non trova alcun fondamento biblico.
E siccome noi Protestanti saremmo nati per riportare ciascuno alla lettura diretta dei testi biblici (con scarsa fortuna in Italia, anche ora che la Bibbia riposa liberamente nelle mensole di ogni casa), chiudo leggendone uno che mi ha fatto spesso riflettere a proposito del tema che stiamo trattando.
Isaia capitolo 44, vv. 12-19. Si tratta del cosiddetto 2° Isaia, che risale a circa 2550 anni fa... e sembra scritto questa mattina nella cronaca politica di qualche giornale impertinente. (lettura)
Quello che trovo specifico di questo testo è il tentativo di riportare l'uomo dalla sacralizzazione falsificante alla coscienza laica della realtà (certo per poi proporre una fede, ma evidentemente, una fede che ha proprio bisogno di ripartire dalla riconquista dell' autonomia di pensiero e di azione! Direi della riconquista della dignità dell'uomo in quanto tale)
Nessuno ha conoscimento ed intelletto per riconoscere che si sta inchinando al prodotto del proprio lavoro, alla somma del proprio sapere, e aggiungo io... ai risultati sempre parziali e storici delle proprie costruzioni sociali, delle proprie riflessioni etiche (e religiose!), delle autorità di ogni genere che si è scelto o, più spesso, che gli hanno affibbiato... quando affaticato e spossato, non è riuscito a rientrare in se stesso (a riappropriarsi di se stesso) e si è prostrato per cercare una improbabile salvezza al di fuori di un percorso di dignità e liberazione.
Presentato a Roma dalla "Consulta giovanile per il pluralismo religioso" un documento contro ogni violenza e le immagini stereotipate nei media, per l’autodeterminazione e il superamento delle discriminazioni sul lavoro
"Donna e società" è il tema del primo documento della "Consulta giovanile per il pluralismo religioso e culturale", presentato a Roma, presso il Ministero per le politiche giovanili, alla presenza dei ministri Giuliano Amato, Giovanna Melandri e Barbara Pollastrini. In rappresentanza del mondo evangelico erano presenti Laura Casorio, segretaria esecutiva della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI), Greetje Van der Veer, presidente della Federazione delle donne evangeliche in Italia (FDEI), e Dora Bognandi, dell'Unione italiana delle chiese cristiane avventiste del settimo giorno (UICCA).
La dichiarazione, che è divisa in tre parti ("Donne vittime della violenza", "Donne, famiglia, maternità e lavoro" e "Donne e immagine"), sostiene la lotta contro ogni forma di violenza verso le donne, il valore dell’autodeterminazione, il superamento delle discriminazioni sul lavoro e il rifiuto dell’immagine stereotipata della donna prevalente nei media.
A nome della Consulta hanno parlato Ilaria Valenzi, vice-segretaria della Federazione giovanile evangelica italiana (FGEI), e Osama Al Saghir, presidente dei Giovani musulmani d'Italia (GMI). Ilaria Valenzi ha sottolineato "la modalità partecipata di stesura della dichiarazione, che dà conto delle specificità di approccio religioso e culturale e del reciproco riconoscimento in dignità e autorevolezza dei personali vissuti. È necessario partire da un modello di cittadinanza solidale che valorizzi le diversità, da un modello di società inclusiva in cui prendersi cura dell’altro e dell’altra e dal sostegno alla progettualità delle donne, migranti e non, capace di sfidare la solitudine e il silenzio sociale".
Il ministro Giovanna Melandri ha espresso "soddisfazione e gratitudine" per questo primo risultato della Consulta e si è detta colpita "dall'entusiasmo e dall'amicizia nata tra i membri della Consulta, segno dell'ottimismo dei giovani e speranza per il nostro paese".
Il ministro Barbara Pollastrini ha sottoscritto il documento perché è "ispirato ai valori della nostra Costituzione, della Carta europea e del pensiero laico e liberale che mette al centro il valore della persona nella sua libertà e responsabilità". Rivolgendosi ai membri della Consulta, il ministro Giuliano Amato ha dichiarato: "Non è detto che il vostro lavoro riesca a raggiungere la cronaca, perché spesso questo è prerogativa di chi urla e propugna lo scontro di civiltà, ma noi speriamo in voi perché avete dimostrato che le religioni possono essere uno strumento di riconoscimento dei diritti della persona".
La "Consulta giovanile per il pluralismo religioso e culturale", istituita a gennaio presso il Ministero per le politiche giovanili e le attività sportive su iniziativa dei ministri Giuliano Amato e Giovanna Melandri, è composta da quindici giovani rappresentanti delle fedi cattolica, ortodossa, protestante, ebraica, musulmana e buddista Soka Gakkai. Il documento "Donna e società" sarà pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale. Per ulteriori informazioni sulla Consulta e il testo della dichiarazione visita il sito del Ministro per le Politiche Giovanili e le Attività Sportive.
Tratto dal comunicato NEV - Notizie evangeliche del 18 luglio 2007
26 Settembre 2007 incontro in ricordo di Loretta Montemaggi
Il Consiglio Regionale della Toscana in collaborazione con l'Istituto Gramsci Toscano
organizza un incontro per ricordare la figura di Loretta Montemaggi, esponente di spicco delle istituzioni e della società civile e politica della Toscana, scomparsa lo scorso gennaio .
Nel corso del convegno sarà anche annunciata ufficialmente l'istituzione del Premio Loretta Montemaggi (leggi il bando) per una ricerca inedita sui temi della laicità dello stato e dei diritti civili
Regioni, diritti, laicità dello Stato
Giornata in ricordo di Loretta Montemaggi
Mercoledì 26 settembre 2007, ore 15.30, Sala del Gonfalone Consiglio Regionale, Firenze, via Cavour 4
Programma:
Saluto
Riccardo Nencini Presidente del Consiglio regionale della Toscana
Introduce e coordina
Mario Caciagli Presidente Istituto Gramsci Toscano
Interventi:
Laura Balbo Università di Padova, Donne in politica, la fase che si apre: nuovi processi, resistenze, "effetto eco"
Elena Paciotti Presidente Fondazione Basso, Laicità e istituzioni
Giovanni Tarli Barbieri Università di Firenze, La regione 'motore' dell'innovazione istituzionale
partecipa all'incontro
l'on. Riccardo Migliori
Il Consiglio Regionale della Toscana, in collaborazione con il Gruppo Laicità e Diritti Civili dell’ Istituto Gramsci Toscano, ha bandito la prima edizione del Premio LorettaMontemaggiper ricordare l’impegno di Loretta Montemaggi, esponente di spicco delle istituzioni regionali e della società civile e politica della Toscana.
Il premio sarà attribuito ad una ricerca inedita con contenuto
storico, giuridico, filosofico,sociologico su argomenti riguardanti
la laicità dello stato ed i diritti civili nelle società
contemporanee.
[scarica il bando in pdf]
“L’affermazione che la legge sulla libertà religiosa trova il suo fondamento nel principio di laicità dello Stato va sostenuta senza alcuna incertezza”. Lo ha dichiarato il pastore Domenico Maselli, presidente della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI), al termine dell’audizione avvenuta questo pomeriggio presso la I Commissione affari costituzionali della Camera dei deputati sulla bozza di Testo unico per la libertà religiosa, presentata dal relatore on. Roberto Zaccaria. A differenza di quanto affermato questa mattina da mons. Giuseppe Betori, presidente della Conferenza episcopale italiana (CEI), che aveva espresso “sorpresa e contrarietà” per l’introduzione, al comma 2 dell’articolo 1 del Testo unico, del principio di laicità quale fondamento della normativa, Maselli ha ribadito come “solo uno Stato laico può garantire un’autentica libertà per tutte le comunità di fede. Per questo la laicità dello Stato è per noi evangelici garanzia fondamentale della stessa libertà religiosa”.
Più in generale, Maselli e gli altri rappresentanti evangelici presenti all’audizione hanno espresso un giudizio complessivamente positivo del Testo, “per certi aspetti migliore di quelli presentati nelle precedenti legislature dal governo”. “Si nota – ha precisato il presidente della FCEI - la volontà di deburocratizzare le norme per l’acquisizione dei vari diritti. Particolarmente positivo appare l’articolo 9 che riguarda le scuole pubbliche e paritarie e l’articolo 11 che prevede spazi adeguati di trasmissione per le singole confessioni nel servizio pubblico radiotelevisivo”.
Oltre a Maselli, che in quest’occasione rappresentava anche la Tavola valdese e il decanato della Chiesa evangelica luterana in Italia (CELI), erano presenti, da parte evangelica, Domenico Tomasetto per l’Unione cristiana evangelica battista d'Italia (UCEBI); Dora Bognandi per l'Unione italiana delle chiese cristiane avventiste del 7° giorno (UICCA); Roberto Giannini per la Chiesa apostolica in Italia; Felice Loria per le Assemblee di Dio in Italia (ADI).
Roma, 16 luglio 2007 Tratto da NEV - Notizie Evangeliche
di Giuseppe Platone
Appena approvato il nuovo testo sulla libertà religiosa è già squalificato dalla stampa cattolica
Mercoledì 4 luglio è stato adottato a maggioranza dalla Commissione Affari Costituzionali della Camera il nuovo testo della proposta di legge sulla libertà religiosa. Soddisfazione è stata espressa da parte di Domenico Maselli, presidente della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (Fcei), il quale ha affermato che si tratta di un testo abbastanza soddisfacente e senz’altro migliore di quelli presentati dai governi precedenti. L’on. Valdo Spini, attraverso il suo gruppo parlamentare, «Sinistra democratica per il socialismo europeo», ha chiesto che l’argomento della libertà religiosa venga calendarizzato nell’aula di Montecitorio per il prossimo settembre. Sul significato e sull’approvazione a maggioranza, da parte della Commissione affari costituzionali, del nuovo disegno di legge e sull’iter del provvedimento abbiamo chiesto a Spini un commento.
«Purtroppo, l’approvazione è avvenuta come si diceva a maggioranza, il che naturalmente non fa presagire un iter né facile, né semplice. Tra i nuovi punti del testo, vi è l’esplicita affermazione della laicità dello Stato, la proibizione di abbigliamenti religiosi che non consentano l’identificazione della persona, il tema della scuola e quello del servizio pubblico radio-televisivo. In questo senso il testo merita forte apprezzamento e, pur con la necessità di precisare meglio questo o quel punto, un netto sostegno. Ora in commissione Affari Costituzionali verrà dato un termine per la presentazione degli emendamenti e si procederà quindi all’approvazione formale, in sede referente, degli articoli del testo. Si può quindi presumere che nel luglio la Commissione terminerà i suoi lavori e che quindi la data di settembre per l’esame in aula risulti realistica.
La previsione che l’iter del provvedimento non sarà né facile né semplice, visto tra l’altro che al Senato la maggioranza è piuttosto precaria, credo che comporti – ha aggiunto Valdo Spini – anche a livello ecumenico una mobilitazione degli ambienti interessati dal punto di vista dell’informazione sul provvedimento e per la sottolineatura del suo grande significato etico e politico. La legge sulla libertà religiosa permetterebbe infatti il completamento dell’attuazione della Costituzione in materia di rapporti tra Stato e Chiese».
Intanto che cosa ne è della proposta di fare del 17 febbraio la «Giornata della libertà di coscienza, di religione, di pensiero»? «Il completamento dell’attività della Commissione affari costituzionali su questo punto sarebbe di buon auspicio sia temporale che di contenuto per la presentazione alla Camera – conclude Valdo Spini – di una proposta di legge per l’istituzione di una giornata nazionale per la libertà di coscienza e religione, che potrebbe proprio coincidere con il 17 febbraio, data della concessione dei diritti civili valdesi del 1848 e quindi in un certo senso del primo atto di pluralismo e di libertà religiosa della storia nazionale anche se pre-unitaria».
Varare una legge che finalmente sancisca il principio della libertà di religione quale diritto fondamentale della persona non sarà facile. Nel recente passato sono già state diffuse ad arte voci che questa legge sulla libertà promuoverebbe la poligamia o spaccherebbe l’unità nazionale. Sullo sfondo c’è il problema del riconoscimento delle realtà religiose islamiche. Ma proprio per questi (e altri) motivi non ultimo la continua erosione della capacità di tenuta laica delle istituzioni pubbliche urge una legge quadro sulla materia religiosa.
Parte del mondo cattolico giudica il nuovo testo squilibrato (Avvenire del 6/7). «Colpisce, prima di tutto – scrive M. Tarquinio – la singolare pretesa che emerge dall’articolo 1 nel quale si arriva addirittura a "fondare" il diritto di libertà religiosa sul "principio di laicità dello Stato". Un diritto costituzionale compiutamente affermato finirebbe così per dipendere da un’idea – la laicità – che è ben presente nella cultura politico–istituzionale italiana, ma che ora – a quanto si capisce – verrebbe fatta assurgere al rango di "sinonimo" del principio stesso di libertà. Sarebbe un passo di impressionante pesantezza». Per trovare la leggerezza dovremmo lasciare le cose così come stanno? Al solito: «Queta non movere». Ma appunto: «cui prodest?». Saprà il dibattito mantenere vivo il riferimento alla Costituzione o si lascerà condizionare da chi difende i propri privilegi chiamandoli «laicità»?
Tratto da Riforma del 13 luglio 2007
Nell’ambito della discussione sul tema della libertà religiosa dei cristiani nel mondo, suscitata dalla manifestazione prevista per domani sera a Roma “Contro l’esodo e la persecuzione dei cristiani in Medio Oriente, per la libertà religiosa nel mondo”, il presidente della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI), pastore Domenico Maselli, ha rilasciato la seguente dichiarazione:
“Con riferimento alla lotta per la libertà religiosa dei
cristiani nel mondo, la Federazione delle chiese evangeliche in
Italia ricorda che da circa un anno ha presentato, insieme ad altre
confessioni religiose e gruppi sociali, una proposta affinché venga
fissata una giornata nazionale per la libertà religiosa in Italia e
nel mondo. Crediamo infatti che si debbano combattere i pregiudizi e
le intolleranze da qualsiasi parte sorgano e a vantaggio di tutti.
Auspichiamo pertanto che questa proposta possa essere accolta in
tempi brevi e contribuire al raggiungimento di una vera libertà
religiosa in tutto il mondo”.
Roma, 3 luglio 2007 Tratto da NEV - Notizie Evangeliche
A proposito della “Manifestazione nazionale contro l’esodo e la persecuzione dei cristiani in Medio Oriente, per la libertà religiosa nel mondo”, che si terrà a Roma mercoledì 4 luglio, riportiamo un messaggio del professor Daniele Garrone, decano della Facoltà valdese di teologia di Roma, inviato questa mattina al Forum “Noi e gli altri” di Magdi Allam sul sito web del Corriere della Sera:
“E’ vero, vi sono nel mondo cristiani discriminati,
perseguitati e uccisi. E’ vero, questo problema è oggi
particolarmente acuto nei paesi arabi e sotto regimi islamistici. Ma
è anche vero che negli stessi contesti sono violati con la stessa
pervicacia i diritti fondamentali degli omosessuali, delle donne, dei
dissidenti, dei non credenti e l’antisemitismo viene diffuso
con la stessa intensità che al tempo del nazismo. Non mi convince
l’idea di isolare la libertà dei cristiani, tanto più in un
momento in cui in Europa e negli USA cresce la tendenza ad invocare
le radici cristiane contro il pluralismo e contro la laicità. Temo un
clima da scontro di civiltà, mentre la vera questione è
l’affermazione – certamente combattuta nei contesti sopra
citati, ma non indiscussa neppure in Europa e negli USA - che la
piena libertà religiosa richiede che nessuna opzione di fede e
nessuna manifestazione di culto sia né favorita, anche poco, né
discriminata; che il diritto a non professare alcuna religione sia
altrettanto garantito, e che lo siano anche tutte le identità
sessuali e ogni manifestazione del pensiero; che lo stato – che
ovviamente deve essere democratico e costituzionale - sia insomma
garante di libertà e di diritti e non portatore di un’etica.
Chiarito questo, ‘Apri la bocca in favore del muto, per
sostenere la causa di tutti gli infelici’ (Proverbi 31:8): oggi
per i cristiani, domani per gli ebrei, dopodomani per gli
omosessuali, doman l’altro per le donne, il giorno dopo per gli
atei… oppure, meglio, oggi per tutti, perché la libertà è una
e i diritti e la dignità sono gli stessi. Lo dico proprio come
cristiano”.
Roma, 2 luglio 2007 Tratto da NEV - Notizie
Evangeliche
di Renato Maiocchi
La vicenda innescata dal ministro Fioroni con il riconoscimento di un credito formativo agli studenti che si avvalgono dell’Insegnamento della religione cattolica (Irc) si è conclusa il 12 giugno come prevedibile: ancora una volta il Consiglio di Stato ha rovesciato una sentenza del Tar che aveva bocciato la disposizione del ministro. Prevedibile, perché si tratta di un film già visto negli anni 1985-87, quando il ministro del tempo stabilì l’obbligo per i non avvalentisi di frequentare un insegnamento alternativo; poi, quando la Corte Costituzionale, nel 1989, dichiarò che tale obbligo era in contrasto con la Costituzione, tornò alla carica, imponendo comunque il divieto per i «non avvalenti» di assentarsi dalla scuola. Anche allora il Tar bocciò la circolare del ministro ma il Consiglio di Stato la confermò. Fu necessario ricorrere nuovamente alla Corte Costituzionale, che nel 1991 riaffermò in modo inequivocabile il carattere di «non obbligo» dell’Irc – compreso il diritto di uscire dalla scuola – sconfessando radicalmente l’orientamento del Consiglio di Stato.
Confortati dalle sentenze della Corte, ci eravamo illusi che l’Irc fosse definitivamente considerata una semplice possibilità offerta agli studenti, in assenza di qualunque tipo di costrizione ma anche di qualunque tipo di vantaggio per chi se ne avvale. Evidentemente non abbiamo fatto i conti con la tenacia e la fantasia di chi da vent’anni continua a inventare marchingegni che in qualche modo, prima con la costrizione ora con le lusinghe, spingano gli studenti ad avvalersi dell’Irc.
Possiamo capire – non certo condividere – l’«accanimento terapeutico» della gerarchia cattolica la quale, convinta di possedere l’unica verità, e quindi la medicina per curare tutti i mali (i Dico, l’aborto, il testamento biologico, il relativismo etico ecc.) non si limita a proporla ma torna continuamente alla carica – negli ultimi tempi in maniera molto pesante – per ottenere che lo Stato somministri a tutti, volenti o nolenti, tale medicina. Non possiamo invece capire né tantomeno accettare che governi (ahimé, ormai è chiaro, di ogni colore), ministri e alte magistrature dello Stato siano disposti a mortificare fondamentali principi costituzionali in ossequio alla gerarchia cattolica.
Certo, c’è ancora anche questa volta il baluardo della Corte Costituzionale. Ma chi spinge verso questi tentativi di aggirare la Costituzione sa bene due cose: primo, che le battaglie per difendere i principi fondamentali sono lunghe e costose. Secondo, che nel contesto giurisdizionale italiano ci sono modi, perfettamente legittimi, per ottenere comunque qualche effetto. La sentenza del Consiglio di Stato è in questo senso esemplare: il Tar boccia la decisione del ministro, il ministro ricorre al Consiglio, questi sospende la sentenza del Tar (quindi il ministro può intanto liberamente procedere) e fissa la discussione di merito per il 12 giugno, cioè... dopo che gli scrutini sono già stati completati!
Credo che nel proclamare un evangelo che si propone e non si impone e nel difendere i principi della Costituzione dobbiamo dimostrare – insieme a tutte le forze genuinamente laiche – la stessa caparbia tenacia di chi tenta e ritenta di aggirarli.
Tratto da Riforma del 22 giugno 2007
Lo scorso 23 maggio il TAR del Lazio sospendeva l’ordinanza del
ministro della Pubblica Istruzione Giuseppe Fioroni che attribuiva il
"credito scolastico" agli studenti che seguono l’ora di
religione cattolica. Il 29 maggio il ministro Fioroni ha fatto
ricorso al Consiglio di Stato contro la suddetta sospensiva. Nella
serata il Presidente del Consiglio di Stato ha accolto la richiesta
del ministro, fissando la Camera di Consiglio per il 12 giugno. Due
giorni dopo il termine degli scrutini per gli esami di stato.
"Questa notizia lascia interdetti non solo per la rapidità
dell’intervento, ma anche perché fissa la prima udienza del
Consiglio di Stato per il 12 giugno, dunque oltre il termine previsto
per gli scrutini – ha dichiarato Domenico Maselli, presidente
della Federazione delle chiese evangeliche in Italia
(FCEI) -. Siamo così di fronte al pratico annullamento
dell’ordinanza del TAR che pure era giustificata da questioni
di costituzionalità e dalla creazione di disparità degli studenti. La
giustificazione del Ministro Fioroni secondo cui andrebbe premiata la
buona volontà di chi ha fatto una materia suppletiva urta contro il
fatto che non esiste in quasi nessuna scuola la possibilità di
un’alternativa, e quindi non si tratta di buona o cattiva
volontà, ma di libertà di coscienza nelle scelte".
Preoccupazione per l’atteggiamento del ministro Fioroni è giunta anche dalla pastora Maria Bonafede, moderatore della Tavola valdese, che ha dichiarato: "Da anni le nostre chiese rilevano come il carattere esplicitamente confessionale dell'insegnamento di religione cattolica (IRC) leda il carattere laico della scuola italiana; troviamo grave che a questo si aggiunga la discriminazione nei confronti degli studenti che non si avvalgono dell’IRC; troviamo gravissimo che il Ministero non abbia nessuna intenzione di comunicare ufficialmente l’ordinanza sospensiva del TAR".
Accogliendo la richiesta di sospensiva dei punti 13 e 14 dell'articolo 8 dell'ordinanza ministeriale 26 del 15 marzo 2007, presentata da numerose associazioni laiche e confessioni religiose, il TAR del Lazio aveva stabilito che l'insegnamento della religione rimane "una materia extracurriculare" che non può concorrere a formare credito scolastico. "Sul piano didattico – si legge infatti nella sospensiva del TAR n. 2408/2007 - l'insegnamento della religione non può, a nessun titolo, concorrere alla formazione del 'credito scolastico' di cui all'art. 11 del D.P.R. n. 323/1998, per gli esami di maturità, che darebbe postumamente luogo ad una disparità di trattamento con gli studenti che non seguono né l'insegnamento religioso e né usufruiscono di attività sostitutive". All’indomani della sentenza del TAR viva soddisfazione era stata espressa dal presidente della FCEI, pastore Domenico Maselli, da Nicola Pantaleo, presidente dell’Associazione "31 Ottobre per una scuola laica e pluralista", e in generale dal mondo evangelico.
Il ricorso con la richiesta di sospensione era stato presentato lo
scorso 9 maggio al TAR del Lazio. Tra i firmatari, oltre alla FCEI,
l’Associazione "31 ottobre per una scuola laica e pluralista" -
promossa dagli evangelici italiani, la Tavola valdese, l'Unione cristiana
evangelica battista d'Italia (UCEBI), la Chiesa evangelica
luterana in Italia (CELI), l'Unione italiana delle chiese cristiane avventiste
(UICCA), la Federazione delle chiese pentecostali (FCP),
l'Alleanza evangelica italiana (AEI).
Il testo del ricorso e altre informazioni su www.comune.bologna.it/iperbole/coscost.
Ha sollevato reazioni negative e proteste sia tra le associazione
laiche che tra le confessioni religiose di minoranza l'ordinanza 26
del ministro Fioroni che, all'articolo 8 punto 13, prevede la
partecipazione dei docenti dell'insegnamento dell'ora di religione
cattolica (IRC) alle deliberazioni dei consigli di classe per
l'attribuzione del credito scolastico. Gli studenti avvalentisi
dell'IRC avrebbero così la possibilità di ricevere crediti aggiuntivi
rispetto ai loro compagni non avvalentisi - è quanto denunciano, tra
gli altri, le associazioni CRIBES, Democrazia laica e Scuola e
costituzione.
Di questa opinione è anche il presidente della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI), pastore Domenico Maselli. "L’ordinanza ministeriale – ha dichiarato Domenico Maselli - discrimina gli studenti che non si avvalgono dell'insegnamento religioso confessionale cattolico ledendo così il principio costituzionale di una scuola laica ed aperta a tutti". Sebbene l'ordinanza dia modo anche agli insegnanti delle materie alternative all'IRC di attribuire crediti, per Domenico Maselli si tratta di una parificazione di pura forma "perché in quasi nessuna scuola italiana funziona un’attività didattica e formativa alternativa all’IRC. L’ordinanza ministeriale è pertanto inaccettabile perché crea discriminazione fra gli allievi di una stessa classe. Ci riserviamo pertanto di aderire a iniziative presso il TAR per la sospensione di tale punto".
Per far fronte agli effetti dell'ordinanza, infatti, è stato annunziato un ricorso al TAR del Lazio per chiedere la sospensione del provvedimento prima degli inizi degli scrutini dell’anno scolastico. Aderiscono all'iniziativa, oltre alla FCEI, associazioni laiche e confessioni religiose di minoranza, tra cui la Tavola valdese, l'Unione cristiana evangelica battista d'Italia (UCEBI), la Chiesa luterana in Italia (CELI), l'Unione italiana delle chiese cristiane avventiste (UICCA), la Federazione delle chiese pentecostali (FCP). Sostegno è giunto anche dall'Alleanza evangelica italiana (AEI).
Quel pasticciaccio brutto della
televisione italiana
di Giuseppe Platone
«I cattolici hanno avuto per Pasqua la loro messa papale, gli
evangelici la formula 1 e gli ebrei il culto protestante il lunedì di
pasquetta. Non c’è male come arrangiamento ecumenico. Il tutto
è avvenuto senza una parola di preavviso, di spiegazione, di scuse».
È uno stralcio di una delle lettere ricevute in redazione, insieme a
molte telefonate che lamentavano la soppressione del culto evangelico
la mattina di Pasqua, culto annunciato su Raidue per le ore 11,30.
Una lettera di protesta è stata pubblicata anche dal quotidiano La
Repubblica di mercoledì 11 aprile a firma Guido Tourn, in cui si
rileva: «le chiese protestanti godono di ben poco spazio sui media
(in particolare sulle tv), è vero che la popolazione è in maggioranza
cattolica, ma dato che gli appuntamenti per i culti per noi sono solo
tre o quattro all’anno e che l’abbonamento lo paghiamo
sarebbe auspicabile che non fossero eliminati all’ultimo
momento come è successo in occasione di Pasqua».
Sullo spiacevole episodio abbiamo direttamente interpellato il
presidente della Federazione delle chiese evangeliche in Italia
Domenico Maselli, che a proposito dell’incidente che ha visto
lo spostamento a lunedì 9 aprile del culto televisivo di Pasqua ci ha
dichiarato: «Gli accordi tra Raidue e la redazione di Protestantesimo
prevedevano che, nell’ambito del collegamento in Eurovisione,
il segnale giungesse alla Rai dalla Televisione della Svizzera
Italiana nella versione curata dal pastore Paolo Tognina. In realtà,
per un disguido tecnico della Rai, domenica mattina quel segnale non
era disponibile; da qui, l’impossibilità della messa in
onda.
Solo grazie all’impegno ed alla professionalità dello staff di
Protestantesimo è stato possibile mandare in onda il culto lunedì
mattina, in una versione italiana realizzata nel pomeriggio di
Pasqua.
Tante volte ci siamo lamentati con la Rai degli impossibili orari
della messa in onda di Protestantesimo; a questo storico problema, in
questa occasione si sono aggiunti gravi e intollerabili disguidi
tecnici per i quali intendiamo intervenire sui vertici della Rai».
Peccato che sia saltato per Pasqua quel «felice accostamento» –
osserva un lettore che ci ha scritto – «che avrebbe evidenziato
la sostanziale unità del messaggio cristiano della risurrezione del
Signore e la particolarità, nella forma cultuale, con cui tale
annuncio viene espresso in un chiesa cristiana diversa dalla
cattolica».
Sono state firmate il 4 aprile, a Palazzo Chigi, tra il Presidente
del Consiglio dei Ministri, Romano Prodi, e i rappresentanti di otto
confessioni religiose, le Intese stipulate ai sensi
dell’articolo 8, comma terzo, della Costituzione. Sei Intese
riguardano la Chiesa Apostolica in Italia, la Chiesa di Gesù Cristo
dei Santi degli ultimi giorni, la Sacra arcidiocesi ortodossa
d’Italia, l'Unione induista italiana, la Congregazione
cristiana dei Testimoni di Geova e l'Unione buddista italiana. A
queste confessioni religiose non saranno più applicabili, dopo
l'entrata in vigore delle rispettive leggi di approvazione, le
disposizioni della normativa 1929-1930 sui cosiddetti ''culti
ammessi''.
Le altre due sono modifiche a Intese già esistenti e riguardano la
Chiesa evangelica valdese (Unione delle chiese valdesi e metodiste),
che consentirà di accedere anche alle quote non espresse dai
contribuenti dell’otto per mille dell’Irpef, e l'Unione italiana
delle Chiese cristiane avventiste (UICCA), per il riconoscimento
dei titoli di studio rilasciati dall'Istituto di cultura biblica
avventista di Firenze.
La più viva soddisfazione per la firma delle otto Intese è stata
espressa da Maria Bonafede, moderatore della Tavola Valdese, e da
Daniele Benini, presidente UICCA, che hanno apprezzato la celerità
con cui il Governo si è mosso su questo tema.
"Ci auguriamo – hanno dichiarato - che tutti possano in breve
tempo veder approvate le loro Intese dal Parlamento, in modo da
definire finalmente i loro rapporti con lo stato italiano". "Il
nostro augurio è che si possa arrivare ad una conclusione entro la
fine del 2007" ha aggiunto Maria Bonafede. Daniele Benini, dal canto
suo, ha auspicato "che possa essere al più presto approvata la legge
sulla libertà religiosa", anche se la via delle Intese è quella
prevista dalla Costituzione.
I testi dei relativi disegni di legge di approvazione delle 8
Intese dovranno ora essere sottoposti al Parlamento al fine di
avviare l'iter legislativo.
Lo scorso 21 febbraio il sottosegretario alla presidenza del
Consiglio Enrico Letta aveva posto la sigla sugli 8 provvedimenti,
mentre gli stessi avevano ottenuto lo scorso 7 marzo l'approvazione
da parte del Consiglio dei ministri. Data la rapidità con cui il
governo si è mosso, Domenico Maselli, presidente della Federazione delle
chiese evangeliche in Italia, ha buone ragioni per ritenere che
"questa volta il governo fa sul serio". "L’entrata in vigore di
questi 8 provvedimenti - ha ancora affermato Domenico Maselli -
avrebbe una grande importanza non solo perché raddoppierebbe il
numero delle Intese, ma anche perché per la prima volta si darebbe
piena attuazione del mandato costituzionale nei riguardi di fedi
religiose non giudeo-cristiane, come i buddisti e gli induisti".
Tratto dal comunicato dell'Agenzia NEV - Notizie evangeliche del 5 aprile 2007
In occasione dei 50 anni del Trattato di Roma, la Commissione
delle Conferenze episcopali della Comunità europea (COMECE), ha
organizzato a Roma (23-25 marzo) un convegno internazionale per
riflettere insieme sulle prospettive dell'Europa. Abbiamo rivolto
alcune domande sull’argomento al professore Daniele
Garrone,decano della Facoltà valdese di teologia di Roma, che
sarà presente all’incontro.
Un convegno di politici e religiosi insieme per riflettere
delle prospettive dell'Europa. Come giudica un incontro di questa
natura?
Le prospettive dell’Europa sono una materia essenzialmente
politica, nel senso alto e nobile del termine. Occorre guardare alle
speranze e alla crisi della politica in Europa e per l’Europa
nello spirito della celebre parola del profeta Geremia:
“cercate il bene della città…” (Geremia 29,7),
senza paternalismi, senza rivendicare privilegi per le chiese o uno
statuto particolare per le chiese e il cristianesimo, senza
pretendere che la sfera politica si orienti alla “verità”
o a valori confessionali, anche se presentati come
“naturali”, ma riconoscendo che è suo compito cercare di
realizzare “il giusto” nella laicità della democrazia.
Ampi settori della cristianità europea, con maggiore enfasi e
determinazione la Chiesa cattolica, sembrano invece orientati ad
utilizzare la crisi della politica per un recupero della presa
confessionale sulla società, per riconquistare lo spazio che la
secolarizzazione ha loro sottratto. Questo atteggiamento mi sembra
ostacolare la ricerca del bene della città, sul piano politico, e
fallimentare sul piano spirituale, dove è dovere delle chiese
testimoniare la fede e non orientare la politica.
Nel rapporto tra le istituzioni europee e le chiese continua a
porsi il nodo del “riconoscimento delle radici
cristiane”. E' un tema soprattutto cattolico, ma che trova
riscontro anche in ambiente ortodosso e protestante. Qual è il suo
giudizio?
Trovo l’insistenza sulle “radici cristiane”
ideologica e apologetica. Non vi è dubbio che il cristianesimo ha
contribuito alla cultura dell’Europa di oggi, ma altrettanto lo
hanno fatto la Grecia e Roma, Israele e l’islam,
l’Illuminismo, ecc. Bisognerebbe poi parlare di
“cristianesimi” e ricordare anche che l’Europa
“cristiana” è stata fatta di martiri e persecutori, di
intolleranti e di miti e che fino al momento in cui, non per
iniziativa delle chiese, si è salutarmente deciso di separare chiesa
e stato, religione e politica e diritto ed etica, hanno sempre vinto
i primi, da Costantino in avanti. Una semplice, solenne menzione
delle “radici cristiane” nel prologo della Costituzione
europea trasformerebbe questa drammatica storia in un mito, mito che
servirebbe solo a legittimare la pretesa di indirizzo da parte delle
chiese (di fatto la Chiesa di Roma).
L'articolo 52 del Trattato Costituzionale europeo, per ora in
fase di stallo, ipotizza un “dialogo aperto, trasparente e
regolare” con le diverse comunità religiose. Su quali temi lei
crede che questo "dialogo strutturato" dovrebbe svilupparsi in via
prioritaria?
Il tema più urgente di un tale dialogo mi sembra essere la libertà
religiosa, il pluralismo, la laicità reale (senza che qualcuno abbia
l’autorità di stabilire quando essa è “sana”), come
effettiva garanzia di libertà per tutti, cittadini e organizzazioni,
religiose o meno, dei medesimi. Temo che molte chiese pensino
innanzitutto alle possibilità ipotizzate dall’art. 52 come
occasione per difendere lo stato acquisito ed eventualmente
recuperare terreno perduto sul piano della loro rilevanza
istituzionale pubblica.
L'Europa è il continente più secolarizzato; intanto l'azione
della Chiesa cattolica sembra tesa a riaffermare con forza i tratti
dell'identità cristiana. Il protestantesimo appare più diviso e
incerto sulla propria strategia. Condivide questo giudizio? Qual è la
strategia di presenza di una piccola minoranza come quella evangelica
italiana?
La Chiesa cattolica (nelle sue gerarchie, con un’immagine
monolitica che copre la pluralità interna) persegue una strategia di
egemonia culturale nel tempo della “fine delle
ideologie”. L’avversario dichiarato è il mondo moderno,
la sua laicità, l’autonomia dei suoi saperi, in vista del
recupero di uno “spazio per Dio” che nei fatti vuol dire
rilevanza della chiesa (romana). Questa avversione al mondo moderno
ha singolari consonanze con atteggiamenti simili nel mondo
evangelical fondamentalista e in settori dell’islam. Di fronte
a questa offensiva culturale potentissima - in Italia enfatizzata dai
mass media ed assecondata da una classe politica in gran parte
composta di ossequiosi chierichetti atei -, il compito della
minoranza evangelica italiana è di resistere a difesa della laicità,
difendere la secolarizzazione della politica e ricordare innanzitutto
a stessa, ma anche all’ecumene cristiana, che testimoniare di
Gesù Cristo è altra cosa che sviluppare e vincere offensive per
l’egemonia culturale, e che anzi, come dovrebbe essere chiaro
da Costantino in poi, quando vince la società fondata sui
“valori cristiani” tradotti in legge, in cultura
identitaria o in “fondamento” per tutti, perde la causa
dell’evangelo.
Approvate dal Governo otto Intese con confessioni religiose
Le nuove Intese approvate dal Consiglio
dei ministri riguardano:la Chiesa Apostolica in Italia, la Chiesa di
Gesù Cristo dei Santi degli ultimi giorni, la Sacra arcidiocesi
ortodossa d’Italia, l'Unione induista italiana, la
Congregazione cristiana dei Testimoni di Geova e l'Unione buddista
italiana.
Le due modifiche a Intese già esistenti riguardano: la Chiesa
evangelica valdese (Unione delle chiese valdesi e metodiste) e
l'Unione italiana delle Chiese cristiane avventiste.
Il 16 febbraio sarà presentato alla Camera il libro per la "Settimana
della libertà"
Sarà un’occasione per lanciare la proposta della "Giornata
della libertà di coscienza e di religione"
Ogni anno la FCEI, in collaborazione con l’Unione italiana delle chiese cristiane avventiste del 7° giorno (UICCA), pubblica un volume in occasione della "Settimana della libertà" appunto, che cade a cavallo della ricorrenza del 17 febbraio, data in cui nel 1848 re Carlo Alberto di Savoia concesse i diritti civili alla minoranza valdese.
La casa italiana ha tre
piani
Intervista a
Valdo Spini sulla questione del disegno di legge sulla libertà
religiosa
Religioni e Stato è un insieme di relazioni che la nuova legge, nell’Italia sempre più multiculturale, potrebbe, nello spirito della Costituzione, regolamentare al meglio
Incontriamo il parlamentare Valdo Spini, presentatore, insieme all’on. Marco Boato, del disegno di legge sulla libertà religiosa. Spini è entrato in politica giovanissimo; la sua prima interrogazione alla Camera (nel 1979, appena eletto) fu sui motivi del ritardo nella conclusione delle trattativa per l’Intesa con la Tavola valdese. Da allora sono successe molte cose.
Varare la legge sulla libertà
religiosa rappresenterebbe la conclusione di un disegno di
applicazione costituzionale nei rapporti Stato-chiese. Possiamo
brevemente illustrare la situazione?
«In tema di rapporti tra chiese e Stato, la Costituzione può essere
rappresentata come un edificio a tre piani: al piano nobile c’è
la Chiesa cattolica i cui rapporti con lo Stato, a norma
dell’art. 7 sono regolati in forma giuridica di trattato
internazionale (quindi il Concordato, modificato nel 1984 in modo da
togliere la qualifica di religione dello Stato e introdurre il
contributo volontario dell’8 per mille in luogo del
finanziamento di tutti i contribuenti, non è assoggettabile a
referendum, ecc.). Al secondo piano stanno le chiese che hanno
perfezionato le Intese con lo Stato a norma dell’art. 8 della
Costituzione stessa (le Intese hanno veste di legge ordinaria, votata
dal Parlamento). Di fatto finora solo chiese protestanti e la Unione
delle comunità ebraiche (altre Intese sono state convenute dalla
presidenza del Consiglio, ma non ratificate dal Parlamento)».
E al pianterreno?
«Lì ci sono – continua Valdo Spini – tutte quelle
confessioni religiose che non vogliono, non possono o che non sono
riuscite ad avere l’Intesa. Queste sono tuttora regolate dalla
legge fascista del 1929-30 sui «culti ammessi» per quanto ne è
sopravvissuto ai colpi di piccone della Corte Costituzionale.
Sostituire alla legislazione sui culti ammessi una legge sulla
libertà religiosa coerente con i principi costituzionali è il nostro
compito: se è permesso, il nostro dovere».
Nelle varie audizioni che si
sono svolte presso la commissione Affari costituzionali da parte
delle varie realtà religiose del paese è emerso un consenso verso la
nuova proposta. Ci sono problemi riguardo all’Islam,
notoriamente molto frammentato?
«Proprio i dissensi esistenti all’interno delle organizzazioni
musulmane consigliano di passare attraverso la sperimentazione della
legge prima di iniziare trattative sulla stipula di Intese con le
relative rappresentanze. Come farebbe infatti lo Stato italiano ad
aprire tre tavoli in contemporanea con le tre organizzazioni che
hanno chiesto l’Intesa? Potrebbe privilegiarne una ai danni
delle altre due, con l’effetto prevedibile di creare nuove
tensioni senza contribuire alla pace religiosa?».
Si è cercato di «abbattere» la
legge preventivamente, sparandole contro, sostenendo che essa avrebbe
agevolato la poligamia. Su che cosa ci si basava?
«Così come per certe Intese già vigenti, la legge permette
un’alternativa tra la lettura degli articoli del Codice civile
sul matrimonio, in sede di cerimonia religiosa, oppure di concessione
del nulla osta ai nubendi per il matrimonio da parte
dell’ufficiale dello stato civile con tanto di attestazione
scritta dell’avvenuta lettura. È l’art. 11 della mia
proposta di legge n. 134. Si è sostenuto che la mancata lettura in
sede di cerimonia religiosa, avrebbe agevolato la poligamia. Niente
di più falso perché gli effetti civili erano in questo modo garantiti
solo al matrimonio monogamico. Essendo in più la poligamia proibita
dal nostro codice di procedura penale».
Su questo tema mons. Betori,
segretario della Cei, pur dando un giudizio positivo
sull’impianto complessivo del progetto di legge, si è espresso
in modo critico…
«Ma non perché considerasse illegittima o favorevole alla poligamia
la possibilità di scegliere il momento della lettura degli articoli
del Codice Civile, ma perché ha considerato questa alternativa
inopportuna. Lo stesso mons. Betori ha precisato che questa
alternativa poteva essere consentita solo a chi aveva stipulato le
intese anche per ribadire (secondo la posizione sua e della chiesa
cattolica italiana) l’esistenza di una sorta di gerarchia tra
le Intese stesse e la più generale condizione di libertà religiosa.
Secondo mons. Betori sarebbe utile, proprio ai fini
dell’integrazione della popolazione musulmana, che gli articoli
del Codice civile venissero letti durante la cerimonia religiosa in
modo da sottolineare di fronte ai musulmani stessi le caratteristiche
del nostro matrimonio civile. Nel corso della audizioni è peraltro
emerso che nella religione musulmana non c’è un vero e proprio
matrimonio religioso bensì la stipula di un contratto firmato dai
nubendi di fronte a una sorta di notaio a ciò deputato. Di fatto in
Italia questo spesso avviene nei locali di culto delle ambasciate dei
paesi musulmani con la conseguenza che il codice civile vigente è
quello di questi stessi paesi. Se poi il matrimonio si rompe, gli
effetti negativi per la donna e per i figli sono spesso emersi in
clamorose e penose vicende personali».
Che succede ora?
«Esaurita la prima fase della discussione generale della commissione
Affari costituzionali della Camera, effettuate le audizioni che hanno
coinvolto altresì le chiese e le confessioni religiose già dotate di
Intesa e anche quelle che l’hanno stipulata alla presidenza del
Consiglio, le quali tutte hanno espresso con forza l’esigenza
di procedere alla sollecita approvazione della legge, ora la palla va
al relatore, l’on. prof Roberto Zaccaria... ».
La legge sulla libertà religiosa
è in sostanza un testo di attuazione della Costituzione così
com’è…
«Infatti. Non può da sola né abrogare trattati internazionali come il
Concordato né assorbire, come sarebbe giusto, l’art. 7 della
Costituzione nell’art. 8. Ma pure in questi limiti è non solo
necessario ma doveroso approvarla. Si tratta di dare diritti a chi
non li ha. Il che è di particolare responsabilità di chi li detiene
già in tutto o in parte. Certo è che la riaffermazione da parte di
mons. Betori della differenza di trattamento del rapporto con lo
Stato tra le varie chiese del nostro paese ha sollevato le giuste
proteste di chi ritiene che a libertà religiosa dovrebbe
corrispondere anche uguaglianza di trattamento delle varie chiese nei
rapporti con lo stato italiano».
In ogni caso la discussione
della legge sulla libertà religiosa sta provocando un interesse e una
presa di coscienza nell’opinione pubblica sui temi che di
solito sono riservati agli specialisti…
«E questo è molto positivo, l’essenziale è che si combatta la
disinformazione sistematica operata da chi attaccando la presenza
musulmana in Italia vuole in realtà "trebbiare" voti per i propri
partiti e non si accorge che costruisce così un futuro più difficile
per i nostri figli e per nostri nipoti, che vivranno in una società
multiculturale, e che devono trovare una condizione di integrazione
pacifica e rispettosa della nostra Costituzione. Proprio al fine di
una sensibilizzazione larga e diffusa su questi temi, l’idea di
una trasformazione del 17 febbraio in una giornata nazionale di
libertà di religione e di coscienza si rileva sempre più felice e
appropriata, insomma un obiettivo che ci dobbiamo proporre».