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Candela dell'Avvento

Meditazioni di Avvento 2018

 

 

 

Natale 2018

Ecco, il Signore proclama fino agli estremi confini della terra: «Dite alla figlia di Sion: "Ecco la tua salvezza giunge; ecco egli ha con sé il suo salario, la sua retribuzione lo precede"».
Quelli saranno chiamati Popolo santo, Redenti del Signore, e tu sarai chiamata Ricercata, Città non abbandonata.
Isaia 62,11-12

L'angelo disse loro: «Non temete, perché io vi porto la buona notizia di una grande gioia che tutto il popolo avrà: Oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è il Cristo, il Signore. E questo vi servirà di segno: troverete un bambino avvolto in fasce e coricato in una mangiatoia"».
Luca 2,11
-12

Oggi è nato per voi un bimbo da una vergine senza l'eguale: quel bimbo tenero e delicato sarà per voi gaudio e letizia. E' Gesù Cristo nostro Signore: vi condurrà via da ogni male, sarà egli stesso vostro Salvatore, vi purificherà d'ogni peccato.
Sii benvenuto nobile ospite, che non disdegni il peccatore e da me vieni nella miseria: come potò mai ringraziarti ?

Martin Lutero

[...] La testimonianza del Nuovo Testamento è il rischio assolutamente inaudito di dire quanto dice di Dio e delle cose divine non in generale, nella forma della dottrina e del mito, ma di dire tutto in ordine a quest’unico punto: Gesù Cristo.

Non si può comprendere il Nuovo Testamento se non si comprende il riferimento continuo a quest'unico nome, se non si coglie la voce che risuona da quest’unico punto. Se dal Nuovo Testamento volessimo togliere il nome Gesù Cristo, rimarrebbe certamente un bellissimo libro, ma completamente assurdo, come un predicato senza soggetto, e lo si prenderebbe anche in poca considerazione, perché quanto esclusivamente ne determina il peso è proprio questo nome.

Questo nome in quanto tale non è casuale. Gesù significa salvatore, redentore, il che ci dice che l’uomo è un perduto, che non può salvarsi da solo, ma che ha bisogno di un liberatore. Ed egli ha come salvatore, come redentore colui del quale si dice: «concepirai nel grembo e partorirai un figlio, e gli imporrai nome Gesù». «Partorirai un figlio», dunque un uomo.

Non si tratta di un angelo, di uno spirito, di un’idea, né di qualcosa di grande e di alto, ma di questo essere semplicissimo e concreto, nella sua infinita misteriosità e allo stesso tempo nella sua importanza: l’uomo. Partorirai un figlio e gli imporrai nome Gesù. Essa deve essere la madre e, dandogli questo nome, attuerà la volontà di Dio e con questo nome innalzerà il segno.

Karl Barth, L’Avvento. Il Natale, Morcelliana, 1992


Se vogliamo parteciare all'Avento e al Natale, non possiamo starcene in disparte, come se fossimo in un teatro, e gioire per tutte le immagini piacevoli, bensì in questi avvenimenti che qui accadono siamo noi stessi a essere trascinati dentro, in questa traformazione di ogni cosa; dobbiamo essere attori su questo palco, in cui lo spettatore dell'opera è anche parte della recita; non possiamo chiamarci fuori.

Dietrich Bonhoeffer

 

La notte declina;
aleggia nel ciel
dell'alba vicina
il pallido vel
Nel mondo silente
nessuno sa ancor
che d'umile gente
è nato il Signor.

Degli angeli udite
il canto lassù;
«Fratelli , gioite:
è nato Gesù»
Offrite, o pastori,
con trepida fe'
i vostri tesori
degli umili al re.

Degli umili il cuore
per tutte le età
conforto ed amore
in Lui troverà.
Signor, che venisti
me pure a salvare
il cielo m'apristi,
Te voglio adorar!

Innario Cristiano n.75 Antico Noel francese
Claudiania Torino 2000

23 Dicembre IV Domenica di Avvento

In quel tempo uscì un decreto da parte di Cesare Augusto, che ordinava il censimento di tutto l'impero.
Questo fu il primo censimento fatto quando Quirinio era governatore della Siria.
Tutti andavano a farsi registrare, ciascuno alla sua città.
Dalla Galilea, dalla città di Nazaret, anche Giuseppe salì in Giudea, alla città di Davide chiamata Betlemme, perché era della casa e famiglia di Davide, 5 per farsi registrare con Maria, sua sposa, che era incinta.
Mentre erano là, si compì per lei il tempo del parto;
ed ella diede alla luce il suo figlio primogenito, lo fasciò, e lo coricò in una mangiatoia, perché non c'era posto per loro nell'albergo.

Luca 2, 1-6

 

 

Sono ricche di particolari le narrazioni intorno alla nascita di Gesù! Eppure se ne parla solo in due evangeli, in una posizione che comunque non è mai centrale. Perché al centro stanno, per tutti e quattro gli evangeli, la passione, la morte e la risurrezione di Gesù, cioè i tre versanti del cuore narrativo intorno al quale si sono dispiegati i diversi racconti su Gesù. È chiaro: gli autori neotestamentari sono interessati più al messaggio che alla biografia di Gesù. L’apostolo Paolo, poi, si occupa solo di Gesù maestro: la sua vita di bambino o adolescente non gli interessa. Peccato! Noi, a dire il vero, vorremmo saperne un po’ di più su Gesù da bambino. Le circostanze riguardanti la sua nascita e la sua infanzia emanano infatti un certo fascino. Sono eventi carichi di suspence. A tratti parrebbe di ascoltare una radiocronaca da un fronte di guerra. Una famiglia sradicata, un parto in condizioni a dir poco precarie, poi di nuovo la fuga per mettersi in salvo con in braccio il neonato… Succede di tutto in quegli anni di Cesare Augusto e di Quirinio, governatore della Siria. Nel tempo del primo censimento della storia – promulgato dagli occupanti romani come strumento di stabilizzazione burocratica – la piccola famiglia di Giuseppe intraprende un doppio percorso: quello pubblico, imposto da una burocrazia che ha bisogno di contare i propri sudditi per poterli controllare e vessare, e quello privato che attende il nascere, il divenire. Questo secondo percorso, che si fa largo tra difficoltà destinate a farsi sempre più drammatiche, trasmette tuttavia una sensazione di maestosa calma. È l’arte dell’attesa. Così rara allora, e ancor di più oggi, ostaggi come siamo dell’imperativo «tutto e subito».

Dunque attesa di una nascita, che nell’evangelo è ritmata da canti, da visite famigliari, come quella di Maria a Elisabetta, da dubbi, sogni, preghiere, preoccupazioni. Ogni nascita cambia il mondo e non c’è evento più rivoluzionario che l’affacciarsi di una nuova vita. È in particolare nei racconti di questa nascita a Betlemme che risuonano antichi echi biblici, attraversati da una sottile ironia, da un sapiente sorriso capace di collegare due culle lontane: quella di Mosè e quella di Gesù. Il canestro nel quale viene adagiato il piccolo Mosè sulle acque del Nilo è come una piccola arca di Noè. Qui l’acqua, da luogo di distruzione, si trasforma in ricettacolo di salvezza cosmica. E anche la mangiatoia della stalla di Betlemme, in cui viene deposto il neonato Gesù, si fa luogo di salvezza: è il ricovero di chi, non avendo nulla, neppure un giaciglio, trova comunque una casa propria. La stalla è il tempio della gente povera, indifesa, è uno dei tanti rifugi marginali del mondo. Ma è anche un’alcova accudita e difesa da mani femminili. Asilo in cui non si nutre altra sicurezza (e ricchezza) se non quella di affidarsi completamente a Dio. In una fiducia totale.

Sono stati questi umili, protettivi luoghi biblici ad avere affascinato i movimenti pauperistici del medioevo. I quali non intendevano certo evocare, da beati possidenti, la bellezza di una chiesa povera, ma incarnare davvero una chiesa di tal fatta: non percorrere le strade del discepolato comodamente assisi sulle portantine del potere, bensì procedere con la modesta semplicità delle proprie gambe. Dunque, partire da luoghi dimessi, inermi, per muoversi verso l’altra direzione, quella dell’antipotere; per affrontare in povertà il grande viaggio verso la redenzione, la conversione, la trasformazione radicale. Il Nilo – le cui acque accoglieranno i corpicini dell’eccidio ordinato dal faraone – diventa così anche sorgente di rinascita. Così come la stalla si fa dimora originaria, dove la promessa di Dio prende corpo. È, questa stalla, un riparo domestico in cui non c’è bisogno di bussare per entrare. Gli ultimi della scala sociale possono perciò vedere nel bimbo, stretto tra Giuseppe e Maria, la loro stessa nascita. L’identificazione del Figlio con i dannati della terra si manifesta così, fin da subito, totale.

Nella cronaca lucana incontriamo i poveri chiamati ad annunciare, nella notte del mondo, l’incredibile notizia che in quella mangiatoia di un paesino sperduto è nato il Cristo. Mentre i potenti del mondo si riducono da protagonisti ad antagonisti di secondo piano: come il faraone, affogatore di maschietti ebrei, ma che – ironia del racconto – non riuscirà a impedire il salvataggio del piccolo Mosé proprio per mano di sua figlia; o come Erode che cerca rabbioso il bambino di Betlemme, compie una strage orrenda, ma non gli riesce di scovarlo per eliminarlo. I possenti dominatori si rivelano così meschini e impotenti, ridotti a inconsapevoli comparse di un disegno più grande, posto nelle mani di Dio, non in quelle degli uomini.

Ma l’ironia del racconto biblico dilaga, si spinge oltre i racconti stessi della nascita. Come nel caso della fuga in Egitto, proprio quell’Egitto che è simbolo per antonomasia dell’oppressione nei confronti degli ebrei, storica icona della maledizione da cui fuggire lontano e per sempre. Tanto che la fuga dalla schiavitù d’Egitto rimarrà espressione immutabile di un Dio che libera, e la cui liberazione viene ripercorsa ogni anno durante il seder, la cena pasquale ebraica. Certo, la storia non si cambia. Ma questa volta, con la partenza di Gesù, Giuseppe e Maria per l’Egitto, la scena viene ribaltata. Infatti, nel viaggio «a ritroso» della famiglia di Giuseppe, la fuga parte dalla Giudea, fattasi luogo di pericolo, per raggiungere l’Egitto, trasformato invece in terra di rifugio. Da Betlemme infatti bisogna andarsene al più presto, per sottrarsi al terrore di Erode, che voleva sopprimere tutti i bambini sotto i due anni di età. Così, quel luogo nemico, l’Egitto, diventa, per una piccola famiglia che ha un piccolo da difendere e far crescere, un luogo amico. Certo, all’epoca della fuga della famiglia di Gesù, l’Egitto è solo una della tante terre annesse all’impero romano. La Sfinge è ormai coperta di sabbia, i grandi monumenti dell’antica civiltà sono solo alture del deserto. La permanenza della famiglia di Giuseppe in Egitto si svolge dunque tra le rovine di un antico splendore.

Nella storia del mondo non ci sono situazioni immobili, statiche: ciò che oggi è negativo può diventare positivo. Dalla morte alla vita, dall’oppressione alla liberazione, dall’ostilità all’accoglienza. Le due nascite che aprono, negli scritti biblici, l’epopea del popolo ebraico e più tardi di quello cristiano racchiudono una buona dose di sorprese. Le cose vanno diversamente da come i protagonisti dei racconti avevano immaginato. L’immaginazione di Dio travalica sempre la nostra. Ci obbliga a un cambiamento non da poco. Per sostituire la ricchezza con la povertà, l’ingiustizia con la pace, la violenza con la dolcezza, l’arroganza del potere con un sincero spirito di servizio verso il prossimo. Insomma, una trasformazione radicale. Dalle acque del Nilo e dalla mangiatoia di Betlemme, il Dio della liberazione da ogni male entra nella nostra storia per aprirci a questa conversione: la quale oltretutto ci permette di credere che il male può essere vinto non solo nell’aldilà, ma qui e ora, proprio nei luoghi in cui noi oggi viviamo.

Pastore Giuseppe Platone Riforma, numero 47, 19 dicembre 2014

 

16 Dicembre III Domenica di Avvento

Il deserto e la terra arida si rallegreranno, la solitudine gioirà e fiorirà come la rosa; si coprirà di fiori; festeggerà con gioia e canti d’esultanza; le sarà data la gloria del Libano, la magnificenza del Carmelo e di Sharon. Essi vedranno la gloria del Signore, la magnificenza del nostro Dio. Fortificate le mani infiacchite, rafforzate le ginocchia vacillanti!
Dite a quelli che hanno il cuore smarrito: «Siate forti, non temete! Ecco il vostro Dio! Verrà la vendetta, la retribuzione di Dio; verrà egli stesso a salvarvi».
Allora si apriranno gli occhi dei ciechi e saranno sturati gli orecchi dei sordi; allora lo zoppo salterà come un cervo e la lingua del muto canterà di gioia; perché delle acque sgorgheranno nel deserto e dei torrenti nei luoghi solitari; e il suolo assetato si muterà in sorgenti d’acqua; nel luogo dove dimorano gli sciacalli vi sarà erba, canne e giunchi.
Là sarà una strada maestra, una via che sarà chiamata la Via Santa; (nessun impuro vi passerà) essa sarà per quelli soltanto; quelli che la seguiranno, anche gli insensati, non potranno smarrirvisi; nessuna bestia feroce vi metterà piede o vi apparirà; ma vi cammineranno i redenti.
I riscattati dal Signore torneranno, verranno a Sion con canti di gioia; una gioia eterna coronerà il loro capo; otterranno gioia e letizia; il dolore e il gemito scompariranno.

Isaia 35, 1- 10

 

 

«Io ho un sogno», diceva Martin Luther King, in uno dei discorsi più famosi del Novecento. Ascoltarlo fa venire i brividi ancora oggi. I testimoni raccontano che la grande cantante gospel Mahalia Jackson incitava l’oratore dicendogli: «Parla del sogno, Martin». E Martin parlò. Era il sogno di un futuro senza razzismo e senza discriminazione, un sogno di pace, giustizia e libertà, per i neri ma anche per i bianchi, per gli americani, ma anche per il mondo intero.

Anche Isaia sogna. Sogna un futuro diverso dal dramma del presente; oppure, se leggiamo il capitolo alla luce di quelli che seguono, interpreta un evento lieto della storia di Israele, cioè la mancata distruzione di Gerusalemme ad opera di Sennacherib, come inizio di un radioso futuro del popolo eletto. Questo sogno si esprime con immagini piene di gioia. Troviamo, anzitutto, quella, ripetuta, del deserto che fiorisce e diviene come la pianura di Sharon che, oggi ancora, è la zona più fertile e popolata di Israele; c’è poi l’immagine dei corpi rivitalizzati, il cieco vede, il sordo ode, lo zoppo saltella come un cervo; infine la visione della via santa che conduce a Sion, dove non vi sono animali feroci né pericoli, dove nemmeno i distratti si smarriranno; una strada sicura, una protesta contro la precarietà del presente. Anche il sogno politico di Martin Luther King è nutrito dalla fede nell’azione liberatrice di Dio. È Dio, che fa sognare il profeta, che fa sognare il dott. King. È Dio, che, secondo la Bibbia, vuol far sognare noi.

Cinquantaquattro anni dopo il discorso di Washington, si potrebbe fare dell’umorismo nero, su queste parole, vibranti e che fanno vibrare, accostate all’immagine dell’attuale presidente americano, che non incarna un sogno, semmai un delirio, e non lo fa con la forza di una parola, per quanto efficace, ma con quella della superpotenza che egli governa. E qualcosa di simile si potrebbe pensare anche del sogno di Isaia. Sognare può essere pericoloso: rischi di svegliarti bruscamente, cadendo dal letto. Lo aveva già detto, del resto, un altro rivoluzionario nero, Malcolm X: «Mentre il dott. King aveva un sogno, i neri d’America avevano un incubo». E non sono pochi a ripeterlo oggi: il sogno della giustizia di Dio è, nel migliore dei casi, una pia illusione; nel peggiore, una pericolosa intossicazione.

La fede cristiana ritiene, invece, che il sogno di Isaia, e anche quello di Martin Luther King, siano come sorgenti che sgorgano da Dio stesso e che irrigano un presente arido e sterile. Il sogno non è la descrizione anticipata del mondo che verrà, ma il fiorire del desiderio di guardare avanti, senza appiattirsi nel cinismo quotidiano. Il sogno di Isaia non è fuga in un futuro da favola, ma voglia di impegno in un presente difficile.

Il tempo di Avvento, che la chiesa vive in queste settimane, racconta Gesù che viene in questo mondo, il sogno di tutti i sogni. Questo sogno immenso viene vissuto da coloro che ne sono stati affascinati, cioè dalle cristiane e dai cristiani, anche nella forma di tanti sogni quotidiani: una società senza discriminazione sessista e senza violenza machista; esistenze di lavoro riempite anche di passione e non solo di fatica bruta; anni di vecchiaia spesi umanamente e non solo vegetando; la possibilità di vivere il proprio morire e non soltanto subirlo. Sogni terreni che diventano frammenti del grande sogno del mondo nuovo di Dio.

La fede cristiana sogna il futuro e per questo cerca di vivere il presente con passione. Non lo fa sempre come vorrebbe né come dovrebbe, ma ci prova ogni volta di nuovo. Non sarà tutto, ma nel mondo piuttosto depresso nel quale ci ritroviamo, non è pochissimo. Amen.

Fulvio Ferrario Chiesa Valdese - Riforma, numero 48, 15 dicembre 2017

 

9 Dicembre II Domenica di Avvento

Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce
(Isaia 9, 2)

Nello spirito del Natale, vi chiediamo di lavorare e pregare per una comunità accogliente e
inclusiva in Europa.

Mentre i cristiani si preparano a celebrare la nascita di Cristo, essi si pongono in una dimensione di attesa nutrita di speranza e aspettative, ricordando la profezia di Isaia: “Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce” (Isaia 9, 2).

Ci appelliamo alle nazioni e alle genti d’Europa, ai leader politici e alle nostre chiese: non
permetteteci di diventare indifferenti alle sofferenze altrui.
Vogliamo piuttosto amare la dignità di coloro che necessitano del nostro aiuto e vogliamo
riconoscere che accogliere lo straniero è parte della nostra eredità cristiana ed europea.
Possiamo noi essere coraggiosi e fiduciosi nel Figlio di Dio, luce del mondo, di cui celebriamo la nascita.

Cristo ci mostrerà la strada per una vita futura insieme.
Il mondo attuale continua a vivere nelle tenebre della persecuzione, del conflitto e della guerra.
Secondo le Nazioni Unite quasi 70 milioni di persone sono state costrette a lasciare le proprie case in cerca di asilo e sostentamento. Più della metà di questi sono bambini.
L’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati afferma: “Nessuno diventa un rifugiato per scelta; ma noi tutti possiamo scegliere come aiutare”.

Come cristiani siamo guidati dall’insegnamento biblico e dal nostro seguire Cristo.
In questo tempo di preparazione al Natale siamo richiamati alla nostra responsabilità così come alla promessa di Dio fatta di luce e vita per questo mondo.

Gesù l’uomo: Natale è la festa dell’incarnazione di Gesù. Per i cristiani l’incarnazione è
un’espressione dell’amore illimitato di Dio per l’umanità, il bimbo nato in una mangiatoia fu una grande gioia per tutto il popolo (Luca 2, 10). Così come ogni persona è creata a immagine di Dio (Genesi 1, 27), Gesù, facendosi uomo, afferma la dignità di tutte le genti. Nessun individuo o gruppo di persone è un “problema” da risolvere ma ogni individuo o gruppo di persone è meritevole di dignità in quanto amato da Dio. Condividiamo tutti una comune umanità, priva di distinzioni tra stranieri e residenti.

Gesù il rifugiato: da bambino trovò rifugio in Egitto quando Maria e Giuseppe fuggirono da Erode che minacciava di ucciderlo. Gesù sperimentò altresì la vita sotto l’occupazione romana, dunque conobbe misure che privarono le persone della loro libertà e calpestarono la loro dignità. Gesùè nato senza casa e sperimenta la tirannia e la sofferenza. Si identifica con il rifugiato e l’oppresso e chiede a noi di identificarci a nostra volta in modo compassionevole con chi è vulnerabile.

Gesù lo straniero: Gesù ci dice che la nostra risposta allo straniero è una risposta a Gesù stesso (Matteo 25, 40). Quando riconosciamo Cristo nelle vesti dello straniero iniziamo a incontrare il divino nell’altro. Non solo da una concezione che presuppone una divisone tra “noi” e “loro” giungiamo a una nuova relazione del “noi”, ma questo incontro avviene nel segno della benedizione e ci consente di diventare umani insieme.

Con profonda preoccupazione osserviamo l’evoluzione della risposta che l’Europa dà ai nuovi arrivi di persone. Basandoci sul messaggio biblico e sulla riflessione teologica, e consapevoli delle dichiarazioni fatte quasi venti anni fa al summit europeo a Tampere, nel 1999, dichiariamo che:

- è inaccettabile che politiche di “gestione dell’emigrazione” conducano a situazioni dove la perdita ingente di vite umane sulla strada verso l’Europa è divenuta normale e lo sfruttamento e la violenza sono diventate realtà quotidiana. Abbiamo bisogno di modalità di accesso realmente sicure (per esempio nuovi insediamenti, visti umanitari, politiche migratorie sul lavoro realistiche) e ricerca e soccorso lungo la rotta verso l’Europa.
- Riaffermiamo i concetti del summit di Tampere, in particolare “l’assoluto rispetto del diritto di cercare asilo” e “la piena e inclusiva applicazione della convenzione di Ginevra” come linee guida per una politica sull’asilo oggi. Questo includerebbe l’accesso effettivo a una procedura per le persone richiedenti asilo, a prescindere da come esse siano arrivate in Europa.
- Protezione nella regione d’origine e miglioramento delle condizioni nei paesi d’origine restano importanti, così che le persone non siano obbligate a spostarsi. Tuttavia, finché sussistono le cause che inducono all’emigrazione, l’Europa, in quanto regione del pianeta tra le più ricche e sviluppate, dovrebbe adempiere al dovere dell’accoglienza e della protezione anziché costringere paesi terzi ad arrestare i flussi migratori verso l’Europa stessa.
- La solidarietà dovrebbe essere il principio cardine quando si governa l’emigrazione e, in particolare, l’accoglienza dei rifugiati. Solidarietà significa che le spalle più forti accettano di portare responsabilità maggiori di quelle più deboli ma anche che ciascuno contribuisce per quanto possibile.
- Rifiutiamo il concetto che l’accoglienza ai nuovi arrivati sia un danno per quelli che attualmente vivono in Europa. Le politiche dovrebbero affrontare i bisogni specifici dei nuovi arrivati in Europa e incoraggiare la loro possibilità a contribuire, rispettando, al contempo, le tradizioni e i bisogni dei residenti.
- Le discussioni sull’emigrazione e sui rifugiati dovrebbero essere caratterizzate dalla dignità, dal rispetto e, ove possibile, dalla compassione. La diffusione di messaggi sbagliati, non verificabili e divisivi rende più difficile la sfida di vivere insieme.
- I conflitti si presenteranno sempre laddove persone di diversa etnia e provenienza religiosa vivranno insieme, in particolare in circostanze che cambiano rapidamente. Vivere insieme nella diversità può essere sia arricchente sia impegnativo.

Ci appelliamo a uno spirito di tolleranza e benevolenza e all’impegno per un coinvolgimento costruttivo.
Ci impegniamo a esprimere più intensamente la visione di una società inclusiva e partecipativa e a lavorarvi – per i nuovi arrivati e per tutti coloro che vi abitano.

Dichiarazione di Natale approvata e sottoscritta dai leader delle varie chiese e denominazioni grazie alla Commissione delle chiese per i migranti in Europa (CCME) in collaborazione con la Conferenze delle chiese europee (CCE).

 

1 dicembre I Domenica di Avvento

Inizio del vangelo di Gesù Cristo Figlio di Dio. Secondo quanto è scritto nel profeta Isaia:
«Ecco, io mando davanti a te il mio messaggero che preparerà la tua via.
Voce di uno che grida nel deserto:"Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri"».
Venne Giovanni il battista nel deserto predicando un battesimo di ravvedimento per il perdono dei peccati. E tutto il paese della Giudea e tutti quelli di Gerusalemme accorrevano a lui ed erano da lui battezzati nel fiume Giordano, confessando i loro peccati.
Giovanni era vestito di pelo di cammello, con una cintura di cuoio intorno ai fianchi, e si nutriva di cavallette e di miele selvatico.
E predicava, dicendo:
«Dopo di me viene colui che è più forte di me; al quale io non sono degno di chinarmi a sciogliere il legaccio dei calzari. Io vi ho battezzati con acqua, ma lui vi battezzerà con lo Spirito Santo».

Marco 1,1-8

 

Sinceramente, voi avreste seguito un uomo, vestito di pelo di cammello che mangiava cavallette? Io, no di certo! Eppure è con lui che tutto comincia, è con lui che la storia di Gesù inizia nell’evangelo di Marco.

Nessun angelo, nessun presepe, niente pastori, niente magi, ma un uomo, solo, che grida nel deserto. E benchè non abbia un bell’aspetto, attira le folle: «Tutti i giudei e tutti gli abitanti di Gerusalemme andavano da lui». Nessuno manca all’appuntamento, sono tutti là. Sono convinti dalle proposte di quest’uomo, sono ugualmente d’accordo per ricevere un battesimo di conversione radicale. Lo ascoltano, l’approvano, voglio cambiare la propria vita, vogliono cambiare vita.

L’attesa di un messia. Tutti hanno sete di cambiamento, cercano un senso, attendono il Messia… Forse si tratta di lui? Giovanni mette le cose in chiaro:
«Dopo di me viene colui che è più forte di me; al quale io non sono degno di chinarmi a sciogliere il legaccio dei calzari». No, lui non è il Messia, ma questi sta per arrivare.

Occorre attendere qualche giorno perché Gesù arrivi e riceva il battesimo. In quel momento lo Spirito discende su di lui sotto forma di colomba. E una voce si fa sentire: «Tu sei il mio diletto Figlio; in te mi sono compiaciuto».

Quanti erano i testimoni del segno di elezione di Gesù? Certamente molto numerosi. Tuttavia, pur avendo inteso l’annuncio della venuta imminente del Messia, pur avendo assistito alla conferma di questo, annuncio, nonostante l’apparizione della colomba, pur avendo inteso la voce, lasciano Gesù partire verso il deserto. E dopo quei quaranta giorni, Gesù non è riconosciuto da nessuno, cammina lungo la riva del mare di Galilea, ma nessuno fa attenzione a lui. Deve prendere l’iniziativa e chiamare i primi discepoli. Sarà solo dopo aver realizzato il primo miracolo che si parlerà di lui.

L’annuncio e il battesimo di Giovanni avrebbero dovuto preparare i loro cuori ….Ma i cuori sono stati riluttanti. E’ difficile convincere qualcuno quando ha deciso che non si lascerà convincere…. Anche un grande profeta, anche una colomba, pure una voce divina non possono farci niente.

Non è sempre così: a Natale, annunciamo che Dio dona il suo unico figlio per amore del mondo ….ma questo a chi interessa? A credere che non siamo che pochi a esserne convinti….. Ma occorre per questo perdere la speranza? No, perché le vie del Signore sono talmente impenetrabili che un Saulo da Tarso ha cambiato radicalmente la propria vita. Allora, andiamo, non abbiamo paura: gridiamo nel deserto, saremo per forza uditi!

Nicole Rouland-Rupp Église Protestant Unie de France (ÉPUdF) – Savoie Riforma, 7 dicembre 2017

 

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Ultimo aggiornamento: 24 Dicembre 2018 © Chiesa Evangelica Valdese di Firenze