Testamento biologico L'Agenzia stampa NEV lancia un dossier
In occasione della prima Giornata nazionale sul Testamento biologico indetta il 19 novembre dal Coordinamento laico nazionale (CLN), l'Agenzia Stampa NEV-notizie evangeliche pubblica il Dossier "Le chiese evangeliche e il testamento biologico".
Roma (NEV) , 16 novembre 2011
di Gianni Genre
Luca Savarino, coordinatore della Commissione bioetica della Tavola valdese: "Quello uscito ieri dalla Camera dei deputati è un testo che restringe le libertà individuali. Meglio nessuna legge che una che sancisce la vita umana quale bene indisponibile"
di Ermanno Genre, NEV - Notizie evangeliche del 9 marzo 2011
La Commissione bioetica della Tavola valdese lo scorso 7 marzo è intervenuta nel dibattito sul testamento biologico
"La Commissione bioetica della Tavola valdese, in conformità con le posizioni espresse dal Sinodo dell’Unione delle Chiese metodiste e valdesi del 2007, negli ultimi anni ha sollecitato più volte l’approvazione di una legge sulle direttive anticipate di fine vita da parte del Parlamento italiano. Con rammarico, dobbiamo tuttavia constatare, come già stato fatto da altri, che la legge Calabrò, che riprende l’iter in seconda lettura alla Camera dei Deputati, è una legge contro il testamento biologico e non una legge sul testamento biologico. In primo luogo, l’esclusione di idratazione e alimentazione artificiale – equiparate a misure di assistenza ordinaria – dalle questioni oggetto di decisione, è figlia di un’impostazione culturale arretrata e marcatamente ideologica, in contrasto con le indicazioni delle Società Neurologiche e delle Società di Cure Intensive e Palliative internazionali. A ciò si aggiunga l’ambiguità su un punto fondamentale come la decisione in merito alla sospensione delle terapie, sul quale viene richiesto al (futuro) paziente di esprimersi, salvo demandare la decisione ultima al medico, che ha facoltà di scegliere se 'seguire o meno' le indicazioni contenute nelle direttive anticipate. Si aggiunge, infine, l’articolo che introduce il divieto di eutanasia anche attraverso 'condotte omissive', articolo che priva il cittadino del diritto all’autodeterminazione in materia sanitaria, senza chiaramente specificare cosa si intenda per eutanasia passiva, cosa configuri accanimento terapeutico, cosa significhi trattamento sanitario 'sproporzionato'. Quest’ultima espressione, in particolare, è in sé pericolosamente ambigua, poiché non si chiarisce se la sproporzione di un trattamento venga intesa in senso medico, oppure in relazione al giudizio del singolo sulla dignità e qualità della propria vita. Non esiste un principio assoluto al riguardo, e il giudizio andrebbe lasciato al paziente, che, esercitando la propria libertà di cura, decide se accettare o meno le terapie. Posizioni così intransigenti, come quelle espresse nella legge, non si confrontano con la complessità delle esperienze della vita umana, e tendono ad uniformarla a un principio astratto: esse non rappresentano dunque semplicemente una grave violazione del principio di laicità dello Stato, ma incarnano la paura della libertà individuale, indebitamente e strumentalmente equiparata all’arbitrio soggettivo".
Fine vita alla tedesca
Il disegno di legge Calabrò sul «fine vita» che avrebbe dovuto passare all’esame della Camera dei Deputati il 21 febbraio scorso è slittato al 7 marzo per lasciare la precedenza al «Milleproroghe». Nell’Appello apparso su La Repubblica del 21 febbraio, firmato tra gli altri dal giurista Stefano Rodotà e dall’ex-presidente della Corte Costituzionale, Gustavo Zagrebelsky, si sottolinea la necessità di fermare la legge se si vogliono dare «indicazioni» per il tempo della fine della vita che siano ispirate al principio di libertà e non a quello di autorità. E a questo proposito Rodotà cita l’articolo 32 della Costituzione che recita: «La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana».
Rileviamo che in Germania, dove non esiste una legge concernente le direttive anticipate di trattamento, le Chiese cattolica ed evangelica, che hanno un peso di pari importanza nel paese, hanno redatto sin dal febbraio 2003 un testo comune dal titolo Disposizioni cristiane del paziente che porta le firme del presidente della Conferenza episcopale tedesca card. K. Lehmann e del presidente del Consiglio delle Chiesa evangelica in Germania, pastore M. Kock, che può essere utilizzato da cristiani e non cristiani perché si fonda tanto sulle Scritture quanto sulla Costituzione tedesca. Nel primo capitolo sta scritto: «Non mi si deve applicare nessun intervento che prolunghi la vita se si accerta, secondo scienza e coscienza medica, che ogni intervento per mantenere la vita è senza prospettiva di miglioramento e prolungherebbe soltanto il mio morire».
Le due Chiese hanno dimostrato come sia possibile una pratica ecumenica riguardo a questi problemi di fine vita. Esse però precisano che si deve distinguere tra l’Assistenza attiva, che in Germania non è permessa in quanto significa il raggiungimento della morte di una persona mediante la somministrazione di preparati che provocano il decesso, e l’Assistenza passiva che ha lo scopo di garantire un trapasso umanamente dignitoso, in quanto permette che un trattamento che prolunghi la vita (per esempio tramite nutrimento artificiale, aerazione artificiale, dialisi, somministrazione di farmaci, come antibiotici, ecc.) a un malato irrecuperabile, venga sospeso o non venga neppure intrapreso. L’assistenza passiva alla morte presuppone il consenso preventivo del morente ed è ammissibile dal punto di vista del diritto e dell’etica.
Ogni sapere è sempre limitato e mai assoluto, sia quello scientifico sia quello teologico: si tratta di mettersi all’ascolto di competenze diverse che, nella loro interazione, cercano di individuare ogni volta quale possa essere il bene del paziente, evitando affermazioni assolute ed arroganti. Nessuna legge dello Stato, così come nessuna morale religiosa, possono sostituirsi alla libera e autonoma decisione di una persona. In Italia purtroppo si contrappone morale cattolica ed etica laica, così la legge che si voterà in Senato rischierà di essere il prodotto di questa contrapposizione. L’argomento principale su cui sono divise le varie posizioni nel nostro paese riguardano il rifiuto dell’idratazione e dell’alimentazione. Il cardinale Bagnasco ha precisato che queste somministrazioni sarebbero ormai universalmente riconosciute come trattamenti di sostegno vitale, qualitativamente diversi dalle terapie sanitarie. Ma come abbiamo rilevato in Germania la Chiesa cattolica pensa invece che siano terapie sanitarie.
Giovanna Pons
Tratto da Riforma del
03-03-2011
di Erika Tomassone, pastora valdese, della Commissione bioetica della Tavola valdese
Caso Eluana Englaro
"Disposizioni sanitarie del paziente cristiano", un testo comune di cattolici e protestanti contenente disposizioni sul fine vita, siglato nel 1999 (e rivisto nel 2003), che porta le firme del Presidente della Conferenza Episcopale tedesca cardinale K. Lehmann e del Presidente del Consiglio delle Chiese evangeliche tedesche M. Kock.
Leggi stralci del testo su MicroMega
le reazioni dei protestanti italiani alla decisione del Governo di procedere con un decreto d'urgenza sul caso Englaro
(AGI) - Roma, 6 feb. - Sono molto dure le reazioni dei protestanti italiani alla decisione del Governo di procedere con un decreto d'urgenza sul caso Englaro.
«L'attività del Governo e del Parlamento italiano ci stupisce e ci preoccupa vivamente - ha affermato il presidente della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI), Domenico Maselli - Da una parte si vara un decreto d'urgenza per fermare i medici di Udine e quindi mantenere la vita biologica di Eluana Englaro; e dall'altra si compie un passaggio parlamentare che
condanna alla clandestinità sanitaria gli immigrati irregolari che, preoccupati di essere denunciati per illegalità da un medico, metteranno a rischio le loro vite. Due scelte per noi eticamente sbagliate - aggiunge Maselli - perchè compiute nel nome di un principio ideologico astratto: la vita e la sicurezza. Ai principi ideologici astratti noi evangelici vogliamo contrapporre la pratica dell'amore e della compassione. Amore e compassione per
Eluana e la sua volontà; amore e compassione per gli immigrati che vivono in mezzo a noi ed ai quali, quando bussano alle nostre porte, i cristiani non possono che aprire l'uscio ed il cuore».
Altrettanto negativo il commento della pastora Maria Bonafede, moderatora della Tavola valdese: «Con un gesto di forza suggerito e preteso dalle gerarchie vaticane - ha dichiarato - il Governo ha varato un provvedimento che umilia la laicità dello Stato e ignora la volontà di una persona e della sua famiglia. Ancora una volta nel nome di un astratto
principio biologico si viola il principio dell'amore compassionevole nei confronti di chi, costretto ad una vita biologica che nulla ha a che fare con la grazia di una vita di relazione, chiede di morire con dignità. Oggi l'Italia paga l'ennesimo prezzo al potere politico della chiesa cattolica. È un brutto giorno per chi - anche cattolico - non è d'accordo con l'etica clinica imposta dalle gerarchie vaticane: da oggi, mentre con la forza della legge si impone una scelta che invece va lasciata alla libera coscienza degli individui, siamo tutti meno
liberi».
(AGI) FEB 09
Guardare a Eluana con gli occhi dell'amore e non dei dogmatismi
di Maria Bonafede, moderatora della Tavola valdese
Con ogni evidenza sul corpo di Eluana Englaro si sta giocando uno scontro politico cinico e lesivo della dignità di una persona e della sua famiglia. Con un vero e proprio accanimento politico, governatori e ministri si ergono a paladini di un simbolo e di una visione della vita che pretendono universale e che invece è parziale ed esclusiva.
Politici, teologi, commentatori di ogni tipo disputano su Eluana richiamandosi a principi e dogmi assoluti: guardano verso l'alto sfuggendo allo sguardo spento di una giovane donna che, quando ha potuto, ha chiesto che si ponesse fine a un'esistenza che per lei non era più vita, a una condizione che non ha più nulla a che fare con quel dono che ha ricevuto e del quale ha goduto per un tempo troppo breve.
La mia fede in Cristo mi ha sempre spinto a cercare Dio nell'amore di Cristo più che nelle formulazioni assolute delle nostre dogmatiche. Alla ricerca di una presuntuosa verità assoluta, si finisce infatti per perdere il senso della relazione d'amore, di ciò che possiamo e dobbiamo fare per sostenere il nostro prossimo che soffre.
E' veramente triste vedere come in tanti si affannino a discettare su un corpo ormai spento e impossibilitato ad ogni relazione, mantenuto in esistenza da un sondino.
Io preferisco non dire, non credo di avere alcuna verità da imporre con il consenso degli apparati della comunicazione di massa o con l'autorità della politica. Io posso solo indicare una Verità che non mi appartiene e di cui non dispongo: e per me è la Verità in Cristo e nel suo messaggio di amore, una verità debole, crocifissa e proprio per questo più forte di tutte le altre.
Non ammettiamo speculazioni politiche o dogmatiche sul corpo di Eluana – le stesse che abbiamo visto al tempo di Pier Giorgio Welby o di Terry Schiavo. Vorrei solo che l'ultima parola di questa vicenda fosse l'amore per una ragazza che non voleva vivere ciò che la stiamo costringendo a sopportare nel nome di valori e visioni che non le appartenevano.
L'amore, quindi, ed il rispetto. Lasciando che la storia si concluda come lei e la sua famiglia da tempo e con una ammirevole dignità hanno chiesto.
Piangeremo Eluana, ma almeno potremo dire di averla rispettata.
Tratto dal sito della Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia (FCEI) - 17 dicembre 2008
La Chiesa Evangelica Valdese di Firenze esprime la sua piena solidarietà
alla famiglia di Eluana Englaro, e si augura una conclusione nello spirito
da loro espresso.
A tal proposito ricorda il documento in tal senso approvato dal Sinodo delle Chiese Metodiste e Valdesi 2008.
" La Commissione bioetica valdese solidale esprime la propria solidarietà nei confronti della famiglia Englaro e ribadisce la propria posizione a favore della libertà di cura, che è sempre e contestualmente libertà di rifiutare la cura. La sofferenza di una persona non va subordinata a principi astratti. Il Parlamento approvi una legge sulle direttive anticipate di fine
vita".
"Come cristiani - afferma una nota della Commissione bioetica valdese
e metodista -, riteniamo sia necessario guardare alle persone viventi e alla
loro sofferenza, che non può essere dimenticata in nome di principi
universali e astratti, né può essere subordinata a una norma oggettiva e
precostituita che venga ritenuta valida in quanto presunta legge naturale.
Crediamo infatti che il cuore dell'etica cristiana debba essere la
sollecitudine verso le persone nella loro irrinunciabile singolarità, spesso
sofferente, talvolta, come nel caso di Eluana, addirittura tragica: di qui
discende, secondo noi, un'idea della medicina come terapia rivolta a
soggetti in grado di autodeterminarsi e in grado di decidere il proprio
destino. La libertà individuale non va guardata con sospetto e identificata con
l'arbitrio: per questo motivo, e in conformità con le posizioni espresse
dall'ultimo Sinodo dell'Unione delle chiese metodiste e valdesi, come
Commissione bioetica sollecitiamo da parte del Parlamento l'approvazione di
una legge sulle direttive anticipate di fine vita."
Firenze, 14 Novembre 2008
Il video testamento biologico di Ravasin è una testimonianza e una sfida
“Quella di Paolo Ravasin è una testimonianza importante”. Così il pastore Domenico Maselli, presidente della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI) ha commentato la registrazione filmata con cui l'associazione Luca Coscioni ha reso noto il testamento biologico di Paolo Ravasin, malato di SLA (sclerosi laterale amiotrofica) e presidente della cellula di Treviso della stessa associazione.
“Mentre è ancora forte la polemica sulla decisione del tribunale di Milano riguardante Eluana Englaro – ha dichiarato Maselli –, è estremamente importante la testimonianza di Ravasin, volta a provocare il legislatore affinché si provveda a dar vita al testamento biologico, e a porre di fronte alle coscienze il problema dell'accanimento terapeutico. Come cristiani siamo convinti che la lunghezza della vita non debba essere decisa da noi e, soprattutto, che dobbiamo realizzare la promessa di Gesù: avere vita in abbondanza. Pensiamo forse – ha concluso Maselli - che il Padre celeste ci offra dopo la morte una vita peggiore di quella dataci dalla macchina?”
Leggi anche l'editoriale di Erika Tomassone, pastora e membro del Comitato bioetica delle chiese metodiste e valdesi, sulla necessità di una legge sulle questioni di fine vita
.
Roma (NEV), 23 luglio 2008
11 Gennaio 2008, Conferenza- Dibattito su "Il Diritto di Morire"
Il dibattito organizzato dal Centro Culturale Protestante "P.M.Vermigli" in Via Manzoni 19 ha compreso
gli interventi di:
- Carlo Casini, Pres. del Movimento per la Vita italiano
- Pawel Gajewsky, Pastore Valdese
- Mario Melazzini, Pres. della Ass.ne Ital.Sclerosi Laterale Amiotrofica
- Mina Welby, Ass.ne Luca Coscioni
Moderatore il Prof. Marco Ricca, Pres. del Centro Culturale Protestante "P.M.Vermigli".
La conferenza- dibattito ha visto una notevole partecipazione di pubblico ed è stata interamente registrata. La sequenza degli interventi, oltre all'intera registrazione audio-video, può essere vista e scaricata dal sito di Radio Radicale.
"Bene la decisione della Cassazione sul caso di Eluana Englaro"
Maria Bonafede, moderatora della Tavola valdese, vede favorevolmente l'apertura della Corte di Cassazione verso un ripensamento di quelle sentenze che finora hanno imposto il mantenimento in vita di Eluana Englaro, in coma irreversibile da 15 anni.
In merito la moderatora ha voluto ricordare che solo due mesi fa il Sinodo delle chiese valdesi e metodiste ha approvato all'unanimità un ordine del giorno a favore di una legge sulle direttive anticipate di fine vita, meglio conosciute come “testamento biologico”.
"Con questo atto abbiamo già espresso la nostra posizione in merito: per noi valdesi e metodisti è principio di civiltà dare voce, attraverso una legge, alle scelte del malato compiute con coscienza e volontà e in previsione di una futura incapacità nell’esprimere validamente il suo pensiero" ha dichiarato Bonafede. L'atto varato dal Sinodo si rifà tra la altre cose alla Convenzione di Oviedo del 1997 già ratificata dallo Stato italiano. In particolare cita l’art. 9, laddove si afferma che "i desideri precedentemente espressi a proposito di un intervento medico da parte del paziente che, al momento dell’intervento, non è in grado di esprimere la sua volontà saranno tenuti in considerazione".
Roma (NEV), 17 ottobre 2007
Il Sinodo delle chiese valdesi e metodiste a favore di una legge
sul "testamento biologico" in Italia
Durante il sinodo
delle chiese valdesi e metodiste in corso dal 26 al 31 Agosto a
Torre Pellice (TO) c'è stato anche il dibattito suii rapporti con la
chiesa cattolica dopo la nota vaticana Il teologo valdese Paolo
Ricca: "Il nostro essere chiesa dipende solo dal giudizio di Dio."
Riprendiamo dal comunicato stampa del del 29 agosto 2007 a cura
dell'Agenzia NEV -
Notizie evangeliche il seguente testo.
E' come cittadini e come credenti che
valdesi e metodisti riuniti in Sinodo hanno approvato oggi
all'unanimità un ordine del giorno a favore di una legge sulle
direttive anticipate di fine vita, meglio conosciute come "testamento
biologico". I membri del sinodo ritengono che sia "principio di
civiltà dare voce, attraverso una legge, alle scelte del malato
compiute con coscienza e volontà e in previsione di una futura
incapacità nell’esprimere validamente il suo pensiero". "Poiché
la cura del malato, in ogni suo aspetto, deve sempre presupporre il
suo consenso – fatta eccezione per la situazioni di necessità e
di urgenza – nessuno, neppure i parenti, è abilitato a
esprimere la volontà del paziente in vece sua" si legge nel testo
approvato.
Si tratterebbe di fatto, come ricorda il Sinodo, di un semplice
adempimento della Convenzione di Oviedo del 1997, già ratificata
dallo Stato italiano, e in particolare dell’art. 9 laddove si
afferma che "i desideri precedentemente espressi a proposito di un
intervento medico da parte del paziente che, al momento
dell’intervento, non è in grado di esprimere la sua volontà
saranno tenuti in considerazione".
Testamento biologico
Intervista a Sergio Rostagno
In questi giorni si è tornati a parlare su alcuni organi di
stampa del testamento biologico. I disegni di legge sono fermi al
Senato, complici le manovre politiche dei diversi schieramenti.
L’Agenzia stampa NEV ha intervistato in merito Sergio Rostagno,
coordinatore della Commissione creata nel 1992 dalla Tavola valdese
per studiare i problemi etici posti dalla scienza. Rostagno è stato
titolare della cattedra di teologia sistematica alla Facoltà valdese
di teologia di Roma dal 1976 al 2002.
Il dibattito in Senato sul testamento biologico è in una fase
di stallo. Come teologo valdese come si pone di fronte a questa
elusione politica?
L’Italia non sa se deve diventare esplicitamente lo Stato
vaticano oppure avviarsi a una serie di aggiornamenti e dare alle
argomentazioni il peso che loro conviene indipendentemente dalle sedi
più o meno sante che li avanzano o dalla massa di elettori che preme
in un senso o nell’altro. Viviamo un momento molto difficile
per i rapporti tra filosofie e teologie politiche da un lato e la
realtà dall’altro. Vedo la minaccia di una tenaglia
nell’accordo tra il tomismo e quello che resta del marxismo. Ma
continuo a sperare che altre vie d’uscita diventino
percorribili.
Le chiese protestanti non hanno una posizione ufficiale in
riferimento ad una legge sul testamento biologico. La Commissione
della Tavola valdese per le questioni etiche poste dalla scienza
quale posizione esprime?
Abbiamo più volte soppesato gli argomenti e proposto soluzioni
ragionevoli sia in tema di direttive anticipate sia riguardo a quella
zona veramente difficile in cui i malati stanno tra la vita e la
morte e i medici a loro volta possono abbreviare o allungare le
sofferenze. I testi si trovano sul sito della Tavola valdese
(www.chiesavaldese.org). A noi sembra che una legge non possa
regolare ogni decisione in tutte le circostanze, ma forse è
necessaria una legge che garantisca al malato il libero consenso, lo
difenda da ogni possibile sopruso e impedisca poi di considerare
assassini i medici che prendono decisioni responsabili che abbiano
per conseguenza la morte immediata di chi soffre.
Le nuove frontiere della medicina hanno dato luogo a dilemmi
etici inediti; è lecito giustificare "teologicamente" le proprie
posizioni in merito a questioni profondamente delicate quali il
testamento biologico, o è sbagliato porre il discorso su questo
piano?
In questo momento la questione che mi fa riflettere di più è la
garanzia dell’autonomia della persona in merito alle direttive
anticipate. Sembra che si voglia impedire la sua autonomia in nome di
leggi ideali cui ognuno è tenuto a piegarsi. Queste leggi generali
sarebbero violate dalla decisione della persona particolare, e per
questo occorrerebbe impedirla. Tutto ciò è molto discutibile. Non
siamo soli davanti a Dio e nessuno può o deve essere lasciato solo di
fronte a decisioni importanti; ma la solidarietà non si esprime con
divieti, almeno in questo caso. La buona politica garantisce al
cittadino l’autodeterminazione, del tutto in armonia con la
Costituzione italiana, come Stefano Rodotà ha ben messo in evidenza
nell’articolo pubblicato ieri su “La
Repubblica”.
Cosa risponde a chi teme che il testamento biologico possa
essere considerato quale apripista al riconoscimento
dell'eutanasia?
Si tratta di cose diverse. Ci sono infinite situazioni diverse.
Dobbiamo risolvere i problemi uno alla volta e non applicare alla
cieca principi astratti. I principi generali sono conseguenze pensate
da noi e non premesse venute dal cielo; possono quindi aiutarci nelle
scelte, ma non devono essere applicati meccanicamente ai nostri casi
particolari. È bene che si fissi il limite oltre al quale non si
vuole andare, ma al di qua di tale limite, è bene che si lascino
aperte varie vie. Un caso è sempre concreto. Difficile quindi
decidere in astratto sul caso concreto.
Roma NEV, 27 giugno
2007
Eutanasia: libertà di vivere e anche di morire
"Dialoghi con Paolo Ricca"
Sono una valdese che ha mille dubbi in merito al discorso
dell’eutanasia, di cui ultimamente s’è tanto parlato.
Leggendo la Bibbia m’è sembrato di capire che Dio è la fonte
della nostra vita ed è l’unico che può intervenire in tal
senso. «In Te è la fonte della vita, e per la tua luce noi vediamo la
luce» (Salmo 36,9). A Mosè Dio diede il comandamento «Non uccidere» e
lo stesso Gesù insegnò che la vita umana ha un grande valore agli
occhi di Dio. Se consideriamo queste indicazioni, poiché la vita è un
dono di Dio e perciò sacra, l’uomo non ha diritto di porvi
fine. Ma Gesù ha anche insegnato l’amore e la misericordia
verso il prossimo. Potrebbe essere un atto di amore accogliere la
richiesta di aiuto di coloro che vogliono porre fine alla loro vita
per troppa sofferenza? Quando si tratta di persone in coma, vale lo
stesso discorso? Ma per loro non potrebbe esserci la speranza che la
scienza possa scoprire una cura? Che diritto ha l’uomo di
mettersi al posto di Dio? A fronte di quanto detto, noi evangelici
come ci poniamo tra la sacralità della vita e
l’eutanasia?
Marta Sciarratta – Torino
Siamo in molti ad avere, se non proprio «mille dubbi» come la
nostra lettrice, però sicuramente molte, inquiete domande
sull’eutanasia, perché si tratta di un problema delicatissimo e
in un certo senso insolubile, tanto più se ci poniamo – come in
effetti ci poniamo – in un’ottica di fede, e quindi
consideriamo la vita – la nostra e quella degli altri –
come opera di Dio, per cui possiamo, sì, dirla «nostra», ma come
dono, non come possesso, ne siamo beneficiari, non proprietari.
Quindi come prima cosa direi: su questa questione ben vengano i
dubbi! Non per condannarci alla paralisi e così eludere il rischio di
una decisione pro o contro, ma per mantenere viva la coscienza che ci
muoviamo su un terreno minato sul quale, anche avanzando con grande
cautela, è facile compiere passi falsi o trovarsi davanti a nodi che
è difficilissimo (e forse persino impossibile) sciogliere. I dubbi,
quindi, sono benvenuti. Dovrebbero però averli, i dubbi, non solo
coloro che sostengono la liceità morale e legale
dell’eutanasia, ma anche coloro che con ogni mezzo la
combattono, identificandola senza mezzi termini con l’omicidio
(che non è: bisogna distinguere tra uccidere e aiutare a morire!) e
squalificandola senza appello come opera diabolica. Non sarebbe male
se anche costoro, di solito così sicuri nei loro giudizi e
intransigenti nelle loro condanne, fossero attraversati da qualche
dubbio salutare.
Esporrò qui di seguito quello che penso su questa controversa
questione, pur sapendo che ad ogni argomento si può, volendo, opporre
un controargomento, ed essendo quindi perfettamente consapevole del
carattere discutibile e fallibile del mio discorso. Ma la vita morale
è fatta di scelte, per quanto ardue e problematiche esse possano
essere. Dobbiamo dire dei «sì» e dei «no», assumendocene la
responsabilità in primo luogo davanti a Dio, cioè alla sua Parola e
al suo Spirito, poi davanti ai nostri compagni di umanità e, si
capisce, davanti alla nostra coscienza. Tratterò la questione
cercando di rispondere ai maggiori interrogativi che
l’eutanasia pone.
Primo interrogativo. L’uomo ha il diritto
di disporre della sua vita, anche quando la consideri dono di Dio, e
non sua proprietà? Credo di sì. Nessuno ha mai negato al martire il
diritto di disporre della sua vita, sacrificandola, se necessario, a
un ideale, laico o religioso. Certo, non è la stessa cosa. Il martire
muore per gli altri, il malato terminale che chiede di morire, lo fa
per se stesso. Le finalità sono diverse, ma il principio è lo stesso:
l’uomo può disporre della sua vita, anche considerandola
«sacra» (come dice la nostra lettrice), in quanto dono di Dio. Se si
riconosce al martire il diritto di rinunciare alla sua vita, perché
questo stesso diritto lo si nega al malato terminale? Non è forse un
ideale umano da perseguire quello di porre fine a sofferenze atroci e
inutili, quando questo viene chiesto consapevolmente dalla persona
che soffre? Rispondere a questa richiesta non è forse una forma
dovuta, se non di amore, almeno di pietà e solidarietà umana?
Secondo interrogativo. Ma chiedere di morire non
è forse un atto di rivolta contro Dio, Signore della vita e della
morte? Non equivale a «mettersi al posto di Dio», come dice la nostra
lettrice? Credo di no. Quando la vita di una persona diventa solo più
un tunnel di sofferenze fisiche e psichiche acute, continue e senza
prospettive, chiedere di morire è, sì, un atto di rivolta, ma non
contro Dio, bensì contro il male che sta devastando quella vita, fino
al punto da renderla irriconoscibile come dono di Dio. Anche Giobbe
arriva a dire: «Perisca il giorno ch’io nacqui!» (3, 2), e gli
fa eco Geremia: «Maledetto sia il giorno ch’io nacqui!» (20,
14), il che vuol dire: meglio non vivere (e quindi non nascere)
piuttosto che vivere in questo modo. Si tratta certo di situazioni
estreme, assolutamente eccezionali. Esse però si verificano
realmente, e in quei casi si può invocare la morte (o la non nascita)
come preferibile a una vita che non è più una vita, ma solo un grumo
di sofferenze senza senso. In questo quadro, un eventuale «sì»
all’eutanasia non è un «no» a Dio, ma semplicemente un «no» al
cieco furore del male. Chi chiede di morire non lo fa per rendere
culto alla morte, la grande nemica di Dio, ma per salvaguardare la
qualità della vita, dono di Dio. È un paradosso, lo so, ma credo che
lo dobbiamo assumere.
Terzo interrogativo. Esisterebbe dunque per
ciascun uomo un «diritto di morire», oltre che di vivere? Credo di
sì. Si tratta sicuramente del più drammatico e – ancora una
volta – paradossale dei diritti umani, ma credo che esista,
perché la responsabilità del vivere comporta quella del morire, di
cui anche dobbiamo farci carico. Può naturalmente trattarsi sempre e
solo del diritto alla mia morte, mai a quella di altri. Mai, in
nessun caso, può diventare diritto di uccidere. Lo ripeto: bisogna
distinguere tra uccidere e aiutare a morire. Ma il diritto alla
propria morte esiste, e l’eutanasia è appunto questo: la
decisione di morire, chiedendo per questo aiuto all’istituzione
medica. L’eutanasia non è omicidio, è suicidio medicalmente
assistito. Essa è dunque un «no» alla vita? Non necessariamente...
Dire «sì» alla vita non significa dire «sì» a qualunque forma di
vita, così come dire «sì» all’amore non significa dire «sì» a
qualunque forma di amore (a esempio all’amore mercenario), e
dire «sì» alla pace non significa dire «sì» a qualunque forma di pace
(a esempio a una pace iniqua), e dire «sì» a Dio non significa dire
«sì» a qualunque dio.
Quarto interrogativo. Ma l’istituzione
medica non contraddice se stessa accettando di praticare
l’eutanasia? Non esiste essa forse per favorire la vita, e non
per assecondare la morte? Non credo che ci sia contraddizione.
L’eutanasia si presenta sotto svariate forme: la rinuncia
all’«accanimento terapeutico» quando è chiaro che non può
ridare la vita, ma solo prolungare l’agonia; l’eutanasia
passiva, che è più o meno la stessa cosa: l’interruzione delle
terapie che mantengono artificialmente in vita il malato;
l’eutanasia attiva, che consiste nel somministrare, su
richiesta ripetuta del paziente, dei sedativi che accelerano il
sopraggiungere della morte; il suicidio assistito, che consiste nel
mettere a disposizione del paziente che vuole morire i farmaci che
egli somministrerà a se stesso. Queste quattro forme di fine vita
sembrano, a prima vista, molto diverse tra loro. In realtà il confine
tra loro è labile, molto di più di quel che generalmente si crede o
si lascia intendere). Comunque sia, fermo restando il diritto di ogni
medico di non praticare l’eutanasia in nessuna delle sue
svariate forme, si deve, credo, affermare che l’eutanasia
stessa non si configura in nessun caso come un servizio alla morte,
ma come l’ultimo, estremo servizio al malato, per abbreviare,
su sua esplicita e ripetuta richiesta, il tempo delle sue sofferenze,
quando neppure le cure palliative riescono più a lenirle. Come già ho
detto: malgrado le apparenze contrarie, alla base della richiesta di
morire non c’è l’amore per la morte, ma l’amore per
la vita, per la sua qualità e dignità.
Quinto interrogativo. Riprendo la formulazione
della nostra lettrice: Quando si tratta di persona in coma, vale lo
stesso discorso? Dipende. Se la persona ha fatto il cosiddetto
«Testamento biologico» (più propriamente la «Dichiarazione anticipata
di trattamento») ed ha chiaramente disposto che, in caso di coma
prolungato e giudicato irreversibile, non venga tenuta in vita
artificialmente, occorre dar corso a questa volontà. Se invece non
c’è un testamento biologico e la persona non è più in grado di
decidere, credo che nessuno – parente o medico – possa
arrogarsi la facoltà di decidere per il malato in coma. Fondamentale
infatti, in tutta questa questione, è la volontà del malato, senza la
quale non si può, a mio giudizio, fare nulla. Ecco perché è
auspicabile che ci sia in Italia la possibilità (che non c’è
ancora) di redigere tale documento, in modo che ciascuno sia fino
alla fine responsabile di tutte le fasi della sua vita, anche di
quella terminale, e sia indotto ad affrontare il problema della
propria morte, cioè della propria finitudine, e non a rimuoverlo
sempre, come istintivamente facciamo.
Concludo. Non so se le risposte ai cinque interrogativi di cui
sopra hanno potuto dissipare almeno qualcuno dei «mille dubbi»
sull’eutanasia della nostra lettrice, che forse non condivide
la posizione di fondo qui sostenuta. Ritengo che sia non solo lecito
ma utile che su una questione così spinosa vi siano nella chiesa
posizioni diverse che, senza scomunicarsi a vicenda, si confrontino
cercando insieme una maggiore fedeltà di tutti alla «buona,
accettevole e perfetta volontà di Dio» (Romani 12, 2). Termino
riprendendo il bellissimo versetto del Salmo 36 citato dalla nostra
lettrice: «In Te è la fonte della vita, e per la tua luce noi vediamo
la luce». Calvino commenta: il Salmista vuol dire «che non è
possibile trovare una sola goccia di vita fuori di lui [cioè di Dio],
e che non proceda dalla sua grazia». La luce che ci apre gli occhi
così che anche noi «vediamo la luce», non è la luce del sole, per
quanto bella, dolce e preziosa essa sia, ma è la luce di Dio che
illumina la nostra vita terrestre e mortale in modo tale da
dischiuderla ai vasti orizzonti della vita eterna.
Tratto dalla rubrica "Dialoghi con Paolo Ricca" del settimanale
Riforma del 15 giugno 2007
La morte di Piergiorgio Welby
Maria Bonafede, moderatore della Tavola Valdese, ha partecipato
alle esequie laiche di Piergiorgio Welby in piazza Don Bosco a
Roma.
Durante il funerale civile di Piergiorgio Welby, Maria Bonafede,
moderatore della Tavola valdese, ha dichiarato: "Partecipiamo a
questo funerale con spirito di solidarietà umana e cristiana. Ho
voluto esprimere alla madre di Piero Welby la nostra vicinanza, così
come a tutti gli amici e a quanti, come noi (NdR: La Tavola Valdese
aveva dato piena adesione alle veglie 'con e per Welby' tenutesi
nelle ultime due settimane, per iniziativa dell’Associazione
Luca Coscioni), hanno condiviso la capacità di lottare e di sperare
di Piergiorgio."
Ha poi aggiunto: "Cristianamente, non comprendiamo
l’indisponibilità del vicariato cattolico di Roma a celebrare
un funerale cristiano per Welby. Crediamo infatti – come
cristiani evangelici, che la Parola della Grazia e dell’Amore
di Dio possa essere annunciata di fronte ad ogni morte".
Maria Bonafede aveva già rilasciato, in occasione della morte di
Piergiorgio, la seguente dichiarazione: "Sono sollevata dalla
conclusione della vicenda di Welby che, oggi, ha finito di soffrire e
di subire la violenza dell’accanimento terapeutico e di una
legislazione che non riconosce il diritto alla dignità della persona
anche nel punto di morte". Come cristiana esprimo la mia fraterna
compassione per un uomo che, laicamente, ha voluto aprire un caso a
beneficio di quanti altri si trovano nella sua condizione. Come ho
già fatto in occasione della veglia del 16 dicembre, esprimo la mia
solidarietà a chi lo ha assistito e accompagnato in questi giorni
difficili. Come moderatore della Tavola valdese e come cittadina
italiana, oggi mi sento ancora più impegnata, nella mia chiesa e
nella società italiana, a promuovere un dibattito etico, culturale e
politico sul testamento biologico. Al tempo stesso questa tristissima
vicenda ci dice quanto sia importante riaffermare il carattere laico
dello Stato; uno Stato che approva le sue leggi nell’interesse
generale dei suoi cittadini e non dei vertici di una particolare
confessione religiosa".
“Ascoltate il grido di dolore di Welby”
La pastora Maria Bonafede, moderatora della Tavola valdese (Unione
delle chiese valdesi e metodiste), con la dichiarazione che segue
intende inserirsi nel dibattito intorno all’eutanasia
riaccesosi dopo l’ennesima richiesta di Piergiorgio Welby di
poter morire:
“Piergiorgio Welby è un uomo che, con grande dignità e
coraggio, ha chiesto di staccare la spina delle macchine che lo
mantengono in vita. Nonostante un intervento del Presidente della
Repubblica, ad oggi non vi è stato nessun significativo riscontro
parlamentare. Noi valdesi, in quanto cristiani evangelici, crediamo
fermamente che la vita sia un dono prezioso di Dio. Ma la vita non è
pura funzione biologica. L’accanimento terapeutico, ancor di
più quando in contrasto con la volontà del malato, viola la sua
dignità e aggrava le sofferenze fisiche e psicologiche. Esaltando la
capacità tecnica, celebra l’onnipotenza umana che nulla ha a
che fare con l’amore e la compassione di Dio per le sue
creature. E l’amore non impone sofferenza né costringe ad una
artificiosa sopravvivenza. Per questo chiediamo che il grido di
dolore di Welby sia ascoltato e il Parlamento approvi al più presto
una legge sul testamento biologico”.
Bonafede avrebbe voluto dire queste poche parole in un dibattito
televisivo del servizio pubblico, “ma evidentemente esiste una
preclusione nei confronti di alcune comunità di fede il cui pensiero,
sulle questioni etiche, viene sistematicamente ignorato e
censurato”, ha aggiunto.
Roma (NEV), 6 dicembre 2006
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