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Venerdi 25 dicembre, Natale

Io sono la luce del mondo

Giovanni 8, 12  


   Accendi con gioa il tuo alberello di Natale!

   Il Natale, però, non è fatto soltanto di graziose candeline dalla luce fioca, di dolci emozioni, di regali piccoli o grandi che fai o ricevi, e nemmeno di quella gioia contenuta, velata di leggera malinconia propria della sera di Natale che passi con i tuoi o, forse, da solo. Al di là di tutto ciò sta un'altra realtà, qualcuno, Gesù. Non è soltanto in nome nostro che accendiamo le candeline, per vedere più chiario, per qualche ora soltanto, e poi ritorna tutto come prima; no, perché è presente lui che dice: «Io sono la luce del mondo». Le luci che accendiamo non sono che la risposta alla sua voce da noi udita, non importa se da lontano o dal profondo dell'abisso. E' vero, la nostra è una risposta piuttosto debole e di poco valore, ma rispondiamo come possiamo.

   La cosa più importante non sono neppure le nostre risposte, ma soltanto il fatto che lui è presente e ci ha chiamati. Sarebbe ugualmente Natale, anche se nessuno pensasse di illuminare il pino.

   Nulla può fermare Cristo; non è fermato né dalle nostre parole né dai nostri silenzi; egli fa risplendere la sua luce sul mondo intero. Non è una semplice verità di ordine spirituale quella cui diamo la nosta adesione o sulla quale facciamo le nostre riflessioni, ma è qualcuno, un 'io' che regna ed agisce con forza; qualcuno che con le sole sue forze prosegue il suo cammino e porta a termine la sua opera.

   Questa è la luce che porta veramente chiarezza, anche nei più reconditi angoli della terra, chiarezza allo scettico più ostinato, allo spirito più malinconico e inasprito, all'anima più indifferente.

   Accendi dunque con gioia il tuo alberello, a Dio piace vederci, nel mezzo della notte della nostra esistenza, accendere con fierezza, in nome suo, sulla terra, qualche piccola luce, quasi una protesta contro la notte in cui viviamo, o, meglio, quasi a voler testimoniare la grande luce dei tempi, accesasi sopra di noi.

Signore Gesù,
siamo deboli e poveri,
tu sei forte, ricco e vivo,
e la tua potenza è senza limiti.
Nella nostra povertà e nella nostra miseria,
la tua potenza sia la nostra gioia.
Amen.

Meditazione di Eduard Thurneysen tratta da:

Eduard Thurneysen e Karl Barth, "Meditazioni per il Natale e la Pasqua", Queriniana, 1967

 

 


 

Domenica 28 novembre, IVa di Avvento

E Zaccaria, suo padre, fu riempito di Spirito Santo e profetò:

«Benedetto il Signore, Dio d'Israele, poichè ha visitato e riscattato il suo popolo,
e ha suscitato per noi un salvatore potente nella casa di Davide suo servo,
come aveva promesso per bocca dei suoi santi profeti dei tempi antichi,
salvezza dai nostri nemici e dalle mani di tutti quelli che ci odiano,
per usare misericordia ai nostri padri e ricordarsi del suo santo patto,
del giuramento che ha giurato ad Abramo, padre nostro,
di concederci che, liberati dalle mani dei nemici, possiamo servirlo senza timore,
in santità e giustizia al suo cospetto, per tutti i giorni nostri.
E tu, bambino, sarai chiamato profeta ell'Altissimo,
perché precederai il Signore per prepargli la via,
per dare al suo popolo la conoscenza della salvezza nella remissione dei loro peccati,
opera delle viscere misericordiose del nostro Dio,
per cui verrà a visitarci un sole che sorge
ad illuminare coloro che giaccione nelle tenebre e nell'ombra di morte,
per guidare in nostri piedi sulla via della pace».

Il fanciullo, intanto,cresceva e si fortificava nello spirito;
ed era nei deserti fino al giorno in cui si manifestò a Israele.


Luca 1, 67-80  


   Queste parole di Zaccaria vanno comprese come qualcosa di unitario, come una spiegazione della conoscenza che egli ha di suo figlio, di questo testimone di Dio che gli è donato. Se noi consideriamo il contenuto di questo discorso: che in questo cantico a Giovanni si accenna appena, espressamente solo nel versetto 76, è chiaro che questa parola sul testimone è, in realtà, una parola su Cristo. Il discorso, qui, concerne Lui molto più apertamente che nel cantico di Maria. Volendo parlare del cristiano come testimone, si può sempre e solo dire: qui si tratta sì dell'uomo, ma prima e dopo, in verità, il discorso può riguardare soltanto l'Altro, di cui questo bambino deve essere testimone. La luce che porta un testimone cristiano e che da lui promana, questa luce può essere solamente una luce riflessa, presa a prestito, derivata dalla Luce primaria, originale, che egli con la sua esistenza può solo servire.[...]

Il senso dell'avvenimento che ha luogo in questa famiglia con la nascita di Giovanni è Gesù Cristo, il Messia promesso. Egli, il Dio di Israele, «ha visitato e riscattato il suo popolo, e ha suscitato per noi un salvatore potente». Alla nascita di Giovanni la gioia deve essere immediata: la gioia per la presenza del Salvatore.[...]

«Ci ha liberato dalle mani dei nemici». Zaccaria vede il popolo di Dio, vede la Chiesa nel mondo minacciata dai suoi nemici umani, che però non sono i suoi peggiori nemici; i nemici peggiori sono l'incredulità, la superstizione, l'eresia, in cui il demonio frammischia il suo seme alla parola di Dio. ecco i veri nemici. Che potrebbero contro Israele gli assiri, i Babilonesi, i Filistei e gli Egiziani, se Israele fosse fedele a Dio? Ma, non essendo fedele, mette egli stesso in campo i veri avversari. Ed è stato liberato da questi nemici. In questo periodo Dio si occupa di noi: Gesù Cristo non si occupa di pericoli immaginari. Ma Dio si interessa di noi in Cristo, in questo problema fondamentale: nel pericolo consistente nel fatto che noi non abbiamo né fiducia in Dio né coraggio. Egli è il nostro redentore e salvatore. La salvezza consiste nella fedeltà di Dio alla sua parola. Israele non crede e infrange la promessa. Ma Dio si ricorda del suo patto, mantiene la parola, la sua parola è la sua parola: questa è la salvezza. Come siamo sciocchi quando consideriamo la parola una semplice parola! Dove vi è la parola di Dio, vi è Dio stesso, nella sua fedeltà nonostante la nostra infedeltà, e la sua parola ci attinge proprio nella nostra infedeltà. E' diretta proprio a me, che sono infedele e disubbidiente, E' diretta a quest'uomo che non sa nulla, neppure pregare, neppure pregare un poco. Come Dio è stato fedele ai padri, così è fedele a noi. Vuole portarci a vivere la nostra vita al suo servizio senza timore. [...]

Ed ora la missione di Giovanni al centro del cantico: testimoniare, ecco il tuo mandato. Parlare di questo salvatore e liberatore, Gesù Cristo. Ecco la missione, l'inesauribile missione della tua vita. Che farai di fronte alla pienezza di ciò che qui bisogna dire, se diventi quello che ti è richiesto, un profeta dell'Altissimo? Nei versetti 77-79 il pensiero ritorna a ciò di cui si deve parlare. La conoscenza della salvezza consiste nel fatto che l'uomo viene posto al cospetto di Dio, del Dio misericordioso, del Dio che perdona i peccati. In questa misericordia di Dio ci ha visitato come «un sole che sorge per illuminare coloro che giacciono nelle tenebre e nell'ombra della morte, per guidare i nostri piedi sulla via della pace». E' la funzione di Gesù Cristo, di cui bisogna parlare, se si deve parlare della funzione del testimone. Egli stesso ora vive solo nella funzione di messaggero, che consegna una missiva.

E così siamo giunti alla fine dell'Avvento, di un Avvento che non è solo Avvento, ma è già Natale. Celebrare il Natale significherebbe lasciarci invitare e chiamare, e metterci dove è Giovanni, in questa semplice umiltà, ma anche in questa immensa, inconcepibile grandezza, quale inviato di Dio.

E ora Dio conceda a noi tutti di celebrare insieme il Natale in questo tempo grave e decisivo, nell'adorazione di Dio che è stato infinitamente buono con noi e con tutto il mondo, come dice e sempre dirà l'Evangelo; e di non iniziare l'anno nuovo senza cantare e dire come il Salmista: Gustate e vedete quant'è soave il Signore! Beato colui che in lui confida.

Karl Barth, "L'Avvento. Il Natale", Morcelliana, 1992

 


 

Domenica 12 dicembre, IIIa di Avvento

Poichè colui che è potente ha fatto di me
grandi cose e santo è il suo nome;

e la sua misericordia perdura di generazione
in generazione verso coloro che lo temono.

Egli ha operato con potenza con il suo braccio e
ha disperso gli orgogliosi nei pensieri del loro cuore;

Egli ha tratto i potenti giù dai troni ed ha innalzato gli umili;

ha colmato di beni gli affamati e ha rimandato a vuoto i ricchi.
Luca 1, 49-53  


   «Colui che è potente». Con questo nome essa carpisce a tutte le creature ogni potenza e forza e la dà solo a Dio.
   Oh è una grande audacia e un gran furto che questa piccola fanciulla compie: essa ha il coraggio di rendere con una parola tutti i potenti infermi, tutti i prodi fiacchi, tutti i sapienti stolti, di confondere tutte le persone di fama e attribuire solo all'unico Dio ogni potere, ogni azione, sapienza e gloria.
   Infatti, l'espressione "Colui che è potente" significa che non c'è nessuno che operi alcunché, ma, come dice san Paolo in Efesini 1,11: «Dio solo opera tutto in tutte le cose, e le opere di tutte le creature sono opere di Dio», come anche diciamo nel Credo: «Io credo in Dio, padre onnipotente». Egli è onnipotente, di modo che nulla, se non la sua potenza, opera in tutti e per mezzo di tutti e sopra di tutti.
   Così canta anche Anna, la madre di Samuele, in I Samuele 2,9:
«
Nessuno ha il potere di fare di sé alcuna cosa» e san Paolo dice in II Corinzi 3,5 «Noi non siamo nemmeno capaci di pensare alcunché come proveniente da noi, ma tutta la nostra capacità viene da Dio»
   Questo è un articolo di fede ben alto e molto esteso; abbatte ogni orgoglio e presunzione, protervia, millanteria, falsa fiducia ed esalta Dio solo. C'è di più. Esso mostra la ragione per cui Dio solo debba essere esaltato, ed è che egli opera ogni cosa.[...]

   Dopo che Maria ha finito di cantare di sé e dei suoi beni ricevuti da Dio e ha lodato Dio, percorre ora tutte le opere di Dio che generalmente compie in tutti gli uomini, e canta anche queste; ci insegna a ben riconoscere le opere, il carattere, la natura e la volontà di Dio.[...]

   Affinchè noi le intendiamo nel suo insieme, Maria enumera successivamente in questi quattro versetti sei opere divine in sei diverse categorie di uomini, e divide il mondo in due parti; in ciascuna parte ci sono tre opere e tre categorie di uomini, e una parte è sempre in contrapposizione all'altra. Essa mostra ciò che Dio opera da ambedue le parti e lo dipinge in tal modo che meglio non potrebbe essere dipinto.[...]

   Qui vediamo parimenti che Dio divide tutto ciò che il mondo ha in tre parti: sapienza, potenza e ricchezza, e tutto frantuma, dicendo che non ci si deve gloriare di tali cose, perché in esso non lo si troverà, né vi ha posto la sua compiacenza.
   Alle tre parti egli contrappone queste: misericordia, giudizio, giustizia.
Qui sono io, anzi faccio tutte queste cose. Io sono così vicino che non le faccio in cielo, ma in terra: qui mi si trova. Chi mi riconosce così, se ne può gloriare. Infatti, se non è sapiente, ma povero di spirito, la mia misericordia è per lui; se non è potente, ma oppresso,il mio giudizio è per lui e lo salverà; se non è ricco, ma operoso e bisognoso, tanto più abbondante sarà verso di lui la mia giustizia.
   Per sapienza egli intente tutti i beni spirituali ed i doni elevati, mediante i quali un uomo può gioire, gloriarsi ed essere orgoglioso, come mostrerà il seguente versetto (v.51), per esempio: intelligenza, ragione, sapienza, arte, pietà, virtù, vita onesta; in breve, tutte le facoltà dell'anima, che sono divine e spirituali, possono essere dei doni elevati, ma nessuno di essi è Dio stesso.
   Per potenza intende ogni autorità, nobiltà, amicizia, dignità e onore, sia che si tratti di potenza su beni temporali o spirituali, sia sul popolo civile o ecclesiastico, unitamente a ogni diritto, libertà e vantaggio che essi comportino. Veramente nella Scrittura non c'è autorità, né potere spirituale, ma soltanto servizio e sottomissione.
   Per ricchezza intende salute, bellezza, piacere, forza e tutto ciò che di esteriormente buono può essere attribuito al corpo. In contrapposizione a questi beni stanno altre tre categorie: i poveri di spirito, gli oppressi e i bisognosi dell'aiuto materiale.

Martin Lutero, "Commento al Magnificat", Servitium, 2005

 

 


Domenica 6 dicembre, IIa di Avvento

E regnerà sulla casa di Giacobbe in eterno,
e il suo regno non avrà fine.

Luca 1, 33  


   In quest'ultima ed altissima promessa riguardo a Cristo non è detto altro che questo: sarà un re; dominerà come sovrano di un regno. La singolare importanza del nome di Gesù si schiarisce quando ci poniamo di fronte al Nuovo Testamento con la domanda: ha veramente valore? Questo è veramente il segno di Dio su cui io possa fare assegnamento, con cui possa vivere nella Chiesa, con cui io osi entrare nell'umanità moderna? La risposta a questa domanda dipende molto semplicemente dalla nostra posizione di fronte a Gesù Cristo.
   E si potrebbe di nuovo trovare concretamente descritta questa posizione nel versetto 33 e nella sua affermazione sulla regalità. Dinanzi a questo versetto ci si potrebbe chiedere: per me Gesù è realmente colui che mi comanda come un re, vale a dire: sotto il segno di questo nome di Gesù c'è per me un'esigenza, un ordine a cui non solo io non mi possa sottrarre, ma a cui io sappia pure che non potrei oppormi? Un'esigenza, un appello, che se semplicemente abbia autorità?

   Egli è qui nella forma di questo uomo, che sarà chiamato grande e Figlio dell'Altissimo, vero Dio e vero uomo, al quale noi sappiamo di essere legati. Possiamo quindi avere molte idee, ma nonostante tutte le idee, una cosa è certa: egli regnerà sulla casa di Giacobbe in eterno! Io posso sollevare la questione solo in forma di domanda: ne sappiamo qualcosa noi? Con questo, su di noi, non ci viene detto nulla; noi siamo quel che siamo, siamo legati. Apparteniamo a questa casa di Giacobbe, ci piaccia o no: dobbiamo essere e saremo dove è il suo re. «E il suo regno non avrà fine». L'ordine che viene instaurato non avrà fine, è in vigore e lo sarà sempre.

   Conosciamo anche altri regni: il regno dei nostri pensieri, dei nostri ideali e dei nostri sogni, anche i regni politici. Ma tutti questi regni fanno il loro tempo, e di nessuno si dirà «il suo regno non avrà fine». Se noi fossimo a conoscenza di questo regno e sapessimo come esso sia in vigore per sempre, comprenderemmo il Nuovo Testamento e sapremmo che cosa è la Chiesa e non ci lasceremmo tanto spaventare e intimorire dai regni di questo mondo. Allora saremmo uomini lieti, molto lieti! Saremmo giovani e avanzeremmo verso l'anzianità e la vecchiaia, giungendo infine alla morte e sapremmo questo: qualunque cosa sarà di noi e qualunque cosa potrà accadere anche nel mondo, «il suo regno non avrà fine». Allora saremmo uomini fiduciosi, confortati. Se conoscete questa fiducia, conoscete che cosa significa il nome di Gesu nel Nuovo Testamento.

Karl Barth, "L'Avvento. Il Natale", Morcelliana, 1992

 


Domenica 28 novembre, Ia di Avvento

Ed ecco, concepirai nel grembo e partorirai
un figlio, e gli imporrai nome Gesù .

Luca 1, 31  


   A partire da questo versetto, dalla storia dell'Avvento, cui appartiene anche Maria, emerge ciò che è particolare, nuovo. Ora qualcosa ci supera. Ci accostiamo al prodigio del Natale, tocchiamo il centro in cui non ci è dato di entrare. Qui soltanto una teologia mistica potrebbe voler proseguire ancora con paragoni. Ma la Bibbia non sa nulla della nascita del Redentore nelle nostre anime, conosce soltanto l'avvenimento assolutamente unico della sua nascita «esteriore», dai mistici un poco sottovalutata, che deve suscitare una nuova nascita anche in noi, ma che sta dinanzi alla nostra fede come l'oggetto della nostra fede. [...]

   La testimonianza del Nuovo Testamento è il rischio assolutamente inaudito di dire quanto dice di Dio e delle cose divine non in generale, nella forma della dottrina e del mito, ma di dire tutto in ordine a quest'unico punto: Gesù Cristo. Non si può comprendere il Nuovo Testamento se non si comprende il riferimento continuo a quest'unico nome, se non si coglie la voce che risuona da quest'unico punto. Se dal Nuovo Testamento volessimo togliere il nome Gesù Cristo, rimarrebbe certamente un bellissimo libro, ma completamente assurdo, come un predicato senza soggetto. e lo si prenderebbe anche in poca considerazione, perché quanto esclusivamente ne determina il peso è proprio questo nome.

   Questo nome in quanto tale non è casuale. Gesù significa salvatore, redentore, il che ci dice che l'uomo è un perduto, che non può salvarsi da solo, ma che ha bisogno di un liberatore. Ed egli ha come salvatore, come redentore colui del quale si dice: «concepirai nel grembo e partorirai un figlio, e gli imporrai nome Gesù». «Partorirai un figlio», dunque un uomo. Non si tratta di un angelo. di uno spirito, di un'idea, né di qualcosa di grande e di alto, ma di questo essere semplicissimo e concreto, nella sua infinita misteriosità e allo stesso tempo nella sua importanza:l'uomo. Partorirai un figlio e gli imporrai nome Gesù. Essa deve essere la madre e, dandogli questo nome, attuerà la volontà di Dio e con questo nome innalzerà il segno.

Karl Barth, "L'Avvento. Il Natale", Morcelliana, 1992

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Ultimo aggiornamento: 25 Dicembre 2009 © Chiesa Evangelica Valdese di Firenze