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Candela dell'Avvento

Meditazioni di Avvento 2015

Venerdi 25 Dicembre Natale

E tu, bambino, sarai chiamato profeta dell'Altissimo, perché andrai davanti al Signore per preparare le sue vie,
per dare al suo popolo conoscenza della salvezza mediante il perdono dei loro peccati,
grazie ai sentimenti di misericordia del nostro Dio; per i quali l'Aurora dall'alto ci visiterà
per risplendere su quelli che giacciono in tenebre e in ombra di morte, per guidare i nostri passi verso la via della pace
Luca 1, 76-79

E i pastori tornarono indietro, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com'era stato loro annunciato.
Luca 2,20

Certamente tutti conoscono la storia di Giobbe. Ma la storia che segue è quella di un suo lontano discendente: Piccolo Giobbe. Piccolo Giobbe era un pastore. Conduceva una vita semplice, senza niente che distinguesse un giorno dall’altro. Pertanto, quella sera, accadde una cosa meravigliosa.

Una notizia circolava di villaggio in villaggio. Ciascuno la raccontava al proprio vicino ed ecco che essa arrivò alle orecchie di Picco Giobbe: un Salvatore era nato in una stalla, a Betlemme. C’era da essere eccitati. Un Salvatore per Israele ! Inoltre una stella era apparsa nel cielo per segnalare la sua venuta.

Come molti altri pastori, Piccolo Giobbe partì per Betlemme per essere testimone di questo prodigio. Egli non sapeva affatto come un bambino potesse liberarli dall’occupazione romana, ma era tutto eccitato all’idea di intraprendere un tale viaggio. E non poteva arrivare a mani vuote ! Era assai fiero di avere preparato dei regali per il bambino appena nato. Prima di tutto aveva intagliato un bastone. Tutti i pastori ne possedevano uno. E Piccolo Giobbe non dubitava che questo bambino sarebbe diventato un pastore. Lo stesso re David lo era stato ! Piccolo Giobbe aveva dunque scolpito con attenzione un bastone solido e l’aveva lisciato al meglio. Aveva anche fabbricato dei sandali fatti con la più bella pelle delle sue bestie. Saranno per forza utili al bambino. Con la lana dei suoi montoni aveva tessuto un grande mantello capace di resistere a tutte le intemperie. Piccolo Giobbe era assai fiero dei suoi tre regali perché gran parte di lui stesso era passata nella sua opera. E camminava, ardente di impazienza, verso la sua destinazione.

Ad una curva di un sentiero intravide un vecchio che raccoglieva del legno, un lavoro che sembrava assai faticoso per questo uomo anziano. «Volete che vi aiuti ?, domandò Piccolo Giobbe. - Grazie, disse il vecchio, veramente non è di aiuto che avrei bisogno. Delle buone calzature per proteggere i miei poveri piedi sarebbero le benvenute. La strada mi sembrerebbe più dolce !»
Allora Piccolo Giobbe guardò i piedi scorticati del poveraccio, rifletté un attimo. «Certamente potrei donare a questo uomo i sandali che ho fatto per il bambino che è ancora un po’ giovane per trarne utilità. Questo poveruomo ne troverà giovamento». Piccolo Giobbe gli donò i sandali e riprese la propria strada dicendosi che aveva ancora due regali da offrire al bambino.

Raggiunto un torrente tumultuoso delle grida strazianti si mescolarono al tumulto delle acque. Un fanciullo stava per annegare e si dibatteva nelle acque agitate del torrente. Piccolo Giobbe si avvicino e tese il bastone al ragazzo che lo afferrò e con il suo aiuto riuscì a raggiungere la riva. Il fanciullo era stato salvato. Sfortunatamente, nel momento in cui il piccolo raggiungeva le sponde del torrente, il bastone cadde nell’acqua e fu trasportato via dalla corrente. Piccolo Giobbe provò un po’ di ansia che turbò la sua gioia, ma si consolò presto vedendo il bambino correre verso la propria casa e si disse: «Bene ! Peccato per il bastone, ho ancora un bel mantello da offrire al bambino di Betlemme ! ». E continuò la sua strada stringendo a sé il prezioso mantello.

Piccolo Giobbe si avvicino alla città e percorse delle strade oscure. Tutto ad un tratto davanti a lui comparve un uomo dall’apparenza patibolare che portava un coltello al proprio fianco e che disse:
«Se vuoi andare oltre, devi pagare - Ma non possiedo niente, disse Piccolo Giobbe. Non ho denaro, perché i pastori sono poveri! - Ah ! Sì, fece l’altro ghignando, e questa ? » Con la punta del coltello indicava il mantello che Piccolo Giobbe teneva stretto con tutte le proprie forze. Piccolo Giobbe comprese che era inutile insistere: se voleva passare, gli doveva consegnare il suo più bel regalo. Con rammarico fece quello che doveva fare e proseguì per la sua strada tristemente.

Quando arrivò davanti alla stalla dove dormiva il piccolo bambino si sentì terribilmente infelice. La fierezza che egli aveva provato all’inizio del suo percorso lasciò posto ad una grande tristezza. Aveva messo tutto il suo amore nella fabbricazione dei tre regali e ora non aveva più niente. Stava di fronte al bambino senza niente da offrirgli. Le grandi mani aperte, si avvicinò dolcemente al piccolo che dormiva. Una luce dolce promanava da lui, un calore sconosciuto. Piccolo Giobbe chiuse gli occhi e si lasciò penetrare dalla quiete del momento. Questa calma e questo silenzio gli fecero dimenticare il suo disappunto. In quel momento sentì una voce che proveniva dal fondo del suo cuore e che diceva:
«Cos’è che ti rende così triste, Piccolo Giobbe ? »

Piccolo Giobbe trattenendo le lacrime rispose:
«Signore, non ho più niente da offrirti. Tutto quello che avevo fatto per te non l’ho più, le mie mani sono vuote davanti a te.»
Piccolo Giobbe valutava la tristezza che provava nel non possedere più niente. Non poteva mostrare quello che era capace di fare. Tutto il suo lavoro era scomparso nonostante avesse avuto tanta gioia e fierezza nella prospettiva di offrirlo.
«Credi veramente di non avere niente da offrirmi Piccolo Giobbe ? »
La domanda lo metteva all’improvviso di fronte a sé stesso, proprio come era.La voce continuò:
«Non mi hai scaldato quando avevo i piedi nudi ?
Non mi hai tratto dall’acqua quando stavo per annegare ?
Non sei stato capace di lasciare quello che ti sembrava più prezioso per venire da me ?
Facendo questo, hai salvato la tua vita. Sei divenuto ricco.
Liberandoti di quei beni che ti sembravano indispensabili, sei entrato in possesso di una ricchezza assai più grande !
Tu sei entrato in possesso di te stesso e hai osato presentarti a me come sei. E così come sei, ti benedico.
Questa ricchezza, nessuno potrà prendertela.
Tu hai scelto il meglio Piccolo Giobbe, tu hai scelto la Vita ! »

Piccolo Giobbe aprì gli occhi. Vide il bambinello addormentato nella paglia, luminoso e pacifico. Sentì una forza salire dentro di se. I suoi occhi si aprirono su questo viaggio che aveva una meta molto differente da quella che aveva immaginato.
Gli ritornò alla memoria il sorriso del vecchio incrociato per la strada. Rivide il bambino tratto dal torrente, correre gioiosamente verso casa. Si disse anche che la vita era il bene più prezioso e che era una grazia infinita averla conservata. Alla fine, egli era il beneficiario di questo viaggio ed era invaso da un’immensa riconoscenza.
Quando riprese la strada, sentì che niente sarebbe stato più come prima. Era trasformato. Tornava da aver fatto un incontro, un incontro che aveva cambiato la sua vita. Un incontro che era la Vita. Aveva incontrato il Salvatore.

Il cuore ricolmo di gioia, Piccolo Giobbe guardò il cammino che si apriva davanti a lui. Si mise in marcia con sicurezza come se avesse ai piedi dei sandali nuovo. Provava anche caldo al cuore come se fosse avvolto da un gran mantello. E per sostenersi aveva un appoggio solido, degno dei migliori bastoni da pastore.

Traduzione di

Nadine Mignot Réforme N.3637 17 dicembre 2015

Domenica 20 Dicembre - quarta domenica di Avvento

L'uomo guarda all'apparenza, ma il Signore guarda al cuore
I Samuele 16,7

L'angelo disse: «Non temere, Maria, percé hai trovato grazia presso Dio»
Luca 1,30

Siamo a Rio de Janeiro in uno dei quartieri più poveri della città ed è la notte di Natale, il parroco entra in chiesa per celebrare la Messa solenne, le candele sono accese ed il presepe, molto semplice, è pronto. Il sacerdote dà un’occhiata in giro, si rallegra a vederla piena e mormora: - La fede è ancora presente nel cuore di questa povera gente! Infatti i fedeli sono costituiti da operai che per rispetto del Signore si sono riavviati i capelli e fatta la barba mentre le donne, poveramente vestite, hanno la testa coperta da un fazzoletto scuro in segno di devozione.

Il prete avanza verso l’altare e mentre procede lentamente sente una voce infantile ripetere le lettere dell’alfabeto, ciò lo infastidisce e lo irrita, disturba la solennità della celebrazione, tutti i presenti si voltano per scoprire chi osa prendersi una tale libertà in una occasione così importante. E’ proprio un bambino colui che recita A, B, C ….., il quale si guarda attorno spaventato, scopre le persone che lo fissano e per la vergogna il suo visino pallido e macilento si tinge di rosso. Il sacerdote severamente gli impone di far silenzio per non disturbare le preghiere dei fedeli ed al piccino spuntano le lacrime agli occhi. Il parroco continua a parlare, vuol sapere dov’è la madre e perché non gli ha insegnato a seguire la Messa in silenzio.

A capo chino il bambino confessa di non sapere pregare, non ha né padre né madre ed è cresciuto solo e per la strada, essendo Natale ha sentito il bisogno di parlare con il Signore ma non conosce la lingua che Lui comprende e così ha pensato di ripetere quelle lettere in modo che Dio scegliesse e componesse le frasi a Lui gradite.

Dopo aver spiegato il suo comportamento si alza dalla panca dove è seduto e si avvia verso la porta per non disturbare i presenti che possono comunicare con Dio, ma il sacerdote afferra la mano del piccolo per recarsi ambedue verso l’altare, si rivolge ai fedeli ed esclama: - Stasera, prima di celebrare la Messa, reciteremo una preghiera particolare, lasciando libero Dio di comporre le parole che vuole sentire, ogni lettera dell’alfabeto rappresenterà un momento dell’anno in cui riusciremo a fare un’azione buona e innalzare una preghiera senza parole -. E con gli occhi chiusi inizia a recitare A, B, C, …. .

I presenti capiscono ed incominciano a ripetere le lettere dell’alfabeto componendo una preghiera comune che li unirà tutti, compreso il bambino, a Dio.

Libero adattamento da un racconto di Paolo Coelho.

Mio Dio, ti voglio ringraziare perché così sento la tua vicinanza.
Non voglio dimenticare l'abbraccio dopo un buon coloquio,
né la mano che mi viene tesa dopo una lunga lite,
né il nuovo inizio dopo una malattia.
Non voglio più vivere in maniera superficiale.
Mostrami i luoghi in cui possa esprimere e vivere la mia gratitudine.

Helge Adolphsen

Domenica 13 Dicembre - terza domenica di Avvento

Ora, in quei giorni fu emanato un decreto da parte di Cesare Augusto,
che si compisse il censimento di tutto l'impero.
Questo censimento fu il primo ad essere fatto quando Quirinio era governatore della Siria.
E tutti andavano a farsi registrare, ciascuno nella sua città.
Or anche Giuseppe uscì dalla città di Nazaret della Galilea,
per recarsi in Giudea nella città di Davide, chiamata Betlemme,
perché egli era della casa e della famiglia di Davide,
per farsi registrare con Maria, sua moglie, che aveva sposato e che era incinta.
Così mentre erano là, giunse per lei il tempo del parto.
Ed ella diede alla luce il suo figlio primogenito, e lo fasciò e lo pose a giacere
in una mangiatoia, perché non c'era posto per loro nell'albergo.

Luca 2, 1-7

Luca descrive la nascita di Gesù come una nascita avvenuta nel corso di un viaggio, come una nascita in terra straniera. Egli è greco e concepisce l'incarnazione di Dio in Gesù Cristo alla maniera dei greci. Per lui Gesù è il viandante divino che discende dal cielo per camminare con noi e per ricordarci di nuovo il nostro nucleo divino. Egli ci dice che noi non siamo solo uomini di questa terra, ma nello stesso tempo anche uomini del cielo, uomini che sono come Gesù in cammino fin quando non saranno anch'essi assunti in paradiso.
L'immagine del cammino affiora già nella nascita di Gesù. I suoi genitori devono mettersi in viaggio. Da Nazaret, dalla loro patria in Galilea, devono spostarsi a Betlemme per farsi registrare negli elenchi tributari. E là sperimentano che cosa significa essere in terra straniera: per loro non c'è posto nell'albergo. Le case degli uomini sono per loro chiuse.

La nascita di Gesù in terra straniera è per Luca un'immagine della nostra condizione umana. Viviamo sulla terra, ma in fondo non siamo qui a casa nostra. La nostra patria è in cielo. Le case degli uomini sono troppo strette per noi. La casa della nostra anima è più spaziosa. In noi abita Dio, che non può essere rinchiuso in alcuna abitazione umana. Ma lì dove Dio abita in noi, lì c'è la patria. La terra straniera, che Luca descrive in maniera tanto drammatica, diventa di colpo il centro del mondo. Gli angeli appaiono e cantano la lode della gloria di Dio e l'inno della pace, che si stabilisce sulla terra se Dio trova posto in noi. A Natale orniamo le nostre case per dire che la nostra dimora in terra straniera è diventata la nostra patria, perché Dio stesso abita fra di noi, sì, perché Dio vuole nascere anche in noi. Se Dio è presso di noi, allora anche noi possiamo essere presso di noi, essere a casa, allora il cielo si apre sulla terra, allora il cielo e la terra si toccano proprio lì dove noi siamo.

L'annotazione dell' evangelista Luca, secondo la quale per Maria e il bambino non c'era posto nell'albergo (Luca 2,7), è stata ripresa dalla religiosità popolare e riproposta nei suoi inni e canti che parlano della ricerca di un tetto. L'anima popolare ha evidentemente percepito che Maria e Giuseppe condividono la sorte di molti profughi e lavoratori stranieri, che cercano una casa e vengono respnti esattamente come avvenne duemila anni fa.
Dopo la seconda guerra mondiale uno degli inni preferiti era diventato proprio quello che comincia con le parole «Wer klopft an?» [Chi bussa?]. Molti uomini si ritrovavano nel destino dei genitori di Gesù, che erano stati cacciati dalla loro terra. Pensavano che avrebbero trovato comprensione tra i loro connazionali, ma questi vedevano solo i loro propri bisogni. Ancora peggiore deve essere la sorte di coloro che provengono da un' altra cultura, da cui sono stati costretti a fuggire, e cercano un asilo.

li termine tedesco Herberge significa originariamente un luogo che può ospitare il gregge, un luogo in cui il gregge è al riparo dal nemico e uno spazio in cui esso può ritemprarsi. L'Herberge è la promessa che in mezzo alle nostre lotte interiori troveremo sempre una patria in cui saperci al sicuro. La nostra umanazione cerca una casa. Abbiamo bisogno di uno spazio protettivo, in cui il bambino indifeso possa crescere lontano dai pericoli. Abbiamo bisogno di un posto in cui radicarci, affinché la nostra figura interiore si espanda. Nello stesso tempo la ricerca di un asilo ci mostra che siamo come Maria e Giuseppe in cammino e che siamo pellegrini senza una dimora permanente.

L'asilo, che qui sulla terra ci mette al riparo, è sempre e solo un asilo provvisorio che ci rimanda all' asilo eterno, che Dio ci donerà al termine del nostro cammino terreno. Poiché tutti siamo pellegrini, la ricerca di un asilo da parte dei genitori di Gesù ci invita ad offrire un asilo agli uomini in cammino, un asilo in cui essi possano trovar temporaneamente pace, lontano dalle lotte interiori, un asilo in cui il loro bambino interiore nasce e cresce fino al momento in cui può proseguire sulla strada dell'umanazione e trovare la propria via.

Anselm Grün Vivere il Natale Queriniana 2000

Quando la buia notte della malinconia avvolge la mi anima
e tutto ciò che è vita si ritrae da me, fa' che cada nelle tue mani, o Dio,
perché tu sei il mior rifugio. Ogni potere è tuo, il potere di proteggere e
quello di consolare. Tu fai sorgere il giorno in me e alle prime luci
dell'alba lo riconoscerò: tu sei stato il mio compagno della notte.

Sabine Nägeli

Domenica 6 Dicembre - seconda domenica di Avvento

Egli ha soccorso Israele, suo servo,
ricordandosi della sua misericordia

Luca 1,54

Purtroppo il servizio divino è tanto decaduto che Dio non lo approva per nulla e noi non sappiamo fare altro che questo. Noi cantiamo ogni giorno il Magnificat ad alta voce e con grande pompa e passiamo sempre più sotto silenzio il suo vero valore e significato. Ma il testo è ben chiaro. Se noi non insegniamo queste opere divine e non vi acconsentiamo, non ci sarà servizio divino, né popolo d'Israele, né grazia, né misericordia, né Dio, anche se ci affaticassimo nelle chiese a cantare e suonare fino a morire e se vi portassimo tutti i beni della terra. Dio non ha comandato nulla di ciò e perciò, senza alcun dubbio, non se ne compiace.

Ora, l'incarnazione di Cristo va a beneficio di quell'Israele che serve Dio, il quale è il suo popolo diletto, per amore del quale si è fatto anche uomo per redimerlo dal potere di Satana, del peccato, della morte, dell'inferno, e per condurlo alla giustizia, alla vita eterna e alla beatitudine. Questo significa l' "accogliere" di cui canta Maria in questo versetto. A questo proposito, Paolo (Tito 2, 14) dice che Cristo si è immolato per noi al fine di purificare per sé un popolo che gli appartenga. E san Pietro scrive (l Pietro 2, 9): «Voi siete un popolo santo, un popolo che Dio stesso si è acquistato, un sacerdozio regale, ecc.».

Queste sono le ricchezze della imperscrutabile e divina misericordia che noi abbiamo ricevuto senza merito alcuno, ma per pura grazia. Per questo Maria dice: «Egli si è ricordato della sua misericordia». E non dice: Egli si è ricordato del nostro merito e della nostra dignità. Noi eravamo bisognosi, ma del tutto indegni. Ciò costituisce la sua lode e il suo onore di fronte al quale deve ammutolire il nostro vanto e la nostra presunzione. Nulla egli aveva da considerare per essere commosso, se non la sua misericordia, e ha voluto che questo suo nome ("misericordioso") fosse fatto conoscere. Ma perché Maria dice che egli si è ricordato della sua misericordia, anziché dire che l'ha considerata? Perché l'aveva promessa, come dirà il versetto seguente. Ora egli l'aveva fatta attendere per lungo tempo, per cui sembrava che dimenticato, come tutte le sue opere sono ritardate, quasi si dimenticasse di noi. Ma quando con il Cristo è venuto, allora si riconobbe che non se ne era dimenticato, ma aveva incessantemente pensato ad adempierla. [...]

Noi vediamo che in tal modo la cristianità è mediante Cristo sì unita a Dio come una sposa con il suo sposo, in modo che la sposa ha diritto e potere sul corpo dello sposo e su tutto ciò che gli appartiene. Tutto questo avviene in forza della fede: allora l'uomo fa ciò che Dio vuole e Dio a sua volta fa ciò che vuole l'uomo. Israele è dunque un uomo conforme a Dio e con la potenza di Dio, per cui egli è in Dio, con Dio e per mezzo di Dio un signore in grado di fare tutte le cose. Ecco, questo significa Israele, poiché sar vuol dire signore, principe; el significa Dio: congiungendoli insieme, si ottiene in ebraico Israel. Dio vuole avere un tale Israele; perciò, quando Giacobbe ebbe lottato con l'angelo e vinto, gli disse: «Tu ti chiamerai Israele, e se, infatti, sei forte con Dio, sarai forte anche con gli uomini».

Martin Lutero Commento la Magnificat Servitium 2005

Lodate il Signore, voi nazioni tutte!
Celebratelo, voi popoli tutti!
Poiché grande è la sua misericordia verso di noi,
e la fedeltà del Signore dura per sempre.
Alleluia.

Salmo 117

Domenica 29 Novembre - prima domenica di Avvento

Non abbiate altro debito con nessuno, se non di amarvi gli uni gli altri;
perché chi ama il prossimo ha adempiuto la legge.
Infatti il «non commettere adulterio», «non uccidere», «non rubare»,
«non concupire» e qualsiasi altro comandamento si riassumono in questa parola:
«Ama il tuo prossimo come te stesso».
L'amore non fa nessun male al prossimo; l'amore quindi è l'adempimento della legge.
E questo dobbiamo fare, consci del momento cruciale:
è ora ormai che vi svegliate dal sonno; perché adesso la salvezza ci è più vicina
di quando credemmo. La notte è avanzata, il giorno è vicino; gettiamo dunque
via le opere delle tenebre e indossiamo le armi della luce.

Romani 13, 8-11

 

.....Nessuna parola è in grado di parlarne, perché è un delitto che distrugge tutte le logiche, che insieme alle persone annienta anche il pensiero e quindi la parola. li massacro di innocenti è, fra tutti i crimini possibili, quello supremo. Allibiti davanti alla sua enormità siamo anche noi, come la nostra gentile e angosciata lettrice e, con lei, attanagliati da «incalzanti quesiti tragicamente senza risposta». È però importante, credo, in «giorni malvagi» come i nostri (Efesini 5,16), avere quello che possiamo chiamare il coraggio delle domande, anche se non abbiamo le risposte, o se le risposte che diamo divergono e dividono. Le domande, o serie di domande, che dobbiamo avere il coraggio di porre sono, mi pare, tre.

La prima serie di domande riguarda noi. li terrorismo è il crimine assoluto perché colpisce a tradimento vittime innocenti. Ma noi siamo così innocenti come le vittime? Lo sono i nostri governi? Lo sono i nostri potentati economici e i nostri eserciti? Lo sono i nostri «interessi nazionali»? Lo è il nostro stesso benessere? Nella tragedia presente possono dirci qualcosa parole bibliche come queste: «Chi semina giustizia ha una ricompensa sicura» e «Chi semina iniquità miete sciagure » (Proverbi 11,18 e 22,8)? Che cosa abbiamo seminato nel mondo non solo in questi ultimi anni o decenni, ma in questi ultimi secoli? Non sto dando o suggerendo risposte, sto solo ponendo domande.

La seconda serie di domande riguarda Dio. Perché Dio permette scempi di questo genere, stragi di innocenti da parte di criminali? Certo, Dio non permette il crimine, anzi lo vieta espressamente. Ben prima del comandamento «Non uccidere», già agli albori della storia umana, Dio disse: «Chiederò conto della vita dell'uomo alla mano dell'uomo, alla mano di ogni suo fratello» (Genesi 9,5). Ma allora perché Dio non ferma la mano omicida, perché lascia campo libero all'empio che semina morte e terrore? Qui però la domanda su Dio diventa una domanda sull'uomo e sulla sua terribile libertà. Nessun animale è feroce come l'uomo, perché nessun animale è libero come l'uomo. Libero anche di fare il male e di farlo senza limiti. Per impedire all'uomo di fare il male, Dio dovrebbe togliergli o limitare la sua libertà.

Questo Dio non lo farà mai (penso), perché la libertà è la radice profonda dell'umanità: è la libertà che, in fin dei conti, fa dell'uomo un uomo. Togliere o anche solo limitare la libertà significherebbe, in concreto, eliminare l'uomo, riducendolo alla condizione degli altri animali. La libertà, però, pur essendo bella, è terribile, proprio perché è totale. Se non fosse totale, non sarebbe vera libertà. L'uomo sarebbe davvero libero di fare il bene se non fosse libero di fare il male? Sarebbe libero di amare se non fosse libero di odiare? Sarebbe libero di credere se non fosse libero di non credere? Non sto dando o suggerendo risposte, sto solo ponendo domande.

La terza serie di domande riguarda la possibile via d'uscita. Esiste? O siamo in un vicolo cieco nel quale siamo condannati a ripetere all'infinito la tragedia di Caino e Abele? Si potrà rompere un giorno il cerchio infernale dell'odio, della violenza e della morte? È possibile essere liberati dal terrorismo e dalla paura che incute ma anche da tutto ciò che, realmente o pretestuosamente, lo alimenta? li «nemico », infatti, quello di cui parla la nostra lettrice, «un nemico ormai senza confini e senza un vero volto», non è solo il terrorismo: molti altri nemici, visibili e invisibili, palesi e nascosti, minacciano l'umanità e la fanno grandemente soffrire. C'è dunque una via d'uscita? Sicuramente sì, ma è una via stretta, come diceva Gesù: «Larga è la porta e spaziosa la via che conduce alla perdizione, e molti sono quelli che entrano per essa. Stretta invece è la porta ed angusta la via che conduce alla vita, e pochi son quelli che la trovano» (Matteo 7,13-14).

Qual è questa via stretta che conduce alla vita? È la via tracciata dalla sapienza divina sin dai tempi antichi e che possiamo formulare così: oggi come ieri e come sempre la pace non è figlia della guerra ma della giustizia; nel villaggio globale, la libera e pacifica coesistenza dei popoli, delle culture, delle religioni e delle persone non potrà mai fondarsi sulla paura ma sempre e solo sull' attuazione dei diritti umani. La violenza di ogni tipo, in primo luogo quella militare, produce morte; il «rispetto della vita» (come lo chiamava Albert Schweitzer; in realtà la sua espressione era più forte: Ehrfurcht vor dem Leben, cioè «timore reverenziale davanti alla vita»), se preso sul serio, esige una conversione «senza se e senza ma» alla nonviolenza. «Conversione » è la parola decisiva, è questa e soltanto questa la via della vita. La via d'uscita è la via della vita, e la via della vita è la via della conversione. Non sono cose nuove, anzi sono antiche, dette e udite mille volte. Ma sempre invano. La novità sarebbe non dirle ma farle.

Paolo Ricca, 30 aprle 2004 (1)

 

Signore, tu ci permetti anche quest'anno di andare incontro alla luce, al riposo e alla gioia di Natale, che mette davanti ai nostri occhi ciò che c'è di più grande: l'amore con cui hai tanto amato il mondo per cui hai dato il tuo Figlio unigenito, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna.
Che cosa avremo da recarti e offrirti? C'è tanta oscurità nelle nostre attività umane e all'interno di noi stessi! Tanti pensieri confusi, tanta freddezza, sdegno, frivolezza, astio! Tante cose che non possono rallegrarti e che non ci sono d'alcun aiuto! Tante cose in contraddizione flagrante col messaggio di Natale! Che puoi fartene di quei doni? Di gente come tutti noi?
Ma è precisamente ciò che a Natale tu aspetti da tutti noi e di cui vuoi liberarci, quel cumulo di disordine e addirittura noi stessi così come siamo, per darci in cambio il Salvatore e, per mezzo suo, un nuovo cielo e una nuova terra, dei cuori rinnovati e un nuovo scopo nella vita, una chiarezza e un'esperienza nuove per noi e per tutti gli uomini. Sii tu stesso in mezzo a noi in quest'ultima domenica di avvento, mentre ci prepareremo insieme a ricevere tuo Figlio come dono! Dacci di parlare, di ascoltare e di pregare qui, nello stupore e nella riconoscenza per i tuoi progetti verso di noi, per tutto ciò che hai già deciso e compiuto in nostro favore! Amen.

Karl Barth (2)

 

(1) risposta a una lettrice di Riforma dopo la strage alla Puerta del Sol a Madrid
Tratto da Paolo Ricca risponde Claudiana 2007

(2) Karl Barth Preghiere Caludiana 1987

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Ultimo aggiornamento: 24 Dicembre 2015 © Chiesa Evangelica Valdese di Firenze