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Candela dell'Avvento

Meditazioni di Avvento 2013


25 Dicembre - Natale

E questo vi servirà di segno: troverete un bambino avvolto in fasce e coricato in una mangiatoia
Luca 2,12

Inventario di Natale

Una Buona Novella
Un padre che pensa
Una madre che canta
Una stella che brilla
Un angelo risplendente
Dei pastori che evangelizzano
Dei Magi che si prosternano
        Un Dio Vulnerabile

Un giorno di bontà
Un asino ed un bue
In una mangiatoia animata
Un abete che sfavilla
Una ghirlanda che lampeggia
Una candela che risplende
Degli occhi che brillano
        Un Dio luce del mondo

Una donna sola
Con un vecchio che soffre
Un fanciullo abbandonato
Un giovane disoccupato
Un escluso dalla società
Un carcerato che conta i giorni
Una prostituta dagli occhi tristi
        Un Dio accanto a noi

Dei balocchi a migliaia
Un Babbo Natale panciuto
Una nota delle spese....
        Dell'oro!

Dei regali sontuosi
Una nota delle spese....
        Dell'incenso!

Un tronco al cioccolato
Una nota delle spese....
Un tacchino tartufato
Una nota delle spese....
Un sorriso di festa

Tho! Un'offerta per i poveri
        Della mirra!
        Un Dio che si dà senza miseria, senza calcolo

Ed ecco l'uomo....
impastato di luce e di oscurità
        Che brancola per cercare la via

Ed ecco Dio....
permeato di tenerezza e di misericordia
        In attesa dell'uomo


Claude Caux-Berthoud
(pastore della Chiesa riformata di Francia)

tratto da
Claude Caux-Berthoud. Prier le teps d'une pause. Édition Olivétan. Lyon 2006

 



Domenica 22 Dicembre - quarta domenica di Avvento

Benedetto sia Dio, che non ha respinto la mia preghiera e non mi ha negato la sua grazia
Salmo 66,20

Pregare nella notte

Con tutti quelli che la sofferenza
tiene svegli nella notte
noi ti preghiamo Signore Gesù.

Veglia alla porta dei tuoi poveri, dei tuoi martiri,
di ogni creatura angosciata,
perduta o solitaria.
Non lasciarli abbandonati alla disperazione
ed alla paura ma custodiscili
affinchè la loro notte diventi luce.

Con tutti coloro che la compassione e l'amore
tengono svegli nelle notti,
noi ti preghiamo Signore Gesù.
Con tutti coloro che consolano, che riconciliano,
che sollevano ed alleviano il fardello degli altri,
con coloro che gli evitano il male.

Non li lasciare abbandonati alla tristezza e alla stanchezza
ma veglia accanto a loro perchè la loro notte trascorra nella luce.

Con tutti coloro che le tue lodi
tengono svegli durante la notte,
noi ti preghiamo Signore Gesù.

Veglia alla porta dei tuoi santi, dei tuoi apostoli, dei tuoi profeti,
dei tuoi amici e di tutti coloro che ti riconoscono
come luce venuta nel mondo.
Non lasciarli abbandonati alle tentazioni a ai dubbi,
ma veglia accanto a loro affinché la loro notte rimanga luminosa.

E su noi stessi in questa ora
come in tutte le ore,
veglia te ne preghiamo,
affinché le nostre notti s'illuminino come un'aurora
a te che sei benedeto con tuo Padre e lo Spirito Santo
per i secoli dei secoli.

Amen

Soeur Miriam
(è stata priora della comunità protestante delle Diaconesse di Reully)

tratto da
Soeur Miriam. Seigneur, donne-nous la prière. Édition Olivétan. Lyon 2007



Domenica 15 Dicembre - terza domenica di Avvento

Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità vi dico, si cingerà le sue vesti, li farà mettere a tavola e passerà a servirli.
Luca 12,37

Aspettiamo perchè...

Per molte ragioni ..... ne indicherò tre soltanto.

1. La prima è il carattere paradossale della condizione cristiana nel, mondo, che è stata descritta molto bene dall'apostolo Paolo quando dice che siamo «considerati come impostori, eppure veritieri; come sconosciuti, eppure ben conosciuti; come moribondi, eppure eccoci viventi; come puniti, eppure non messi a morte; come afflitti, eppure sempre allegri; come poveri, eppure arricchendo molti; come non avendo nulla, eppure possedendo ogni cosa» (II Corinzi 6,8-10). Ecco il paradosso della condizione cristiana che viviamo ogni giorno: non abbiamo nulla, e abbiamo tutto in Cristo, «nel quale tutti i tesori della sapienza e della conoscenza sono nascosti» (Colossesi 2,3); siamo poveri, ma rendiamo ricchi molti, perché la nostra povertà rinvia alla ricchezza dì Dio; le nostre mani sono vuote, non abbiamo altro che la nostra miseria da offrire a Dio, ma esse sono piene perché Dio le riempie con la sua grazia. Ecco il paradosso, ecco la tensione tra essere peccatori in noi stessi e giusti e santi in Cristo, perduti in noi stessi e ritrovati in Cristo, nulla tenenti in noi stessi e possedenti ogni cosa In Cristo. Non è facile vivere in questa tensione, senza soccombere sotto il suo peso. Bisogna che la nostra anima sia ben sveglia per resistere in questa condizione paradossale. «Aspettare Gesù» vuol dire appunto questo: esistere e resistere nel paradosso cristiano, e aspettare il suo superamento, cioè l'Avvento di un tempo in cui ci sarà solo presenza senza assenza, realtà senza apparenza, ricchezza senza povertà, santità senza peccato, gioia senza tristezza, serenità senza sofferenza, vita senza morte.

2. La seconda ragione dell'attesa è che la presenza di Gesù è, sì, reale, ma nascosta, come nascosto è Dio, che parla ma non si fa vedere. «In verità, tu sei un Dio che ti nascondi, o Dio d'Israele, o Salvatore!» (Isaia 45,15). Dio è Parola, ma la parola non si vede, neppure
quella di Dio. Ecco perché nel momento stesso in cui Gesù, nella casa di Emmaus, spezzò il pane e i due discepoli lo riconobbero, egli «scomparve alla loro vista» (Luca 24,31). La fede si esercita nelle «cose che non si vedono» (II Corinzi 4,18). L'invisibilità è l'habitat della fede, come l'acqua è l'habitat dei pesci. Ma «l'invisibilità ci uccide» diceva Bonhoeffer nel turbine della bufera nazista. Forse non ci uccide, ma sicuramente ci prostra, ed è difficile da sopportare non solo perché non vediamo nulla di quello che crediamo, ma perché vediamo tutto il contrario di quello che crediamo. La nostra «civiltà dell'immagine» reclama visibilità, se non appari non ci sei, anzi non sei, ma noi non abbiamo nulla da far vedere, perché la verità è nascosta e le cose di Dio non si vedono. Aspettare Gesù vuol dire aspettare il momento in cui ciò che è nascosto sarà reso manifesto, e ciò che è invisìbile diventerà visibile, e il mondo intero vedrà la gloria del Signore, e vedremo ciò che abbiamo sempre creduto senza vederlo. Allora il velo che copre la faccia dei popoli sarà tolto, e noi tutti, a
viso scoperto, vedremo Dio faccia a faccia, e saremo trasformati nell'immagine del Figlio, di gloria in gloria, per lo Spirito del Signore
(II Corinzi 3,18).

3. Ma c'è una terza ragione che spiega perché aspettiamo colui che è sempre presente. La ragione è che egli è, sì, presente, ma non è nostro. È il nostro Dio, ma anche il Dio di altri. È con noi, ma non è nelle nostre mani, siamo noi nelle sue. È in mezzo a noi, ma non ci appartiene, siamo noi che apparteniamo a lui. È qui, ma è anche altrove.
In una parola, è la nostra salvezza, la nostra felicità, la nostra verità, la nostra libertà, la nostra forza, ma non è la nostra proprietà. Non lo possiamo accaparrare, non possiamo appropriarcene. Il nostro Dio è libero, sovranamente libero. E nessuno di noi, fosse pure il più santo, il più pio, il più fervente dei cristiani possibili, potrà mai possedere Dio in modo tale da non doverlo più aspettare. Ci si può illudere di possedere Dio rinchiuso in un libro, in una dottrina, in una chiesa, in un' esperienza, in un rito. Beati coloro che non possiedono Dio, ma lo aspettano. Coloro che s'illudono di possederlo, possiedono un idolo.
Il vero Dio è oggetto non di possesso, ma di attesa. Aspettare Gesù vuoi dire averlo senza accaparrarlo, amarlo senza possederlo. Come chi vuole conservare la sua vita la perde, così chi vuole possedere Dio, senza aspettarlo, lo perde. Aspettare Gesù vuoi dire: avere tutto senza possedere nulla!

tratto da
Paolo Ricca, L'attesa, terza domenica dell'Avvento, 11 dicembre 2005. In Paolo Ricca. Grazia senza confini. Caludiana. Torino. 2006



Domenica 8 Dicembre - seconda domenica di Avvento

Beati quelli che sono affamati e assetati della giustizia, perché saranno saziati
Matteo 5,6

Per capire questa parola del Sermone sul monte, bisogna che prima di tutto cerchiamo di capire che cosa vuol dire «Gustizia». È una parola che si incontra spesso nel Vangelo di Matteo. Già al momento del battesimo, Gesù dice a Giovanni Battista: «conviene che adempiamo ogni giustizia» e poi nel Sermone sul monte: «Beati quelli che sono affamati di giustizia ... Beati i perseguitati per cagion di giustizia ... Se la vostra giustizia non supera
quella dei farisei ... Guardatevi dal praticare la vostra giustizia nel cospetto degli uomini ... Cercate prima il Regno e la giustizia di Dio»
. Invece nel Vangelo di Marco non si trova mai questa parola, in Luca quasi mai. Ma il Vangelo di Marco e quello di Luca erano destinati ai pagani e non era il caso che usassero un termine per loro probabilmente di difficile comprensione, mentre il Vangelo di Matteo era destinato prima di tutto ai giudei ed era naturale che facesse largo uso di un termine tipicamente giudaico.

Il termine si trova moltissime volte nell' Antico Testamento, ma per i giudei dell' epoca di Gesù aveva assunto un significato tutto particolare. Per loro «giustizia» era la condotta dichi si conduce rettamente davanti a Dio, chi non ruba, non uccIde, non commette adulterio, è religioso e osserva le prescrizioni della Legge, prega, frequenta il Tempio, dà la decima. Una persona così ricca di religiosità, onesta e morale, può dunque confidare in se stessa di essere giusta (Lc. 18,9) e di essere approvata e benedetta da Dio.

Di questa giustizia, sicura di sé, troviamo esempi nei racconti evangelici, tra gli interlocutori di Gesù: il giovane ricco che dichiara con tranquilla sicurezza di aver osservati i comandamenti fin dalla giovinezza; il fariseo Simone che invita a pranzo Gesù, ma guarda dall' alto della sua giustizia soddisfatta di sé, con sospetto e disgusto, la scena della donna equivoca che bacia i piedi di Gesù; il fariseo anonimo che va al Tempio a pregare e ringrazia Dio con cuore riconoscente di essere così giusto e di non essere come il pubblicano ...

Contro questa auto-giustizia, per cui l'uomo poteva dichiarare se stesso giusto, si erge con violenza la predicazione di Gesù. Ed ecco che Gesù dichiara di non essere venuto a chiamare i giusti, i sani, ma i malati, i peccatori. Ecco che Gesù denuncia questi giusti come dei falsi giusti: «Voi di fuori apparite giusti» (Mt. 23,28). Ecco che Gesù esorta ad avere una giustizia che superi quella dei farisei, altrimenti «non entrerete nel regno dei cieli». E pronuncia la sua parabola del debito di diecimila talenti che non può essere pagato a meno che il grande creditore - Dio - lo rimetta, lo consideri come pagato. Ed ecco finalmente che Gesù proclama: «Beati quelli che sono affamati e assetati della giustizia, perché saranno saziati». Essi, non quelli che si saziano della propria giustizia e s'illudono di questa giustizia.

I farisei, i giusti, i sani, i soddisfatti, i saziati non sono rimasti inchiodati nelle pagine dei Vangeli, non sono una razza di gente morta e sepolta con la generazione di Gesù. Se le nostre chiese sono deboli e fiacche, se sono chiese di poca fede, senza passione, senza gioia, senza beatitudine, la radice del male sta proprio qui: non nel fatto che nelle nostre chiese ci sono troppi peccatori, ma che ci sono troppi giusti che non hanno voglia di Cristo e non sono affamati del suo Evangelo, perché sono troppo pieni della loro giustizia. Che cosa se ne dovrebbe fare dell'Evangelo gente che è già sazia della propria giustizia? Le nostre chiese sono chiese pre-cristiane, non ancora giunte a Cristo né hanno voglia di giungervi perché sono troppo soddisfatte del proprio tran-tran di vita e non sentono bisogno di altro. Guardate la chiesa di Aosta: dove sono gli affamati e gli assetati di giustizia? Per alcuni, sì, certo, l'Evangelo non è vano e può darsi che produca il cento per uno. Ma alcuni non sono la chiesa. Ha senso proclamare nella chiesa di Aosta questa beatitudine? Non è sfasato e fuori posto? La beatitudine, sì, la conosciamo, grande, profonda, quando intorno a un tavolo, davanti a una Bibbia aperta vediamo degli occhi che cercano e vogliono capire. Ma se non c'è questa ricerca, la beatitudine rientra nel suo guscio. Gesù non ha detto: «beati voi!» ai farisei. Ai farisei ha detto: «guai a voi!» Non si può sciupare questa beatitudine. Non si può dire: beato te che sei affamato! a uno che non cerca l'Evangelo, che non ne è affatto affamato.

Abbiamo detto per la chiesa di Aosta, pur sapendo che ad alcuni non piace la concretezza. Ma lo stesso si potrebbe dire per infinite altre chiese. Non è una situazione particolare. So che, se capita di domandare una cosa, anche elementare, dell'Antico e del Nuovo Testamento, vengono fuori dei silenzi imbarazzanti: nella gran generalità non si vede che si abbia voglia di conoscere l'Evangelo e di cercare la sua giustizia. E se non si conosce l'Evangelo, come si potrebbe conoscere Cristo? E se non si conosce Cristo, come si può credere? Come si può buttarsi al suo servizio? E come può esserci l'amore e la fraternità cristiana? E come si può conoscere la potenza e la grazia e la gioia di Dio?

Vi portiamo questo messaggio senza asprezza e senza abbattimento. Con grande gioia. Cristo vive e la sua giustizia esiste anche se gli uomini non li cercano. Ma vorremmo che tutti potessero gustare la verità profonda di questa beatitudine. Vi diciamo, nel nome di Gesù Cristo: «Beati quelli che sono affamati e assetati della giustizia, perché essi saranno saziati».

Sermone predicato nella chiesa valdese di Aosta, il 13 novembre 1949

tratto da
Vittorio Sublilia. La Parola che brucia. Meditazioni bibliche.Claudiana editrice. Torino. 1991



Domenica 1 Dicembre - prima domenica di Avvento

1 Un germoglio spunterà dal tronco di Iesse,
un virgulto germoglierà dalle sue radici.
2 Su di lui si poserà lo spirito del Signore,
spirito di sapienza e di intelligenza,
spirito di consiglio e di fortezza,
spirito di conoscenza e di timore del Signore.
3 Si compiacerà del timore del Signore.
Non giudicherà secondo le apparenze
e non prenderà decisioni per sentito dire;
4 ma giudicherà con giustizia i miseri
e prenderà decisioni eque per gli oppressi del paese.
La sua parola sarà una verga che percuoterà il violento;
con il soffio delle sue labbra ucciderà l'empio.
5 Fascia dei suoi lombi sarà la giustizia,
cintura dei suoi fianchi la fedeltà.
6 Il lupo dimorerà insieme con l'agnello,
la pantera si sdraierà accanto al capretto;
il vitello e il leoncello pascoleranno insieme
e un fanciullo li guiderà.
7 La vacca e l'orsa pascoleranno insieme;
si sdraieranno insieme i loro piccoli.
Il leone si ciberà di paglia, come il bue.
8 Il lattante si trastullerà sulla buca dell'aspide;
il bambino metterà la mano nel covo di serpenti velenosi.
9 Non agiranno più iniquamente né saccheggeranno
in tutto il mio santo monte,
perché la saggezza del Signore riempirà il paese
come le acque ricoprono il mare.
10 In quel giorno
la radice di Iesse si leverà a vessillo per i popoli,
le genti la cercheranno con ansia,
la sua dimora sarà gloriosa.
11 In quel giorno il Signore stenderà di nuovo la mano
per riscattare il resto del suo popolo
superstite dall'Assiria e dall'Egitto,
da Patròs, dall'Etiopia e dall'Elam,
da Sènnaar e da Amat e dalle isole del mare.
12 Egli alzerà un vessillo per le nazioni
e raccoglierà gli espulsi di Israele;
radunerà i dispersi di Giuda
dai quattro angoli della terra.

Isaia 11,1-12


Alla fine dell'VIII secolo a, c., quando questo oracolo venne pronunciato per la prima volta, le speranze del popolo ebraico erano davvero limitate. La superpotenza assira aveva ormai ridotto Gerusalemme a «una capanna in una vigna, un casotto in un campo di cocomeri" (Is 1,8). In questa situazione drammatica, però, il profeta intravede la speranza in un piccolo germoglio dal tronco di lesse, cioè un re di discendenza davidica, che saprà garantire al popolo giustizia e diritto. Ciò avverrà per dono stesso di Dio: lo Spirito del Signore gli conferirà capacità di governo (sapienza e intelletto), di realizzazione di progetti di sviluppo e crescita del popolo (consiglio e fortezza), di esperienza di Dio e relazione autentica con lui (conoscenza e timore del Signore). In particolare i poveri, coloro che non possono fare valere i loro diritti da soli e con le loro sole forze, saranno sostenuti e aiutati.

Il «Germoglio» atteso sarà quindi protagonista di un cambiamento radicale e mediatore della salvezza, così lungamente attesa e sperata. Verranno instaurate relazioni di pace e di armonia anche tra coloro che da sempre sono in conflitto, come mostra !'immagine di una vicinanza pacificata tra animali feroci e mansueti, inseriti in uno scenario che ci richiama l'armonia cosmica paradisiaca. Scomparirà la violenza, spariranno i comportamenti iniqui e corrotti, vinti dalla forza della parola del Messia.

Gesù, Messia discendente di Davide, ha messo al cuore di tutta la sua missione il servizio al regno di Dio. Viviamo in un contesto sociale e culturale che, davanti alla tensione che la percezione dell'altro sempre genera, ricorre continuamente a sopraffazione, a soluzioni armate e declina l'uso della forza - ritenuto spesso inevitabile - sotto molte e sempre più raffinate forme di violenza. La promessa di Dio di un mondo riconciliato ci chiede, come cristiani, di assumere la missione messianica di servire la pace nella nonviolenza, di essere nello Spirito collaboratori di salvezza per tutti.

tratto da
Serena Noceti e Nadia Toschi. Una speranzadi giustizia e di pace. Ogni giorno di avvento con Isaia. Edizioni Messaggero Padova. Padova 2011

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Ultimo aggiornamento: 24 Dicembre 2013 © Chiesa Evangelica Valdese di Firenze