Diaspora evangelica
Mensile di collegamento, informazione ed edificazione
Anno XL – numero 10 Ottobre 2007
Ladro d’eternità
di Giuseppe Centore
Non ci sono distanze col Cielo.
Per ciò che tocca Dio tutto è al suo posto:
nel canto pitagorico degli astri
nell’ondulata corsa dei minuti
nel seme vivo che fiorisce in frutto.
E anche nel sangue, nella morte assurda
Non ci sono intenzioni taciute,
non c’è ragione che non sia l’Amore.
E questo è il segno della Sua imminenza:
dov’è passato, ritornare, è udirlo,
dov’è restato, credergli, è incontrarlo;
e non è un gioco tra illusione e inganno,
un’altalena tra Infinito e Nulla.
Aperti oltre il crepuscolo del pianto,
come la mano che alzerà il sipario,
gli occhi di Dio ormai sono di carne.
In questo numero:
- Meditazione biblica di Fabio Traversari
- Dibattito sull’ecumenismo
- Libertà solidali di Roberto Davide Papini
- Il naso tra i libri di Sara Pasqui e Pasquale Iacobino
- Diaconia della lettura di Pasquale Iacobino
- Notizie dalle Chiese evangeliche fiorentine
La scala di Giacobbe, Genesi 28, 10-19
di Fabio Traversari
Giacobbe parte per andare verso Caran. Più che partire Giacobbe fugge.
E quando Il sole è già tramontato, quando è notte, Giacobbe prende una pietra e la utilizza come cuscino e si corica.
Sogna una scala, una scala che poggia sulla terra, mentre la cima della scala tocca il cielo. Gli angeli di Dio salgono e scendono dalla scala. Il Signore sta al di sopra di essa.
Il sogno deve essere visto qui come luogo dell’incontro con Dio. Il sogno non è un prodotto del pensiero o delle fantasie di Giacobbe durante la notte, nella cultura pre-moderna il
sogno era visto come luogo privilegiato dell’incontro con la divinità.
Il Signore benedice Giacobbe e gli fa una promessa, una promessa molto concreta:
“ Io sono il Signore, il Dio d'Abramo tuo padre e il Dio d'Isacco. La terra sulla quale tu stai coricato, io la darò a te e alla tua discendenza. La tua discendenza sarà come la polvere della terra e tu ti estenderai a occidente e a oriente, e a settentrione e a meridione, e tutte le famiglie della terra saranno benedette in te e nella tua discendenza. Io sarò con te e ti proteggerò dovunque tu andrai e ti ricondurrò in questo paese, perchè io non ti abbandonerò prima di aver fatto quello che ti ho detto”
Pensiamo ad un emigrante, a qualcuno che deve lasciare la sua casa per recarsi in un posto sconosciuto, pensiamo alle difficoltà...Ma Giacobbe ha la promessa da parte di Dio: “ti farò ritornare, io sarò sempre con te”.
Quando Giacobbe sarà lontano e ormai si sarà abituato a vivere lontano, come avviene agli emigranti in terra straniera, egli terrà sempre accesa quella fiaccola di speranza, la consapevolezza della benedizione di Dio e di quella promessa che Dio ha fatto: “ti farò ritornare, io sarò sempre con te”.
Perché Giacobbe fugge? La motivazione la troviamo nei capitoli precedenti del libro della Genesi rispetto al nostro passo di questa mattina.
Rebecca, la mamma, aveva ricevuto notizia, che Esaù, il fratello maggiore di Giacobbe, pensava di ucciderlo, e per questo decide di far fuggire Giacobbe, il figlio preferito, mandandolo dallo zio Labano a Caran per rifugiarsi, fino a quando l'ira di Esaù non fosse passata.
La situazione non è assolutamente delle migliori: tra i due fratelli non corre assolutamente buon sangue.
Giacobbe fugge, egli fugge lontano, va in esilio, in una regione lontanissima. Ma Giacobbe ha la promessa da parte di Dio: “ti farò ritornare, io sarò sempre con te”.
Giacobbe sta fuggendo, e vede ormai all'orizzonte il destino dell'emigrante, che lascia dietro le spalle il suo piccolo mondo. Ma Giacobbe ha la promessa da parte di Dio: “ti farò ritornare, io sarò sempre con te”.
Uscendo dalla sua famiglia, dal suo clan, entrando nel resto del mondo, Giacobbe si trova sottoposto alle leggi dell'ospitalità, ma anche a tutti gli inganni possibili. Cosa che accadrà con lo zio Labano. Questo lo troviamo nei capitoli seguenti al nostro passo.
Saranno lunghi anni perché Giacobbe vuole realizzare qualcosa che gli sfugge continuamente, vuole poter sposare la donna che ama: Rachele.
Ingannato dallo zio Labano, gli viene data per moglie Lia, sorella di Rachele, ed egli deve aspettare lavorando ancora per Labano, se vuole Rachele, la donna amata.
Ma Giacobbe ha la promessa da parte di Dio: “ti farò ritornare, io sarò sempre con te”.
La vita dell'emigrante è sottoposta alle angherie di chi lo accoglie.
Ma alla fine Giacobbe ritornerà nella sua terra e potrà vivere “felice” (si riconcilierà anche con Esaù).
Chi parte, non sa cosa potrà trovare. Molti sono i motivi per cui si lascia, si fugge. Ma quando si arriva in terra straniera, purtroppo, siamo sottoposti alle leggi di chi ha il coltello dalla parte del manico.
Mentre scrivevo il sermone, uno dei mie più cari colleghi in facoltà, è partito per il suo anno all'estero ad Edimburgo e mi ha scritto, che aveva paura dell'ignoto. E' una partenza diversa, da quella degli emigranti, da quella di Giacobbe sicuramente, è una “felice partenza”, ma le partenze lunghe sono sempre distacchi forti, si sa: chi lascia la strada vecchia per quella nuova, sa quello che lascia, ma non sa quello che trova...
Giacobbe lascia il suo passato, lascia la sua tranquillità, anche se ormai la tranquillità era lacerata da ciò che era successo con Esaù, lascia Rebecca, la madre che egli ama e che lo amava.
Ma Giacobbe ha la promessa da parte di Dio: “ti farò ritornare, io sarò sempre con te”.
Ma cosa è successo con Esaù?
Giacobbe ha ingannato Esau, si è fatto vendere per un piatto di lenticchie la primogenitura ed è stato benedetto da Isacco loro padre al posto di Esaù, grazie ad un inganno che è stato messo in piedi da Rebecca e Giacobbe.
Esaù è il primogenito, il preferito del padre Isacco, è quasi descritto come potente, un essere mostruoso, amante della caccia, del sangue, della potenza. L'altro, Giacobbe è un ragazzo delicato, “vive nella tenda”, nel clan familiare è caro soprattutto alla madre Rebecca che lo sente come il figlio suo prediletto.
Giacobbe quindi era il secondo, era colui nei confronti del quale non si poteva scommettere nulla. Ma con l'inganno diventa lui “il primogenito”, ed è ora costretto a scappare.
C'è l'inganno, la frode e per questo c'è la fuga: questo è il piano della narrazione degli avvenimenti umani. Ci sono due piani della narrazione quello umano e quello del progetto di Dio.
Giacobbe, il secondo, in realtà fin dall'inizio era stato scelto da Dio: “il maggiore servirà il minore”. Dio sceglie chi la società non sceglierebbe. Tutti avrebbero scommesso su Esaù, non su Giacobbe “uomo tranquillo, che se ne stava nelle tende”.
Giacobbe fugge perché ha ingannato e rischia la pelle, ma a sua volta Giacobbe sarà ingannato dallo zio Labano. Le vicende umane sono quelle che sono.
Ma Giacobbe ha la promessa da parte di Dio: “ti farò ritornare, io sarò sempre con te”.
Dio ha scelto immeritatamente Giacobbe. Ha scelto il secondo!
Giacobbe sta fuggendo, ma all'interno di questo cammino riceve un segno dell'amore di Dio: il Sogno, la scala, la benedizione, la promessa.
In quel luogo, che sarà chiamato Betel proprio da Giacobbe, dove sorgerà uno dei santuari più famosi d'Israele, Giacobbe incontra la benevolenza di Dio.
Questo episodio è narrato anche per canonizzare uno dei più famosi santuari d'Israele: Betel, appunto.
Secoli dopo, il popolo ebraico ha trovato un’origine a questo santuario e con questo racconto ha voluto metterlo sotto il patronato del padre Giacobbe. Israele ha cercato di immaginare, che quando il santuario non c'era, quando era soltanto un cumulo di pietre, di là sia passato pieno di paure ed incubi Giacobbe e là abbia avuto in sogno la grande visione della scala e ricevuto la benedizione e la promessa da parte di Dio.
La scala, però, non è una scala come la possiamo spontaneamente immaginare noi. Teniamo presente che la rielaborazione finale del pentateuco, i primi cinque libri della Bibbia, quindi anche la Genesi, è da datare in epoca esilica (cioè quando Israele era in Babilonia) o post-esilica durante l’epoca persiana terminato l’esilio in Babilonia.
L'immagine, quindi, è quella tipicamente babilonese di una ziqqurat, ormai familiare ad Israele.
Le ziqqurat erano i templi a gradoni che salivano dalla terra come ideale scala verso il vertice dove c'era il santuario, dove era presente la statua del dio, dove la divinità incombeva con la sua grandezza con il suo splendore. Potevano salirvi solo alcuni privilegiati: i sacerdoti ed alcuni fedeli qualificati, che salivano per incontrare la divinità.
All'interno del sogno di Giacobbe c'è un simbolo squisitamente orientale, un simbolo che descrive il cammino dell'uomo verso Dio, ma che in questo caso, nel sogno di Giacobbe indica invece il cammino di Dio verso l'uomo. Nessuno sale in cima alla scala... Infatti dalla scala, la ziqqurat, scendono e salgono gli angeli di Dio. E’ una scala discendente da Dio verso l’uomo. Gli angeli sono i messaggeri di Dio, il totalmente altro, che è in cima alla scala, nei cieli ( “e che nemmeno i cieli possono contenere”).
e che si manifesterà con la sua Parola. Dio non scende dalla scala nella visione del sogno di Giacobbe, ma manda i suoi ambasciatori, manda il segno dell'angelo. Al di là della scala egli viene incontro a Giacobbe con la sua Parola. Con la sua promessa di benedizione per Giacobbe e per la sua discendenza, per l'umanità, quindi anche per tutti e tutte noi.
Da questo sogno, nasce per Giacobbe la speranza, quell'unica fiaccola che ha permesso a Giacobbe di sopportare gli anni dell'esilio, essendo consapevole che al di là delle sofferenze, la benedizione di Dio lo accompagnava.
La promessa, la benedizione è il segno di una posteriorità per Giacobbe, per noi: il dono della terra, una discendenza numerosa. Una promessa che si realizza nell'al di qua! Questo non vuol dire che tutto andrà benone: Giacobbe avrà molto da tribolare con Labano e con il suo passato (Esaù). Ma la continua presenza di Dio nella vita di Giacobbe ci sarà. Dio non abbandonerà Giacobbe e sarà fedele alla sua promessa:“ti farò ritornare, io sarò sempre con te”.
Documento sull'ecumenismo del Sinodo delle chiese valdesi e metodiste
(Torre Pellice, 26–31 agosto 2007)
Noi membri componenti il Sinodo della Chiesa Evangelica Valdese, Unione delle Chiese metodiste e valdesi in Italia,
- considerando la situazione ecumenica creatasi a seguito del recente motu proprio intitolato Summorum Pontificum di Benedetto XVI che ha ridato spazio alla messa in latino secondo il messale romano di Pio V (1570), caratterizzato dalla negazione di tutto ciò che la Riforma aveva affermato sul piano del rinnovamento del culto pubblico cristiano, e del documento intitolato Risposte a quesiti riguardanti alcuni aspetti circa la dottrina della chiesa, datata 29 giugno 2007 dalla Congregazione per la Dottrina della fede nel quale, tra le altre cose, si afferma che l’unica Chiesa di Cristo “sussiste esclusivamente nella sola Chiesa Cattolica” romana e che le chiese nate dalla Riforma del XVI secolo “non possono, secondo la dottrina cattolica, essere chiamate chiese 'in senso proprio' ”,
- constatando che in questi due documenti vaticani soffia uno spirito che è più quello della Controriforma che quello che animò il Concilio Vaticano II nelle sue spinte e decisioni riformatrici,
- ringraziamo Dio per avere chiamato le nostre chiese a esistere e a sussistere per servirlo e testimoniarlo, per aver messo nel nostro cuore la certezza di esser parte della Chiesa una, santa, cattolica, apostolica, nella quale Cristo per pura misericordia ci accoglie, giustifica e santifica, e per averci resi consapevoli che questa appartenenza dipende solo dalla Parola di Dio, cioè dalla promessa di Cristo che dice: "dovunque due o tre sono riuniti nel mio nome, quivi sono io in mezzo a loro" (Mat. 18,20);
- ringraziamo Dio per aver suscitato da più di un secolo il movimento ecumenico, che è stato e resta per noi una grande scuola di umiltà e fraternità vissuta, e per aver suscitato anche per le nostre chiese in Italia rapporti amichevoli e fraterni con tanti cattolici - singole persone, gruppi, movimenti, comunità, parrocchie - che costituiscono ormai una realtà, certo ancora minoritaria, ma tanto più preziosa, vissuta insieme nella condivisione degli aspetti fondamentali della fede cristiana, nell’ascolto comune della Parola di Dio e nella tensione verso una reciproca accoglienza alla Mensa del Signore;
- ringraziamo Dio per averci liberato da otto secoli come valdesi e da cinque come protestanti dalla sudditanza al Pontefice romano, che noi riconosciamo come fratello in Cristo, ma non come maestro di fede, tanto più dovendo constatare ancora una volta che il Papato e la Curia romana sono oggi, come già nel XVI secolo, un ostacolo all’unità cristiana;
- invitiamo le Chiese valdesi e metodiste a non disertare oggi il movimento ecumenico e a non ridurre il loro impegno ecumenico ma anzi ad intensificarlo e rinnovarlo dovunque sia possibile, manifestando nel contempo con serenità e fermezza questa nostra presa di posizione.
Cristo illumina anche le nostre resistenze al dialogo e la luce necessaria per superarle
di Letizia Tomassone, pastora valdese, coordinatrice della delegazione protestante italiana a Sibiu
Le difficoltà dell'ultimo giorno non devono oscurare del tutto l'importanza della grande Assemblea ecumenica europea (AEE3) che abbiamo vissuto a Sibiu. Dobbiamo infatti riconoscere che abbiamo ricevuto dall'assemblea almeno tre cose molto importanti:
- una buona profondità storica di convivenza, legata alla città stessa di Sibiu e alla sua storia di città di molte culture e molte appartenenze religiose;
- una visione dello stato della situazione rispetto all'unità visibile della chiesa, che ha mostrato molte più sfaccettature di quanto si poteva pensare;
- una prospettiva su cui muoversi legata alla collaborazione già in atto e anche a quella da sviluppare sui temi della giustizia, dell'ambiente, contro il traffico di esseri umani, ecc.
Quest'ultima prospettiva è quella che dà speranza rispetto al futuro. Da un lato, infatti, uno dei limiti grossi dell'AEE3 è stato il fatto di non aver dato voce a tutte le molteplici e ricche esperienze presenti. L'assemblea di fatto è stata più una grande conferenza fatta dal palco che una vera assemblea partecipata. Sicuramente c'è stata paura ad attivare l'assemblea in questo senso, perché i percorsi sotterranei e molto concreti dell'ecumenismo avrebbero fatto saltare le costruzioni teologiche che fanno barriera fra una chiesa e l'altra. Un ecumenismo che tenga conto del dinamismo del popolo di Dio e della movimentazione che lo Spirito di Dio opera, non può accontentarsi delle dichiarazioni definitorie degli uffici per l'ecumenismo delle diverse chiese.
A partire da Sibiu mi sembra si possa dire che oggi diventa centrale la costruzione di reti trasversali che tengano conto della complessità dei problemi: es. ambiente e giustizia, libertà di movimento e diritto al radicamento nella propria cultura, ecc.
A più riprese si è fatto riferimento alla fine di una fase e si è come abbozzato un nuovo inizio nel cammino ecumenico. Il vescovo luterano Huber, per esempio, ha affermato che non dovremmo più basarci sulla riflessione ecclesiologica – cioè sulla domanda di quanto ci costituisce come chiesa – ma sulla domanda cristologica: in che modo le chiese trasmettono il messaggio della salvezza? cosa è per noi e per la nostra predicazione la salvezza in Gesù Cristo oggi?
Che questa assemblea abbia segnato la fine di un certo tipo di ecumenismo è stato detto in modo duro dal cardinale cattolico romano Kasper, quando ha parlato di fine di un "ecumenismo delle coccole" e di necessità di rendere testimonianza alla Verità anche dicendo cose sgradevoli al partner ecumenico. Per lui, in linea con la Dichiarazione della Congregazione per la Dottrina della Fede, il tema della salvezza è legato prima di tutto alla concreta mediazione della chiesa nel suo aspetto ministeriale.
In un certo senso abbiamo sperimentato un dialogo mancante, che dà per scontati larghi pezzi del discorso, che preferisce ignorare il cammino di altre chiese e le comprensioni teologiche e di fede di altri credenti. E' una ignoranza basata sulla presunzione che la propria posizione sia l'unica interpretazione possibile dell'evangelo: la chiesa sacramentale, in fondo, non è la sola depositaria della grazia e della verità?
Certo, se guardiamo a questi discorsi che dal primo giorno si sono ripetuti con accenti diversi, viene da dire che il palco dell'assemblea ha mostrato fratture e divisioni profonde, senza saper offrire un sogno e una visione che ci illuminasse davvero tutti immergendoci nella luce di Cristo. E queste fratture sono emerse tutte nell'incidente ecumenico legato al messaggio finale, che conteneva testi diversi nelle diverse lingue.
Ma che dire della testimonianza dei e delle giovani – il cui messaggio comune è stato per diversi giorni l'unico documento ufficiale disponibile a conclusione dell'AEE3: non è questo un bel segno che invita le chiese, in un certo senso, a passare la mano alle giovani generazioni?
O degli incontri avvenuti fra i delegati negli interstizi dell'assemblea, in cui emergeva improvvisa la quantità di competenze e azioni ecumeniche già in atto, e di attese di azioni anche semplici, come quella tutta italiana di veder fiorire Consigli delle chiese cristiane in ogni città e anche a livello nazionale.
Certo Sibiu ha mostrato i limiti del confronto ecumenico istituzionale. Ma è Cristo che illumina anche le nostre ambiguità e resistenze al dialogo, e ci offre la luce necessaria al cammino che è capace di superarle. (NEV 37/07)
Libertà solidali
di Roberto Davide Papini
«Le
libertà sono tutte solidali. Non se ne offende una senza offenderle tutte».
Mi è venuta in mente questa famosa frase di Filippo Turati (pronunciata nel
suo discorso parlamentare del 15 luglio 1923), pensando al caso di Mohammed
Hegazi, il venticinquenne egiziano che si è convertito dall'islam al
cristianesimo e che rischia la morte perché vuole ufficializzare la sua
scelta di fede. La vicenda (tirata fuori prima dal quotidiano francese Le
Figaro, poi dal Corriere della Sera con un articolo di Magdi Allam) ha visto
alcuni esponenti di primo piano dell’università-moschea Al Azhar del Cairo
lanciarsi contro «l’apostata che merita di essere ucciso, tanto più per
essersi vantato e felicitato di avere lasciato l'Islam facendosi fotografare
con la moglie vicino al Vangelo».
Ripenso alla
frase di Turati anche di fronte all’assurda provocazione del “maiale day”
sul terreno dove dovrebbe sorgere la moschea di Bologna (pagina avvilente, ma
per fortuna isolata, del nostro dibattito politico) o alle svastiche sui
templi valdesi, o ai cimiteri ebraici sfregiati, o ai cristiani minacciati e
uccisi per la loro fede in varie parti del Mondo, o ancora al Dalai Lama
costretto a vivere in esilio. Già, perché in fondo (e potremmo citare mille
altri casi in tanti Paesi) stiamo facendo un unico discorso, stiamo parlando
di un’unica cosa: di libertà e più specificamente di libertà religiosa, del
diritto di Hegazi di abbandonare l’islam e passare al cristianesimo, così
come del diritto degli islamici (degli ebrei, dei cattolici, dei protestanti,
dei buddisti e via dicendo) di professare liberamente la loro fede. Al Cairo
come a Roma, a Gerusalemme come in Tibet e dappertutto. Un argomento che è
molto caro alle nostre chiese, che su questo tema si impegnano da tempo. Il
tema della libertà religiosa, però, non va declinato solo a corrente
alternata, con sguardi strabici o attenti solo a rispettare il clima del
“politicamente corretto” o, ancor peggio, del “cristianamente corretto”,
“ebraicamente corretto”, “islamicamente corretto”. È un diritto che va difeso
ovunque e per chiunque, perché ogni volta che difendiamo il diritto di una
persona difendiamo il diritto di tutti.
Così, un caso
concreto e di attualità come quello di Hegazi può essere un’occasione
preziosa per rilanciare il nostro impegno su questo fronte e per farlo in
modo ancor più efficace attraverso il coinvolgimento dei nostri fratelli
musulmani di Firenze o quelli di Colle Val d’Elsa. Non per mettere sul piatto
della bilancia la nostra solidarietà per la costruzione della loro moschea
(anche perché non siamo certo noi i “titolari” del loro diritto di avere un
luogo di culto), ma perché nello spirito di quella solidarietà troviamo
insieme un’altra occasione per combattere contro l’intolleranza. Senza
sottovalutare il fatto, poi, che una presa di posizione pubblica di una o più
comunità islamiche su una vicenda come quella di Hegazi (ma potremmo
ricordare altri casi analoghi) avrebbe un grande e positivo impatto a livello
di immagine e di opinione pubblica, aiutando non poco a scardinare pregiudizi
pericolosi come quelli che identificano i fedeli musulmani come
fondamentalisti.
Parlare di libertà religiosa è parlare di libertà tout court, un tema che a volte trascuriamo quando riguarda realtà diverse dalla nostra, come se fosse un valore esclusivo di noi occidentali, un tema non così importante per altre culture e altri contesti. Discorso pericoloso e anche vagamente razzista, perché quando si “contestualizzano” i diritti fondamentali della persona si finisce in realtà per violarli attivamente o per assistere passivamente alla loro violazione. La mia proposta, dunque, è di raccogliere la sfida dell’attualità: organizzare insieme ai fratelli musulmani (e meglio ancora insieme anche ai fratelli ebrei, alle altre confessioni cristiane, ai buddisti, a chi si sente di aderire al di là di ogni denominazione) un momento pubblico di riflessione sulla libertà religiosa e di solidarietà con Hegazi e tutte le vittime dell’intolleranza.
Il naso tra i libri
Olympe De Gouges pioniera dell’emancipazione femminile
di Sara Pasqui Rivedi
Dalle prime pagine del libro ci viene incontro il volto di Olympe De Gouges: è grazioso, leggermente paffuto, con una bocca ben modellata, le sopracciglia perfettamente arcuate, la fronte spaziosa, ma è lo sguardo ad attirare l’attenzione, intenso, attento, intelligente ed al tempo stesso dolce e benevolo. Non vi si scorge alcuna traccia di frivolezza, superficialità, fatuità, ma forza di volontà, energica risolutezza, determinazione. Chi è questa donna figlia del Secolo dei Lumi ? Essa fu senza dubbio la prima ad elaborare una teoria sul femminismo ed a rivendicare parità di diritti per la donna. Purtroppo fu in anticipo rispetto all’epoca in cui visse ed infatti le sue aspettative si vanificarono bruscamente il 3 novembre 1793 quando salì sul patibolo e fu ghigliottinata.
Marie Gouze, questo il suo vero nome, nacque a Montauban nel 1748 da una famiglia della piccola borghesia francese, non ricevette un’adeguata educazione come accadeva alle ragazze del suo tempo e del suo ceto poiché destinata alla vita domestica infatti fu maritata a diciassette anni. Rimasta vedova dopo circa un anno di matrimonio assunse il nome di Olympe De Gouges e si trasferì a Parigi convivendo con un ricco uomo d’affari che le offrì l’opportunità di abitare in un elegante quartiere della città. Essendo una donna ambiziosa che aspirava accedere al mondo della cultura si legò di amicizia con personaggi influenti come Filippo d’Orléans, partecipò alla vita mondana della capitale, frequentò assiduamente salotti e teatri. Convinta che il suo padre naturale fosse Jean-Jacques Le Franc de Pompignan, scrittore assai famoso a quel tempo, era certa di averne ereditato il talento letterario ed era impaziente e desiderosa di svilupparlo. Ben presto avvertì l’esigenza di scrivere ed un forte interesse per il teatro dal quale era stata attratta fin dal suo arrivo a Parigi.
Compose numerose piecès la cui rappresentazione si presentava assai improbabile, quasi impossibile essendo l’autore una donna, tuttavia fra il 1784 e il 1789 alcune sue opere furono accettate dalla Comedie Française. Da quel momento si dedicò esclusivamente alla produzione teatrale stimandola l’unico mezzo efficace per educare il popolo ed esporre le sue idee politiche. Incontrò, come era prevedibile, una forte ostilità e fu accusata di attribuirsi opere letterarie scritte da altri, di conseguenza si accese una violenta disputa fra lei ed i suoi detrattori. Donna intelligente, sensibile e dotata di una particolare percezione della realtà avvertì precocemente il mutarsi del clima politico, fu cosciente della profonda crisi in cui versava il paese e perciò abbandonò la produzione teatrale e si prodigò per scuotere le masse popolari dal torpore in cui giacevano affinché rivendicassero i loro diritti di cittadini e cittadine.
Dalle pagine del Journal general de France cercò di coinvolgere le donne nel faticoso compito di ridurre il deficit nazionale rimproverandole per l’eccessivo lusso ed esortandole ad una maggiore sobrietà. Nelle sue Remarques patriotiques propose di istituire un’assistenza sociale per le classi più disagiate, suggerì la creazione di cliniche di maternità battendosi inoltre per una maggiore igiene da praticare durante il parto per ridurre le infezioni puerperali quasi sempre apportatrici di morte, chiese infine che le terre incolte fossero suddivise ed assegnate ai cittadini che erano capaci di coltivarle. Tutte proposte veramente anticipatrici, innovatrici, e rivelatrici di una personalità dalla grande sensibilità per le sofferenze altrui e dalla forte intuizione. Passerà ancora molto tempo prima che esse siano realizzate e nessuno gliene riconoscerà il merito. Siamo dunque di fronte ad una donna altamente propositiva, dalla forte coscienza sociale e politica, desiderosa di vedere praticate giustizia ed uguaglianza. Essa vivrà in prima persona le fasi della Rivoluzione, assisterà a tutte le sedute degli Stati Generali, scriverà manifesti ed opuscoli, lancerà proclami per rendere pubbliche non solo impressioni e reazioni, ma anche proposte e programmi.
Essendo una moderata quando la Rivoluzione cadde negli eccessi non risparmiò le critiche poiché non ne condivideva la deriva violenta e sanguinaria, infatti si oppose fermamente alla condanna a morte del re Luigi XVI pur riconoscendo che il suo tentativo di fuga era stato deprecabile ed indegno del capo di una nazione.
Olympe si adoperò sempre per il bene della repubblica, ma non tutte le sue istanze furono apprezzate, anzi proprio per alcune di esse fu arrestata e condotta al patibolo. Dopo la sua morte si parlerà di lei come di una “esaltata” e si preferirà affidare la sua memoria all’oblio e la sua opera letteraria assai vasta e diversificata resterà a lungo ignorata. Finalmente nel 1981 lo storico Olivier Blanc dà alle stampe una sua biografia che segnerà la riscoperta di una donna intraprendente, fiera, soprattutto coraggiosa poiché rivendicò l’uguaglianza dei sessi in un periodo storico in cui le donne non avevano alcun riconoscimento, ma dipendevano completamente dagli uomini, padri, mariti, fratelli, figli.
Di tutta l’opera letteraria di questa intrepida donna certamente il testo più celebre, innovativo, dirompente resta laDichiarazione dei diritti della donna e della cittadina con la quale ella sottolinea la questione femminile. Quando nel 1789 fu proclamata laDichiarazione universale dei diritti dell’uomo e del cittadino Olympe rivendicò per le donne pari diritti ed il 14 settembre 1791 pubblicò la sua Dichiarazione affermando che la disparità dei sessi ingenerava il malgoverno e la corruzione delle istituzioni. Era certa che la Rivoluzione avrebbe fatto eco alle sue richieste ed avrebbe offerto l’opportunità per liberare le donne dalla triste condizione di subalternità, ma non fu né ascoltata né apprezzata, anzi la sua battaglia le causerà la morte poiché i tempi non erano ancora maturi per accettare l’uguaglianza delle diversità.
La scrittrice sembra presagire ed anticipare la sua tragica fine poiché l’articolo 10 della Dichiarazione recita “….Come la donna ha diritto di salire sul patibolo deve avere anche quello di salire alla tribuna”. Più tardi, nel XIX secolo, questo sarà il motto del movimento femminista che vedrà molte sue fautrici pagare con lo scherno, il disprezzo dell’opinione pubblica, qualche volta la prigione le loro rivendicazioni. (Da non dimenticare le battaglie per il suffragio universale cioè per ottenere il diritto di voto che in Italia sarà concesso solo dopo la II Guerra Mondiale).
Olympe non rinnegò mai le proprie idee, la certezza di battersi per una causa giusta la animò e la sollecitò a procedere malgrado le ostilità, la diffidenza e le difficoltà che incontrava, ma occorre ricordare - a suo merito – che fu anche una severa fustigatrice dei costumi, poiché rimproverò sovente alle donne di aver per secoli accettato di praticare l’arte dell’astuzia, dell’adulazione, della civetteria e soprattutto della seduzione per soddisfare capricci, vanità ed ottenere qualche privilegio. La Dichiarazione è costituita da diciassette articoli, un preambolo ed un postambulo che inizia con questa esortazione: “Svegliati donna! …..Riconosci i tuoi diritti!”.
Olympe De Gouges
Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina
Il Melangolo 2007, pp.78 - € 9,00
La Balena Bianca
di Pasquale Iacobino
Perché il capitano Achab nutre un irrefrenabile desiderio di vendetta verso la Balena Bianca? E' solo a causa della gamba amputata dal morso del terrificante cetaceo in un precedente scontro o c'è qualcosa di più oscuro, un “movente” che tocca gli abissi della mente e dell'anima di un’umanità perduta?
Tra atmosfere sinistre e spettrali, intrise di simbolismi ed allegorie, la voce di Ismaele racconta l'ultima avventura del Pequod, la baleniera quacchera e cosmopolita di Achab, il folle capitano votato allo scontro titanico con la maschera enigmatica, rugosa, possente, oceanica, del Leviatano. Un viaggio metafisico più che un'avventura.
Pubblicato nel 1851 da un Melville già famoso narratore, The Whale (“La Balena”, titolo dell'edizione inglese e americana di Moby Dick) fu accolto con freddezza sia dal pubblico che dalla critica, salvo poi divenire, nel XX secolo uno dei maggiori capolavori della letteratura mondiale. Come il Pequod inseguiva un destino catastrofico l'America di Melville viaggiava verso il baratro della Guerra Civile, e l'umanità intera – tempo una manciata di decenni - avrebbe conosciuto le più grandi tragedie della propria storia. Ma com'è noto, nessun contemporaneo è profeta nel suo tempo.
Cesare Pavese che presentò al pubblico italiano nel 1941 la prima traduzione ebbe a scrivere: “Si legga quest'opera tenendo a mente la Bibbia e si vedrà come quello che potrebbe anche parere un curioso romanzo di avventure, un poco lungo a dire il vero e un poco oscuro, si svelerà invece per un vero e proprio poema sacro cui non sono mancati né il cielo né la terra a por mano.”
Moby Dick o la Balena
di Herman Melville
Traduzione di Cesare Pavese.
Adelphi, Milano, pp.588 - € 10,00
Libreria Claudiana
Borgo Ognissanti 14R
50123 Firenze
Tel e fax: 055282896
Diaconia della lettura. Ricomincia il percorso di lettura collettiva “Dopolavoro Teologico” (IV Edizione)
di Pasquale Iacobino
Che cos'è un gruppo di lettura collettiva? E' l'esperienza di avvicinarsi al testo all'interno di una rete di relazioni: “leggerò un libro e lo farò insieme ad altri/e”. Ne risulta un processo di lettura e di comunicazione della lettura stessa alla costante ricerca di parole comuni. Chi legge si confronta con il volto di un altro lettore. Parafrasando Jorge Luis Borges : chi legge le parole le reinventa, e le reinventa al servizio del gruppo. Quasi una diaconia della lettura.
La rete di relazioni diventa così doppia: la relazione tra gli individui e la relazione tra le letture di questi individui.
La dimensione del gruppo è di tipo seminariale. La frequenza mensile, da ottobre a maggio (quindi 8 appuntamenti).
Un altro aspetto da ricordare è la dimensione non-specialistica ed interdenominazionale della ricerca intrapresa dal Dopolavoro Teologico: accanto ai pastori vi partecipavano membri di chiesa semplicemente curiosi di interrogarsi sul terreno della riflessione teologica.
Nelle scorse edizioni sono stati letti i volumi Libertà di Credere (Claudiana 2000)di Fulvio Ferrrario e Che cosa avviene nella Cena del Signore (Claudiana 2004) di M.Welker.
Come funziona il Dopolavoro Teologico?
La partecipazione è libera. Nella prima riunione (aperta a tutti/e) si individua il libro da leggere. Gli appuntamenti (mensili) prevedono una breve meditazione biblica. Successivamente, a turno, un incaricato o un’incaricata alla lettura introduce uno o più capitoli del libro in discussione. Dopo l'esposizione dei contenuti del capitolo si passa al suo vaglio critico. La durata di ogni appuntamento è di circa 90 minuti.
La Libreria Claudiana e il Centro Culturale Protestante “P.M.Vermigli” invitano dunque al primo incontro del Dopolavoro Teologico Anno 2007-2008: martedì 9 ottobre 2007, ore 20:00, via Manzoni 19-21 – Firenze.
Info: 055.28.28.96; libreria.firenze@claudiana.it
Dalle Chiese evangeliche fiorentine
Chiesa Evangelica Battista
Il 10 Luglio è stato celebrato il funerale della sorella Pierina Micali Mannucci. Sofferente da lungo tempo, la immaginiamo finalmente a riposo nel giardino del Signore. A Cola e ad Andrea vanno i nostri sentimenti di cristiana simpatia. Cola di Rienzo è ora ospite del Gignoro: ci manca tanto il suo sorriso quanto la sua inesauribile capacità di raccontare le vicende del protestantesimo fiorentino.
I culti dal 29 luglio al 3 settembre hanno visto diversi predicatori impegnati nella liturgia e nel sermone: grazie dunque a Renzo Ottaviani, Carlo Mazzola e Dunia Magherini!
In Luglio alcune famiglie della chiesa sono andate fino al Centro Evangelico di Bethel, nella Sila piccola (Catanzaro) per fare l'esperienza di un campo autogestito. Con loro anche il pastore Raffele Volpe.
Anche il 2° Campo Intergenerazionale dell'Unione Battista (UCEBI), tenutosi a Fasano (Brindisi) in Agosto ha visto la partecipazione di alcuni battisti della chiesa di Firenze. Il tema è stato “Alla ricerca della felicità” con laboratori di Teatro, Musica e Scrittura/Lettura creativa.
In settembre, riprenderà il gruppo di preghiera in casa Brandoli-Tonarelli, mentre nelle domeniche 16 e 23, dopo agape fraterna, verranno illustrati e discussi i documenti preparatori per l'ormai imminente Assemblea-Sinodo 2007.
Chiesa Evangelica Luterana
Ricomincia il tradizionale ciclo di concerti presso la Chiesa Luterana, Lungarno Torrigani. I concerti si terranno tutti i mercoledì di ottobre, alle ore 21.00.
3 ottobre: Ingeborg Deck, soprano e flauto dolce; Maren Westermann, viola; Anke Loette, flauto traverso; coro e orchestra della Chiesa Evangelica di Essen-Rellinghausen
10 ottobre: Sera Lee, organo
17 ottobre: Cantoria di Kassel
24 ottobre: Ensamble di archi, dir. Chr. Timpe
Chiesa Evangelica Valdese
Dopo una lunga pausa (tutto il mese di luglio) abbiamo ripreso le nostre attività estive il 5 agosto con il culto domenicale presieduto dal pastore Gajewski. Nel corso dei mesi di luglio e di agosto sono proseguiti gli incontri conviviali (i “mercoledì di via Manzoni”), i quali, nonostante le condizioni atmosferiche non sempre favorevoli, hanno raccolto un buon numero di partecipanti.
Due eventi particolarmente lieti hanno scandito i mesi estivi.
Il 29 luglio è nata Elisa, figlia di Silvia Sonelli e di Andrea Chiarini.
Il 3 agosto è nata Armoni, figlia di Mathieu e Larissa Kouame.
Il 2 settembre Edoardo Canino e Patrizia Braschi hanno condiviso con tutta la comunità la gioia della benedizione nuziale.
Le sorelle Lidia Barbanotti e Jenny De Cecco hanno trascorso un mese in Burkina Faso, lavorando come volontarie tra bambini che vivono in condizioni di estrema precarietà. Nel prossimo numero della nostra circolare pubblicheremo le loro testimonianze.
Il concistoro, nel corso della sua seduta, tenutasi il 4 settembre ha impostato le attività ordinarie della nostra chiesa. La Scuola Domenicale si incontrerà ogni domenica nell’orario del culto. Gli incontri di catechismo si terranno ogni sabato alle ore 15.00; anche lo studio biblico proseguirà ogni sabato, nel solito orario.
Ogni martedì il pastore Gajewski e le sorelle del gruppo visitatrici andranno a trovare le persone anziane della nostra comunità. È ancora allo studio il progetto di piccole “riunioni quartierali” di studio biblico e di preghiera che si svolgeranno il giovedì sera presso le famiglie disposte a ospitare questo tipo d’incontri.
L’assemblea di chiesa è convocata per domenica 11 novembre.
Il tradizionale bazar comunitario si terrà, a Dio piacendo, sabato, 17 novembre nei locali di via Manzoni.
Alla fine desideriamo rivolgere un affettuoso saluto alla famiglia Pizzi – Strohmeyer. Nel mese di agosto, dopo una lunga malattia è ritornata alla casa del Padre celeste la mamma di Marianne; a metà settembre David e Francesco Pizzi sono rimasti gravemente feriti nel corso di un incidente aereo avvenuto sulle Alpi svizzere. A Mario, Marianne e ai loro figli esprimiamo la nostra più profonda solidarietà in questo momento per loro particolarmente difficile, assicurando anche un’incessante preghiera d’intercessione.
Principali appuntamenti ecumenici a Firenze e in Toscana
Sabato, 13 ottobredalle ore 10.00, presso la Sala Riunioni della Chiesa Cristiana Evangelica in Via della Vigna Vecchia, 15 si terrà un seminario sul tema “La Chiesa che Dio usa”: una stimolante lettura biblica alla riscoperta della Chiesa di Antiochia; oratori: Andreu Dionis Garcia e Ruth GiordanoTorres.
Domenica, 14 ottobre, dalle ore 9.00, presso la Chiesa valdese di Lucca si terrà l’assemblea del X Circuito valdese e metodista. Durante il culto assembleare il fratello Ignazio David Buttitta sarà insediato come predicatore locale.
Domenica, 21 ottobre, dalle ore 10.00, in piazza SS. Annunziata: festa dei ragazzi ebrei, cristiani e musulmani, intitolata “Insieme la vita è più bella”
Domenica, 28 ottobre,dalle ore 9.00 presso il Teatro Saschall, le Chiese Evangeliche di Firenze e dintorni celebreranno la Festa della Riforma.
Giovedì, 1 novembre, alle ore 21.00, il Varco dei Biffi invita al concerto di Nehemiah H. Brown & Florence Gospel Choir.
Martedì, 13 novembre, alle ore 19.45, “Passi di Pace” da Piazza Santa Croce a Palazzo Vecchio, camminata in meditazione, a cura dell’Associazione “Un tempio per la pace”; alle ore 21.00, nella Sala Incontri del Palazzo Vecchio, preghiera per la pace (Pace e amore).
Diaspora evangelica
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Redazione: Pawel Gajewski
Reg. Tribunale di Firenze, 16 ottobre 1967, n.1863
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