Famiglia, Coppie di
fatto, DICO
Roma (NEV), 22 giugno 2011
Il presidente FCEI Massimo Aquilante Roma (NEV), 9 giugno 2010
Moderatora della Tavola valdese Maria Bonafede, 8 giugno 2010
Il Sinodo esprime solidarietà alle persone omosessuali
condannando discriminazioni e persecuzioni
Le chiese invitate a
"sensibilizzare l’opinione contro il pericolo strisciante
dell’omofobia"
Il Sinodo valdese e metodista, riunito a Torre Pellice (TO) dal 26
al 31 agosto, l"invita le chiese ad appoggiare organizzazioni, gruppi
e iniziative tese a sensibilizzare l’opinione contro il
pericolo strisciante dell’omofobia", con un ordine del giorno
approvato oggi, in cui "esprime la propria solidarietà alle persone
omosessuali oggetto di discriminazioni e persecuzioni, la propria
preoccupazione per il repentino aumento degli episodi di omofobia
sociale e fisica in Italia, la propria condanna ferma ed assoluta
verso le persecuzioni e le condanne capitali emesse in molti paesi
nei confronti di persone omosessuali".
La presa di posizione parte dalla considerazione sulla "condizione
di discriminazione sociale e legislativa in cui versano molte persone
omosessuali nel nostro paese che, limitando oggettivamente il loro
diritto ad avere una affettività serena e responsabile, le rende
oggetto di violenza fisica e psicologica" e sulla "situazione, lesiva
per i fondamentali diritti umani, a cui sono sottoposti milioni di
omosessuali nel resto del mondo là dove le persone omosessuali sono
esposte a persecuzioni nell’indifferenza quasi assoluta dei
governi occidentali".
A cura dell'Agenzia NEV - Notizie evangeliche del 31 Agosto 2007
"NUCLEI FAMILIARI,UN CONCETTO DA SOSTENERE" dichiarazione del
consigliere comunale Marco Ricca
Famiglia o DICO?
Una riflessione di Maria
Bonafede, moderatore della Tavola valdese
Il 12 maggio vedremo due piazze affollate di gente, l'una distante
e contrapposta all'altra. Da una parte si vuole affermare il valore
della famiglia e la necessità di tutelarla e difenderla; dall'altra
si rivendica il diritto alla tutela delle coppie di fatto, etero ed
omosessuali, e si celebra la laicità. Il rischio è che, nell'estrema
politicizzazione di questi due raduni, si finisca col perdere di
vista il valore che ciascuno di essi intende affermare. Da una parte
si rivendica il valore della famiglia, dal quale discende la
necessità di politiche che la sostengano, che aiutino le giovani
coppie a costruire serenamente il loro futuro. Più famiglia significa
quindi anche più servizi, scuole migliori, più attenzione ai soggetti
deboli che vivono al suo interno come gli anziani o i disabili. Se
questo fosse al centro del raduno di piazza San Giovanni sarebbe
difficile negare il proprio convinto sostegno. Tanto più nella
prospettiva evangelica dell'amore e del sostegno a chi è in
difficoltà. Peccato soltanto che il raduno in piazza San Giovanni per
la scelta del momento e per i suoi contenuti sia così palesemente una
manifestazione "contro": contro i DICO, contro la laicità dello
Stato, contro la libertà di scegliere di uomini e donne adulti,
credenti o meno che siano.
Dall'altra, a piazza Navona, si rivendica il diritto ad uno Stato
davvero laico festeggiando una data che è il simbolo della vittoria
della laicità in Italia, il 12 maggio di 33 anni fa, vittoria del
referendum sul divorzio, e si rivendica il diritto al riconoscimento
delle unioni di fatto, di relazioni affettive e parentali che la
legge ignora o penalizza. Personalmente sono assolutamente convinta
che si tratti di diritti che devono essere garantiti e che nulla
tolgono alla libertà ed all'integrità della famiglia tradizionale.
Nell'Italia di oggi queste due piazze sono lontane e incapaci di
comunicare. Al contrario, mi piacerebbe che queste piazze potessero
incontrarsi, con rispetto ed attenzione reciproca. Non si tratta di
contrapporre la famiglia ai diritti delle coppie di fatto, né di
utilizzare la battaglia per i diritti delle coppie di fatto come una
bandiera anticlericale.
Lo dico da credente, convinta che l'amore di Dio soffia su ogni
relazione vissuta nell'attenzione, nel rispetto e nel dono
reciproco.
Tratto da NEV - Notizie evangeliche del 9 maggio 2007
"Dico" bene o male? Bene!
Riconoscere i diritti
delle coppie di fatto non danneggia la famiglia
di Ermanno Genre, docente di
teologia sistematica della Facoltà valdese di teologia
I Dico continuano a tenere alta la tensione politica ed ecclesiale
in tutto il paese. Il fatto che il governo Prodi abbia ritenuto
prudente lasciare questa materia fuori dalle priorità di governo
– è ora questione parlamentare – non ha spostato di molto
l’indice della temperatura che resta incandescente: e ogni
giorno qualcuno soffia sulla brace! I Dico hanno assunto uno status
symbol, in positivo e in negativo, di uno scontro fra civiltà tutto
interno al cattolicesimo e alla società italiana, e se ora il nuovo
presidente della Cei invita a evitare «scontri insensati», dopo che
il suo predecessore ha imbastito i presupposti per questo scontro
frontale, riesce difficile dare peso alle sue parole. Se non
bastasse, la Pontificia Accademia per la vita incita i cattolici alla
mobilitazione per la tutela della vita con il richiamo a una
«coraggiosa obiezione di coscienza» rivolta in modo particolare a
«medici, infermieri, farmacisti e personale amministrativo, giudici e
parlamentari, ed altre figure professionali direttamente coinvolte
nella tutela della vita umana individuale, laddove le norme
legislative prevedessero azioni che la mettono in pericolo». Sarà
difficile, per la spregiudicatezza di questo programma, seguire la
via indicata da mons. Bagnasco.
È in questo clima incandescente che si è inserita
l’esortazione apostolica del papa, Sacramentum caritatis,
dedicata all’eucaristia. Che cosa c’entra
l’eucaristia con i Dico? Apparentemente niente. In un paragrafo
(83) in cui si parla di «coerenza eucaristica», è richiesta coerenza
«nei confronti di coloro che, per la posizione sociale o politica che
occupano, devono prendere decisioni a proposito di valori
fondamentali, come il rispetto e la difesa della vita umana, dal
concepimento fino alla morte naturale, la famiglia fondata sul
matrimonio tra uomo e donna, la libertà di educazione dei figli e la
promozione del bene comune in tutte le sue forme. Tali valori non
sono negoziabili. Pertanto i politici e i legislatori cattolici,
consapevoli della loro grave responsabilità sociale, devono sentirsi
particolarmente interpellati dalla loro coscienza, rettamente
formata, a presentare e sostenere leggi ispirate ai valori fondati
nella natura umana. Ciò ha peraltro un nesso obiettivo con
l’Eucaristia (I Cor. 11, 27-29)». Penso sia difficile trovare
nei testi di sacramentaria cattolica quel «nesso» che al papa appare
così evidente. A me ciò che appare evidente è l’uso poco
corretto delle Scritture per sostenere la non negoziabilità della
posizione vaticana.
Fortunatamente, in mezzo a posizioni intransigenti e che rendono
impossibile il dialogo, si sono sentite anche parole chiare e lucide
da parte del mondo cattolico italiano, con le quali ci si sente in
piena sintonia, perché ispirate a un cristianesimo che riflette e si
interroga, che rispetta la laicità dello Stato, che dialoga senza
rinunciare in nulla alla propria fede cristiana cattolica. Una parola
esplicita, in controtendenza alle dichiarazioni vaticane, è giunta,
nei giorni scorsi, da Betlemme, dal cardinale Martini. Parlando a un
gruppo di pellegrini milanesi guidati dall’arcivescovo di
Milano Tettamanzi, il cardinale ha affermato tondo tondo che il
compito della chiesa è quello di «farsi comprendere ascoltando
anzitutto la gente, le loro necessità, problemi, sofferenze,
lasciando che rimbalzino nel cuore e poi risuonino in ciò che
diciamo, così che le nostre parole non cadano come dall’alto,
da una teoria, ma siano prese da quel che la gente sente e vive, la
verità dell’esperienza, e portino la luce del Vangelo».
Il compito della chiesa e dei suoi ministri non è quello di
dettare legge nelle questioni che regolano la vita di tutti in una
società plurale, per cultura e religione, ma di fornire
argomentazioni, riflessioni sugli elementi fondamentali concernenti
l’etica e la bioetica, equipaggiare culturalmente e
teologicamente le coscienze delle persone, rendendole capaci di
decisioni autonome.
I Dico non intendono distruggere la famiglia, rispettandola
pienamente riconoscono altre relazioni fra le persone, non
contemplate dall’art. 29 della Costituzione (che definisce la
famiglia) e inserite nel programma di governo. Quando Lutero e i
riformatori hanno contratto matrimonio, correggendo il contro-natura
imposto a sacerdoti e vescovi (largamente concubini) dal Diritto
canonico, essi hanno restituito libertà alla persona e onore al
matrimonio cristiano. L’istituto famigliare però, è bene
ricordarlo, non è una prerogativa dei cristiani: esso è condiviso da
credenti e non credenti. È questione che concerne il diritto civile:
la chiesa viene dopo. E la visione cristiana della famiglia e del
matrimonio non è puro fatto di natura, esso si situa
nell’orizzonte di una vocazione, nella direzione di una parola
che suscita il confronto con l’evangelo di Gesù Cristo e non
con i non possumus ecclesiastici. In Italia (ma non è così negli
altri paesi europei in cui vi sono forme diverse di Pacs) la
questione dei Dico – come dei grandi e complessi problemi di
bioetica – viene letta unilateralmente attraverso le lenti del
Vaticano e della Cei, oscurando tutti gli altri punti di vista di
cattolici, protestanti, ebrei, di credenti e non credenti. E tutto
ciò con la complicità dei mass-media che non sanno che cosa
significhi «informazione» in una società laica democratica e
pluralista.
Gli evangelici italiani non hanno tutti la stessa opinione sulle
coppie di fatto, perciò è bene che se ne discuta nelle nostre
comunità, nel rispetto di punti di vista diversi. Ma, appunto, un
confronto che sopporta la diversità in campo etico, non mette in
questione l’unità della chiesa e non impedisce il
riconoscimento legislativo delle coppie di fatto. Riconoscere questi
diritti non è un attacco alla famiglia né al matrimonio fra un uomo e
una donna: permette però alle coppie di fatto, che vivono relazioni
d’amore e di solidarietà diverse da quelle matrimoniali, di
essere riconosciute nella loro piena dignità di persone.
Tratto da Riforma del 23
marzo 2007
Gli evangelici tra Dico e Family-Day
di Ermanno Genre, docente di
teologia sistematica della Facoltà valdese di teologia
Il Papa ha tuonato ancora in mezzo alla
tempesta scatenata dal magistero cattolico sui Dico. Rivolgendosi
direttamente ai politici e ai legislatori cattolici, Ratzinger li ha
richiamati alla difesa dei "valori non negoziabili" e ad opporsi alle
"leggi contro natura". Anche l’esortazione apostolica
Sacramentum caritatis diffusa oggi, e che ha come tema
l’eucaristia, diventa, seppure indirettamente, strumento
politico contro i Dico!
La difesa della famiglia per Ratzinger ed
i suoi si pone in antitesi ai diritti civili riconosciuti nei Dico.
Il ragionare per contrapposizione su questi temi in cui sono in gioco
principi di umanità e di convivenza civile fra diversi, non fa che
innalzare delle barricate là dove occorrerebbe invece cercare con un
po’ di razionalità, una via di intesa, e lacera ulteriormente
il mondo cattolico e la società civile e politica italiana. E’
quanto molti cattolici (vescovi compresi) hanno capito perfettamente,
senza con ciò rinunciare in nulla alla loro fede cristiana cattolica
- ma dubitando fortemente che i cosiddetti "valori non negoziabili"
debbano diventare oggetto di uno scontro frontale.
In questa cornice il Family-Day, che
intende mostrare i muscoli della cattolicità papalina, non sposterà
di un centimetro le rispettive convinzioni sui Dico. I Dico, per chi
ancora usa la ragione nelle proprie argomentazioni, non costituiscono
alcun attacco alla famiglia, che nessuno mette in questione,
giuridicamente ben definita e protetta dall’art. 29 della
Costituzione. I Dico intendono riconoscere altre relazioni fra le
persone, non contemplate dall’art. 29 e che sono state inserite
nel programma di governo di chi ha vinto le elezioni. Family-Day come
rivincita elettorale? Comunque sia, il magistero cattolico sta al
gioco, trincerandosi dietro ad una ambigua difesa della "legge
naturale" che viene ora interpretata in chiave anti-Stato. In nessun
paese civile che ha riconosciuto le coppie di fatto si è assistito ad
un attacco così massiccio alle istituzioni laiche di una nazione, in
aperta violazione del patto concordatario. Attestandosi su posizioni
di intransigenza e di rifiuto di una realtà così evidente e che tocca
la vita di molti cittadini e cittadine, quella stessa chiesa che in
altri momenti si definisce minoranza, vuole ora imporre a tutto il
paese la propria visione della famiglia e della coppia. C’è
qualcosa di cristiano in questa rivendicazione?
L’istituto famigliare, è bene
ricordarlo, non è un’invenzione dei cristiani: esso è condiviso
da credenti e non credenti. La visione cristiana della famiglia e del
matrimonio non si riduce a fatto di natura, si situa
nell’orizzonte di una vocazione, nella direzione di una parola
che permette a chi l’ascolta di confrontarsi con
l’evangelo di Gesù Cristo e non con i "non possumus"
ecclesiastici che non hanno altra autorità se non quella della
propria autoreferenzialità. In Italia la questione dei Dico - come
dei grandi e complessi problemi di bioetica – è letta
unilateralmente attraverso le lenti del Vaticano e della CEI,
oscurando tutti gli altri punti di vista di cattolici, protestanti,
ebrei, credenti e non credenti. E tutto ciò con la compiacenza dei
mass-media che non hanno ancora capito che cosa significhi
"informazione" in una società laica, democratica e
pluralista.
Gli evangelici italiani non hanno tutti
la stessa opinione sulle coppie di fatto, ma sono convinti che
debbano essere riconosciuti i diritti civili attualmente negati.
Questo riconoscimento non chiede a nessuno di rinunciare alle proprie
convinzioni, al proprio giudizio di valore sulla famiglia e sulla
sessualità. Riconoscere questi diritti non mette in questione né la
famiglia né il matrimonio fra un uomo ed una donna: permette però
alle coppie di fatto, che vivono relazioni d’amore e di
solidarietà diverse da quelle matrimoniali, di essere riconosciute,
nella loro dignità di persone umane.
Tratto da NEV - Notizie evangeliche del 14 marzo
2007
COPPIE DI FATTO:
"Riteniamo che il disegno di legge sui DICO proposto dalle ministre
Bindi e Pollastrini sia un buon inizio e si ponga in una prospettiva
di laicità e di tutela di diritti fondamentali. Senza nulla togliere
alla specificità del matrimonio, esso tutela diritti fondamentali
delle coppie di fatto, anche omosessuali. Com’era nelle nostre
aspettative il provvedimento non sottolinea solo i diritti, ma anche
i nuovi doveri di responsabilità e stabilità verso la parte più
debole della coppia".
Questa la dichiarazione del past. Eugenio Bernardini, vicemoderatore
della Tavola Valdese.
LA TAVOLA VALDESE ENTRA
NEL DIBATTITO SULLE COPPIE DI FATTO
Bernardini: "Una legge sulle convivenze non toglie nulla al
valore della famiglia"
In merito al dibattito su una legge per le coppie di fatto, il vice
moderatore della Tavola valdese, pastore Eugenio Bernardini, ha
rilasciato la seguente dichiarazione: "Una valutazione di merito
dell'imminente disegno di legge del governo potrà essere data solo
dopo un attento esame della normativa proposta. Tuttavia, per le
informazioni di cui disponiamo oggi, ci pare che una legge sulle
coppie di fatto non costituisca una minaccia né per la famiglia né
per la chiesa. Non confondiamo cause ed effetti: non è la legge che
crea la realtà, la legge interviene sempre a disciplinare una realtà
che c'è già. Ciò non impedisce, e non impedirà, a chiese, religioni,
gruppi sociali e culturali di proporre
legittimamente scelte di vita preferenziali, indicare e sostenere
valori il più possibile diffusi. Ma, appunto, in un
contesto plurale di libertà responsabile. Come la legge sul divorzio
fece nascere nuove famiglie e regolò i doveri verso l'ex coniuge e i
figli dando maggiori garanzie ai soggetti più deboli, così una legge
sulle convivenze può incentivare la coesione e la reciproca
responsabilità della coppia. In altre parole un progetto di legge su
questa materia nulla toglie al valore della famiglia come luogo e
progetto fondato sull'amore, il reciproco sostegno e il reciproco
rispetto".
Roma (NEV), 31 gennaio 2007
TRISTE MINUETTO TRA "STATO LAICO" E "CHIESA APERTA AL
MONDO"
"Uno stato democratico e laico discute nel luogo a ciò deputato:
il Parlamento"
Domenico Maselli, presidente della Federazione delle chiese
evangeliche in Italia (FCEI), intervenendo sugli scambi di battute
tra rappresentanti della Conferenza episcopale italiana e autorità
dello Stato riguardo alla legge sulle coppie di fatto, ha rilasciato
la seguente dichiarazione:
"Ritengo veramente preoccupante che le più alte cariche dello Stato
si pongano il problema di raggiungere un accordo con la Chiesa
Cattolica di fronte a disegni di legge presentati dal Governo e
discussi in Parlamento. Uno stato democratico e laico raccoglie tutte
le posizioni, le discute nel
luogo a ciò deputato, il Parlamento, ed in quella sede, attraverso il
dibattito, raccoglie maggioranze ed assume decisioni. A questo primo
sconcerto, corrisponde un ulteriore disappunto per l' atteggiamento
della Chiesa Cattolica Italiana che proclama l'inutilità di una legge
sulle convivenze e, pur rallegrandosi dell'ossequio che le rivolgono
gli uomini di stato, rifiuta ogni dialogo. Lo sconforto per questo
triste minuetto tra 'Stato laico' e 'Chiesa aperta al mondo' non ci
impedisce di sottolineare che non è in discussione la famiglia
fondata sul matrimonio, ma la necessità di garantire i diritti civili
dei singoli e la libertà di ciascuno".
Roma (NEV), 31 gennaio 2007
Per una legge sulle coppie di fatto
di Eugenio Bernardini, vice moderatore della Tavola valdese
Da un po’ di tempo i vertici della gerarchia cattolica italiana
stanno diffondendo la seguente tesi: estendere dei diritti a chi non
li ha sarebbe lesivo dei diritti di chi li ha già. Ciò varrebbe per
una legge che riconosca diritti e doveri delle coppie di fatto perché
"intaccherebbe" i diritti
della famiglia, "scardinerebbe" il modello di
famiglia monogamica tradizionale entrando "in concorrenza" con essa (secondo
le dichiarazioni del 28 gennaio di mons. Giuseppe Betori, segretario
generale della CEI). Ciò varrebbe anche per una legge sulla libertà
religiosa o per l’estensione di Intese – lo strumento
giuridico previsto dall’art. 8 della Costituzione e già in
vigore per alcune chiese protestanti, tra cui i valdesi-metodisti, e
per le comunità ebraiche – che in qualche modo lederebbero la
posizione della Chiesa cattolica (sempre Mons. Betori alla
Commissione Affari Costituzionali della Camera dei Deputati,
audizione del 9 gennaio scorso).
Dato che non credo che la gerarchia cattolica italiana pensi che i
diritti siano disponibili in una quantità limitata, per cui darne
agli uni significherebbe toglierne agli altri, non resta che pensare
che così voglia contribuire a creare un modello di società
tendenzialmente autoritario, in cui il cittadino viene "guidato" verso modelli "giusti" e unici di convivenza e
non sia tentato da modelli "sbagliati", da "amori fragili" e sessualità
indistinte. Una società con una libertà religiosa, e quindi una
laicità, limitata o moderata (naturalmente "giusta" contro una "sbagliata"), in cui il
cattolicesimo, non più religione di Stato, resti pur sempre al centro
come "la religione degli
italiani", consentendo un riconoscimento giuridico dignitoso
(le Intese) per quelle piccole e antiche espressioni religiose
minoritarie, come gli ebrei e i valdesi, ma lasciando fuori gli
altri, portatori di una religiosità vaga e forse, anch’essa,
"fragile" o "sbagliata".
Si potrà dire: niente di nuovo, così è andata per la legge sulla
gravidanza assistita, così andò per le leggi sull’interruzione
di gravidanza e sul divorzio. E così va per le normative
sull’ora di religione cattolica nelle scuole,
sull’immissione a ruolo dei suoi insegnanti e su tutte le
questioni che mettono in campo dei "valori" o dove si intersecano
questioni sensibili per la religione e per la società.
E’ bene ricordare che il nostro approccio di metodisti e
valdesi è proprio un altro, alternativo a quello cattolico. Noi
vogliamo promuovere una società in cui si sia e ci si senta cittadini
pienamente responsabili, in cui le persone possano scegliere
consapevolmente, e quindi in modo informato, tra opzioni diverse, in
cui possano convivere culture e modelli diversi. Insomma, una società
al plurale e non al singolare, basata su principi di uguaglianza e
solidarietà. Ma non per questo confusa e indistinta. L’attività
legislativa deve servire proprio a regolare le situazioni più varie,
estendendo il più possibile la definizione di diritti e doveri,
riconoscendo la legittimità di una pluralità di comportamenti e
modelli, religiosi e laici, privati e pubblici. La legge sul divorzio
non ha forse dato la possibilità di creare nuove famiglie, definendo
contemporaneamente i doveri verso quella di provenienza? E la legge
sull’interruzione di gravidanza non ha combattuto la piaga
degli aborti clandestini? E perché una legge sulle unioni di fatto
non dovrebbe dare un maggior "ordine" all’esistenza di
milioni di italiani, definendo diritti e doveri anche in quei
focolari? E perché una legge sulla libertà religiosa dovrebbe farci
perdere la nostra identità? Dove sta la minaccia? Insomma, non
confondiamo cause ed effetti: non è la legge che crea la realtà, la
legge interviene sempre a disciplinare una realtà che c’è
già.
Ciò non impedisce, e non impedirà, a chiese, religioni, gruppi
sociali e culturali di proporre legittimamente scelte di vita
preferenziali, indicare e sostenere valori il più possibile diffusi.
Ma, appunto, in un contesto plurale di libertà responsabile.
Torre Pellice, 30
gennaio 2007
|