Diaspora evangelica

 

Mensile di collegamento, informazione ed edificazione

Anno XL - numeri 8 e 9 Agosto-Settembre 2007

 

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ABC

 

di Wislawa Szymborska*

 

Ormai non saprò più

che cosa di me pensasse A.

Se B. fino all’ultimo non mi abbia perdonato.

Perché C. fingesse che fosse tutto a posto.

Che parte avesse D. nel silenzio di E.

Cosa si aspettasse F., sempre che si aspettasse qualcosa.

Perché G. facesse finta, benché sapesse bene.

Che cosa avesse da nascondere H.

Che cosa volesse aggiungere I.

Se il fatto che io c’ero, lì accanto,

avesse un qualunque significato

per J., per K. e il restante alfabeto.

 

*Poetessa polacca contemporanea, premio Nobel per la letteratura


 



Editoriale

 

Questo numero della Diaspora evangelica si intreccia con l’avvicendamento pastorale nella Chiesa Evangelica Valdese di Firenze. Si tratta sempre di un evento che segna profondamente la vita di una chiesa evangelica. Questo evento segna anche il nostro editoriale.

Negli ultimi sette anni la pastora Gianna Sciclone ha dato a questo foglio un taglio editoriale di alto livello, al tempo stesso mantenendo intatto il suo ruolo di collegamento tra le chiese evangeliche fiorentine e la loro numerosa diaspora. Chi firma queste parole è consapevole dei propri limiti nell’accostarsi a un compito importante: raccogliere ed elaborare una eredità di grande pregio.

Il presente fascicolo risente molto della pausa estiva; lo stiamo impaginando, infatti, alla vigilia del 15 agosto.

D’altro canto l’attenzione delle Chiese Valdesi e Metodiste è ovviamente concentrata sul Sinodo che inizia a Torre Pellice il 26 agosto per concludersi il 31 dello stesso mese.

Speriamo vivamente che il numero di settembre possa riflettere ancora di più la pluralità delle Chiese evangeliche fiorentine.

Ricordiamo che la data per la consegna del materiale per il prossimo numero è fissato per il 22 settembre, l’indirizzo da utilizzare è: pgajewski@chiesavaldese.org.

A tutte le persone che leggono questo editoriale giunga un affettuoso saluto nel nome del Signore Gesù.

 

Per la Redazione: Pawel Gajewski, Andrea Panerini

 

 

 


Meditazione biblica (sermone 12 agosto 2007)

 

Pawel Gajewski

 

Il “vedere” profetico

(Giovanni 4,19-26)

 

La donna gli disse: «Signore, vedo che tu sei un profeta». (Giovanni 4,19).

La prima parte dell’incontro di Gesù con la donna samaritana si conclude con questa affermazione forte. Nella mentalità ebraica dell’epoca attribuire a qualcuno il titolo di profeta era il massimo riconoscimento che si poteva immaginare. Sacerdoti si nasceva; solo la discendenza di Aaronne aveva questo privilegio; re si diventava in base alla successione dinastica, essere proclamati profeti significava invece un riferimento esplicito all’azione diretta di Dio.

L’Autore del quarto vangelo usa in questa frase un particolare gioco di parole intorno al verbo “vedere”: vedo che tu sei un profeta. La frase letta in greco suona tuttavia in modo leggermente diverso: theôrô hoti profêtês ei su. Il verbo usato nel testo greco significa letteralmente una convinzione che scaturisce da un attento scrutare della realtà circostante; detto in altri termini: un vedere particolarmente razionale. Il gioco continua ancora ritraducendo il termine profeta in ebraico: navij, letteralmente colui che vede, in altre parole "veggente". Parlando della nostra donna il Diodati usa l'antico verbo italiano "veggo": "io veggo che tu sei profeta".

Siamo dunque di fronte a due veggenti, si tratta però di due modi piuttosto diversi di vedere. Prima di spiegarli proviamo tuttavia ad esaminare con i nostri occhi ciò che “veggono” i due protagonisti del nostro racconto, ovverosia che cosa vede la comunità cristiana che ci trasmette questa stupenda narrazione.

Nella parte del racconto che non abbiamo letto si apre davanti a noi uno scenario segnato dalla precarietà della situazione della donna e dalla fallibilità delle relazioni di coppia. Nella seconda parte percepiamo invece una profonda spaccatura tra giudei e samaritani, un conflitto acceso sul luogo di culto considerato legittimo: Gerusalemme o Garizim?

Il vedere “teorico”, o meglio umano, razionale della donna la porta verso una scarsa considerazione di se stessa, verso una totale mancanza di fiducia nella possibilità di risolvere un antico conflitto tra due comunità di fede.

Tale vedere teorico genera sensi di colpa in chi ha alle spalle un matrimonio fallito o un orientamento affettivo diverso da un modello comunemente accettato. Alcune teorie etiche di matrice religiosa non di rado creano leggi disumane: pensiamo in Italia alla legge 40 sulla procreazione assistita. Capita anche nelle chiese cristiane che una teoria, apparentemente conforme alla Scrittura e a una prassi plurisecolare, condanni alla scomunica persone colpevoli di aver amato persone giuste nei momenti sbagliati, o viceversa, persone sbagliate nei momenti giusti.

In questa stessa ottica anche i conflitti dottrinali, tra cattolicesimo e protestantesimo (Roma o Ginevra?), tra conservatori e progressisti cristiani sembrano insanabili.

Il vedere di Gesù (e quindi della sua comunità) è diverso. È un vedere “profetico” che supera la soglia del visibile. Dobbiamo questa definizione a uno dei più grandi credenti e pensatori dell’ebraismo moderno Martin Buber, morto nel 1965. In questa ottica la donna diventa una figlia amata di Dio, al di là del suo misero status sociale e a prescindere dalla sua situazione esistenziale abbastanza discutibile.

Nella visione profetica l’antico conflitto è superato. Non si tratta però di esprimere un giudizio definitivo nella logica torto – ragione. Si tratta piuttosto dell’istituzione di un nuovo culto “in spirito e verità”. Su questo argomento Gesù si trova in perfetta sintonia con i profeti dell’Antico Testamento. Nel nostro racconto però c’è qualcosa in più. Gesù, sì è un profeta, ma non solo questo.

La donna samaritana dopo averlo ascoltato introduce nel dialogo il termine “messia”, un termine ebraico carico di grande significato: il messia è colui che cambia (o cambierà) il mondo. Detto per inciso: è interessante il fatto che due pensatori laici, quali Corrado Augias e Mauro Pesce abbiano aggiunto al titolo del loro celebre libro “Inchiesta su Gesù” un sottotitolo alquanto eloquente: “Chi era l’uomo cha ha cambiato il mondo”. Questa apparente domanda contiene in sé un’ipotesi di risposta: egli era il messia.

Torniamo ancora al nostro testo. All’affermazione abbastanza “teorica” della donna samaritana segue la risposta di Gesù: Egô eimi, io sono. Il gioco di parole continua. Questa formula, tipica del Vangelo di Giovanni non è altro che la confessione di fede nella divinità di Gesù. La breve frase greca traduce, di fatto, il nome di Dio, trasmesso nell'Esodo 3,14: IO SONO.

In questo gioco di parole sta oggi la più grande sfida per la testimonianza cristiana. Non basta presentare Gesù come profeta, d'altronde lo fanno già i seguaci del Profeta Mohammed. Non è nemmeno sufficiente affermare l’ammirazione per un uomo che ha cambiato il mondo. Il nostro compito è di affermare la fede in un Dio che in Gesù è diventato uomo per rivelare il suo amore incondizionato per ogni essere umano. Il nostro vedere profetico e le nostre affermazioni circa le più importanti sfide della società odierna devono costantemente nutrirsi di questa confessione di fede.

 

 


Il vento di una nuova Controriforma

Paolo Ricca

 

Intervista a cura di Luca Baratto

 

Roma (NEV), 11 luglio 2007 – Il 10 luglio è stato presentato il documento “Risposte a quesiti riguardanti alcuni aspetti circa la dottrina sulla Chiesa”, della Congregazione per la dottrina della fede, in cui si afferma, tra l’altro, che solo la Chiesa cattolica possiede “tutti gli elementi della Chiesa istituita da Gesù”. L’Agenzia stampa NEV ha intervistato in proposito il pastore Paolo Ricca, professore emerito della Facoltà valdese di teologia di Roma.

 

L'affermazione della “Lumen gentium”, secondo cui la “Chiesa di Cristo sussiste nella Chiesa Cattolica”, è una delle espressioni del Concilio Vaticano II che più hanno evidenziato l'apertura verso le chiese non cattoliche. Come giudica l'interpretazione che ne ha dato il documento della Congregazione per la dottrina della fede, sottoscritto da papa Benedetto XVI?

 

Quell'espressione fu adottata dal Concilio per sostituire quella precedente che recitava “la Chiesa di Cristo è la chiesa cattolica”. Il Concilio ha sostituito l'”est” con il “subsistit in” per creare dei maggiori spazi di riconoscimento di altre chiese: affermando che la Chiesa di Cristo “sussiste” nella chiesa cattolica non si escludeva che essa potesse sussistere anche in altre chiese. Fino ad oggi questa espressione è stata interpretata da molti teologi in questo senso non esclusivo. Il documento di questi giorni, invece, ne propone un'interpretazione nuovamente esclusiva, affermando che la Chiesa di Cristo sussiste unicamente nella chiesa cattolica. Un fatto deludente, che ridimensiona le aperture del Concilio, ma di cui certamente non ci si può stupire perché riprende ciò che l'allora prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, Joseph Ratzinger, aveva affermato nel 2000 con la dichiarazione “Dominus Iesus”.

 

Quali conseguenze avrà la “Dichiarazione” sul piano del dialogo ecumenico ?

 

Il Vaticano, naturalmente, continua a dire che non cambierà nulla, che tutto prosegue. Io, francamente, mi sento di dire che dichiarazioni come queste logorano la volontà di continuare il dialogo, soprattutto perché non si sa più su che cosa si dovrebbe dialogare. Il documento, per esempio, ribadisce che quelle nate dalla Riforma protestante non possono essere riconosciute come chiese. Un'affermazione, ben nota, che comunque mina le ragioni del dialogo perché fa venir meno la corrispondenza dei soggetti, nega la dignità dell'interlocutore. Il dialogo ha senso se, almeno in prospettiva, c'è un riconoscimento reciproco delle chiese. Come chiese protestanti siamo stanchi di sentirci negati per quello che siamo e per cui viviamo: perché noi viviamo per essere Chiesa di Gesù. Credo che oggi sia ormai necessario distinguere tra il dialogo ecumenico di base - in parrocchie e monasteri, con sacerdoti e laici – che è fruttuoso, serio e fraterno, e il dialogo con l'istituzione romana che, per così dire, distribuisce “pagelle” di cristianità.

 

Pochi giorni fa la riproposizione della messa in latino, la reintroduzione della preghiera per gli ebrei “da convertire”; ora la Dichiarazione sulla “Lumen gentium”. Dove portano questi segnali?

 

In modo inequivoco verso una nuova Controriforma. Prendiamo la messa in latino. Il problema non è tanto la lingua latina, ma la riproposizione della messa di Pio V del 1570, pensata contro la Riforma. In essa, tutte le innovazioni liturgiche delle chiese protestanti sono esplicitamente negate. Quella che ci sta proponendo il Vaticano è una nuova Controriforma con le sue due caratteristiche principali: quella di opporsi alle riforme interne al cattolicesimo, tanto a quelle del 1500 quanto a quelle del Concilio Vaticano II, e alle istanze proposte dalle Riforma protestante. Credo che all'istituzione romana vada dato un segnale non solo della nostra delusione, ma anche del pericolo che alla fine ognuno decida di proseguire per la sua propria strada. Resta la volontà di dialogare con i cattolici, ma è giusto sottolineare che l'istituzione romana restringe sempre più lo spazio per un dialogo che forse non gradisce neppure.

 

Documento vaticano/1. Domenico Maselli, Federazione chiese evangeliche in Italia

 

Roma (NEV), 11 luglio 2007 – In seguito alla presentazione avvenuta ieri del nuovo documento della Congregazione per la dottrina della fede “Risposte a quesiti riguardanti alcuni aspetti circa la dottrina sulla Chiesa”, in cui si afferma che solo la Chiesa cattolica possiede “tutti gli elementi della Chiesa istituita da Gesù”, il presidente della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI), pastore Domenico Maselli, ha rilasciato la seguente dichiarazione:

“La pubblicazione dell’ultimo documento della Congregazione per la dottrina della fede costituisce un vistoso passo indietro nei rapporti tra la chiesa cattolica romana e le altre chiese cristiane. È vero che non fa altro che ripetere quanto già affermato nella ‘Dominus Iesus’ del 2000, ma il concetto è ora ribadito con una chiarezza insolita. Una frase soprattutto colpisce il lettore ecumenico, in cui si definisce la chiesa cattolica come quella ‘nella quale concretamente si trova la Chiesa di Cristo su questa terra’. Pare evidente che l’unico modo per cercare l’unità sarebbe quello di entrare nella chiesa cattolica romana. Era stata la soluzione sperata da Newman, che portò poi alla condanna del modernismo. Ciononostante, il dialogo ecumenico deve continuare, e può continuare, mettendosi ognuno in discussione, per cercare di ascoltare la voce di Cristo che per tutti noi è la via, la verità, la vita. In questo spirito si deve continuare il cammino sia in Italia che nel resto del mondo, fidando nel rispetto reciproco ed anche nella laicità dello Stato che permette che la libertà di discussione, di ricerca e di religione sia mantenuta fino in fondo”.

 

 

Documento vaticano/2. Holger Milkau, Chiesa evangelica luterana in Italia

 

Roma (NEV), 11 luglio 2007 – “L'autoconsapevolezza di essere chiesa per fortuna non dipende dal placet del Papa, ma solo dallo Spirito Santo, dalla grazia di Dio e dall'amore di Cristo, che ha detto: 'dove due o tre sono radunati nel mio nome, io sono in mezzo a loro". Così si è espresso il pastore Holger Milkau, decano della Chiesa evangelica luterana in Italia (CELI), riguardo al documento "Risposte a quesiti riguardanti alcuni aspetti circa la dottrina sulla chiesa" reso noto ieri dalla Congregazione per la dottrina della fede.

“Con questo documento – ha proseguito Milkau - la chiesa romana si contrappone all’idea di cattolicità (universalità) della chiesa, quando afferma: 'Solo dove sono io, c'è Cristo, altrove no.' Con una affermazione di questo tipo la cattolicità della chiesa viene distrutta, facendo emergere alcuni paradossi nella linea ecumenica della chiesa romana. Chi ribadisce la propria esclusività, sente la necessità di distaccarsi dagli altri. La chiesa romana tende, in molti modi, a staccarsi dalla realtà condivisa con gli altri: lo fa, per esempio, insistendo sulla propria esclusività ecclesiale ma anche rivendicando un'esclusività etica e morale. La ricerca della verità è un lungo viaggio in comunione con gli altri, non la pretesa di essere già arrivati alla meta.

Le chiese luterane, come tutto il mondo protestante, hanno imparato a considerare i propri interlocutori come partner con pari diritti. Nel caso contrario il discorso diventa presuntuoso e cattedratico. Il futuro della chiesa è universale ed ecumenico. Non però un ecumenismo che appiattisce le differenze e impone un modello unico, bensì un ecumenismo capace di valutare le diversità senza creare divisioni. Non sarà facile convincere i nostri partner cattolici-romani, ma sappiamo che il Signore della Chiesa è al nostro fianco: Cristo, che soffre e concede il superamento della sofferenza, per grazia”.

 

 

Documento vaticano/3. Thomas Wipf, Comunità chiese protestanti in Europa

 

Roma (NEV), 11 luglio 2007 – Secondo la Riforma protestante gli elementi originali delle chiese sono la pura predicazione del vangelo e la corretta amministrazione dei sacramenti: “Questo e nient’altro deve essere visto come espressione autentica dell’unica chiesa di Cristo”, ha dichiarato il pastore Thomas Wipf, presidente della Comunità delle chiese protestanti in Europa – Comunione di Leuenberg (CPCE), commentando il nuovo documento della Congregazione per la dottrina della fede “Risposte a quesiti riguardanti alcuni aspetti circa la dottrina sulla Chiesa”, che concepisce la chiesa cattolica come l’unica chiesa di Cristo.

Secondo Wipf per un protestante è impossibile concordare con l’autocomprensione cattolica: “Tutto ciò che è esteriore è fallibile – ha dichiarato –, incluse la chiesa protestante e quella cattolica”. Oltre all’aspetto teologico, Wipf ha osservato un’altra questione importante: “Un documento del genere manda segnali sbagliati. Le sfide di questo mondo chiedono a gran voce che le chiese lavorino insieme. La comunione non è un obiettivo ideale, ma il nostro compito. Le vedute dottrinali sono molto importanti, ma non devono spaccare la chiesa”.

La Comunità delle chiese protestanti in Europa (CPCE) conta 105 chiese membro luterane, riformate, unite, metodiste dell’intero continente, che grazie all'accordo del 1973 di Leuenberg (Svizzera) si prestano il riconoscimento reciproco dei ministeri e dei sacramenti.

 

 

Documento vaticano/4. Setri Nyomi, Alleanza riformata mondiale

 

Roma (NEV), 11 luglio 2007 – L’Alleanza riformata mondiale (ARM), che da anni intrattiene dialoghi bilaterali con il Vaticano, ha scritto una lettera al cardinale Walter Kasper, presidente del Pontificio consiglio per l’unità dei cristiani, per chiedere chiarimenti sul documento della Congregazione per la dottrina della fede “Risposte a quesiti riguardanti alcuni aspetti circa la dottrina sulla Chiesa”, che concepisce la chiesa cattolica come l’unica chiesa di Cristo.

“Siamo sconcertati – scrive nella lettera il pastore Setri Nyomi, segretario generale dell’ARM –, dalla presentazione di tale documento in questo momento storico per la chiesa cristiana. In un’epoca di frammentazione sociale in tutto il mondo, l’unica chiesa di Gesù Cristo a cui tutti partecipiamo dovrebbe rafforzare la propria testimonianza comune e affermare la propria unità a Cristo. Il documento pubblicato il 10 luglio purtroppo offre un’interpretazione di Lumen Gentium 8 che ci riporta al pensiero e all'atmosfera che c'erano prima del Concilio Vaticano II". Lamentando le possibili conseguenze negative per i dialoghi bilaterali cattolico-riformati, Nyomi ricorda i documenti comuni prodotti negli ultimi anni, compreso quello che sta per uscire, e mette in discussione "la serietà con cui la chiesa cattolica romana affronta i suoi dialoghi con la famiglia riformata e le altre famiglie ecclesiali".

“Per adesso – conclude la lettera –, siamo grati a Dio perché la nostra chiamata ad essere parte della chiesa di Gesù Cristo non dipende dall’interpretazione del Vaticano. È un dono di Dio”. E prosegue: “Preghiamo perché venga il giorno in cui la chiesa cattolica romana vada al di là delle pretese esclusivistiche, in modo che possiamo portare avanti la causa dell’unità cristiana per cui il nostro Signore Gesù Cristo ha pregato”.

L'ARM raggruppa più di 200 chiese congregazionaliste, presbiteriane, riformate ed unite, le cui radici risalgono alla Riforma del XVI secolo.

 

Documento vaticano/5. Georges Lemopoulos, Consiglio ecumenico delle chiese

 

Roma (NEV), 11 luglio 2007 – “Ogni chiesa è la chiesa cattolica (universale) e non semplicemente una parte di essa. Ogni chiesa è la chiesa cattolica, ma non nella sua interezza. Ogni chiesa realizza la propria cattolicità quando è in comunione con le altre chiese”. In seguito alla pubblicazione del documento vaticano “Risposte a quesiti riguardanti alcuni aspetti circa la dottrina sulla Chiesa”, questo è quanto ha ricordato Georges Lemopoulos, vice-segretario generale del Consiglio ecumenico delle chiese (CEC), con le parole del documento “Chiamati ad essere una sola chiesa” prodotto dalla IX Assemblea generale del CEC, riunitasi a Porto Alegre (Brasile) nel febbraio 2006. L'Assemblea, ha dichiarato Lemopoulos, “ha affermato 'il progresso fatto nel movimento ecumenico' e ha incoraggiato la comunione delle chiese membro 'per continuare su questo sentiero arduo, eppure gioioso, fidando nel Dio Padre, Figlio e Spirito Santo, la cui grazia trasforma le nostre lotte per unità nei frutti della comunione'. Secondo l'Assemblea – ha proseguito Lemopoulos - 'la condivisione onesta degli elementi in comune, delle divergenze e delle differenze aiuterà tutte le chiese a raggiungere gli obiettivi della pace e della vita comune'”.

Il CEC è una comunione di oltre 340 chiese anglicane, protestanti ed ortodosse in più di 100 paesi, in rappresentanza di circa 550 milioni di cristiani.

 

Documento vaticano/6. Wolfgang Huber, Chiesa evangelica tedesca

 

Roma (NEV), 11 luglio 2007 – Secondo il vescovo luterano Wolfgang Huber, presidente della Chiesa evangelica tedesca (EKD), “le speranze di cambiamento nella situazione ecumenica sono state nuovamente spinte nel futuro remoto”. E ha proseguito: “Se la chiesa cattolica resta convinta di essere la sola vera chiesa di Cristo, la via del suo ecumenismo è tracciata in anticipo e non aperta al dialogo”. Osservando che il documento del Vaticano “Risposte a quesiti riguardanti alcuni aspetti circa la dottrina sulla Chiesa” ripete le stesse affermazioni della “Dominus Iesus”, pubblicata dall'allora cardinale Ratzinger nel 2000, il vescovo Huber ha ricordato che alcuni teologi ecumenici avevano suggerito che quella dichiarazione fosse il risultato di disattenzione, mentre adesso “nessuno può più parlare di disattenzione. Questo è un gesto premeditato”.

Il vescovo ha criticato il fatto che il documento vaticano non lasci alcuno spazio per il pensiero che anche alla chiesa cattolica romana possano mancare degli elementi importanti per le altre chiese, come ad esempio il rispetto della capacità di giudizio della comunità dei fedeli o l'accesso delle donne al ministero pastorale. “La comprensione reciproca – ha proseguito Huber – è possibile solo quando nessuna delle parti in causa rivendica il monopolio della verità”.

 

Documento vaticano/7. Colin Williams, Conferenza delle chiese europee

 

Roma (NEV), 11 luglio 2007 – “Poiché confessiamo la 'chiesa una, santa, cattolica e apostolica', il nostro supremo compito ecumenico è di continuare a mostrare questa unità che è sempre un dono di Dio”, ha dichiarato Colin Williams, segretario generale della Conferenza delle chiese europee (KEK), commentando il documento del Vaticano “Risposte a quesiti riguardanti alcuni aspetti circa la dottrina sulla Chiesa”.

Le “Risposte” sottolineano per Williams “la necessità di continuare a lavorare con urgenza a questa sfida offertaci dalla Carta ecumenica, il documento fondamentale delle aspirazioni ecumeniche condivise dalle chiese d'Europa. Il fatto che quelle diverse visioni della chiesa e della sua unità, a cui fa riferimento la Carta ecumenica, siano ancora causa di dolore e divisione è un motivo di rammarico e non una situazione di cui possiamo essere soddisfatti”.

Il segretario generale della KEK ha poi osservato il momento particolarmente infelice in cui il documento cattolico è stato diffuso, alle soglie della Terza Assemblea ecumenica europea (AEE3), che si terrà a Sibiu (Romania) dal 4 al 9 settembre 2007, con la partecipazione di oltre 1000 delegati cattolici, ortodossi e protestanti. “Non dobbiamo permettere – ha affermato Williams – che la pubblicazione di questo documento ci distolga da questo compito fondamentale. L'AEE3 darà ai delegati a Sibiu l'opportunità di riconoscersi gli uni gli altri come fratelli e sorelle in Gesù Cristo, attraverso il dialogo e la preghiera comune, al di là delle barriere denominazionali, rafforzando la nostra volontà di trovare modi in cui possiamo esprimere e vivere fino in fondo quell’unità voluta da Cristo per la Sua chiesa”.

La KEK è una comunione di circa 125 chiese membro ortodosse, protestanti, anglicane e vetero-cattoliche, di tutti i paesi d'Europa, più 40 organizzazioni associate.

 

 


Il naso tra i libri

a cura di Sara Pasqui Rivedi

 

Marisa Bulgheroni

Un saluto attraverso le stelle

Mondadori 2007, pp.247, €17

 

Brevi note biografiche

 

Marisa Bulgheroni, nata a Como, è una nota studiosa di letteratura americana a cui va il merito di aver fatto conoscere in Italia la narrativa statunitense del dopoguerra. Ha iniziato il suo percorso di scrittrice con storie di viaggi e ritratti dall’Egitto, Israele, Stati Uniti, Unione Sovietica, pubblicate su Il Mondo e Comunità. È autrice di numerosi saggi riguardanti miti ed immagini al femminile. Ha curato per Mondadori il Meridiano che raccoglie tutte le poesie di Emily Dickinson di cui ha anche scritto un'ampia biografia pubblicata nel 2001 con il titolo Nei sobborghi di un segreto. Nel 1996 presso l'Editore Donzelli esce una raccolta di suoi racconti dal titolo Apprendista del sogno. Assai tardivamente approda al romanzo con questo libro dalla forte connotazione autobiografica, un esordio felice che appassiona ed affascina il lettore.

 

Un saluto attraverso le stelle

 

Il titolo del lungo racconto di M.B. è tratto da una poesia della celebre poetessa russa Anna Achmatova “Se solo tu potessi mandarmi a mezzanotte / un saluto attraverso le stelle” ed è già un annuncio, una promessa di dolci, delicate, poetiche pagine che condurranno il lettore a ritroso nel tempo, facendolo partecipe di vicende autobiografiche che si intrecciano con eventi storici drammatici e terribili avvincendolo fino all’ultima pagina.  È la storia di tre giovani sorelle, Regina la maggiore, Lucia ancora adolescente, Isabella cui è affidato il compito di ricordare e narrare quando ormai è al tramonto di una vita lunga e densa di accadimenti. Nel personaggio di Isabella si adombra proprio la scrittrice.

Una villa situata sul lago di Como fa da scenario all’azione che si dispiega durante la seconda Guerra Mondiale, in uno spazio temporale compreso fra l’estate del 1943 e la primavera del 1945, stagione che segna la fine del conflitto, di una guerra fratricida, violenta e sanguinosa e la rinascita di sogni, speranze, progetti, non solo della protagonista e delle sue sorelle, ma soprattutto di un popolo. Nella casa sul lago vivono le tre fanciulle con Marianna, la madre, mentre il padre fa apparizioni fugaci, rapide, frettolose poiché coinvolto nelle vicende politiche della nazione. Le ragazze vivono il tempo della giovinezza segnato da aspirazioni sogni ingenue passioni progetti, dal rapido corrucciarsi e rattristarsi all’altrettanto rapido ritorno all’allegra spensieratezza ed al riso. Alla casa, simile ad un porto sicuro, ad un nido raccolto, approdano alcuni giovani, amici o fidanzati delle fanciulle, e tra le sue calde, accoglienti, protettive pareti sbocciano teneri sentimenti, si intrecciano conversazioni sul senso della vita, dell’amore e dell’amicizia, c’è fervore d’idee insomma, mentre l’aria risuona di voci e di musica.

Marianna, la madre, accoglie tutti con un sorriso ed uno sguardo dolce, ma al tempo stesso vigile ed indagatore, quasi a voler penetrare nei loro pensieri. È una donna forte, volitiva, abile nella direzione della casa, comprensiva e paziente con il marito, solidale ed a volte complice delle figlie che guida con saggezza, lungimiranza e sensibilità. Le ama teneramente, capisce le esigenze che le spingono a prendere determinate scelte, di conseguenza concede loro fiducia e libertà di agire e di decidere. Le tre ragazze a volte sbagliano, altre volte esitano nelle scelte, altre ancora si rivelano impulsive e forse un po’ avventate e precipitose, ma Marianna sempre le rassicura, anche con il solo sguardo, e la sua attenzione non viene mai meno. La madre è in realtà la vera protagonista del romanzo, la figura centrale attorno alla quale gravitano le figlie ed i giovani che frequentano la casa.

Se le donne del libro rappresentano un punto fermo nella vicenda e la loro presenza è costante e rassicurante, gli uomini invece arrivano, sostano brevemente e poi ciascuno riprende la propria strada. Essi vivono un periodo storico di forti tensioni, di scelte sofferte e difficili, di contrasti anche in seno alla propria famiglia, ognuno di loro persegue la propria aspirazione od almeno ciò in cui crede  e così alcuni parteciperanno alla lotta partigiana e saliranno in montagna, altri si uniranno all’esercito della Repubblica di Salò come il padre, soprannominato Il Capitano, il quale fedele al giuramento dato, seguirà fino in fondo la sorte del fascismo e Iacopo, tornato senza un braccio dalla campagna di Russia.

Le tre sorelle dimostreranno di saper affrontare le difficoltà di un momento così drammatico e terribile con determinazione e non resteranno sempre nel caldo e sicuro rifugio domestico, ma si esporranno affrontando rischi e pericoli quando se ne presenterà la necessità. Così Isabella si avventura in montagna e raggiunge una postazione partigiana alla ricerca di Giuliano, il fidanzato, senza tuttavia poter ritrovarlo od avere sue notizie. La giovanissima Lucia si unirà ad Isabella, certamente la più intraprendente, nell’impresa di portare in salvo Ivan, un ragazzo ebreo. Insomma le ragazze, giovani belle privilegiate, si rivelano anche coraggiose e generose.

Un saluto attraverso le stelle è un romanzo di formazione in tutta la sua accezione e non solamente sentimentale infatti le menti e gli spiriti delle giovani donne e dei loro compagni, pur nella diversità di intenti, sono recettivi alla ricerca di sollecitazioni sempre nuove.

La peculiarità di Marisa Bulgheroni consiste nell’aver saputo intrecciare alle delicate vicende di Lucia, Regina, Isabella quelle storiche del nostro paese così convulse e dirompenti anzi l’Autrice riesce a restituire al lettore il ricordo di un periodo ormai lontano e lo fa con grande levità, quasi con una punta di tenerezza, ma senza rimpianto o nostalgia. Anche gli avvenimenti storici sono evocati con discrezione soffermandosi soprattutto ad analizzare l’aspetto umano dei singoli personaggi. Così, in successione, incontriamo un Mussolini rassegnato ed apatico, quasi dolente di venire sottratto alla sua prigione di Campo Imperatore, come se presagisse la fine imminente malgrado il rapido e breve riaccendersi della riscossa con la costituzione della R.S.I.

Ciano che durante gli attimi precedenti la sua fucilazione rievoca episodi vissuti quale ministro degli esteri e poi, quasi a tacitare e controllare la paura, recita mentalmente dei versi di Kipling. Infine Claretta, ritratta con pietosa veridicità in tutta la sua debolezza di donna perdente per la quale ormai non c’è alternativa di scelta. Marisa Bulgheroni non manifesta alcun risentimento per coloro che furono responsabili di scelte che causarono indicibili sofferenze al paese. Essa racconta pacatamente e pianamente, il suo è lo sguardo distaccato di una signora ottuagenaria che si allontana dal tempo passato in punta di piedi, serenamente, senza asprezza, come se tutto vedesse attraverso un velo che rende sfumate, opache le vicende umane di quel periodo.


 

 

IN DIALOGO

CON LA CITTA’


28 giugno, tutti insieme contro l'omofobia

Andrea Panerini*

 

Pieno successo della veglia organizzata

dal gruppo Kairòs a Firenze nella Chiesa valdese

 

Lo scorso 28 giugno la Chiesa valdese della Trinità di Firenze è stata protagonista di un significativo momento di ecumenismo cristiano. Quasi duecento persone hanno affollato la Chiesa valdese fiorentina per assistere alla veglia ecumenica in ricordo delle vittime dell’omofobia,  presieduta dal pastore battista Raffaele Volpe, che ha visto la partecipazione anche di alcuni sacerdoti cattolici e di un vescovo ortodosso dell’arcidiocesi di Kiev.

Numerosi cattolici, valdesi, metodisti, battisti e cristiani di altre confessioni hanno pregato insieme per auspicare un mondo senza razzismo e senza omofobia. Punto centrale della funzione ecumenica è stata la rottura di un vaso, eseguita dal pastore Volpe e accompagnata dalla lettura di cinque storie di omofobia (contemporanea, passata, dell’olocausto) a cui sono stati affiancati cinque cocci del vaso su cui erano stati poggiati dei fiori per rappresentare la vita che rinasce anche dalle peggiori aberrazioni della storia umana, come tutti rinasceremo insieme a Cristo nell’ultimo dei giorni. Ogni testimonianza era seguita da un momento di preghiera con letture dalla Scrittura. Momenti di particolare commozione hanno attraversato gli intervenuti durante la lettura della testimonianza di un sopravvissuto ai lager nazisti e della storia dei due ragazzi iraniani, di appena sedici anni, impiccati nel loro paese perché si amavano. E’ notizia di queste settimane che sedici omosessuali sono stati impiccati in Iran con le stesse motivazioni. Preghiamo il Signore perché dia pace e giustizia a quella nazione e ci dia la forza per opporci a questi crimini contro l’umanità. Ma anche in Italia, anche di recente, abbiamo in continuazione notizia di gravi e inaccettabili episodi di omofobia sociale e legislativa che spesso si concludono con aggressioni fisiche verso i fratelli e le sorelle omosessuali e non di rado portano alla morte fisica oltre che sociale.

La veglia fiorentina si è svolta in contemporanea con altre tredici veglie sparse nel territorio nazionale e organizzate dai gruppi di cristiani omosessuali italiani oltre che dalla Refo (Rete evangelica fede e omosessualità). L’evento fiorentino, proposto e organizzato dal gruppo di omosessuale credenti Kairòs, ha assunto, nel corso dei mesi, il ruolo di veglia “capofila” a livello nazionale tanto che anche il Presidente della Conferenza Episcopale Italiana (CEI) mons. Angelo Bagnasco ha dovuto prendere posizione sull’iniziativa in una intervista sul quotidiano “Repubblica” rispondendo che, a livello individuale, è disponibile ad accogliere “chiunque” ma chiudendo di fatto la porta ad un dialogo con organizzazioni e gruppi di credenti omosessuali. Per informazioni e testimonianze sulla veglia www.kairosfirenze.it/28giugno.htm

 

* Refo Firenze


Lo “Spazio dello Spirito”al nuovo

ospedale pediatrico Meyer di Firenze

Marco Ricca

 

Il 27 giugno scorso ha avuto luogo la giornata dedicata a “Lo spazio dello Spirito”nel nuovo ospedale pediatrico Meyer di Firenze.

Dopo la presentazione del Direttore della Azienda Universitaria Ospedaliera e Presidente della Fondazione Meyer, Paolo Morello Marchese, e dopo la nota introduttiva del Presidente della Fondazione Giorgio La Pira, Mario Primicerio, è iniziata la prima sessione dal titolo “Parole e gesti in un unico Spirito”, moderata da Lisa Palmieri-Billig della Religions for Peace American Jewish Committee. Si sono poi succeduti gli interventi dei Rappresentanti di Chiese e Comunità: Mons. Timothy Verdon per la Chiesa Cattolica; Rav. Joseph Levi per la Comunità Ebraica; Imam Izzedin Elzir per la Comunità Islamica; Padre Giorgio Blatinski per la Chiesa Ortodossa Russa; Marco Ricca, in sostituzione della pastora Gianna Sciclone, per la Chiesa Valdese.

Al termine della sessione è stato inaugurato lo “Spazio dello Spirito”: suggestivo luogo di forma circolare illuminato da luce naturale proveniente dal centro della volta, semplice ed elegante nel suo disegno architettonico, senza addobbi né arredi né, almeno per ora, simboli religiosi.

La seconda sessione, pomeridiana, dal titolo “Gioia e dolore nell’unico Spirito” moderata dal pediatra Giampaolo Donzelli, ha visto la partecipazione di Enrico Rossi, assessore al diritto alla salute della Regione Toscana, di Benedetta Fantugini, rappresentante delle madri, e del regista-attore Roberto Benigni che ha concluso la giornata con uno spettacolo per i piccoli ricoverati.

Il nuovo Meyer è un complesso ospedaliero modernissimo, strutturalmente originale, quasi ardito, e funzionalmente preconizzato alla eccellenza operativa quale si richiede ad ogni nuova realtà ospedaliera.

Il centro della progettualità è il bambino malato, cui si vuole riservare una degenza ottimale in un contesto recettivo inconsueto di cui fanno parte alberi e giardinetti, aiuole verdi o fiorite, luce, colori; accanto, le tecnologie avanzate, gli ambienti asettici, le terapie aggressive e/o intensive: il tutto in un’atmosfera particolare, soffusa di serenità e  speranza. Atmosfera che è tanto più rimarchevole quando si consideri che ogni moderno ospedale pediatrico ricovera soltanto malati particolarmente complessi o gravi: le patologie minori o quelle di gravità modesta vengono trattate ambulatoriamente o a domicilio.

In questo contesto strutturale e funzionale lo spazio dello Spirito, luogo devoluto a preghiera, meditazione, raccoglimento e concepito come realtà multiconfessionale ed ecumenica, rappresenta una novità assoluta in tema di presenza e di assistenza religiosa in ambito ospedaliero.

“Spazio dello Spirito”, infatti, e non più “Cappella cattolica”: il nuovo Meyer testimonia anche così la sua apertura ad una società, la nostra, sempre più multietnica, multiculturale e multireligiosa.

Cattolici, ebrei, musulmani, ortodossi, protestanti hanno collaborato alla realizzazione dello “Spazio dello Spirito”: ma se è vero che essi ne sono stati gli ispiratori ed i facitori, non possono comunque esserne gli unici destinatari: infatti lo Spirito non è confessionale, non conosce denominazioni ed il luogo a lui destinato deve essere di tutti ed aperto a tutti: anche di chi e per chi non si riconosce in una confessione religiosa ma sente il bisogno, se non della preghiera, di meditazione, raccoglimento, riflessione, partecipazione.

E’ legittimo domandarsi chi frequenterà lo “Spazio dello Spirito”. In realtà, questo luogo è realizzato non tanto per il bambino che, abitualmente, non si pone problemi di trascendenza e, piuttosto, ricerca la fisicità, la corporeità, la presenza viva e visibile, il contatto con le persone amate.

Pertanto lo spazio è soprattutto per gli adulti: genitori, operatori tecnici e sanitari, frequentatori, visitatori: in una parola, per tutti coloro che partecipano della vita dell’Ospedale. Spazio, quindi, che pur non frequentato elettivamente dai piccoli ammalati, potrà comunque contribuire a che si crei nell’Ospedale un “clima interno” fatto di calore umano, etica del lavoro, reciproco rispetto, collaborazione, attenzione per “l’altro”: clima la cui importanza, quale fattore sociologico positivo, è unanimemente riconosciuta per tutti gli ambienti di lavoro e particolarmente per quello ospedaliero. In altri termini, un buon “clima interno”- al cui conseguimento potrà contribuire, in qualche misura, la frequentazione dello “Spazio dello Spirito”- non mancherà di ripercuotersi positivamente anche sulla qualità della vita dei ricoverati.

La realizzazione dello “Spazio dello Spirito” è un’importante conquista civile ed una concreta espressione ecumenica. In effetti, il carattere pluriconfessionale e, quasi, superconfessionale dello “Spazio dello Spirito” si pone in antitesi con quanto previsto dalla recente legge della Regione Toscana sull’assistenza religiosa negli Ospedali che privilegia in misura assoluta la Chiesa Cattolica. Per quanto concerne, invece, le istanze ecumeniche, lo spazio testimonia una concordia e di “unità nella diversità” che accomuna qui le tre religioni monoteiste e, in particolare, le tre componenti del Cristianesimo: evento eccezionale, a dimostrazione che il mondo del possibile è grande laddove gli obiettivi siano nobili ed ispirati a valori autentici, civili e spirituali.

Una considerazione conclusiva: lo “Spazio dello Spirito” è un ambiente luminoso, uniformemente illuminato da un grande fascio di luce naturale proveniente dall’alto, dal centro della volta. La luce è l’elemento principe del luogo: essa ne definisce mirabilmente sia i contorni che l’unitarietà strutturale, creando un’atmosfera raccolta e suggestiva: qui Spirito e luce sono percepiti in un legame istintivamente naturale, quasi inscindibile. Vorremmo che questo Spazio rimanesse così: essenziale, semplice, senza caratterizzazioni confessionali prevaricanti, dominato dalla luce. Come lo Spirito, la luce è mistero e potenza: soprattutto, e qui più che altrove, Spirito e luce insieme sono sinonimi di vita e di speranza.

                                                                                                                               


Fede e coscienza falsificante

Gabriele De Cecco

 

(Convegno “Ripensando la laicità. Tra storia fede e diritto” 3 luglio 20007 - Salone dei Dugento Palazzo Vecchio)

 

Se prendiamo il significato di laicità come aspirazione dell'uomo a rendere autonomi il proprio pensiero e la propria attività dall'ingerenza dell'autorità religiosa, la questione che si pone per il cittadino è il problema politico dell'adeguatezza dello Stato. Dal punto di vista del credente si aggiunge la questione dell'adeguatezza dell'autorità religiosa.

Una questione che si fa difficile se l'autorità religiosa trova la sua ragion d'essere nella gestione del sacro, cioè di quella lontananza e quel mistero che permettono, a chi si sente dentro o comunque più vicino al recinto del sacro, il monopolio della interpretazione della volontà divina e dei fondamenti etici.

Dal punto di vista del Cristiano il problema sembrerebbe molto semplice (nonostante i pessimi esempi). Cristo è Dio che elimina le lontananze e si incarna, che annuncia la Grazia come alternativa alla costruzione delle torri di babele religiose, che delegittima il percorso stesso dell'autorità religiosa (la Legge è PER l'uomo), che non viene per i giusti né a rispondere alle domande religiose dei Farisei, che sceglie una Samaritana per annunciare la fine dei luoghi di culto certificati, che con la sua morte squarcia la cortina del tempio (quella tenda oltre la quale c'era il luogo sacro, del rapporto ravvicinato con Dio, riservato all'autorità religiosa).

Insomma, se Cristo è “la via, la verità e la vita”, è accaduto, per decisione di Dio (un Dio che si relaziona con l'uomo e cambia queste sue modalità di relazione), che la chiesa non può essere altro che comunità di uomini equidistanti da Dio. Questa chiesa non ha altri mediatori e capi che Cristo, non ha in tasca la verità, non ha nulla da imporre e nulla da chiedere. Questa chiesa non giudica, ma chiama a responsabilità. Questa chiesa sa che non da lei, ma dalla misericordia di Dio, deriva la dignità del pensiero e delle attività umane, fino alla possibilità che può essere loro donata di diventare “parabole” del Regno che viene (vedi il pensiero e l'azione del tutto autonomi e “laici” del buon samaritano).

Allora perché noi cristiani rischiamo così spesso di sentirci sotto un giogo che non c'è più? Soprattutto, viene da dire, perché questo giogo lo facciamo così spesso portare ad altri?

Ho intitolato il mio intervento “fede e coscienza falsificante”. Dire “falsa coscienza” mi sembrava ad un tempo poter suonare troppo offensivo e rivelarsi invece troppo poco significativo. Quello che si insinua in noi, a detrimento della fede, è una coscienza della realtà che agisce per progressive falsificazioni. Non è falsa perché un “grande vecchio” ci manovra (o almeno non parliamo qui dei grandi vecchi che manovrano), non è falsa perché siamo disonesti (o almeno non parliamo qui dei disonesti). E' falsificante perché allontana e rende misteriosa la realtà, attraverso un processo di sacralizzazione, che ha aspetti attinenti la nostra psiche e la nostra organizzazione sociale. Difficile dire dove finisca l'uno e dove inizi l'altro di questi aspetti, e comunque è un altro discorso. Facile, invece, dire che si tratta di un succedaneo della “sacralizzazione” che non trova alcun fondamento biblico.

E siccome noi Protestanti saremmo nati per riportare ciascuno alla lettura diretta dei testi biblici (con scarsa fortuna in Italia, anche ora che la Bibbia riposa liberamente nelle mensole di ogni casa), chiudo leggendone uno che mi ha fatto spesso riflettere a proposito del tema che stiamo trattando.

Isaia capitolo 44, vv. 12-19. Si tratta del cosiddetto 2° Isaia, che risale a circa 2550 anni fa... e sembra scritto questa mattina nella cronaca politica di qualche giornale impertinente.

Quello che trovo specifico di questo testo è il tentativo di riportare l'uomo dalla sacralizzazione falsificante alla coscienza laica della realtà (certo per poi proporre una fede, ma evidentemente, una fede che ha proprio bisogno di ripartire dalla riconquista dell' autonomia di pensiero e di azione! Direi della riconquista della dignità dell'uomo in quanto tale).

Nessuno ha conoscimento ed intelletto per riconoscere che si sta inchinando al prodotto del proprio lavoro, alla somma del proprio sapere, e aggiungo io... ai risultati sempre parziali e storici delle proprie costruzioni sociali, delle proprie riflessioni etiche (e religiose!), delle autorità di ogni genere che si è scelto o, più spesso, che gli hanno affibbiato... quando affaticato e spossato, non è riuscito a rientrare in se stesso (a riappropriarsi di se stesso) e si è prostrato per cercare una improbabile salvezza al di fuori di un percorso di dignità e liberazione.

 

 


Ricordando Pierina Mannucci

Marco Ricca*

 

È casuale, certo, ma non posso ignorare che in questo giorno - 10 luglio - in cui ci ritroviamo qui agli Allori per l’ultimo saluto a Pierina Mannucci ricorre l’anniversario della morte di mia Mamma, Armanda Gambelli vedova del Pastore valdese Alberto Ricca: l’una e l’altra figura di spicco nel mondo evangelico fiorentino.

Si tratta di un mondo che sta cambiando di pari passo con la multietnicità e multiculturalità che caratterizzano il divenire della nostra realtà sociale, e, di conseguenza, modificano la fisionomia anche delle nostre comunità. Mia Mamma non ha vissuto questa fase di trasformazione ma vi era preparata in virtù della visione ecumenica, della disponibilità “al nuovo” e della piena partecipazione al mutare dei tempi che Le erano proprie.

Pierina, invece, ha vissuto anche quest’ultimo tempo della vita delle nostre comunità, in particolare di quella Battista: tempo difficile per alcuni aspetti, stimolante per altri ma sicuramente impegnativo per la predicazione e la testimonianza. Quasi fino al termine della sua lunga giornata Pierina ha continuato ad essere presente, impegnata, vigile, spesso in veste di protagonista, testimone di una fede profonda e di una appassionata militanza evangelica.

Personalità ricca, forte, complessa: di conseguenza, malata non facile, in quanto propensa a gestire personalmente la propria condizione morbosa, a programmare i controlli, a definire le terapie… in un confronto dialettico con il medico continuo e sempre impegnativo: per lunghi anni sono stato gratificato dalla sua fiducia e qui dico il mio “grazie”.

Pierina ci lascia una testimonianza preziosa di fedeltà all’Evangelo, di impegno pieno e costante nella Comunità di Borgognissanti, di franchezza e generosità nei rapporti interpersonali, di partecipazione assidua a varie attività del mondo evangelico: a Firenze, alle Valli Valdesi, e in diversi Organi Rappresentativi.

Ugualmente, è doveroso ricordare il suo impegno lavorativo quale Assistente Sociale: attività in cui ha profuso intelligenza, sensibilità ed attenzione per le fasce più deboli della realtà sociale, e dove ha espresso una “etica del lavoro”propria della sua educazione e della rigorosa formazione protestante.

Pensando alla lunga giornata esistenziale di Pierina, scaturisce una riflessione non tanto su “gli anni della vita” quanto su “la vita degli anni” di cui ha potuto godere quasi fino all’ultimo: quindi, vita vera e non pura esistenza vegetativa. Questo, presumibilmente, in virtù della genetica e, forse, della medicina, ma soprattutto grazie alla cura familiare paziente, sollecita, assidua.

In una parola, ”anni alla vita” e “vita agli anni” anche per la dedizione totale e indefessa del marito Cola Rienzo Mannucci cui va questo doveroso riconoscimento ed al quale, unitamente al figlio Andrea ed a tutti i familiari, esprimiamo in quest’ora la nostra affettuosa fraterna solidarietà.

 

*Intervento al Cimitero degli Allori, 10 luglio 2007


DALLA COMUNITA’

VALDESE DI FIRENZE

 


Il saluto della comunità

alla pastora Gianna Sciclone

 

Domenica 24 giugno, alla vigilia della sua partenza per Vasto, la pastora Gianna Sciclone ha presieduto il suo ultimo culto presso la chiesa Valdese di Firenze. Tanti amici di chiese evangeliche sorelle, del Gruppo Ecumenico e di varie comunità e associazioni si sono uniti alla comunità valdese di Firenze per festeggiare Gianna, per ringraziarla per tutte le iniziative intraprese ed il lavoro svolto nei sette anni trascorsi a Firenze e per augurarle buon lavoro e la benedizione del Signore nella sua nuova sede e per i suoi progetti futuri.

Infatti, giunta al termine del suo mandato pastorale a Firenze, Gianna fa ritorno in Abruzzo, la sua amata terra d’origine, dove proseguirà il suo servizio fino al raggiungimento dell’età per l’emeritazione (ma c’è ancora molto tempo!) come pastora della Chiesa Valdese plurisede di Vasto — San Salvo — Carunchio — S. Giovanni Lipioni—Lentella.

Gianna ha anche in progetto di attivare, in un bel posto in collina, a 3 km dal mare Adriatico, nel mezzo di una bella campagna popolata da animali selvatici (protetti) e piante di olivo, fichi, viti, querce etc., “Casa Salamastra” che, a Dio piacendo, diventerà un piccolo camping privato.

Durante il culto sono intervenuti con alcuni messaggi di saluto e ringraziamento: il maggiore dell’Esercito della Salvezza Antonio Longo per il Consiglio dei pastori delle chiese Evangeliche, il pastore Lello Volpe per la chiesa Battista, il Prof. Marco Bontempi per il Consiglio Diocesano per l'Ecumenismo e per il dialogo interreligioso della Diocesi Cattolica di Firenze, Emanuela Paggi Sadun in rappresentanza dell'Amicizia Ebraico Cristiana e l’onorevole Valdo Spini. Davide Buttitta, presidente del Concistoro della chiesa Valdese, ha letto il messaggio inviato dal Prof. Domenico Maselli, pastore della chiesa Valdese di Lucca e Presidente della Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia (FCEI), di cui riportiamo il seguente passaggio:

Mi fa piacere constatare l’accostamento tra la passata attività e quella futura di Gianna nella sua Vasto, ad indicare la continuità del rapporto tra la Comunità e la sua conduttrice secondo lo spirito di I Tess. 5,12 «Fratelli, vi preghiamo di aver riguardo per coloro che faticano in mezzo a voi, che vi sono preposti nel Signore e vi istruiscono» Se si pensa che si tratta del più antico scritto cristiano che si conosca, si capisce quale importanza la chiesa primitiva attribuisse ai conduttori fedeli ed è tanto più significativo che ad esprimere questo sentimento siano oggi dei fiorentini il cui carattere è, solitamente, più pronto alla facezia pungente che alle coccole ed ai festeggiamenti.

Tra i molti presenti ricordiamo il pastore Mario Affuso della Chiesa Apostolica Italiana, il pastore Martin Moslein della Chiesa Luterana di Firenze, la pastora Dorothea Muller della chiesa Valdese di Siena, il pastore Choi Si Young della chiesa Metodista Coreana di Firenze e i pastori e i responsabili delle comunità straniere, Etiopici, Brasiliani e Filippini che condividono il tempio Valdese di Via Micheli.

La festa è poi proseguita in serenità ed allegria nel cortile del Centro Comunitario Valdese di Via Manzoni con un ricco buffet, allietato da una splendida giornata e dai canti e dalle musiche del gruppo guidato dal pastore della chiesa evangelica Brasiliana. Si sono ancora aggiunti altri graditi ospiti in rappresentanza della Comunità di San Egidio fra i quali Michele Brancale, molti esponenti della Comunità di Sant’Ignazio di Firenze, don Alfredo Jacopozzi, docente alla facoltà teologica cattolica di Careggi e padre Blatinsski della Chiesa Ortodossa Russa di Firenze.

Hanno preso la parola per altri saluti e ringraziamenti e per sottolineare il grande lavoro svolto dalla pastora Sciclone nell’ambito ecumenico: monsignor Timothy Verdon, responsabile per dell'ecumenismo della Diocesi fiorentina, il Prof. Marco Ricca per il Centro Culturale Protestante “Pietro Martire Vermigli”, il pastore Mario Affuso della Chiesa Apostolica Italiana e Enzo Cacioli per conto dell'Azione Cattolica diocesana e regionale. Tutti gli intervenuti hanno riconosciuto alla pastora Sciclone il merito di aver rinnovato, intensificato e consolidato i rapporti con la città grazie agli incontri ecumenici e interreligiosi seguiti e promossi con continuità e competenza.

Dopo il saluto del gruppo dei giovani, Marcella Favellini ha formulato alla cara Gianna, anche con alcuni doni, il ringraziamento ufficiale della comunità Valdese fiorentina per la predicazione attenta e chiara della Parola del Signore, per lo sforzo notevole nel coniugare l'annuncio con la pratica quotidiana della solidarietà e dell'amore cristiano ed anche per essersi sobbarcata tanti problemi pratici che non rientravano nei suoi compiti. La giornata si è quindi conclusa con l’invito a “non dimenticare la strada che porta a Firenze” ed un caloroso arrivederci.

 

I nuovi riferimenti della pastora Gianna Sciclone sono:

Via G. Spataro 33, 66054 Vasto

 

Tel. 0873 391468; cell. 329 4707641

e-mail: giscicl@tin.it

 

Intervista al pastore Pawel Gajewski

A cura di Roberto Davide Papini*

 

LE POSIZIONI della Chiesa cattolica che negano alle chiese protestanti la qualifica di “chiese” sono per lui uno stimolo: «In quel documento c’èuna franchezza che spingeanche noi ad essere altrettanto franchi». Pawel Gajewski, il nuovo pastore della Chiesa valdese di Firenze intende fondare sulla franchezza («sempre nell’amore per l’altro») il dialogo con la Chiesa cattolicae le altre realtà cristiane fiorentine: «Io considero la Chiesa nella sua unità che è determinata da Cristo, non dai pronunciamenti di un’ autorità ecclesiastica. E poi le divergenze sono il sale del dialogo».

POLACCO, 42enne, sposato con la traduttrice Lucia Pugliese, è passato dalla militanza anticomunista in Solidarnosc agli studi di teologia; dall’ordinazione come sacerdote alla scelta di uscire dalla Chiesa cattolica («La figura del papato è il più grosso ostacolo a qualsiasi riforma»), sino a diventare pastore dellaChiesa valdese, con esperienze in Sicilia e nelle Valli Valdesi (in Piemonte). Adessoha di fronte una sfidaimpegnativa: «Quando mi hanno proposto di fare il pastore a Firenze — dice Gajewski nel suo ottimo italiano — la prima reazione è stata un po’ di spavento, mapoi è prevalsa la fiducia nella grazia di Dio».Conquistato dalla teologia di Calvino e ammiratore, tra gli altri, didue grandi pensatori valdesi, come Giorgio Tourn e Vittorio Subilia, Gajewski è uno dei pastori e teologi emergenti e più interessanti nel panorama del protestantesimo italiano e non solo. Ed è anche un appassionato dalla storia dell’evangelismo fiorentino: «Mi ha sempre incuriositoquesta storia, conpersonaggi come Guicciardini e Luzzi». Gajewski, d’altronde, ha un’eredità ricca e impegnativavenendo dopo una lunga serie di pastori di altissimo livello, come, solo per citare gli ultimi due, Gianna Sciclone (attivissima nell’ecumenismo) che gli ha passato il testimone e Gino Conte, raffinato teologo e allievo diSubilia.«Voglio lavorare sulla predicazione della Parola di Dio — spiega il pastore— e sulla nostra presenza nella società fiorentina. Il protestantesimo puòdire molto al mondo di oggi, soprattutto esaltando il concetto di gratuità e della cultura del dono in una società all’insegna del guadagno».

 

* Testo pubblicato su LA NAZIONE del 7 agosto 2007

 

Il numero di telefono della casa pastorale è rimasto invariato: 0552477800.

Gli altri riferimenti del pastore Gajewski sono i seguenti: cell. 3473039262, e-mail: pgajewski@chiesavaldese.org

 

 

IRAN: il nuovo olocausto degli omosessuali

notizie a cura di Refo Firenze

 

16 ragazzi iraniani, alcuni di età inferiore ai 18 anni e accusati di essere omosessuali, sono stati impiccati il 27 luglio scorso a Teheran. Lo rivela Nessuno Tocchi Caino. Vi risparmiamo le crude immagini di ragazzini con il cappio attorno al collo, raffigurazione di morte che tuttavia è ben fissa nella mente di chi vi scrive, come nella nostra mente sono rimasti impressi gli ultimi istanti di vita di Mahmoud (16 anni) e Ayaz (18 anni) assassinati dal regime iraniano nel 2005 perché si amavano, tra i pochi su cui abbiamo una documentazione anche fotografica.

In Iran il “reato” medioevale di omosessualità implica pene detentive e corporali (fino a molte frustrate sulla pubblica piazza) e non di rado, condanne a morte per impiccagione. Dall’inizio della rivoluzione islamica, nel 1979, più di 10.000 omosessuali sarebbero stati giustiziati in Iran, secondo le stime di Amnesty International e di altre ONG. Alle sollecitazioni per porre fine alle esecuzioni di membri delle minoranze, anche da parte del governo italiano, il ministro degli esteri iraniano ha risposto “non dovete immischiarvi”. Invece noi dobbiamo immischiarci.

Preghiamo il Signore perché dia libertà e giustizia al popolo martoriato dell’Iran e perché ci dia la forza e il coraggio di indignarci e di combattere queste atrocità che ci riportano ad un passato purtroppo ancora recente, quando anche in Europa i gay e le lesbiche erano uccisi e deportati.

 

Rete Evangelica Fede e Omosessualità - Firenze

refo.firenze@gmail.com


 

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Diaspora evangelica

 

Direzione, Redazione:

Via Manzoni, 21 -  50121 Firenze

Tel. 055 2477800 - pgajewski@chiesavaldese.org

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Redazione:

Pawel Gajewski, Andrea Panerini

 

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Reg. Tribunale di Firenze 16 ottobre 1967 n. 1863

 

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