Incontrerai
Dio
di
Arturo Gutierrez Martin
Dovunque ti capiti di guardare
Dovunque fissi la tua attenzione,
dovunque sussista un atomo,
incontrerai Dio.
Nelle diverse forme delle nubi,
nei raggi dorati del sole,
nel luccichio delle stelle,
incontrerai Dio.
Nei dolci belati che nei prati
Fanno le greggi al fischio del pastore,
nei voli cangianti degli uccelli
incontrerai Dio.
Nel sangue che scorre nelle tue vene,
nella stessa coscienza del tuo Io,
nelle palpitazioni del tuo petto,
incontrerai Dio.
Nella cara figura della madre,
Il cui seno ti donò la vita,
nel franco sorriso di una sorella
incontrerai Dio.
Nelle pupille linde della giovane
Che ha acceso d’amore il tuo cuore,
nella grata visione di una persona amata
incontrerai Dio.
Nelle ore dell’ombra e dell’amarezza
Quando sei sola col tuo dolore
Se lo cerchi nell’oscurità della notte
incontrerai Dio.
(da: Red
Electronica de Liturgia del CLAI)
La preghiera di Mosè: “Mostrami la tua gloria Signore!” (Esodo 33, 12-23)
di
Fabio Traversari
Il passo biblico di Esodo 33,12-23 contiene una preghiera che Mosè rivolge al Signore.
Questa preghiera è audace,ardita e coraggiosa. La preghiera di Mosè mostra però tutta la
fragilità di Mosè che definirei di tipo vocazionale. Tre sono le richiese di Mosè a Dio:
1) conoscere Dio;
2) avere la certezza che la presenza del Signore accompagni lui ed il suo popolo
3) poter vedere la gloria del Signore.
Alla prima richiesta di Mosè, quella di conoscerlo, Dio risponde: «La mia presenza (letteralmente «Il mio volto”) andrà con te ed io ti darò riposo”. (Es. 33,14) L’ardita prima richiesta di Mosè, viene così esaudita e Dio sembra ubbidire a Mosè1 Dio si rivela come un volto, una presenza amica che cammina accanto al suo popolo. Non dunque un Dio astratto e statico, non un’idea in cui credere e per cui combattere, ma una persona viva e presente che conosce l’uomo “personalmente” (letteralmente “per nome”) (Es.33,17)
La preghiera di Mosè continua con una seconda richiesta a Dio: Mosè vuole che la presenza del Signore accompagni lui e il suo popolo. Mosè vuole essere certo della presenza del Signore! Siamo in un momento particolare della narrazione del libro dell’Esodo. Siamo in un momento di crisi e di superamento di questa crisi nel rapporto fra Dio e il suo popolo, perché Israele è stato infedele. Israele era giunto fino a chiedersi: “Il Signore è in mezzo a noi si o no? (Esodo 17,7). Forse anche noi oggi ci poniamo questa domanda: Il Signore è fra noi? Ci domandiamo: il Signore guida la nostra vita? Le nostre famiglie? Le nostre comunità? La nostra chiesa?
Israele nel dubbio, nell’incertezza sulla presenza del Signore si costruisce un dio su misura: un idolo, il vitello d’oro. Noi come individui, come singole comunità, come chiesa cediamo alla tentazione di costruirci un dio su misura?
Dio ha concesso ad Israele, al suo popolo, il suo perdono, ed ora afferma Mosè: “Se la tua presenza non viene con me, non farci partire di qui” (Esodo 33,15). Nella prima parte del capitolo 33 (dal v.l al v.5) leggiamo che il Signore ha rinnovato a Mosè l’invito a guidare il popolo d’Israele verso la terra promessa, il paese promesso ai padri con giuramento fatto ad Abramo, ad Isacco e a Giacobbe, il paese dove scorre il latte ed il miele. Il Signore manderà il suo angelo davanti a Mosè, ma il Signore non sarà in mezzo al popolo perché il popolo è un popolo dal collo duro.
Ma ora se il Signore non andrà con Mosè e con il suo popolo non conviene neppure partire, afferma Mosè! Il Signore allora risponde anche a questa seconda richiesta di Mosè: Farò anche questo che tu mi chiedi perché hai trovato grazia agli occhi miei e ti conosco personalmente ( lettera/mente “per nome”) (Es. 33,17). La seconda richiesta di Mosè, viene così esaudita e Dio sembra ubbidire ancora una volta a Mosè! Ma Dio non ubbidisce a Mosè, Il Signore risponde a Mosè nella sua assoluta libertà perché conosce personalmente Mosè.
Dio conosce la fragilità vocazionale di Mosè che ispira questa preghiera. La sua fragilità vocazionale ispira questa preghiera nella difficile situazione in cui si trova tutto il popolo d’Israele dopo la sua infedeltà: la costruzione del vitello d’oro.
Quando il Signore aveva incaricato di guidare Israele fuori dalla terra promessa, lo possiamo leggere nei primi capitoli del libro dell’Esodo, Mosè pone delle obiezioni circa la missione che Dio gli ha affidato, cioè condurre il popolo verso la terra promessa! Mosè risponde al Signore: Chi son io per andare dal Faraone e far uscire i figli d’Israele? Rispondiamo forse anche noi oggi al Signore: “Chi son io per andare dagli italiani ad annunciare l’evangelo?
Anche noi, fratelli e sorelle, conosciamo la fragilità vocazionale di Mosè, perché spesso come Mosè viviamo questa fragilità vocazionale, la viviamo come individui, come singole comunità, come chiesa tutta. Non ci siamo forse chiesti durante tutto l’anno ecclesiastico appena passato quale sia la nostra vocazione, abbiamo avuto anche la prima domenica di avvento del 2004 come un tempo di silenzio alla presenza del Signore per trovare soluzioni alla crisi della nostra chiesa, reale o presunta che sia questa crisi.
Mosè non si sente sicuro, è incerto. Ora lo è ancora di più, Israele è ormai uscito dall’Egitto, ha ricevuto i dieci comandamenti, la legge del Signore ma Israele è stato infedele ha costruito il vitello d’oro, si è fatto un dio su misura e a causa dell’infedeltà del suo popolo ora Mosè si sente insicuro. Dio ha perdonato il Suo popolo e ha nuovamente detto a Mosè di guidare il suo popolo verso la terra promessa, ma Dio sarà presente? Dio concederà anche questo, perché Dio conosce Mosè personalmente. Mosè ha trovato grazia agli occhi del Signore. Dio sarà presente, la sua presenza sarà in mezzo a lui ed al suo popolo.
Mosè non si accontenta e dopo aver chiesto di conoscere il Signore e di avere la certezza che la sua presenza sarà con lui ed il suo popolo, richieste alle quali il Signore nella sua libertà ha riposto, rivolge ora una terza ardita richiesta al Signore cioè quella di poter vedere la sua gloria, Mosè chiede al Signore: “Fammi vedere la tua gloria”. (Es.33,17) Dio risponde a Mosè che farà passare davanti a lui tutta la sua bontà, proclamerà il suo nome davanti a Mosè! Che farà grazia a chi vorrà far grazia ed avrà misericordia di chi vuole aver misericordia. Mosè però non potrà vedere il volto di Dio, non potrà incontrarlo faccia a faccia. La risposta di Dio è molto chiara, il suo volto non può essere visto.
Dio afferma che il suo volto non può essere visto! Ma per Mosè è più importante vedere Dio di spalle, da dietro! Con un linguaggio simbolico viene narrata la possibilità che Mosè ha di vedere Dio almeno da dietro, di spalle. Mosè starà vicino a Dio, su un masso, mentre passerà la sua gloria, Dio lo metterà in una buca del masso e lo coprirà con la sua mano finché non sarà passato e Mosè potrà vedere Dio da dietro perché il suo volto, il volto di Dio non si può vedere. Perché se Dio è un volto che cammina davanti all’uomo solo da dietro può essere visto: Dio è davanti all’umanità nel suo cammino; Dio è davanti al popolo dì Israele nel cammino verso la terra promessa.
Anche se il volto di Dio non può essere visto, però può essere conosciuto il suo nome, ovvero ciò che Dio è nei confronti dell’umanità. Dio lo ha infatti promesso a Mosè: “lo farò passare davanti a te tutta la mia bontà e proclamerò ìl nome del Signore davanti a te . (Es.33, 19).
Nel capitolo 34 del libro dell’Esodo, il capitolo successivo
al nostro,
possiamo leggere come Dio rinnovi con Israele il suo patto e come Dio
proclami
il suo nome, come aveva promesso a Mosè:
Il Signore discese nella nuvola e si fermò con lui e
proclamò il nome
del Signore. 1/Signore passò davanti a lui e gridò:
“Il Signore! Il Signore! Il
Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira, ricco in
bontà e fedeltà,
che conserva la sua bontà fino alla millesima generazione, che
perdona
l’iniquità la trasgressione e i1 peccato, ma non
tratterà il colpevole per
innocente; che punisce l’iniquità...”
(Es. 34,5-7)
Sono ben tredici gli attributi elencati e forse siamo tentati di concentrarci sugli ultimi due dedicati al Dio che punisce e fa giustizia, ma non dimentichiamoci che ben undici attributi descrivono il Dio di misericordia e di perdono. Elenchiamo nuovamente questi undici attributi di Dio: 1°) I1 Signore! 2°) ll Signore! 3°) ll Dio misericordioso 4°) Il Dio pietoso, 5°) Il Dio lento all’ira, 6°) il Dio ricco in bontà e 7°) il Dio ricco in fedeltà, 8°) il Dio che conserva la sua bontà fino alla millesima generazione, 9°) il Dio che perdona l’iniquità, 10°) il Dio che perdona la trasgressione e 11°) il Dio che perdona il peccato.
La misericordia e la santità di Dio sono per Mosè e per il popolo d’Israele l’unica via d’uscita ai dubbi sulla presenza del Signore; la misericordia e la santità di Dio sono l’unica via d’uscita all’infedeltà d’Israele, alla costruzione del vitello d’oro.
Non è il popolo di Dio che riesce a convertirsi e cambiare vita, ma è Dio ad offrire questa possibilità attraverso il suo perdono. Noi ci troviamo nella stessa situazione di Mosè come individui, comunità singole, come chiesa. Noi siamo da un lato come Mosè fragili nella nostra vocazione. Ciascuno e ciascuna di noi ha un suo compito nella chiesa e nella società: non dimentichiamolo! La nostra fragilità vocazionale, come quella di Mosè è colmata nelle sue possibili mancanze dalla grazia di Dio perché come Mosè anche noi abbiamo trovato grazia agli occhi del Signore.
Dall’altro lato come Mosè e tutto il popolo del Signore, dì cui anche noi siamo parte, viviamo sempre del perdono del Signore. Il Signore conosce le nostre fragilità, i nostri dubbi, le nostre infedeltà, il Signore offre anche a noi oggi il suo perdono. Il perdono che il Signore ci offre è gratuito e assolutamente libero: “lo farò grazia a chi vorrò fare grazia ed avrò misericordia di chi vorrò avere misericordia” dice il Signore (Es.33, 19). In questi tempi nei quali si sente parlare ancora di indulgenza plenaria concessa da papa Benedetto XVI ai papaboys e papagilrs riuniti a Colonia è importante ricordare invece che la misericordia di Dio è gratuita. Mentre c’è chi pone delle condizioni per ottenere la grazia, il perdono di Dio, noi come chiesa evangelica annunciamo il patto di grazia che Dio vuol stabilire con ciascuno e ciascuna di noi nella sua assoluta libertà e gratuitamente!
Mosè ha chiesto a Dio di poter
vedere la gloria
del Signore ed il Signore ha risposto a Mosè
dicendo che avrebbe fatto passare davanti a
lui tutta la sua
bontà, tutta la sua misericordia.
La preghiera che Mosè rivolge al Signore, le sue tre richieste ardite, coraggiose ed audaci forse riassumono le richieste di tutti i credenti: poter conoscere Dio, poter sapere con certezza che Il Signore ci accompagna con la sua presenza, e vedere il Signore, vedere la sua gloria. Il Signore sa che anche noi abbiamo necessità come Mosè di trovare risposta nella nostra vita, nella vita delle nostre famiglie, delle nostre comunità, nella vita della nostra chiesa a queste tre richieste della preghiera di Mosè.
Dio risponde anche a noi, poiché concede anche a noi come a Mosè di conoscerlo, concede anche a noi la sua presenza costante e ci concede di sperimentare tutta la sua bontà, la sua misericordia!
Lo concede anche a noi per mezzo di Gesù di Nazaret che ci ha permesso di conoscere Dio, il cui volto non si può vedere, Gesù è infatti la presenza concreta di Dio nella storia e Gesù ci ha mostrato tutta la bontà di Dio. Nel prologo del suo vangelo, l’evangelista Giovanni insisterà molto sull’invisibilità di Dio che però si è reso visibile per mezzo del Signore Gesù: “Nessuno ha mia visto Dio, l’unigenito figlio, che è nel seno del Padre, è quello che ce lo ha fatto conoscere” (Gv. 1,18) Gesù ci ha mostrato tutto l’amore che Dio ha per noi, tutta la bontà di Dio con alcuni segni, con il suo insegnamento, con il dono della sua vita.
Mosè ha chiesto di vedere la gloria del Signore e il Signore ha risposto che farà passare davanti a lui tutta la sua bontà, il Signore lo concede anche a noi per mezzo di Gesù. Siamo noi disposti ad andare oltre l’orgoglio della ragione per riconoscere i segni del passaggio di Dio nella nostra vita, nella vita delle nostre comunità, nella vita della nostra chiesa tutta?
Israele si era domandato: il Signore è in mezzo a noi, si o no?
A questa domanda noi grazie alla nostra fede possiamo rispondere affermativamente: il Signore è in mezzo a noi! Alle domande: il Signore guida la nostra vita? la nostra chiesa? Possiamo rispondere che il Signore guida la nostra vita, guida le nostre comunità e guida tutta la nostra chiesa, il Signore è fra noi!! Amen
(questo testo è una
versione riveduta e
corretta di due sermoni sul testo di Esodo 33,12-23 tenuti dallo
studente Fabio
Traversari rispettivamente nella chiesa
valdese di
Pisa durante il culto del 7 Agosto 2005, ne/la chiesa valdese di
Firenze il 21
Agosto 2005)
Vorrei
dire a Giuda
di
Domingo Ferrari
“Giuda, chiamato Iscariota,
andò a conferire
con i nemici di Gesù per
consegnarlo nelle loro mani,
ed essi si rallegrarono e pattuirono di dargli del denaro” (Luca
22, 4)
Vorrei dire a Giuda:
Dicono che sei stato un traditore e che hai venduto Gesù, che il tuo nome è una macchia nella storia della croce.
Che ti successe?
Perché un giorno devi pur esser stato bravo, se nel vederti il Cristo ti invitò a seguirlo per sempre, e un altro giorno quando si contano i Dodici, tu c’eri. I Dodici che hanno conosciuto giorni allegri e giorni tristi, come quando Gesù prendeva in braccio i bambini e li benediceva sorridente, come quando si prese cura di una donna o risuscitò la morta adolescente.
E quel giorno dei pani, che erano pochi e pochi i pesci, e invece mangiarono in tanti, che sembra quasi di mentire a dir quanti. E quando se ne andò camminando di notte fino alla barca (con lo spavento che tutti si presero, finché lo riconobbero nell’ombra). Ti ricordi il giorno che entrò a Gerusalemme sull’asino (tu l’avresti voluto su ben altra cavalcatura!?). Qualche volta avrai pur sentito per lui ammirazione e tenerezza.
E quel giorno che lo cercano per farlo re e dicevano che era un profeta venuto da Dio, che pensavi? Perché di Giacomo e Giovanni sappiamo che facevano calcoli di fare i primi ministri, di Pietro sappiamo che si credeva capace di dare ordini a Cristo, di Filippo che non capiva, di Tommaso che chiese di essere un eroe, di un altro Giuda conosciamo la curiosità, ma di te sappiamo solo che eri degno di molta fiducia, se ti hanno nominato tesoriere… (E’ vero che Giovanni dice che eri ladro, però questo lo scrisse dopo il fatto del campo del vasaio).
Che ti successe poi?
Non capisco come hai potuto trasformati da amico in traditore!
Però mi metto a pensare che anch’io sono suo amico… che Lui ha parlato anche con me e che mi ha invitato a seguirLo nel suo cammino come te. E questo mi fa perdere fiducia nelle mie capacità di amore, nella mia amicizia; anch’io potrei sbagliare, venderlo al migliore offerente… Se cambio nomi, situazioni, conclusioni, ammoderno la chiamata al discepolato, devo ammettere che sono stato chiamato come te, che Lui ha avuto fiducia in me, come in te.
Dimmi Giuda che successe?
(da: Red
Electronica de Liturgia del CLAI)
Chiesa Luterana,
Lungarno Torrigiani 11, ore 18
La
solitudine
di
Piero Bensi
(Piero Bensi è
mancato un paio di
settimane fa: pensiamo che il miglior modo di ricordarlo sia di
rileggere una
sua predica, che prendiamo da “L’oggi
dell’Evangelo” Claudiana p.83-86)
Gesù dice:«Dovunque
due o tre sono riuniti nel nome mio, quivi sono io in mezzo a
loro». (Matteo
18,20)
« Voi
siete miei
amici... Io non vi
chiamo più
servi; perché il servo non sa quel che fa il suo signore; ma voi
vi ho chiamati amici... (Giovanni
15,14.15)
Viaggiavo tempo fa attraverso uno dei tre Paesi a più alto livello economico del mondo. Venni subito colpito da una grande campagna governativa contro la solitudine. Ovunque si leggevano slogans come questi: «Abbiamo raggiunto il benessere, ma abbiamo perso gli amici», oppure: «Vi sentite soli? Scrivete una lettera. La corrispondenza vi aiuterà a superare la solitudine».
La solitudine dell’uomo moderno! È un altro grande problema del nostro tempo, favorito certamente dall’enorme prolungarsi della vita sulla terra. Non soltanto nei Paesi ad altissimo livello di vita (dove si registra anche il più alto numero di suicidi e di malati mentali), ma anche nel nostro Paese, dall’economia tanto dissestata, il problema della solitudine si fa di giorno in giorno più acuto. Soli sono i giovani, incapaci di comunicare l’uno con l’altro. Sole sono le persone di mezza età, incomprese dai giovani e rifiutate dagli anziani. Sole, in modo particolare, sono le persone anziane, che tendiamo sempre più a mettere fuori dalla famiglia, dalla società, fuori dalla vìta attiva. Soli sono sovente gli sposi; dopo appena pochi anni (a volte pochi mesi) di matrimonio, non hanno più nulla da dirsi. Soli i membri della famiglia, il cui unico punto d’incontro è diventato lo spettacolo televisivo serale. Viviamo in enormi palazzi dai cento appartamenti, eppure non ci conosciamo e non ci parliamo. Ogni giorno, nelle ore di punta, ci accalchiamo a migliaia per le strade, siamo pigiati negli autobus, facciamo lunghe file agli sportelli dei nostri mille uffici, eppure siamo estranei gli unì agli altri, quasi esistesse un muro fra uomo e uomo. Siamo tutti presi dagli affari, dagli impegni, dal secondo lavoro per arrotondare lo stipendio. Non abbiamo più tempo per coltivare le amicizie, per vivere con gli altri. Anzi, spesso vediamo gli altri come dei grandi seccatori che tentano di entrare nell’intimità della nostra casa. Quando pure non li consideriamo avversari e concorrenti.
Questo senso di solitudine dell’uomo moderno è uno dei fenomeni più singolari del nostro tempo, che è pure tempo di veloci comunicazioni. È un senso angoscioso ed infinitamente triste, frutto della società del benessere, che anche noi, in qualche modo, ci stiamo costruendo.
Eppure l’uomo non è fatto per rimanere
solo. «Non è bene che
l’uomo sia solo», afferma il libro della Genesi,
all’atto stesso della
creazione. L’uomo è un essere sociale e ha bisogno degli
altri uomini, così
come gli altri hanno bisogno di lui. Ma
l’uomo vuole
costruirsi la sua civiltà. La costruisce come vuole lui: fuori
dai piani e dalla volontà di Dio. L’uomo non vuole
che Dio metta il naso
nei suoi affari. Se mai, per Dio
c’è il tempio. Fuori da quel
luogo ben delimitato, Dio non deve interferire
nei piani dell’uomo. Ed il risultato
è quello che
vediamo: una società sbagliata, dove molti nostri desideri sono
appagati, ma
dove ciascuno di noi rimane solo, incapace di vivere e comunicare con
gli
altri.
Gesù viene per ricostruire l’uomo distrutto dal peccato e dall’orgoglio. Intorno a Gesù si forma una piccola comunità. «Dovunque due o tre sono radunati nel mio nome, qui sono io in mezzo a loro... » (Mt. 18,20). «Voi siete miei amici» (Giov. 15,14). È una comunità tenuta insieme, non da interessi finanziari, non da una particolare simpatia reciproca e neppure da uguaglianza di classe sociale. Ciò che li unisce è la fede e l’amore per quell’unico Signore e Maestro. Il loro legame è forte: si chiamano fra loro fratelli. E quando il Signore non sarà più su questa terra, il loro legame sarà ancora più vivo, nella fede, nel ricordo e nell’annunzio del messaggio del Cristo. I primi capitoli del libro degli Atti degli apostoli sono un inno alla bellezza di questa vita comunitaria dei primi cristiani. « Erano insieme ed avevano ogni cosa in comune..., rompendo il pane nelle case, prendevano il loro cibo assieme con letizia e semplicità di cuore... La moltitudine di coloro che avevano creduto era d’un sol cuore e d’un’anima sola...». Questa gioiosa vita comunitaria, questo piacere di stare insieme, non è frutto di una decisione umana. La comunità cristiana non è una società stabilita dagli uomini. È il frutto della presenza del Signore mediante il suo Spirito. È lo Spirito Santo che fonda questa comunità. In altre parole: è la fede in Cristo che spezza le barriere, che spinge l’uomo ad uscire dal suo egoismo e dal suo orgoglio, che lo rende fratello verso l’altro uomo. Dirà l’apostolo Paolo alludendo alle divisioni esistenti fra gli ebrei e gli altri popoli: «Cristo è la nostra pace; lui che dei due popoli ne ha fatto uno solo e ha abbattuto il muro di separazione con l’abolire nella sua carne la causa dell’inimicizia..., affin di riconciliarli ambedue in un corpo unico, con Dio, mediante la sua croce, sulla quale fece morire l’inimicizia loro» (Ef. 2,15-16).
Gesù ha spezzato le barriere che separavano gli uomini, non con mezzucci psicologici, ma nella sua carne, dando la sua vita, diventando solidale con gli uomini fino alla morte. Non sarà certo scrivendo qualche letterina gentile che potremo superare la nostra solitudine infinita, ma lasciando che il Cristo penetri con la sua forza dirompente nella nostra vita. Allora ci accorgeremo che non siamo soli, che ci sono altri intorno a noi. Allora ci accorgeremo che, sotto la maschera della indifferenza, questi «altri» hanno un bisogno infinito di amore, di comprensione, di solidarietà. Allora ci accorgeremo pure che la fede in Cristo ci fa trovare dei fratelli e delle sorelle, veri, che neppure sospettavamo. Non si tratta di una illusione o di autosuggestione: si tratta dell’opera che Cristo ha compiuto con la sua Croce e che continua a compiere in mezzo a questa umanità, mediante la sua chiesa. Liberare l’uomo da se stesso, per restituirlo a Dio e al prossimo: ecco l’opera dello Spirito. La comunità cristiana non vive per se stessa, chiusa in se stessa: ma vive per gli altri, in funzione del mondo che le sta attorno. Così il credente in Cristo non vive più per se stesso, ma per gli altri; non perché così ha deciso o perché ne sia capace, ma perché Cristo lo ha strappato dal suo egoismo per farne un testimone e servitore agli altri. Così l’uomo non è più solo!
Vorrei evitare un malinteso: l’Evangelo non è una medicina per tutti i mali. Credere in Cristo non rende la vita più facile, anzi sovente la rende più difficile. Vivere nel servizio e nell’amore in un mondo di lupi rapaci non è facile. Vivere sobriamente in un mondo di concorrenza spietata non è comodo. «Nel mondo avrete tribolazione», dice Gesù ai suoi (Giov. 16,33). La fede non ci semplifica l’esistenza. Soltanto la rende degna di essere vissuta, perché ci libera dagli idoli per farci servitori dell’unico Signore che meriti di essere servito: Gesù Cristo, il Figlio di Dio!
God, in your
grace,transform
the world
Signore
con la tua grazia trasforma il mondo
Nona Assemblea
del
Consiglio Mondiale delle Chiese (14-23 February 2006
Porto Alegre, Brazil)
Una mano aperta da cui spunta un ramoscello d’olivo. O forse, le ali spiegate di una colomba. O ancora, una versione floreale della “barca ecumenica”, da sempre simbolo del movimento per l’unità dei cristiani. Si presta a diverse interpretazioni il logo della nona Assemblea del Consiglio ecumenico delle chiese (CEC) che si è tenuto da poco a Porto Alegre, in Brasile.
L’autore, il grafico olandese Edwin Hassink, ha voluto combinare il classico motivo della barca con una serie di simboli della fede cristiana in modo da illustrare il tema dell’Assemblea: “O Dio, nella tua grazia, trasforma il mondo”. Il logo è per così dire scomponibile: si possono distinguere una mano aperta, che rappresenta la preghiera rivolta a Dio, ma anche la mano di Dio che crea il mondo e lo salva; il ramoscello può essere visto come una croce, ma unito all’arcobaleno simboleggia la grazia di Dio nel racconto biblico del diluvio: infine la colomba, che rimanda allo Spirito della pace. Un simbolo cangiante, dunque, per un’Assemblea chiamata a pregare e a riflettere sulla urgente necessità di trasformare il nostro mondo “globalizzato”.
In attesa di notizie sullo svolgimento e le
conclusioni
di questo incontro, riprendiamo alcune osservazioni del past.
Luca Negro, segretario alle Comunicazioni della KEK, Ginevra,
pubblicate
nell’ultimo numero di Voce Evangelica, feb. 06)
Da Porto Alegre ci si aspettano riflessioni sul ruolo dei cristiani e delle chiese nel mondo globalizzato, ma anche importanti indicazioni per la trasformazione dello stesso movimento ecumenico, che da alcuni anni è in fase di “riconfigurazione”.
Già la scelta della sede della nona Assemblea del Consiglio ecumenico delle chiese (CEC) fa sperare in qualche progresso ecumenico. È la prima volta, infatti, che un’Assemblea del CEC si svolge in un centro cattolico (i delegati che partecipano all’Assemblea si riuniscono presso il Centro congressi della Pontificia Università di Rio Grande do Sul, a Porto Alegre) e che la chiesa cattolica figura tra quelle ospitanti, essendo membro del Consiglio nazionale delle Chiese del Brasile.
Lavori dell’Assemblea
Il programma dell’Assemblea prevede. accanto a temi quali l’unità della Chiesa, la giustizia economica e le attività del “Decennio per superare la violenza”, alcune novità: i delegati discuteranno anche una serie di problemi internazionali, quali la protezione delle popolazioni in pericolo, la riforma delle Nazioni Unite, la situazione dell’America Latina.
Accanto al programma ufficiale, un vasto programma di incontri, seminari, eventi culturali e mostre, denominato Mutirao (ovvero lavoro comunitario), consentirà ai partecipanti un ricco scambio di esperienze ecumeniche.
Temi e obiettivi
Un nuovo elemento del programma, rispetto alle precedenti assemblee, sono le “conversazioni ecumeniche” che, in piccoli gruppi, offriranno la possibilità di un dialogo continuato e aperto su alcune delle tematiche più scottanti del movimento ecumenico. Sei sessioni plenarie tematiche saranno al centro dei lavori, dedicate rispettivamente a giustizia economica, identità cristiana e pluralismo religioso, unità della Chiesa, America Latina, superare la violenza e al tema stesso dell’Assemblea. Senza dimenticare le plenarie dedicate ad argomenti più prosaici, come le finanze, che continuano a destare preoccupazioni (si parla di un ulteriore drastico taglio del personale del CEC). Per il resto, anche da un osservatorio privilegiato come Ginevra, è difficile prevedere gli esiti concreti di Porto Alegre.
Divergenze superabili?
Il cocktail di temi all’ordine del giorno - dalla teologia della liberazione latinoamericana alle riserve degli ortodossi sulla preghiera ecumenica, alla proposta di adottare uno stile di lavoro basato sul metodo del consenso all’apertura verso cattolici ed “evangelicali” - è potenzialmente esplosivo. Alle tradizionali divisioni dottrinali (in parte superate con i dialoghi teologici degli scorsi decenni, che peraltro sembrano avere scarsi effetti pratici), si affiancano crescenti divergenze in campo etico e sociale. Si ha poi l’impressione che si sia sviluppato un certo ripiegamento confessionale, e viene quindi da chiedersi: in che misura le 340 Chiese che compongono il CEC si impegneranno a fondo per garantire il futuro del Consiglio ecumenico e del movimento ecumenico stesso?
Non resta che ripetere la preghiera di Porto Alegre: “O Dio, nella tua grazia, trasforma il mondo”. Con una piccola chiosa: e insieme con il mondo, trasforma profondamente anche le nostre Chiese
In
regalo: la libertà
Notizia e commento da: ADISTA. “Ho creduto di poter costruire
dei ponti di interpretazione nella Chiesa
cattolica tra il messaggio
di Gesù e le esigenze delle
persone. Soffro ancora
del fatto che
Drewermann, che ha elaborato
un’originale teologia
ed un metodo esegetico che parte dalla psicologia del profondo, era
stato
allontanato dal Vaticano, nel 1991, dall’insegnamento di Storia
della Religione
e Dogmatica presso
Nel corso del talk show, Drewermann
ha detto di aver la-sciato
deformato il messaggio di Gesù e di averlo privato della sua forza emotiva e simbolica.
L’avvenimento ha avuto una vasta eco nei
media tedeschi:
moltissimi quotidiani hanno riportato la notizia. Un comunicato stampa
è stato
immediatamente diffuso dal movimento di riforma cattolico “Wir
sind Kirche”,
sezione
tedesca dell’internazionale “Noi siamo Chiesa”, che
ha sottolineato
quale perdita rappresenti l’abbandono di Drewermann.
“A lui non mancherà
“Dottor Drewcrmann, perché
non ha ancora lasciato
Il naso tra i libri
di
Sara Pasqui Rivedi
Conrad Ferdinand
Meyer
L’amuleto
S.E. 2005, pp.134, 13€
Note biografiche
Conrad Ferdinad Meyer nasce a Zurigo nel 1825 da una famiglia dell’alta borghesia elvetica assai influente nella vita politica e sociale della città. Il padre, giurista e storico, è anche membro attivo del partito liberale. La madre, Elisabeth Ulrich, una convinta calvinista, si dedica interamente alle attività filantropiche. L’educazione ricevuta dallo scrittore è rigorosamente impostata sull’etica del dovere e risente fortemente del pietismo materno così eccessivo da raggiungere picchi di morboso ed ossessivo fanatismo. Dunque l’ambiente familiare dello scrittore è decisamente conservatore e fortemente religioso. Nel 1840 muore il padre e la moglie si assume la responsabilità della educazione dei due figli, Conrad e Betsy, ma nel ragazzo l’esasperata religiosità materna provoca una violenta reazione che mette in crisi il suo rapporto con la donna ed in discussione la sua fede.
Nel 1844 CFM consegue la maturità e si iscrive
alla
facoltà di giurisprudenza, proprio nello stesso periodo matura
il proposito di
tentare la carriera di scrittore. I contrasti con la madre lo portano
ad
isolarsi sempre di più, l’unica sua confidente è e
resterà per tutta la vita la
sorella. Intorno al 1850 conosce Bettino Ricasoli,
fuoriuscito dall’Italia, e ne ammira
l’onestà, l’integrità morale, la fede
patriottica. Colpito da depressione
accetta di trascorrere un periodo nell’ospedale psichiatrico di Prefargier il cui direttore, convinto calvinista
e
pietista, è certo che lo stato psicologico dello scrittore sia
determinato
dalla carenza di fede, dal suo
atteggiamento scettico
per tutto ciò che riguarda la sfera religiosa, solo una vera
conversione può
restituirgli l’equilibrio interiore. Dopo essere stato dimesso
dalla clinica si
trasferisce a Losanna dove riprende gli studi ed inizia il lavoro di
traduttore. Infine fa ritorno a Zurigo
presso la
madre. Nel 1856 la donna, assalita da gravi sensi di colpa per la morte
di Antonin Mallet,
un giovane handicappato di cui si era presa cura fin
dall’infanzia, viene
ricoverata nel sanatorio di Prefargier
dove troverà
la morte suicidandosi. Dopo questa tragedia il rapporto dello scrittore
con la
sorella si rafforzerà ed insieme a
lei intraprenderà
alcuni viaggi visitando Parigi, Roma, Firenze. Nel 1875 si sposa con
Luisa Ziegler e nel 1880 riceve il titolo
di dottore onorario
dall’Università di Zurigo.
Nel 1887 si ammala
gravemente ed in questa occasione torna ad
avvicinarsi
alla fede ed in lui si riaccende l’interesse per la sua
religione, il
protestantesimo. Nel 1892 cade di nuovo in depressione e chiede di
essere
ricoverato in una casa di cura, si riprenderà
ma da
quel momento abbandona ogni attività letteraria.
Trascorrerà gli ultimi anni
della sua vita in solitudine. Si spegne nel
La sua produzione comprende Ballate, Poesie, Novelle, il poema Gli
ultimi
giorni di Hutten ed il romanzo Jürg Jenatsch.
Con questa opera egli ormai raggiunge fama
e successo. I temi
cari a Meyer sono senza dubbio di
carattere storico e
privilegia particolarmente
L’Amuleto
La novella, composta nel 1873, segna il passaggio di Meyer da autore di poesie, ballate, romanze a narratore di racconti e romanzi a soggetto storico. Per L’Amuleto egli trae ispirazione dal romanzo di Prospero Merimée Chronique du règne de Charles IX tralasciando tuttavia l’affresco storico caro al francese ed approfondendo lo studio psicologico dei vari personaggi pur non trascurando gli eventi della Storia in cui essi si muovono. È un racconto a cornice, più esattamente a due cornici, poiché viene introdotto da una “finzione cronachistica” cioè il ritrovamento di un manoscritto risalente all’inizio del XVII secolo. La seconda cornice serve a presentare al lettore il protagonista della vicenda che è al tempo stesso il narratore. Costui si chiama Schadau, è uno svizzero di lingua tedesca, un ugonotto di Berna che abita sul lago di Biel. La narrazione ha inizio nel 1611 ed è la rievocazione di accadimenti vissuti circa quaranta anni prima dal protagonista il quale, trovandosi a quell’epoca a Parigi, resta coinvolto nel feroce massacro del 24 Agosto 1572 ricordato come la notte di San Bartolomeo. Schadau, rimasto orfano di padre e di madre in tenera età, è stato accolto da uno zio materno, uomo di profonda fede cristiana, uno studioso della Bibbia che lo affida alla cura spirituale e culturale del pastore del villaggio vicino, un austero e convinto calvinista. Il giovane, figlio di un militare di carriera, compiuti i diciassette anni, aspira ad arruolarsi nell’esercito protestante ed a porsi al servizio di Gaspard II di Coligny, signore di Chatillon ed ammiraglio di Francia.
La sua condotta intemperante durante un pranzo di nozze lo costringe
ad
abbandonare in fretta ed in anticipo l’accogliente ed ospitale
casa di zio Renat per partire alla volta
di Parigi e presentarsi
all’illustre personaggio. Giunto nella città di Malun
si ferma per pernottare in una locanda dove farà la conoscenza
di tre
viaggiatori con i quali, in seguito, vivrà la terribile
esperienza dell’eccidio
dei protestanti, infatti quella sera
attorno alla
tavola apparecchiata si ritrovano gli ospiti dell’albergo e
così Schadau incontrerà il
consigliere parlamentare Chatillon in
compagnia di Gasparde
nipote e pupilla dell’ammiraglio di Coligny
ed un
giovane suo coetaneo proveniente da Friburgo il cui nome è Wilhem
Boccard. Quanto Schadau
è
un convinto calvinista e lo si nota dal suo
severo
abbigliamento, abito nero e colletto bianco, tanto l’altro
è un cattolico fervente.
Sebbene
Peculiarità di questo racconto è l’intreccio tra la vicenda romanzata e la cronaca di avvenimenti storicamente autentici ed inoltre l’accostamento di personaggi di pura invenzione ad altri veramente esistiti. Nel libro ad esempio emerge la figura di Gaspard di Coligny il quale, con il principe di Condé, assunse la guida militare degli ugonotti dopo la pace di Chateau Cambresis. Meyer lo descrive come uomo probo, leale, ben radicato nella fede, ma al tempo stesso determinato a portare fino in fondo ogni azione intrapresa, insomma non un codardo od un debole o peggio ancora un opportunista. In antitesi incontriamo la figura del predicatore che ogni sera dal pulpito incita al massacro, costui è storicamente esistito, il suo nome era Franceso Panigarola. Uomo dal passato non limpido, divenuto francescano si era guadagnato la fiducia di Pio V ritenuto il papa più predisposto alla violenza ed allo sterminio dei cosiddetti eretici. Inoltre molti personaggi non sono puro frutto della fantasia dello scrittore, ma il risultato di ricordi personali come Boccard che ricalca la figura di un suo compagno di scuola, un fervente cattolico devoto alla Vergine Maria. Il racconto è un affresco vivido ed attento di un tragico episodio storico, senza mai indulgere al tono truculento e senza cadere nella retorica. I giovani protagonisti, il cordiale elegante Wilhem, il severo ma un po’ frastornato Schadau e la fiera, energica Gasparde trovano la loro perfetta collocazione nello svolgersi veloce e stringente della vicenda. Ladislao Mittner, insigne germanista, dichiara che Meyer “rappresenta un nodo importantissimo nella cultura dell’ultimo ottocento, nodo svizzero e tedesco però, più che europeo perché della sua opera ben poco entrò direttamente nella cultura europea”. In Italia Meyer resta ancora oggi uno scrittore sconosciuto, pochi sono i racconti tradotti.
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1 – Comportarsi in modo degno:
cosa significa ?
2 – Dietro a te c’è un nemico,
lo sapevi ?
3 – Credi tu questo ?
Ovvero i valori di Dio e noi
La trilogia raccoglie una serie di studi biblici sull’etica cristiana. Ogni volume è costituito da vari capitoli suddivisi in paragrafi
molto schematici e concisi al fine di evidenziare le tematiche trattate, renderne più accessibile la lettura e più facile l’apprendimento.
Il primo volume si sofferma sulla testimonianza attiva del credente: servizio, obbedienza, diaconia.
Nel testo successivo l’Autore si propone di esplicitare chi è Satana, come può manifestarsi, quali sembianze può assumere e dà largo spazio alla dimostrazione della sua esistenza ricorrendo ad esempi e citazioni bibliche.
Infine il libro conclusivo è dedicato ai temi della fede insistendo sulla centralità della Bibbia ed in modo rilevante sul messaggio salvifico dell’Evangelo.
Ogni capitolo in cui è suddivisa
l’opera è
corredato da una serie di domande utili alla meditazione ed alla
riflessione
non solo personali, ma anche di gruppo ed all’approfondimento
della materia
presa in esame affinché il confronto con
Piero Bensi:
un
servitore fedele
di
Serena Innocenti Grazi
SERVIZIO
Amare Dio
nel servizio al prossimo;
servire Dio
nonostante l’indifferenza
del prossimo;
adorare Dio
perché ama questo
prossimo.
Lucia Bensi
La stampa evangelica nazionale ha ricordato il Pastore Piero Bensi come teologo, uomo di pace, Presidente dell’Unione Battista e della Federazione Europea. Nella nostra realtà regionale mi piace ricordalo come un servitore devoto. Noi evangelici fiorentini, che abbiamo fatto con Lui un cammino di fede, sappiamo che egli ha vissuto il suo ministero, sia nelle cariche importanti, sia nel semplice pastorato, come un servizio condiviso sempre da sua moglie Lucia. Con questi pochi versi, infatti, Lucia Bensi ci fa partecipi di cosa è stato per Lei e per Piero il lavoro nella città in cui hanno operato. Grazie Piero e Lucia per il dono che ci avete fatto del vostro servizio, lo consideriamo come un’eredità spirituale: amare e servire.
Del lavoro a Firenze del Pastore Bensi
voglio
ricordare alcune tappe importanti. A fine anni
’50,
quando ancora il BMV non esisteva, il Pastore Bensi
e
il Pastore Ricca, della vicina chiesa valdese di via dei Serragli,
iniziarono
ad effettuare scambi di pulpito. Negli stessi anni i giovani delle tre
denominazioni battista, metodista e valdese dettero il via a riunioni interdenominazionali che si svolgevano una volta
al mese il martedì alle ore
le denominazioni al nascente centro di solidarietà evangelico fiorentino. La domenica sera, poi, la porta di casa Bensi era aperta a chiunque dei giovani evangelici fiorentini fosse gradito passare qualche ora piacevole con sottofondo di musica classica, grande passione del pastore Bensi. Alla fine degli anni ’60 altra tappa importante; hanno inizio le riunioni con i fratelli cattolici, si studia la bibbia insieme, si fanno riunioni di preghiera e nasce così un profonda amicizia e una grande stima tra il Pastore Bensi e Padre Aldinucci, il quale, pochi anni dopo, diventerà, per parte cattolica, il responsabile dell’ecumenismo. Questo evento permetterà loro di concelebrare matrimoni misti. Un grazie ad entrambi per averci guidato in questa “ecumene dello Spirito”.
Al di là di queste tappe che hanno scandito il suo lavoro a Firenze, mi piace ricordare il Pastore Bensi come ottimo predicatore; alcuni di noi ricordano ancora molte sue predicazioni. Egli ha profuso abbondantemente a tutta la comunità la sua preparazione teologica, particolarmente barthiana, e la sua cultura umanistica, che gli ha permesso di seguire molti di noi, ragazzi degli anni ’60, nello studio del latino e del greco. Non posso fare a meno di ricordare i suoi corsi di preparazione al battesimo, che ci davano una conoscenza biblica molto accurata tramite dispense da Lui stesso ciclostilate (dispense che tuttora conservo gelosamente). La formazione di tutti i membri di chiesa era la sua grande preoccupazione e per questo realizzò anche una scuola domenicale per adulti, dato che i genitori accompagnavano i figli alla scuola domenicale alle ore 9, prima del culto. All’inizio del suo ministero a Firenze, nel 1957, era solito attraversare la città in bicicletta per adempiere alla cura pastorale. La comunicazione telefonica non era alla portata di tutti e perciò effettuava visite a sorpresa a tutte le famiglie della chiesa regalandoci momenti di intensa gioia.
Questa testimonianza di vita di fede è un dono che un fedele servitore del Signore, come il fratello Piero Bensi, ci ha lasciato, dono che noi che restiamo potremo cercare di passare ad altri.
LO
SCRICCIOLO
di
Oretta Nutini
Entro la coppa delle mani alzate
ti si è posato appena, l’ombra
lieve
d’uno scricciolo bruno.
Forse, fu l’irruenza della
neve
ad accecargli gli occhi
o l’inatteso eromper dei rintocchi
ai bronzi della pieve.
In te, fiducia e quiete ha ritrovate,
rifugio che lo fa sentir sicuro
senza timore alcuno.
Il suo canto, di nuovo, forte e puro
versa in smalti improvvisi
con un fraterno invito: condivisi
sian la terra e il futuro.
5 x
Mille
Come avrete potuto seguire sulla stampa nazionale, da questo
anno —
in sede di
dichiarazione dei redditi relativi al 2005, - oltre alla
opzione dell’8 x
mille a favore di una delle 7 istituzioni beneficiarie che già
conosciamo, sarà
possibile, senza alcun aggravio, e con le stesse modalità,
scegliere per la
destinazione di un ulteriore 5
x
mille a favore di Enti ed Associazioni ONLUS (Organizzazioni non
lucrative
di utilità sociale). A questo proposito vi segnaliamo che
Qualora riteniate opportuno dare loro il vostro sostegno, potrete farlo indicando nella vostra dichiarazione dei redditi (Mod. 730 o Mod. UNICO) semplicemente il n. di codice fiscale di una di queste nostre ONLUS.
Centro Sociale Evangelico cod. fisc.: 80100390485
Il Sassolino Bianco cod. fisc.: 02228810483
La scelta per la destinazione del 5 per mille, così come quella deIl’8 per mille, possono essere effettuate anche da parte dei contribuenti esonerati dall’obbligo di presentazione della dichiarazione. In tal caso, il contribuente deve presentare (gratuitamente) le schede Mod. 730-1, entro il termine di scadenza previsto per la presentazione della dichiarazione dei redditi Mod UNICO 2006 Persone fisiche, agli uffici postali e alle banche convenzionate. La scheda va inserita in una normale busta di corrispondenza chiusa sulla quale occorre indicare la dicitura:
“scelta per la destinazione del 5 per mille dell’IRPEF”;
- cognome e nome;
- codice fiscale del dichiarante;
- anno di presentazione della dichiarazione.
Notizie dalle chiese fiorentine
Dalla Chiesa Metodista:
Il
Era stato fatto un invito a chiunque fosse interessato a frequentare il corso “ALFA” che consiste in una serie di argomenti che si presentano ogni mercoledì sera dopo la cena che inizia alle 19,30. Abbiamo 16 persone iscritte per fare il corso.
Le nostre fila si sono assottigliaste per la perdita di due fratelli che mancheranno molto alla nostra comunità per la loro fedele testimonianza, Lando Mannucci e Giorgio Spini.
Da sabato 11 febbraio inizieranno degli incontri musicali, bisettimanali, per i più giovani. Sempre nei nostri locali, avremo una piccola cena, musica moderna e….anche qui ci sarà l’occasione per dare una messaggio.
Il 18 marzo alle ore 21,00, nella Chiesa, si terrà un concerto per pianoforte e violino ed il 27 di marzo un altro, sempre di pianoforte, ma saranno i migliori allievi di una scuola di musica che proveranno a dilettarci. I programmi, più precisi, verranno fatti circolare in seguito.
Dalla Chiesa Battista di Firenze
Il pastore Piero Bensi si è
addormentato nel
Signore la mattina del 4 febbraio. I funerali si sono svolti il
Sono proseguite regolarmente tutte le attività: gli studi biblici della domenica mattina sull'Apocalisse, la scuola domenicale, il gruppo giovanile del Sabato pomeriggio e il coro del lunedì sera.
Sabato 11 febbraio e domenica 12 abbiamo avuto come ospite il past. Italo Benedetti. E' stato un week end di festa ed evangelizzazione insieme alle chiese battiste rumena e della Costa d'Avorio, con agape comunitaria tenutasi domenica.
Domenica 19 febbraio si è tenuta l'Assemblea finanziaria con approvazione del Bilancio consuntivo 2005 e del preventivo 2006.
Domenica 26 febbraio un gruppetto di una decina di noi si sono recati a Grosseto per la consueta Assemblea regionale dell'Associazione delle Chiese Evangeliche Battiste della Toscana.
Dalla Chiesa Valdese
Sabato 4 febbraio la nostra chiesa ha ospitato una recita del gruppo filodrammatico di Rorà-Angrogna, guidato dal past. Giorgio Tourn sulle “Pasque Piemontesi”, una pagina nera della storia valdese, fin troppo dimenticata, come si dimentica volentieri ciò che dà fastidio. Molto originale l’insieme e le applicazioni ai tempi nostri sono purtroppo possibili! Domenica 5 il past. Tourn ha tenuto la predicazione al culto che si è concluso con una piccola agape.
Sono nati alcuni bambini nelle case di nostri amici: Daniele Pizzi a Zurigo, Emma Sansone, di Nicola (figlio di Andrea), Lorenzo, nipotino di Mirella Ricca Costa. Altri sono in arrivo di qua all’estate… con grande gioia di noi zii, nonni adottivi, oltre che delle famiglie naturalmente implicate!
Il 17 Febbraio è stato festeggiato in
vari modi: al Cares sabato 18 con un
dibattito sul futuro delle nostre
chiese: peccato essere stati in tanti, ma solo valdesi! Non era
stata
adottata
Inoltre Kiung Yu Kim, segregata in casa da mesi per una lunga malattia, è venuta a cantare una bella romanza (Jerusalem) accompagnata al pianoforte da Riccardo, facendo emozionare tutta l‘assemblea!
E infine abbiamo salutato Fabio Traversari che dalla prossima settimana ci lascia per andare alla Facoltà di Roma per studiare teologia e poi fare il pastore. Anche questo è stato un momento emozionante. Chiediamo al Signore di guidarlo con il suo Spirito.
Lidia Dozzani, Margherita Vincon
Caporali, Maria Salvagnini
hanno subìto interventi e avuto
periodi di ricovero
in ospedale; speriamo che presto tornino alle consuete faccende.
Continua
l’esperienza dei culti a casa per le persone impedite a
partecipare ai culti in
chiesa: siamo stati da Norma Verin Mazzarino, dove ci ha raggiunti
Vera Sbolci e altri fratelli e sorelle,
con i quali
abbiamo celebrato
Ogni tanto si può chiedere alla pastora qualcuno di questi interventi e concordare insieme il momento giusto. Visite possono essere richieste, oltre che alla pastora, anche a Anna Vezzosi (055 4217515) o a Eva Werner Conforti (955 3986123).
La prossima riunione del Concistoro sarà sabato 11 marzo alle
18 con
Appuntamenti di marzo
Venerdì 3 marzo Giornata Mondiale
di Preghiera alle
ore 18 presso
Sabato
Mercoledì 8 dalle 9.30 presso Il Varco, Via dei Biffi 1, incontro dei pastori e dei responsabili.
Sabato 11 e domenica 12 Convegno delle Opere e presentazione della nuova Diaconia Fiorentina (sabato 11 alle 11 con invito alle autorità e alla stampa).
Lunedì 13 orario da definire, presso l’Aula Magna della Facoltà di Storia: ricordo di Giorgio Vola
Mercoledì 15 alle
Sabato 18 alle
Mercoledì 29 luogo e ora da definire, Conferenza del CCP su “Arte e Riforma nell’Italia del Cinquecento” con la prof. Maria Calì.