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Chi di noi si comporterebbe in modo così insensato?
Elimelec, marito di Naomi, morì, e lei rimase con i suoi due figli.
4 Questi sposarono delle Moabite, delle quali una si chiamava Orpa e l’altra Rut;
e abitarono là per circa dieci anni.
5 Poi Malon e Chilion morirono anch’essi, e la donna restò priva dei suoi due figli e del marito.
6 Allora si alzò con le sue nuore per tornarsene dalle campagne di Moab, perché nelle campagne di Moab
aveva sentito dire che il Signore aveva visitato il suo popolo, dandogli del pane.
7Partì dunque con le sue due nuore dal luogo dpv’era stata, e si mise in cammino per tornare al paese di Giuda. […]
Naomi disse a Rut: «Ecco, tua cognata se n’è tornata al suo popolo e ai suoi dèi; torna indietro anche tu, come tua cognata!»
16 Ma Rut rispose: «Non pregarmi di lasciarti, per andarmene via da te; perché dove andrai tu, andrò anch’io; e dove starai tu,
io pure starò; il tuo popolo sarà il mio popolo e il tuo Dio sarà il mio Dio».
17 dove morirai tu, morirò anch’io e là sarò sepolta. Il Signore mi tratti con il massimo rigore, se altra cosa che la morte mi separerà da te!».
18 Quando Naomi la vide fermamente decisa ad andare con lei, non gliene parlò più.
Ruth 1,3-7 e 1,15-18
Infatti Cristo non mi ha mandato a battezzare, ma a evangelizzare; non con sapienza di parola,
perché la croce di Cristo non sia resa vana.
18 Poiché la predicazione della croce è pazzia per quelli che periscono, ma per noi, che veniamo salvati, è la potenza di Dio.
[…]Poiché il mondo non ha conosciuto Dio mediante la propria sapienza, è piaciuto a Dio, nella sua sapienza, di salvare
i credenti con la pazzia della predicazione.
22 I Giudei infatti chiedono segni miracolosi e i Greci cercano sapienza,
23 ma noi predichiamo Cristo crocifisso, che per i Giudei è scandalo e per gli stranieri pazzia;
24 ma per quelli che sono chiamati, tanto Giudei quanto Greci, predichiamo Cristo, potenza di Dio e sapienza di Dio,
25 poiché la pazzia di Dio è più saggia degli uomini e la debolezza di Dio è più forte degli uomini.
1 Corinzi 1,17-18 e 1,21-25
1 Tutti i pubblicani e i peccatori si avvicinavano a lui per ascoltarlo.
2 Ma i farisei e gli scribi mormoravano, dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro».
3 Ed egli disse loro questa parabola:
4 «Chi di voi, avendo cento pecore, se ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e
non va dietro a quella perduta finché non la ritrova?
5 E trovatala, tutto allegro se la mette sulle spalle;
6 e giunto a casa, chiama gli amici e i vicini, e dice loro:
“Rallegratevi con me, perché ho ritrovato la mia pecora che era perduta”.
7 Vi dico che, allo stesso modo, ci sarà più gioia in cielo per un solo peccatore che si ravvede
che per novantanove giusti che non hanno bisogno di ravvedimento.
Luca 15,1-7
Assunto: Comportamenti contro il comune “buon senso” non appartengono alla logica dell’essere umano, ma sono alla base del Regno di Dio.
Chi di voi si comporterebbe in modo insensato, contrario al “buon senso”?
Il “buon senso” è un modo di comportarsi che fin da piccoli ci è stato insegnato. Il vocabolario Treccani definisce il “buon senso” come la capacità naturale, istintiva, di giudicare rettamente, soprattutto in vista delle necessità pratiche.
La vita, vissuta giorno per giorno, si presenta con tutta una serie di necessità pratiche che impongono delle scelte, e, se vogliamo superare la giornata e guardare al futuro, dobbiamo giudicare rettamente ed agire secondo il “buon senso”. Dobbiamo essere pratici.
Ma se tutto questo è vero, allora chi di noi si comporterebbe contro il “buon senso”?
Io non so se avrei questa forza, ma le Scritture ci dicono che c’è stato chi si è comportato contro il “buon senso”.
Ruth, una ragazza giovane, ancora in età da marito, nata e cresciuta nel paese di Moab, una volta rimasta vedova decide di accompagnare sua suocera, vedova anch’essa, nel suo paese di origine, a Betlemme di Giuda.
Ruth: una donna, una vedova, una straniera. Le tre condizioni di maggior isolamento sociale per l’epoca riunite tutte in una sola persona. Naomi, la suocera, ne è ben consapevole e infatti consiglia con saggezza, con molto “buon senso” a Ruth di restare a Moab, nel suo paese. Lì potrà sposarsi ancora, l’età è ancora quella giusta, potrà avere ancora la speranza di un marito che si prenda cura di lei e di una famiglia. E la cognata di Ruth, la moglie dell’altro figlio di Naomi, dopo un primo atto di coraggio, si lascia convincere dall’anziana donna e se ne torna indietro. Ma non Ruth. Ruth trova la sua prospettiva di futuro nell’affetto che essa porta alla suocera, fino al punto di dire: «Non pregarmi di lasciarti, per andarmene via da te; perché dove andrai tu, andrò anch’io; e dove starai tu, io pure starò; il tuo popolo sarà il mio popolo, e il tuo Dio sarà il mio Dio; dove morirari tu, morirò anche io, e là sarò sepolta».
Una donna, una straniera, una vedova. Che accompagna un’altra vedova. Un disastro dal punto di vista del “buon senso” e Naomi lo sa bene! Ruth non sembra avere la giusta comprensione di cosa siano le necessità pratiche della vita quotidiana. Per lei, quel che conta è non lasciare sola sua suocera, anche se il risultato è essere costretta a mendicare per poter sopravvivere. A spigolare, cioè a raccogliere gli scarti della mietitura per cavarne qualcosa da mangiare. Tutto questo non importa. Quello che importa è stare con Naomi.
Saulo, un giovane fariseo originario di Tarso, un fabbricante di tende, una persona ben introdotta negli ambienti religiosi ebraici del suo tempo e che godeva anche della cittadinanza romana. Insomma, un giovane di belle speranze! Uno che il senso pratico, evidentemente, ce lo aveva ben sviluppato, sapeva da che parte stare e cosa richiedeva da lui, fariseo, il “buon senso”: preservare la religione di Israele da sciocchi estremisti che annunciavano la venuta, la morte e la risurrezione di Gesù di Nazareth, il Messia da tanto tempo atteso. Ma un certo punto qualcosa accade nella vita di Saulo, avviene un cambiamento radicale, un’esperienza lo lascia differente, al punto che cambierà anche il nome in Paolo. Agli occhi dei suoi confratelli farisei, smette di comportarsi secondo il “buon senso” e non bada più alle necessità pratiche della vita. Il giovane di belle speranze sembra essere impazzito. E così, da pazzo, vivrà per il resto della sua vita, predicando “pazzia”, che è in verità sapienza di Dio, predicando che la salvezza arriva non più dalla pratica religiosa tradizionale legata al Tempio e al rispetto maniacale della Torah, ma dalla fede in Gesù, Figlio di Dio, morte in croce, donato dal Padre al mondo.
E poi c’è Gesù che è il centro della “pazza” predicazione di Paolo. Il più insensato degli insensati. Gesù, il Cristo, il Figlio di Dio, Dio egli stesso che contro ogni regola del nostro “buon senso” si incarna, prende su di sé il peso dell’essere umano, di tutti gli esseri umani e lo porta fin sulla croce e nel sepolcro. L’insensatezza estrema. E poi? Un’altra cosa ancora più strana, che davvero non si capisce se si vuole essere persone di “buon senso”. La risurrezione, una seconda possibilità dopo la morte, anzi l’unica vera possibilità di una vita completa, piena della presenza di Dio e della sua grazia, l’adempimento di tutte le sue promesse.
La vita e la predicazione di Gesù sono state insensate, secondo il giudizio di molti di quelli che lo hanno conosciuto. Gesù, nel Vangelo di Luca che abbiamo ascoltato, è presentato in una situazione che per l’epoca non corrispondeva al “buon senso”. Si trova in mezzo a pubblicani e altri peccatori, non li allontana, ma anzi parla a loro direttamente e perfino mangia con loro. Il “buon senso” avrebbe voluto invece che egli condividesse la tavola e rivolgesse la sue parole solo alla gente “giusta”, quella, la cui compagnia non l’avrebbe compromesso agli occhi del pubblico. In particolare, agli occhi dei farisei e degli scribi che, infatti, vedendo la compagnia di cui Gesù si circonda, hanno da mormorare e disapprovare questo comportamento che infrangeva in modo spudorato il “buon senso” che vuole separati giusti e peccatori - per non parlare di come si dovevano tenere a distanza i pubblicani!
A questo mugugnare dettato dal “buon senso”, Gesù risponde con la parabola che abbiamo appena sentito, che potrei riassumere così: Chi di voi è pronto a lasciare 99 pecore al loro destino nel deserto per andare a ricercarne una sola?
Chi di voi è pronto a dire che 100-1 non fa evidentemente 99, ma fa 0?
Chi di voi è pronto ad andare contro il “buon senso”?
L’immagine del gregge di pecore non è casuale, e non solo perché era comune vedere delle pecore con il loro pastore in giro per le strade a quel tempo. Le pecore erano ricchezza. Il bestiame era l’equivalente di mazzette di banconote da 500 euro.
La parola pecunia vi dice nulla? Viene dal latino pecus, ossia pecora!
Dunque, chi abbandonerebbe al rischio del deserto (sole cocente, niente acqua, forse anche qualche animale feroce e affamato) 99 pecore solo perché ne ha persa una?
Chi andrebbe contro il “buon senso” che invece direbbe: «Lascia stare quella che si è persa, hai altre 99 di cui occuparti se non vuoi andare in bancarotta!».
La domanda di Gesù suona come una domanda retorica, perché dai mugugni di “buon senso” dei farisei e degli scribi si capisce già la risposta: nessuno.
Nessuno rischierebbe tanto perché il “buon senso” domina al punto che la preoccupazione per quelle altre 99 pecore non ci permetterebbe di essere contenti di aver ritrovato la perduta, una gioia tanto grande e incontenibile da dover essere condivisa con gli altri e le altre.
Ma la logica del “buon senso” lega il nostro modo di agire, ma non anche i pensieri e le azioni di Dio. “I miei pensieri non sono i vostri pensieri né le vostre vie sono le mie vie” profetizza Isaia.
Ecco la buona notizia che Gesù ci porta: per quanto possa sembrare non sensato occuparsi di chi si perde, fino quasi a trascurare i cosiddetti giusti, la gioia vera in cielo è per chi si era perduto e viene ritrovato. Ecco la ricchezza per Dio!
Non importa più tanto il voler apparire giusti a tutti i costi, perché il prezzo da pagare è quello di ritrovarsi in mezzo al deserto in preda allo sconcerto per essere stati abbandonati a favore di qualcuno o di qualcuna che il “buon senso” suggerirebbe di lasciare al suo destino. Forse questo prezzo non saremmo nemmeno disposti a pagarlo. A dire il vero nemmeno potremmo pagarlo, perché poi in fin dei conti chi può davvero pensare di essere “giusto” o “giusta”? Meglio invece ammettere i nostri limiti di essere umani, meglio ammettere di essere quella pecora perduta, quel piccolo pezzo di patrimonio di Dio che è scivolato via per un momento.
Anche la pecora perduta si sarà sentita smarrita, d un certo punto, per essersi ritrovata sola e avrà sentito il peso della sua solitudine. Ma Gesù ci dice che non è stata dimenticata, nient’affatto dimenticata. Il suo pastore appena accortosi della sua assenza ha iniziato a cercarla, senza arrendersi, senza perdere la speranza di ritrovarla. Che pastore insensato!
Ma è proprio l’insensatezza di questo pastore che sa di poter ritrovare la sua pecora perduta per quanto lontana possa essere andata che la salva. E quindi che ci salva e ci libera. Ci libera dall’angoscia di esserci perduti, di ritrovarci in un luogo che non ci è per nulla familiare, ma ci libera anche dall’ansia di sembrare perfetti agli occhi di Dio e degli altri essere umani, dalla pretesa di rinnegare i nostri limiti pur dovendoci fare i conti tutti gli istanti. Angoscia e ansia sono prese e caricate in spalla con tutto il loro peso dal pastore, che non si preoccupa del perché ci siamo allontanati dal gregge: gli preme molto di più riportarci con le sue gambe indietro a casa e condividere la bella notizia con gli altri.
Chi di noi si comporterebbe in modo così insensato? Di noi, nessuno. Ma possiamo stare tranquilli e tranquille: il Signore è il nostro pastore.
AMEN!
Predicazione di Ermanno Martignetti 2 luglio 2017, 4a dom. dopo Pentecoste Chiesa Evangelica Metodista di Firenze
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