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“L’amore sia senza ipocrisia. Aborrite il male e attenetevi fermamente al bene”
Romani 12,9-18
Il nostro Sinodo ha avuto luogo in questi tempi che sono difficili, tempi in cui spirano venti di guerra. Bombardamenti, violenze orribili e la crisi economica che tocca soprattutto l’occidente fanno pensare che la storia potrebbe dar luogo ancora una volta a una guerra molto ampia che potrebbe coinvolgere in pieno anche noi.
In realtà quando diciamo che Dio è il Signore della storia, noi stiamo aprendo uno scenario di speranza. Così fanno i salmisti (vedi il Salmo 97) in un contesto in cui il piccolo popolo d’Israele è preda di potenze più grandi di lui che sono attirate dal suo territorio. Così anche Paolo, che scrive in un tempo in cui i cristiani sono perseguitati. La Roma imperiale dove l’evangelo si faceva prezioso per gli schiavi e i più poveri, tra loro trovava risonanza e creava gioia, provocando però la violenza e la repressione di quei potenti che non tollerano la libertà; quella libertà interiore e spirituale che fa alzare lo sguardo perché restituisce dignità umana a tutti e tutte, perché dice a ognuna e ognuno: vivi la tua pienezza di figlio, figlia di Dio.
Quello che voglio dire è che annunciare la signoria di Dio sulla storia non è la parola ininfluente di tempi tranquilli, ma la parola propria di tempi difficili, la nostra confessione di fede. Anche le parole di speranza e di fede più forti Martin Luther King le espresse poco prima di essere ucciso, nella consapevolezza del conflitto in cui stava. La prima cosa che dobbiamo fare è dunque conoscere e riconoscere in quale situazione il mondo si trova, diventare consapevoli per tenerci lontani dal male. Ma il secondo passo, ci dice Paolo, è quello di non farci coinvolgere nella spirale della violenza. E’ a Dio soltanto che spetta il giudizio, e quanto sconvolgente possa essere la sua sapienza ce lo mostra Gesù con la parola sul sole e la pioggia (Matteo 5,45): Dio è il Dio di tutto il creato, di tutti gli esseri viventi, di tutti gli umani. A tutta questa nostra umanità dona la stessa terra, la vita, le risorse che ci fanno esistere, l’aria da respirare e il cielo con le stelle che ci illuminano di notte.
Anche Etty Hillesum, dal campo di concentramento olandese, parlava della stessa terra su cui posiamo i piedi, vittime e carnefici; dello stesso cielo steso ad accomunare l’umanità. Che questo sia il dono e l’abbraccio di Dio deve diventare sempre più la nostra consapevolezza. Forse il dono che ci è stato fatto con le Scritture è proprio di poter comprendere questo, e di farlo diventare parte della nostra testimonianza di fede. Ma come Paolo dice questa parola in un contesto di persecuzione, così noi siamo chiamati a discernere il nostro tempo. E come Paolo indica una prassi e dei comportamenti, così anche per noi non si tratta di parlare soltanto, ma di agire.
Questi capitoli finali della lettera ai Romani sono indicati solitamente come capitoli etici, un insegnamento ben radicato nella Scrittura per gente che è sempre ancora tentata dalle proprie abitudini di vita precedenti. Non tentata dal bere o da atri cosiddetti “vizi”, ma dalla violenza contrapposizione, dalla rivendicazione prepotente dei propri spazi, dallo spirito di rancore e di vendetta. La pace comincia da noi – come dice una bella poesia -, dalle relazioni che sappiamo avre con il vicino, con la collega, con lo sconosciuto. La pace e la riconciliazione non solo sono grandi parole che possono avere un impatto sui popoli del mondo, esse sono anche piccole pratiche di buone relazioni: pazienza, umiltà, ascolto; premura nell’ospitalità, gioia nella speranza. Paolo fu una persona decisa, come molti altri giocò la sua vita sull’evangelo. Non intendiamo dunque un atteggiamento remissivo e rinunciatario, ma la decisa testimonianza di pace che si intreccia alla nostra vita. Confessare che Dio è il Signore della storia e che porta in essa la sua riconciliazione e la sua giustizia, implica il lasciarsi coinvolgere completamente dal suo SHALOM - corpo e pensiero -, nella radicale trasformazione del nostro essere e delle nostre relazioni.
Pastora Letizia Tomassone. Chiesa Evangelica Valdese di Firenze, 31 Agosto 2014
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