Meditazioni di Avvento
[I giorni di festa] [Gesù] [La Parola fatta carne (I parte)] [La Parola fatta carne (IIparte)] [E' venuto!]
E' venuto!
"E' venuto!... "
(Giovanni 1,11)
Senza timore di esagerare, con la calma certezza di essere veri, si può dire che tutto l’Evangelo è riassunto, condensato in questa piccola parola, in questa voce del verbo venire.
Se non ci fosse nell’Evangelo questa piccola parola scarna, l’intero Evangelo, in tutte le sue parti, si disintegrerebbe: perché, se non fosse venuto non avrebbe parlato, non avrebbe accompagnato con i suoi segni potenti il messaggio, non sarebbe stato crocifisso, non sarebbe risorto, non avrebbe promesso di tornare per mantenere tutte le promesse fatte durante la sua venuta.
L’intero Evangelo non fa che ribadire, in una infinita varià di toni e di implicazioni, questo annuncio: «è venuto». Percfié è venuto l’uomo può credere, la vita può avere un senso, l’azione può non essere vana, la speranza può sorgere, la sicurezza dei privilegi e delle posizioni raggiunte può essere incrinata, la lotta contro l’ingiustizia e l’oppressione può essere combattuta, la sofferenza può essere trasfigurata, la forza stessa della morte può perdere la sua potenza.
Senza questa parola l’Evangelo cesserebbe di essere Evangelo: perché l’Evangelo non è altro che l’annuncio lieto e liberatore della sua venuta.
Chi rinnega l’Evangelo della sua venuta, l’Evangelo di Natale, rinnega l’Evangelo nella sua totalità. Chi trova insensato e insipido l’Evangelo di Natale finirà presto o tardi per trovare insensato e insipido l’Evangelo in tutte le sue parti. Chi predica che non si deve più predicare l’Evangelo di Natale è dimissionario dalla missione della predicazione. [...]
La protesta che oggi scuote i fondamenti stessi della società è indice di una delusione e di una ricerca tormentosa, che va oltre le questioni e le rivendicazioni in gioco. Non ci rendiamo conto che si tratta di una protesta dalle radici cristiane, di cui i cristiani non possono scrollarsi di dosso la responsabilità, riversandola sui cosiddetti non-cristiani, una protesta motivata dal fatto che i cristiani, nel tempo secolare che è stato loro dato, non hanno saputo rendere constatabile, credibile l’affermazione della sua venuta, non hanno saputo manifestare una coerenza osservabile tra il loro sistema di vita e di organizzazione della società e l’Evangelo di Natale, che pure professava-no e che hanno ridotto al rango liturgico?
Vi siete mai domandati perché nel nostro tempo la rivendicazione di motivi che pure erano parte integrante dell’Evangelo originario di Gesù, la rivendicazione della giustizia e della libertà, la rivendicazione dell’uguaglianza e del pane, del diritto dell’uomo alla vita e al rispetto, va di pari passo col rifiuto rabbioso di ogni rapporto col cristianesimo?
E' una perfetta ipocrisia, oltre che il segno di una massiccia ottusità spirituale, accusare i propugnatori di queste rivendicazioni di materialismo, di irreligione, di ateismo e assumere nei loro confronti atteggiamenti di scandalizzato e virtuoso spiritualismo. Non comprendiamo che si tratta di una rivolta sofferta e appassionata non contro di Lui e la sua venuta, ma contro i cristiani che hanno screditato e diffamato l’Evangelo di Natale, hanno trasformato l’annuncio di liberazione e di gioia della sua venuta in una conferma della falsità e dell’ipocrisia, in una copertura religiosa di questo vecchio mondo ingiusto e oppressore dell’uomo: una rivolta di dimensioni mondiali, in questa stanca Europa che si chiamò cristiana e in mezzo ai popoli del terzo mondo che odiano l’uomo bianco perché lo identificano con l’uomo cristiano da cui si sono sentiti traditi e sfruttati?
In questa situazione, celebrare oggi Natale facendone un elemento poetico di festa faiiiliare, benedetta con benedizioni ecclesiastiche, rappresenta un affronto fatto alla serietà dell’a vangelo di Dio e fatto alla distretta dell’uomo, significa svuotare di tutto il suo significato di redenzione l’Evangelo che annuncia: «è venuto».
Questo gioioso Evangelo di Natale non può essere annunciato da noi, che nel nostro tempo odierno tentiamo di perseverare nella fede, con tranquilla sicurezza di legittimisti che si sanno al riparo da ogni critica: può essere annunciato soltanto sulla base di una forte coscienza di peccato e di corresponsabilità nella situazione del mondo, in una consapevolezza di solidarietà con una colpa secolare che trascende i singoli, ma nello stesso tempo con una franca certezza evangelica, che tiene fisso lo sguardo all’essenziale senza lasciarsi distrarre dal marginale. [...]
Egli è venuto non in mezzo a degli esseri disincarnati e asociali, è venuto proprio in mezzo a noi, immersi come siamo nei nostri problemi, che sono reali, sono pesanti, non sono risolvibili in modo semplicistico. Ed Egli con la sua venuta non li risolve: li pone in una prospettiva diversa da quella in cui si dibattono senza trovare una soluzione, li illumina. [...]
Il fatto che Egli è venuto è la luce che ci permette di distinguere gli elementi della vita al posto che è assegnato a ciascuno di loro nella esistenza del singolo e nella storia dei popoli, di avere il retto orientamento per non brancolare nel buio, per vedere con chiarezza davanti a noi la via da percorrere (Bultmann). [...]
Certo, quando la chiesa sa quello che crede e quello che predica, il risultato non è necessariamente la conversione del mondo, anzi ci sono tutte le probabilità che sia l’indurimento del mondo, che ritorna perennemente sulla sua decisione di togliere di mezzo, di crocifiggere Colui che è venuto per essere la sua salvezza e la sua vita.
Ma la nostra consegna non è interessarci dei risultati, i risultati non sono di nostra competenza. La nostra consegna è di annunciare con lucida coscienza che è venuto, nella certezza della necessità e dell’urgenza di questo annuncio. La nostra utilità o inutilità come cristiani nel mondo dipendono essenzialmente dal fatto che, nella nostra vita privata, nei nostri culti, nelle nostre opere, nelle nostre strutture, sui nostri giornali diciamo o non diciamo: E' venuto [...]
Afferrati da questa parola, vincolati per la vita e per la morte da questa parola, tutto quello che abbiamo da dire di vero e da fare di giusto sta nel ripeterla senza reticenze e senza equivoci a noi e agli uomini, sta nel sapere che gli uomini di tutte le epoche e di tutte le tendenze hanno bisogno di sentir risuonare questa parola in mezzo ai loro problemi, «nelle grandi e nelle piccole cose, nel complessivo e nel particolare, nella totalità della loro esistenza», hanno bisogno di vivere del fatto che Egli è venuto, devono poter contare su questo fatto che non soltanto illumina ma trasforma completamente la realtà profonda della vita (Karl Barth).
Perseverate e rallegratevi nella fede di Natale, nella fede in Colui che è venuto: è l’unica cosa che conta.
Vittorio Subilia, Sermone predicato a Roma, durante il culto interdenominazionale di preparazione al Natale, nella chiesa battista di Via Teatro Valle il 22 dicembre 1970
tratto da Vittorio Subilia, "La Parola che brucia", meditazioni bibliche,
Caludiana, Torino, 1991
La Parola fatta carne (II parte)
" La Parola è stata fatta carne ed ha abitato
fra noi e noi abbiamo contemplato la sua gloria"
(Giovanni 1,14)
Nelle traduzioni moderne si perde quasi del tutto il senso della originale espressione evangelica: noi traduciamo genericamente: «ha abitato fra noi», ma il testo primitivo deve essere reso così: «ha piantato la sua tenda fra noi». Per orecchie giudaiche questo termine aveva un significato preciso in quanto ricordava la tenda, il tabernacolo che accompagnava il popolo d’Israele nel deserto e conteneva i segni della Parola dell’Eterno, l’arca del Patto, le tavole dei comandamenti. Più tardi, al posto della tenda di convegno, era stato edificato il Tempio, diventato il luogo dove si concretava la presenza di Dio, tanto che ogni giudeo, anche in regioni lontane, nel momento della preghiera, si volgeva verso Gerusalemme, il luogo dove era il Tempio.
L’evangelista, usando questa espressione, che cosa vuole affermare se non che Gesù ha preso il posto del Tempio e che da ora innanzi nella sua persona si concreta la presenza stessa di Dio? Sappiamo noi oggi sentire la forza grandiosa di questa affermazione?
Possiamo rendercene conto leggendo l’affermazione successiva: «abbiamo contemplato la sua gloria». Che cosa significa contemplare la sua gloria? Nel I secolo molti giudei, greci, romani videro l’uomo che rispondeva al nome di Gesù, ma non seppero vedere in lui la gloria, la presenza di Dio. Ma altri videro del vedere della fede, superando lo scandalo della carne umana e laica di Colui che dichiarava: «Chi ha veduto me ha veduto il Padre» (Giov. 14,9). Questi pochi trasmisero alle generazioni successive la testimonianza della loro fede, ponendoci di fronte al problema di vedere in lui la gloria e la presenza di Dio.
Ad ogni nuovo Natale che ritorna si rinnova per noi la possibilità o meno di cogliere la presenza di Dio nelle situazioni più contraddittorie.
Sappiamo contemplare la sua gloria nel Libro in cui parlano e agiscono, peccano ed errano uomini così umani come Abramo e Davide, Paolo e Marco, Pietro e Giovanni, nella coscienza che dietro di loro si profila Uno diverso da loro che attraverso loro fa risuonare la sua Parola?
Sappiamo contemplare la sua gloria nella chiesa in cui la predicazione di noi pastori è talvolta così povera di autorità e la vita dei credenti talvolta così poco determinata dall’Evangelo e in cui talvolta, di fronte alle forze che agitano la storia, sembra mancare una chiara linea di condotta propria, non condizionata dall’ambiente?
Sappiamo riconoscere la sua presenza dietro il volto sofferente e ansioso quei minimi che non hanno una sistemazione al mondo e che sono una critica muta e terribile alle strutture della società come alla regolata calma delle nostre case?
Qual è la nostra reazione di fronte al peso di tutta questa «carne» così umana?
E' un atteggiamento di sfiduciati, oppure sappiamo cogliere dietro le contraddizioni il miracolo di Natale del Signore che ha piantato la sua tenda fra noi e ci ha rivelato la sua gloria?
Queste parole ci sollecitino a liberarci della nostra incredulità e a confessare con allegrezza la fede nell’Evangelo di Natale.
Vittorio Subilia, "Gesù, un laico" sermone predicato al culto interdenominazionale di preparazione al Natale,
il 23 dicembre 1938 nella chiesa valdese di Roma (Piazza Cavour)
tratto da Vittorio Subilia, "La Parola che brucia", meditazioni bibliche,
Caludiana, Torino, 1991
La Parola fatta carne (I parte)
" La Parola è stata fatta carne ed ha abitato
fra noi e noi abbiamo contemplato la sua gloria"
(Giovanni 1,14)
E' stato nel 1948. Da alcuni giorni, nella grande sala del Palazzo della Musica ad Amsterdam, si susseguivano i dibattiti che dovevano condurre alla costituzione del Consiglio Ecumenico delle chiese. Durante una seduta pomeridiana piuttosto pesante, la discussione, condotta da dignitosi rappresentanti di chiese particolarmente tradizionali, minacciava di cacciarsi in un vicolo cieco. Ed ecco che un vivace e disinvolto americano, non ricordo se battista o di altra confessione, chiese di salire alla tribuna. Non pronunciò un discorso, disse una sola frase che sbloccò la situazione: «Gesù è stato un laico!».
Poche parole del linguaggio corrente potrebbero rendere con maggior realismo il senso dell’Evangelo di Natale: «La Parola è stata fatta carne».
Non siamo di fronte a una di quelle manifestazioni solenni per cui gli uomini considerano la religione come la parte della vita che è a parte nella vita, la parte sacra che non va confusa col carattere mondano, laico della vita di tutti i giorni.Non siamo di fronte a qualche cosa di religioso, di ecclesiastico, siamo invece precisamente di fronte a qualche cosa di mondano, di laico; siamo di fronte a un uomo. Un uomo che non si presenta con l’aureola del santo, che non appare superiore agli altri, non porta la toga, non si veste di nero. È uno di quelli che vanno in giro per le strade in giacchetta e cappotto. Non è un sacerdote, non è un profeta, non è un rabbino, non è un professore di teologia, non è un vecovo o un arcivescovo o un moderatore, è un laico, un uomo «Carne», dice l’autore del quarto Vangelo. [...]
Incontrando quest’uomo, in presenza della sua carne così urnana e storica, due atteggiamenti sono possibili.
Non accorgersi di nulla, non voltare la testa, non vedere in lui nient’altro che L’uomo, vivere come se Natale non fosse. Questo atteggiamento è già documentato nel Nuovo Testamento: basta ricordare i farisei che borbottavano: «quest’uomo non è da Dio perché non osserva il sabato» (Giov. 9,16), Pilato che domanda: «Quale accusa portate contro quest’uomo?» (Giov. 18,29), e i giudei che lo attaccano dicendo: «Tu che sei uomo ti fai Dio» (Giov. 10,33). E questo atteggiamento è quello di tutti noi, rappresentanti di confessioni diverse che siamo qui stasera, l’atteggiamento nostro ogni volta che siamo tristi, oppressi o sfiduciati e viviamo e trattiamo i nostri simili come se Natale non fosse, come se l’uomo di Nazareth fosse un uomo qualunque.
L’altro atteggiamento è quello di coloro che, incontrandosi con lui, avvertono qualche cosa di radicalmente nuovo che li afferra e porta rivoluzione nella loro vita. E l’atteggiamento nostro quando, venendo a contatto con lui, riscopriamo chi egli è e confessiamo, con la fede dei credenti del I secolo e dei credenti di tutti i secoli, che la sua carne umana e mondana — l’uomo definito dallo spregiudicato americano di Amsterdam come un laico — è il Signore che parla, che ci dice la sua parola, non ci lascia più soli con i nostri problemi e le nostre tristezze, ma è presente in mezzo a noi, è venuto ad abitare in mezzo a noi.
(continua)
Vittorio Subilia, "Gesù, un laico", sermone predicato al culto interdenominazionale di preparazione al Natale,
il 23 dicembre 1938 nella chiesa valdese di Roma (Piazza Cavour)
tratto da Vittorio Subilia, "La Parola che brucia", meditazioni bibliche,
Caludiana, Torino, 1991
Gesù
"Colui del quale hanno
scritto
i profeti:
Gesù
"
Giovanni 1,45
Voglio rileggere, in questo avvicinarsi del Natale, le pagine dei profeti antichi intorno a Colui che doveva venire, intorno al desiderato delle nazioni. Vaglio travare anche in esse un ristoro per l’anima stanca ed un raggio di luce per l’intelletto che vacilla.
Tutto quel che i profeti avevano detto s’è avverato.
Avevan detto, vaticinando, la sua nascita misteriosa, la sua opera, il suo apostolato, la sua delusione ed il suo sconforto, le sue sofferenze ed il perchè di quel martirio senza nome.
Avevan detto tutto ciò; ed avevan detto la sua morte, la sua risurrezione, il suo futuro glorioso regno.
L'Antico Testamento è pieno della speranza di Cristo.
E’ lo Spirito di Cristo che si muove attraverso quelle pagine; prima più nascosto, poi sempre più luminoso.
Sono il pensiero, la vita, l’opera del Messia, che palpitano sotto quei simboli, sotto quelle figure, ed in quelle promesse.
Volete voi comprendere le parole più sacre dei profeti? Cercate in esse il Cristo e il desiderio ardente del suo regno.
Verso di lui convergono tutte le idee, tutte le aspirazioni, tutta la storia, tutta l’esistenza della parte più spirituale del popolo eletto.
Se le pagine dell’Antico Testamento m’ispirano e mi sembrano più belle é più dense di fatti meravigliosi ogniqualvolta le rileggo — è perchè mi par di vedere, in una visione lontana, quel popolo di patriarchl e di profeti che guarda col cuore gonfio d’amore e di speranza, verso il glorioso avvenire promesso, e per quell’avvenire combatte. E’ perché mi par di vedere quei servitori dell’Altissimo, che si trasmettono l’un l’altro, d’età in età, la fiaccola man mano più splendente della rivelazione divina, onde il Cristo possa un giorno prenderla dalle loro mani, animarla col, soffio del suo spirito, sollevarla al disopra della sua fronte purissima, irradiarne tutto quanto se stesso, ed esclamare dinanzi alla terra e dinanzi al cielo:
Io sono la luce del mondo.
meditazione di Sergio Rostagno tratta da
"Più presso a Te, Signor....." Pensieri brevi per ogni giorno dell'anno,
terza edizione, Libreria Claudiana Editrice, Torre Pellice, 1932
I giorni di festa
"Che farete nei giorni delle solennità,
e nei giorni di festa dell'Eterno ?"
Osea 9,5
Si avvicina il Santo Natale. La parola che il Signore rivolgeva al suo popolo nello approssimarsi delle grandi solennità d’Israele, egli la rivolge ora a me particolarmente e io devo rispondere per conto mio. Che cosa farò nei giorni delle feste del Signore? Sarà lecito, senza dubbio che io mi abbandoni alle oneste gioie famigliari. Ma quali saranno le mie preoccupazioni essenziali? Quali i miei pensieri dominanti? Quali i sentimenti e la vita dell'anima mia?
Innanzi tutto io mi ricorderò. Fu perché gli, uomini si ricordassero, che le solennità israelitiche prima, ed in seguito le cristiane, vennero man mano istituite dalla pietà dei fedeli... Nel silenzioso raccoglimento dello spirito io mi ricorderò di tutto quel che Dio misericordioso ha fatto per me, e dell’infinita carità manifestatasi dalla culla di Betlemme fino alla croce del Calvario; e domanderò al Signore che non sia sterile il ricordo, ma accenda la mia gratitudine e mi spinga all’opera santa.
Eppoi io mi purificherò. Lavatevi dice l’Eterno — purificatevi, togliete d’innanzi agli occhi miei la malvagità delle vostre azioni; cessate dal fare il male, imparate a fare il bene. — E perché, o Signore? — Perchè io non posso soffrire l’iniquità unita all’assemblea solenne.
E finalmente proclamerò la grazia del Signore. Potrei forse dare una maggiore e più viva espressione alla mia fede ed alla mia riconoscenza? Potrei forse manifestare più eloquentemente i miei sensi di solidarietà umana verso tutti quelli che la grazia non conoscono e non apprezzano ancora? Io la proclamerò, quella grazia, adorando nel tempio insieme ai miei fratelli; io la proclamerò con le mie parole e con la mia vita, con i miei canti di giubilo e con le mie preghiere; io la proclamerò con tutte le mie facoltà, con tutta la mia passione intensa, con tutto me stesso.
meditazione di Sergio Rostagno tratta da
"Più presso a Te, Signor....." Pensieri brevi per ogni giorno dell'anno,
terza edizione, Libreria Claudiana Editrice, Torre Pellice, 1932
|