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Testimoni della fede

 

 

 

Ebrei 11,1-11 Or la fede è certezza di cose che si sperano, dimostrazione di realtà che non si vedono. Per fede comprendiamo che i mondi sono stati formati dalla parola di Dio. Per fede Abramo, quando fu chiamato, ubbidì, per andarsene in un luogo che egli doveva ricevere in eredità; e partì senza sapere dove andava. Per fede soggiornò nella terra promessa come in terra straniera, abitando in tende, come Isacco e Giacobbe, eredi con lui della stessa promessa, perché aspettava la città che ha le vere fondamenta e il cui architetto e costruttore è Dio. Per fede anche Sara … ritenne fedele Dio che aveva fatto la promessa.

Ebrei 12,12-16 Perciò, rinfrancate le mani cadenti e le ginocchia vacillanti; fate sentieri diritti per i vostri passi, affinché quel che è zoppo non esca fuori di strada, ma piuttosto guarisca. Impegnatevi a cercare la pace con tutti e la santificazione senza la quale nessuno vedrà il Signore; vigilando bene che nessuno resti privo della grazia di Dio; che nessuna radice velenosa venga fuori a darvi molestia e molti di voi ne siano contagiati; che nessuno sia fornicatore, o profano, come Esaù che per una sola pietanza vendette la sua primogenitura

Ebrei 12,29 Perché il nostro Dio è anche un fuoco consumante. “Per fede”

È certamente per fede che oggi siamo qui, nella fiducia che Dio costruisce le reti di comunione e cammino nelle quali inseriti. Per fede donne e uomini hanno costruito il loro vivere su una speranza che li ha motivati. È un meccanismo del tutto umano quello di seguire degli ideali, di adattare la propria vita a degli obiettivi che ci si dà. La fatica del presente – si pensa – porterà frutti. E senza un impegno oggi non ci può essere il futuro che si spera. Anche le grandi rivolte sono fondate su questa visione diversa di un futuro da costruire. Vediamo a Hong Kong l’aspirazione all’indipendenza che porta sulle strade tanta gente. Non sempre però le rivoluzioni o le fatiche del presente portano frutti. Anzi, nell’economia presente crescono le disuguaglianze e si riducono a ben poca cosa le speranze dei poveri di uscire dalla loro miseria.

In cosa è diversa la storia di Abramo e Sara? È forse ricordata solo perché ha avuto successo? Un successo per altro negativo, difficile da quantificare a viste umane. I loro discendenti hanno dovuto emigrare in Egitto per ragioni economiche e loro stessi hanno vissuto in tende per tutta la vita. In realtà qui non viene celebrato il loro successo ma la fedeltà di Dio alla loro speranza. Hanno investito testardamente in quella relazione con un divino che aveva fatto sognare loro un mondo diverso, più grande, un mondo di pace. Sara aveva intravisto un mondo in cui Dio sollevava le donne dalla discriminazione, dal disprezzo, dalla violenza (vd. il racconto di Gen 12). Abramo aveva imparato la nonviolenza dell’attesa, lo stare con rispetto di fronte all’altro. Ciò che sogniamo cambia il mondo in cui viviamo. E qui è Esaù che diventa figura negativa, immagine di un’avidità del presente che divora il futuro. Qui il povero Esaù con la sua minestra di lenticchie c’entra ben poco. C’entriamo però noi, e questa società costruita sull’avidità e sul consumo. Da chi è venuto prima di noi potremmo imparare tutto, invece di ritroviamo ogni volta daccapo.

In questa giornata, che per me è un inizio e per molti di voi una tappa con cui si si riprende il cammino, aprirci al contributo di ciò che è stato prima è un’efficace antidoto all’arroganza. “Altri, prima di voi, sono già venuti nel corso dei secoli, in lunghe file di fedeltà. E io ho fatto conoscere loro il mio patto e la mia bontà E abbiamo assaporato la reciproca presenza.” (preghiera Cevaa) Il fondamento nella fedeltà di Dio modella il nostro presente. Vi sono nel testo di Ebrei delle raccomandazioni che possiamo comprendere come rivolte a una chiesa in difficoltà, una chiesa così divisa che non riesce più a essere guida e sostegno per gli ultimi. Vi sono alcune affermazioni forti che dovrebbero scuoterci, come la seguente: “Badate che nessuno resti privo della grazia di Dio”. Di questo dunque si tratta, e non di meno. Non delle nostre simpatie o antipatie umane, non delle relazioni che creano dinamiche di gruppi chiusi o aperti, escludenti o inclusivi. Non siamo una associazione culturale di svago, siamo la chiesa di Gesù Cristo e in gioco c’è la fede di coloro che Cristo ha chiamato. Quando tradiamo la loro fiducia, quando escludiamo o giudichiamo, mettiamo un velo tra loro e Dio, tra noi e Dio. Così infatti si esprimevano alcune teologhe rispetto agli abusi su bambini e bambine nelle chiese: rompendo la fiducia dei piccoli negli adulti, si rompe anche la loro fiducia in Dio. Certo, Dio è fedele e ricostruisce, ma ciò che si è spezzato in pochi momenti richiede la vita per essere risanato.

È l’esempio estremo che ci rimanda alla nostra responsabilità. Testimoni della fede, io come pastora, ognuno e ognuna di voi come credente, impegnato nel proprio lavoro, abbiamo un obiettivo comune, la comune responsabilità della pace e della comunione. Senza moralismi, però, ma ascoltando seriamente le domande che nascono dal presente. Infatti, chi definisce “quel che è zoppo” o quale sentiero tortuoso va raddrizzato? La chiesa nella sua storia ha spesso voluto diventare l’istanza ultima del giudizio sulle persone, invece di ascoltare coloro che sono più ai margini, e che da quei margini potrebbero ampliare la visione complessa della realtà. In questi giorni ho preso parte a un convegno del Forum europeo dei credenti omosessuali che si è rivolto al Sinodo cattolico sulla famiglia che ha avuto luogo a Roma. Uomini e donne omosessuali e trans gender sono un segno di contraddizione per le chiese – troppo spesso solo giudicanti e incapaci di accogliere e ascoltare. In questo la chiesa valdese di Firenze ha già fatto un cammino ben fondato attraverso le veglie contro l’omofobia e i gruppi di studio. Eppure il monito a porre attenzione a chi non ha voce resta essenziale per noi.

Senza un cammino che ci faccia crescere nella fede nessuno vedrà Dio. Non lo vedranno gli esclusi, schiacciati ancor più nella delusione e nell’impotenza. Non lo vedranno coloro che si ritengono inclusi, ma poveri di speranza, poveri di amore. Senza la pace, il dialogo, senza l’ascolto reciproco nessuno vedrà Dio. Ma la fiducia dà nuova capacità di visione ai nostri occhi, ci fa scorgere Dio all’opera nel creato, ci mostra il maestro di Nazareth che rialza lo storpio e la donna incurvata. Una nuova creazione che interviene già nel presente, una speranza che modella ciò che siamo ora. Dio rinnova continuamente il mondo con la sua fedeltà che non viene meno. Noi, insieme, siamo invitati a inserirci nella sua opera di pace.

Pastora Letizia Tomassone. Culto di insediamento. Chiesa Evangelica Valdese di Firenze, 5 Ottobre 2014

 

 


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"5 Ottobre 2014 © Chiesa Evangelica Valdese di Firenze