Care sorelle e cari fratelli,
Voi che di tanto grata parola siete uditori assidui, dilettissimi membri di questa od altra evangelica congregazione. Quale risoluzione è stata la vostra al cospetto di Colui che investiga i cuori? Ascoltare, di continuo ascoltare, ed al Signore che sta alla porta e picchia non risponder mai, che condotta sarebbe codesta? La Parola di Dio è il suono del suo Spirito, è suo messaggio: a che servirebbe l'udirla e non far nulla? “Facciamo l'ambasciata per Cristo, come se Iddio esortasse per noi e vi esortiamo per Cristo: siate riconciliati a Dio”. Affrettatevi dunque a ricevere il dono di Dio: od avendolo già ricevuto non siate tardi a tributargliene gloria. Secondo ch'egli è scritto: Ho creduto e perciò ho parlato.
Questo scriveva il pastore Geymonat nella sua predicazione, quando 150 anni fa, teneva il culto col quale veniva innaugurato il luogo di culto della chiesa valdese di Firenze. In questo testo emerge con forza, in una situazione politica del tutto nuova qual'era quella all'indomani dell'unità d'Italia, la passione per l'Evangelo e la neccessità di rispondere prontamente alla chiamata evangelistica e missionaria della chiesa. È urgente predicare l'Evangelo al Paese unito. Il Paese, l'Italia, finalmente unita ora può ricevere la predicazione evangelica da una chiesa valdese finalmente italiana e non più reclusa fisicamente e psicologicamente dentro il ghetto delle valli. Geymonat lo dice:
Mutati i tempi, tolte le leggi che confinandola nelle anguste valli, Valdese l'avean ridotta, è volontà di Dio che torni del tutto italiana: chi più di noi lo dee desiderare? O Signore il tuo giudicio è venuto, e il tuo popolo ben conosce che questa è l'ora di spargere la Parola.
È urgente portare la Parola ascoltata a tutti coloro che sono in ricerca di una via nuova, di una libertà non più solo politica ma anche religiosa e spirituale, libertà dai ceppi della superstizione, è urgente portare la Bibbia, insegnare a leggere e a scrivere, condurre gli italiani nuovi alla Parola di Dio non più mediata da un'istituzione ma libera, per fare gli Italiani serve la Parola di Dio, serve ora condurre a queste genti l'annuncio dell'uomo nuova e della donna nuova come sono costituiti da Dio in Cristo in vista di una società nuova.
È urgente una predcazione nuova dell'evangelo, senza attendere un Lutero italiano che – dice Geymonat – se ci fosse sarebbe trasformato in un papa o in più di un papa:
Ci neghi pur la provvidenza quella gran mente che riformi l'Italia. Più sicura via, in questi nostri climi, è il camminar all'ombra, l'annunziar l'evangelo ai poveri, il principiare come al principio, come in Galilea, e sopra la pietra sprezzata e riprovata, ch'è divenuta capo del cantone, edificare la chiesa dell'avvenire come quella del passato con pietre sprezzate e riprovate, ma appo Dio elette e preziose.
Ecco che 150 anni dopo a noi giunge la stessa esortazione evangelica di Gesù e la testimonianza del pastore Geymonat e di quella generazione, che ha tentato nella storia anche l'unità dell'evangelismo italiano per la missione nel Paese, tale esortazione possiede una grande attualità.
Davanti a noi sta ancora la domanda della predicazione, della testimonianza: quando la predicazione diventa urgente? Quando la predicazione è urgente per la chiesa?
Potremmo rispondere, non sbagliando, che la predicazione è sempre urgente, che non abbiamo altro da fare se non predicare, testimoniare, evangelizzare, tutto il resto viene poi.
Cosa potrebbe fare mai una chiesa se non continuare la predicazione evangelica? Cosa rimarrebbe mai?
Ma c'è un tempo, un momento nella storia, in cui la predicazione diventa un'urgenza. Per chi? È un'urgenza per la chiesa? Certo la chiesa vede la sua realizzazione nel proclamare al mondo la Parola di Dio ed essa stessa ne ha costantemente bisogno, la sua stessa identità deriva dalla sua risposta alla vocazione di Dio alla testimonianza. Ma nella storia c'è un tempo in cui la predicazione diventa un'urgenza per il mondo. Il mondo, la società, la cultura, la gente ha bisogno della predicazione di Cristo Gesù per poter essere liberata da ogni peso, schiavirù, oppressione.
Qual'è il tempo dell'urgenza, quando non è più possibile rimandare, rinviare, quando la predicazione dienta chiaramente l'unica via da percorrere fedelmente e senza tentennamenti? Non quando abbiamo paura di soccombere e quindi cerchiamo nuovi fratelli e nuove sorelle! La predicazione non sarà mai un'urgenza se partiamo dall'obbiettivo di fare qualcosa per noi. La predicazione della chiesa non è la predicazione per la chiesa! La predicazione è urgente per la gente... per l'altro, per l'altra che tu non conosci.
La predicazione diventa urgente nel tempo della crisi, della solitudine, dello smarimento, della precarietà, nel tempo della paura e sorpattuto la predicazione diventa urgente ed udibile nel tempo in cui tutte le altre parole falliscono, in cui non si hanno più chiari punti di riferimento. Certo la nostra stessa predicazione si è avvalsa di punti di riferimento culturali, politici, sociali nella storia ma alla fine essa stessa deve diventare punto di riferimento per le masse. La generazione di credenti che nel 1800 ha portato l'evangelo agli Italiani partendo dalle Valli e giungendo fino alle coste del nostro Mezzoggiorno, sapeva bene che la predicazione era un'urgenza inderogabile: la Bibbia per l'Italia nuova. Così lo dice Geymonat nel linguaggio del tempo:
La religione nostra però non vuole essere né Valdese, né Piemontese, né Toscana, né Romana: è Cristiana, evangelica e nulla più. La chiesa in Italia non può che essere Italiana.
Questa è la nostra domanda allora, la domanda che riguarda la nostra chiesa e tutte le chiese evangeliche nel nostro Paese: è questo un tempo di urgenze? Siamo consapevoli del fatto che la predicazione sia oggi un'urgenza per questa Italia? Ora noi siamo circondati da una crisi spaventosa che ha come conseguenza una radicale involuzione economica ma questa crisi economica è la conseguenza, il sintomo di una malattia più radicale e profonda. La crisi del nostro tempo è la crisi della persona, della coscienza umana, la crisi dei rapporti, delle regole, del rispetto. È, questa crisi, il capolinea di una modernità concentrata solo su se stessa e pronta ad implodere lasciando indietro i più deboli, sfortunati, i più piccoli, la crisi di un mondo che non fa più sua la questione su Dio, che ha messo Dio tra parentesi non per una presunta maturità ma per rifiutare di essere messo in questione da Dio. Le vicende di Lampedusa hanno fatto riemergere con amara chiarezza l'urgenza di riconsiderare l'uomo e la donna; questo mondo deve rimettere al centro del proprio pensare ed agire, l'uomo, la donna, la persona con i propri diritti e bisogni comunitari. Per fare questo noi proponiamo la predicazione di Cristo perché per riporre l'uomo al centro dobbiamo ripartire da Dio. Se ripartiamo dall'uomo e per l'uomo, allora torneremo prima o poi allo scontro, alla divisione, alla rottura, partendo invece da Dio, l'uomo non sarà il centro del mondo ma sarà il figlio da amare e servire. Per trovare l'uomo serve trovare Dio e solo Dio saprà dirci chi siamo. Ecco, chi siamo! Siamo la chiesa costretta nella crisi (anche la nostra) o siamo la chiesa che dalla crisi accoglie l'esortazione di Dio alla proclamazione dell'evangelo? Siamo la chiesa nel fortino dove arroccarsi per difendere se stessa o siamo ancora una “pattuglia di credenti” pronta a scendere in campo per confrontarsi con il Paese e per dire al mondo che il Regno di Dio viene? Siamo ancora nella grotta, al sicuro o accettiamo la provocazione di Dio: che fai qui chiesa di Cristo? Anche questo è il tempo in cui dobbiamo scegliere se essere o se esserci, se essere la chiesa istituita o se esserci come chiesa nelle domande degli italiani, nelle gravi e pressanti questioni che pesano sulla vita degli uomini e delle donne. 150 anni fa l'Italia sembrava rinascere politicamente e la chiesa c'era, e disse agli Italiani che quello poteva essere il tempo della nuova nascita anche del loro rapporto con Dio. Oggi noi tutti, con gli uomini e le donne del nostro paese, siamo chiusi nel buio di una incapacità cronica della politica di portare l'Italia in una luce nuova, in una nuova riforma sociale; cosa diremo come chiesa? Solo predicheremo, non potremo fare altro se non annunciare che una speranza è possibile, che il futuo appartiene alla benedizione di Dio, che la scelta in favore dell'altro non è sintomo di debolezza, che la vera ricchezza è la crescita spirituale e culturale dei giovani, che il Regno di Dio è all'opera e che questo paese e questa società, nell'Europa Unita, piò essere ancora il campo in cui si può semniare il seme della Parola di Dio e si possono raccogliere duraturi frutti di vita nuova.
Come facciamo noi a rispondere a questa urgenza, siamo capaci di rispondere alla vocazione della predicazione? Abbiamo, in questi ultimi anni, ripreso a discutere animatamente dell'evangelizzazione, ebbene io vorrei cancellare questa parola perché è foriera di mille difficoltà ed impacci e vorrei parlare di predicazione e testimonianza, infatti: la predicazione è della chiesa ed è sempre pubblica né potrà mai essere sorda e cieca al mondo.
Nei secoli abbiamo sempre compreso la nostra presenza evangelica come un sale e una luce, un lievito fecondo, che doveva inserirsi nelle vicende sociali, culturali e politiche del nostro paese e soprattutto del nostro Sud, così abbiamo aperto scuole, centri culturali, centri giovanili, scuole bibliche e soprattutto abbiamo sentito i problemi dell'Italia come i nostri problemi e come problemi che parlavano alla nostra fede, così c'è stato un tempo in cui abbiamo predicato con forza in questo Paese portando la proposta di Dio, senza imporre nulla ma avvincendo gli uomini e le donne con la nostra passione per collaborare alla nascita di un uomo e una donna nuovi in una società più giusta.
Poi ci siamo fermati e abbiamo aspettato che l'Italia venisse in chiesa! É iniziata la nostra crisi quando abbiamo smesso di andare dagli italiani e li abbiamo aspettati sul pulpito...! Ebbene l'attuale conidzione del nostro paese e della nostra Europa ci impone di scendere dal pulpito e di coniugare la predicazione con tempi e modi nuovi per raggiungere gli Italiani nelle proprie crisi di vita.
Evangelizzare non vuol dire predicare in piazza, ma portare la piazza nella nostra predicazione, significa guardare il mondo, comprendere i suoi affanni e raggiungerlo con una predicazione che sappia far parlare Dio a quel mondo, in quel tempo e in quel luogo. Possiamo essere tanti, possiamo essere ricchi, possiamo essere in armonia gli uni con gli altri, avere più di un pastore, ma dobbiamo rispettare il nostro tempo, anche se è così oscuro, non possiamo costruire una tenda per noi, dobbiamo ampliare la nostra tenda per permettere a tutte le ansie di trovare in essa diritto di cittadinanza. Siamo in grado di costruire un nuovo mondo, di portare alla luce l'uomo nuovo partendo da Cristo e dalla predicazione evangelca nel mondo? La Parola di Dio ci dice di sì. Siamo in grado, possiamo farlo perché siamo eletti, siamo resi idonei dallo Spirito Santo, siamo un popolo di sacerdoti, una gente santa, come diceva il pastore Geymonat:
L'Evangelio nel darci Dio per Padre, crea dentro di noi cuori di figli a lui devoti. È un nascere dall'alto, un rinascere, una rigenerazione a vita che cresce in santificazione e gloria. Egli – il Padre – ci ha di sua volontà generati per la parola di verità, acciocché siamo in un certo modo le primizie delle sue creature.
Questa è la sfida, la sfida della predicazione della chiesa per la città, la sfida di una chiesa che ha orecchie per udire ed occhi per vedere e fede, tanta fede, vigile e attenta, per tradurre Dio all'uomo e alla donna di oggi passando per la propria testimonianza. Siamo chiamati ad essere vigili, a portare la nostra esistenza a Dio affinché egli se ne faccia carico e ci usi per la predicazione. Gli uomini e le donne di oggi hanno bisogno di noi, della nostra predicaizione e cercano un sostegno al loro girovagare nel deserto. Questo è il tempo della predicazione, con urgenza. Noi siamo umili servi del Regno di Dio, ma siamo anche stati eletti alla santificazione per raggiungere gli ultimi del mondo e portare loro la parola della salvezza. Care sorelle e cari fratelli questa è la nostra responsabilità di credenti in questo nostro Paese e in questo tempo, oggi come 150 anni fa, oggi come allora riecheggia la nostra predicazione che in quel sermone di 150 anni fa così esortava:
Or eccoci qua numerosi quanto i primitivi apostoli, in questa ed in altre città. Quanta gente intorno a noi che non conosce l'Evangelio, o non ci crede di vero cuore! Tra quelle erranti moltitudini Iddio chiede suoi figli, veri adoratori: senza l'Evangelio non li avrà. Andiamo adunque e predichiamo ad ogni creatura […] Andiamo, andiamo, e ad ogni creatura predichiamo l'Evangelo. Ecco dice Gesù, io sono con voi fino alla fine del mondo! S'egli è per noi, contro noi chi sarà? Signor, sì, sii con noi, e ci basta! Amen.
Pastore Luca Anziani, predicazione culto per il 150° anniversario della Chiesa Valdese di Firenze.
Firenze 3 Novembre 2013