di Gigliola Belforte tratto da Riforma 15 aprile 2010
31 Marzo 2010
Agosto 2009
Il moderatore della Tavola valdese scrive a Silvana "come donna e come cristiana"
La pastora Maria Bonfede, moderatore della Tavola valdese, con una lettera aperta pubblicata su NEV-Notize evangeliche del 20 febbraio 2008, esprime la sua vicinanza nel dolore a Silvana, la donna vittima di un’irruzione di agenti di polizia mentre si sottoponeva ad un aborto terapeutico al Policlinico Federico II di Napoli.
Cara Silvana,
mi permetto di scriverle una lettera aperta perché ho visto che lei ha inteso dare pubblicità a quello che le è accaduto nell'ospedale Policlinico di Napoli.
Lo faccio come donna e come credente, innanzitutto per esprimerle la mia vicinanza in un momento difficile della sua vita, reso ancora più intollerabile da una violenta irruzione nel suo dolore da parte di chi dovrebbe garantire protezione e giustizia. Mi permetto di scriverle perchè sono molto preoccupata del clima culturale e politico nel quale si è consumata la vicenda che la riguarda: la sua dignità ed il suo diritto a compiere una scelta certo sofferta e meditata, sono stati violati nel momento in cui qualcuno ha voluto politicizzare il tema della legge 194 e in particolare il riconoscimento dell’autodeterminazione della donna in materia di aborto volontario. Mi amareggia che tutto questo venga spesso motivato nel nome di valori cristiani: al centro della mia fede in Gesù Cristo, infatti, non c'è una norma o un principio, ma l’attenzione alla singola persona e la pratica dell'amore e della compassione. Quell'amore e quella compassione che le sono stati negati nei giorni scorsi e che, prima dell’approvazione della legge 194 (e della sua conferma con il referendum popolare del 1981) erano negati a tutte le donne che si trovavano, spesso in solitudine, nella drammatica e rischiosa condizione di dover ricorrere all’aborto clandestino.
Noi sappiamo che ogni scelta umana è segnata dal limite e dal peccato, perché puro e santo è solo il Signore. A noi è dato però di operare scelte parziali, con responsabilità, amore e spirito di condivisione.
E’ questa comprensione dell’evangelo, gentile Silvana, che oggi mi porta vicino a lei e alle tante donne che, invece di solidarietà e rispetto, incontrano perentori giudizi senza appello.
Come donna e come cristiana so che l'esperienza della vita che nasce dentro di noi è una infinita grazia del Signore; per questo credo che ci si debba impegnare seriamente nella diffusione di una cultura della contraccezione, che avvii alla procreazione cosciente, voluta e responsabile. Ma al tempo stesso so che la vita ci pone sfide e problemi enormi che non possono essere risolti con una brutale semplificazione: che cosa significa amare di fronte a un feto malformato? E' una domanda che ogni genitore si è posto mille volte ed alla quale non credo si possa dare una risposta univoca e assoluta. Per questo, come pastore, non salgo su una cattedra a giudicare una scelta difficile e dolorosa, ma mi pongo al fianco di chi sta soffrendo, con simpatia e nella preghiera.
Pastore Maria Bonafede,
Moderatore Tavola Valdese
Pena di morte e aborto non possono essere accomunati
«L'autonomia riproduttiva delle donne è uno dei diritti umani fondamentali. Non si possono obbligare le donne ad avere figli o a portare avanti gravidanze indesiderate». Lo ha dichiarato oggi la pastora Letizia Tomassone, vicepresidente della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI). I protestanti italiani entrano così nel dibattito sull’aborto infuocatosi in seguito alla provocazione lanciata dal quotidiano «Il Foglio» di Giuliano Ferrara, che ha chiesto una «moratoria dell'aborto», prendendo spunto dalla risoluzione per la moratoria della pena di morte votata il mese scorso dall'Assemblea generale dell'ONU su iniziativa del governo italiano.
«Un figlio, una figlia - prosegue la vice presidente della FCEI -, sono iscritti nel desiderio della madre che disegna con la creatura concepita una relazione densa di significato e di vita. Quando questo non avviene, perché il concepimento è frutto di violenza o di frettolosa superficialità ed errore, la donna deve essere messa in grado di interrompere la gravidanza. Fino a quel momento sono infatti in gioco la responsabilità e la libertà che lei ha sviluppato nella sua vita. Per questo il senso di libertà individuale, che è riconosciuto e considerato oggi in Occidente come il fondamento del diritto civile, fa parte della costruzione della dignità femminile. La donna non è un puro contenitore di vita concepita altrove. E' un soggetto libero che crea relazione con questa vita. Negare che l'interruzione di gravidanza si inserisca in questo processo relazionale significa riportare le donne a un obbligo biologico che non ci appartiene più».
Per la pastora Tomassone non è concepibile accomunare aborto e pena di morte, come invece proposto da Giuliano Ferrara: «Abolire la pena di morte significa riaprire le possibilità di relazioni umane per gli ex condannati. Riammetterli in quel circuito di comunicazioni in cui la vita non è pura biologia, ma capacità e libertà di decisione. Così anche leggi come la 194, che riconoscono la capacità e la libertà decisionale delle donne, affermano la centralità della relazione. In questa riapertura del dibattito sulla 194 una cosa sola è importante: che si fermi l'attenzione su una educazione libera e critica degli adolescenti e, in modo diverso, delle donne e uomini immigrati, sulla sessualità e sulla decisione di avere figli e figlie».
Roma, 3 gennaio 2008 (NEV-CS02)
La legge 194 ha bisogno di un "tagliando"?
La pastora Tomassone: "La legge va
difesa dagli attacchi integralisti in nome del principio etico della
responsabilità nella relazione"
"Non è nel dualismo morte-vita che si scioglie il nodo di
questioni etiche come l'interruzione di gravidanza, ma nella
dimensione della relazione". È quanto affermato oggi da Letizia
Tomassone, pastora valdese nonché vicepresidente della Federazione
delle chiese evangeliche in Italia (FCEI), nel corso di una
conferenza stampa durante il Sinodo delle chiese metodiste e valdesi
svoltosi a Torre Pellice (TO)dal 26 al 31 Agosto .
La pastora Tomassone è stata interpellata sulle polemiche sorte
dalla pubblicazione dell'editoriale di Eugenia Roccella ieri su
"Avvenire", in cui si parla di "pulizia etnica" a proposito del
ricorso all'aborto in casi di diagnosi prenatale di malformazioni e
in cui si afferma che la Legge 194, a trent'anni dall'approvazione,
avrebbe bisogno di un "tagliando". "La questione dell'eugenetica è
stata sollevata in maniera del tutto impropria – ha affermato
Letiza Tomassone – e non c'entra in realtà nulla con la Legge
194, che va difesa dagli attacchi integralisti. Bisogna affermare un
principio etico fondamentale, quello della responsabilità nella
relazione, per cui la donna può e deve decidere responsabilmente
nella sua relazione con il feto. La libertà delle persone deve essere
informata sul piano di un'etica della relazione, della cura e della
vita".
A cura dell'Agenzia NEV - Notizie
evangeliche del 30 agosto 2007