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Matteo 11,7-19“Che siete andati a vedere?”
7 Mentre essi se ne andavano, Gesù cominciò a parlare di Giovanni alla folla: «Che cosa andaste a vedere nel deserto? Una canna agitata dal vento? Matteo 11,7-19
È l’indifferenza il segno di queste parole di Gesù. Una indifferenza che pensavamo riguardasse soprattutto il nostro tempo, in cui l’interesse per la Parola è così scarso. Invece era tale anche all’epoca di Gesù. In tutto il capitolo Gesù affronta l’insuccesso e la delusione per lo scarso interesse che il ministero suscita. Inoltre Giovanni Battista è in prigione e i discepoli hanno ancora molto bisogno di essere istruiti. Gesù si trova a metà del’opera e si confronta con il silenzio e la mancanza di interesse. Giovanni Battista dalla prigione esprime la sua timida speranza. A lui Gesù risponde indicando le opere del regno: guarigione, riconciliazione, giustizia. Ma se queste possono essere una risposta sufficiente per Giovanni Battista non lo sono per le città della Galilea, incapaci di vedere e di ascoltare. La Galilea, terra d’origine di Gesù, il luogo in cui tornerà il risorto, non sembra affatto rispondere con partecipazione all’evangelo. Gesù accusa la gente di venire ad ascoltare come per uno spettacolo. Ricordo ii resoconti dei predicatori inizio Novecento qui in Toscana. Scrivono al Comitato di Evangelizzazione che la gente viene a sentire i loro discorsi fino a che denunciano aspramente la corruzione della chiesa cattolica del tempo. Quando però si annuncia l’evangelo fanno un passo indietro. Un altro invito per una serata di evangelizzazione specifica: “il locale è riscaldato”. Chissà che qualcuno non sia stato attirato da questa notazione, con l’idea di risparmiare carbone in casa per una sera. L’esaltazione polemica, la possibilità di un rifugio per una sera, l’amore per lo spettacolo strano di un nuovo pensiero che incuriosisce: tutti motivi per avvicinarsi superficialmente e non fermarsi. Nel quadro dipinto da Gesù né il riso né il pianto attirano i bimbi pigri, che non si lasciano coinvolgere dal gioco degli uni e delle altre. All’inizio, sì, vanno come spettatori fin nel deserto per vedere un profeta, uno che parla chiaro e rischia la sua vita. Ma quando si tratta di essere coinvolti, di entrare nella comunità, si tirano indietro. Sono spettatori singoli, non si sentono parte attiva di una comunità. Anche a loro Gesù indica le opere, ma anche per loro queste opere restano solo uno spettacolo lontano, agito da attori professionisti. Non quegli attori che negli anni Settanta scendevano fra il pubblico per farlo danzare. Attori che il pubblico non lo vedono, accecati dalle luci di scena, separati dal palco dal servizio di sicurezza. Nessuna mescolanza, nessuna comunità. La Fgei ci invita a riflettere oggi in questo culto sul tema della responsabilità: responsabilità è saper rispondere, percepire che siamo chiamati a prenderci cura li uni degli altri per formare una comunità. Responsabilità è la risposta appassionata di chi si fa carico del pianto e del riso. L’indifferenza crea una barriera tra noi e gli altri. Come quando, viaggiando su un mezzo pubblico, siamo concentrati solo su noi stessi. La situazione urbana, la grande città, favoriscono il disinteresse nel confronti degli altri, che non si conoscono e non si considerano. Sono le relazioni più strette di vicinato nei piccoli centri che permettono la comunità, o i vecchi quartieri con i loro circoli di impegno e di ritrovo. O sono le situazioni di emergenza, come l’alluvione, il terremoto, o il bisogno di ospitare qualcuno senza casa. Allora si crea comunità e non si resta puri spettatori. Certo, vorremmo che la nostra predicazione, la nostra presenza pubblica, suscitasse interesse. Ma qui notiamo che è Gesù stesso a vedere e denunciare l’indifferenza dei suoi contemporanei verso il ministero suo e quello di Giovanni Battista. Due modi diversi, opposti, di vivere il ministero profetico: l’uno all’insegna dell’ascesi, l’altro della festa a tavola. Nessuno dei due modi attiva la risposta interessata degli spettatori. Ed è Gesù stesso a parlare! Chi siamo noi a suo confronto? Se noi non sappiamo coinvolgere e far nascere comunità di intenti, possiamo ancora provare a metterci dall’altro lato della scena. Come spettatori, incuriositi e schierati, ci lasciamo poi coinvolgere a creare e far crescere una comunità? Per esempio, di fronte al lavoro della Fgei, o a quello delle chiese toccate dall’intercultura? Mantenere la nostra distanza ci preserva dal rischio di perderci, ma non è a questo che Gesù ci invita. Gesù ci invita a coinvolgerci, a danzare con chi gioisce e a piangere con chi soffre, perché il regno di Dio cresce se noi gli prestiamo le nostre passioni e il nostro entusiasmo, e così la comunità “Che siete andati a vedere?” diventa poi “quali sono le opere nate dal vostro coinvolgimento, dalla vostra risposta?”. Chiesa Evangelica Valdese di Firenze. Pastora Letizia Tomassone
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Ultimo aggiornamento: 23 Maggio 2015 ©Chiesa Evangelica Valdese di Firenze |