Dagli uccelli e dai gigli
di Søren Kierkegaard
O Signore,
ciò che in compagnia degli uomini,
specialmente nel brusìo della folla,
tanto difficilmente si riesce a sapere:
ciò che altrove si è riusciti comunque a sapere
e si dimentica poi così facilmente per il chiasso della folla,
cioè l’essere uomo
e il significato religioso
che quest’esigenza comporta:
fa’ che ci sia dato di saperlo,
e se l’abbiamo dimenticato
che torniamo ad impararlo
dal giglio e dall’uccello.
Fa’ che lo impariamo,
non in una volta sola e tutto insieme,
ma almeno un poco e un po’ alla volta
e che questa volta dall’uccello e dal giglio
impariamo silenzio, obbedienza e gioia!
(da: Søren Kierkegaard, Preghiere, Brescia, 1953)
Il viaggio della speranza
di Davide Mozzato*
Il mondo occidentale affonda le sue radici in almeno tre culture ben rappresentate dalle sue capitali.Atene, Gerusalemme e Roma. Se mi concedeste la licenza di considerare l’italica Caput Mundi e la sua cultura, un tentativo sincretistico di mediazione tra le altre due, mi piacerebbe sorvolare assieme a voi alcuni aspetti propri di Atene e Gerusalemme sul tema cardine della nostra settimana: la speranza.Cominciamo da Atene?
Nella
mitologia greca, Pandora (ogni dono) è il nome della prima
donna.La filosofia
greca, cerca di risolvere, di sistematizzare così il problema
della
contestualizzazione del male, inserendolo nel mito appunto del
“Vaso di
Pandora”.
Pandora fu creata
dietro ordine
di Zeus, che voleva vendicarsi degli uomini castigandoli del
furto del
fuoco perpetrato da Prometeo.
La bella Pandora fu:
· formata nell’argilla da Héphaïstos;
· Athéna le diede la vita e la vestì;
· Aphrodite le regalò la sua bellezza e infine
· Hermès le insegnò la menzogna.
Non si offendano le donne, ma il mito greco riassume con alcune sapienti pennellate tutti gli stereotipi attribuiti da sempre al sesso femminile.
Zeus offerse la mano di Pandora a Epimeteo fratello di Prometeo. I due ebbero una figlia Pyrrha che sposò a sua volta Deucalione ma questa è solo una saccente divagazione. Zeus donò a Pandora un vaso contenente tutti i mali dell’umanità. Il vaso, un grosso vaso utilizzato per stoccare il grano, è senz’altro un simbolo dello sforzo, del sudore, del lavoro nei campi, della faticosa condizione umana.
Dentro il vaso infatti troviamo:
la vecchiaia,
il lavoro,
la malattia,
la follia,
il vizio,
l’inganno
la passione,
e per ultima la elpis, la speranza.
Il vaso consegnatole dal grande Zeus non doveva essere aperto. Ma quale vendetta poteva attuarsi senza l’apertura del vaso? Zeus come l’italianissimo Bertoldo, contava sulla curiosità, e come sappiamo la curiosità è femmina. Pandora aprì il vaso. Si liberarono così i flagelli, le malattie, le maledizioni che in esso erano contenuti. La povera tentò invano di chiudere per tempo l’involucro ma non ci riuscì, solo la elpis, la speranza ne rimase trattenuta. A una lettura critica del mito ci si può senz’altro rendere conto che forse l’idea moderna di speranza (assolutamente positiva) possa cozzare con il resto del contenuto del vaso (assolutamente negativo).
Questa considerazione ha spinto numerosi studiosi a paragonare il mito di Pandora ad altri scritti della classicità, ad esempio con l’Iliade che al verso 527 a.C. utilizza lo stesso riferimento:
“Nella casa di Zeus, c’erano due vasi, uno racchiudeva il bene, l’altro il male”. La ragione della presenza della speranza mescolata ai flagelli è forse da ricercare in una migliore traduzione del testo greco. La traduzione di Elpis, con speranza, è allora forse riduttiva. Elpis è infatti attesa di qualche cosa, racchiusa con gli altri mali potrebbe essere intesa dunque come paura irragionevole nei confronti di ciò che si attende, ansia, angoscia illimitata.
E allora se fosse così, nemmeno la Elpis è stata trattenuta nel vaso! Nella capitale greca, in balia dei giochi degli dèi, la vita umana è solo sofferenza, la vita è insulsa, illogica, è un dramma. Le rappresentazioni teatrali servivano alla casta filosofica proprio per educare all’ineluttabilità delle cose. Sei condannato a spingere il tuo pietrone sulla montagna per poi vederlo rotolare a valle. Ma, per quanto, azzeccata questa visione cosmogonica, viene affiancata da un’altra prospettiva, quella di Gerusalemme.
Anche qui la protagonista è una donna.
Il Dio della Bibbia la regala all’uomo e non certo per punirlo. Il Dio di Gerusalemme non è arrabbiato con l’uomo perché quest’ultimo gli ha rubato qualche segreto, anzi con le sue creature lui vuole condividere il mistero. Il Dio della Bibbia è innamorato della sua creatura e non desidera sia sola. Anche in questa storia però la donna commette un grave errore, nel quale coinvolge anche il marito che condivide liberamente la sua scelta. Non apre nessun vaso, ma apre un baratro nella fiducia e nella relazione con il suo Creatore. L’umanità viene trascinata in un mare di mali e dolori.
Ma c’è una differenza sostanziale con il mito irrimediabile di Atene: la proposta della speranza. Niente, nel pensiero biblico, è infatti ineluttabile, inevitabile, incontrovertibile…Tutto, proprio tutto, anche il verdetto della morte, può essere ribaltato. Fino a prova contraria non esiste mai l’ultima parola, la condanna può diventare assoluzione, la punizione può sempre essere cambiata dalla misericordia. L’ultima parola del Dio biblico a differenza di quella di Zeus, non vorrebbe essere mai una parola di condanna, non arde il desiderio di punizione quanto invece quello della riconciliazione, della riconquista.
La gelosia degli dèi dell’Olimpo contrasta profondamente con il desiderio del Dio biblico di condividere tutto con le sue creature, tutto salvo il male. Ma anche se l’uomo ha smarrito la bussola, il Dio di Gerusalemme vuole incontrarlo per offrirgli la salvezza.La scelta ora tocca all’uomo.Dio con amore e grazia infinita, offre a Eva e ad Adamo (a me e a te) la speranza di cui gli uomini hanno bisogno per sopravvivere.La offre oggi a tutti i filosofi ateniesi che si considerano condannati su per la collina, che come il greco Prometeo si considerano per l’eternità forzati a vedersi mangiare il fegato dall’aquila.
Genesi 3:15 : È la speranza dei gerosolomitani, al centro di questo brano, il bisogno fondamentale dell’umanità disperata.Questa non è il semplice desiderio o la formulazione di un sogno che già sappiamo irrealizzabile. Assolutamente no! La speranza è la configurazione di un futuro glorioso progettato per grazia da Dio per noi, fin dalla fondazione del mondo.Non è il risultato del nostro agire, anzi guarda le azioni dei nostri progenitori, e le nostre, dove ci hanno portato. La speranza si radica nella fiducia nel potere redentivo e creativo di Dio.La speranza ha una forza incredibile.Quella che Dio offrì a Eva e ad Adamo ebbe su di loro un effetto immediato.Suscitò da subito il conflitto con le potenze del male.Al contrario di Atene, Gerusalemme insegna che non ci si deve rassegnare alla disperazione, che niente è ineluttabile, inevitabile.La speranza introdusse nella nuova condizione disperata della prima coppia un odio profondo per il potere asservente del peccato.La natura di questa speranza è un punto fondamentale del racconto.
Non è semplicemente un’idea astratta della religione che essi avrebbero dovuto comprendere e difendere.La speranza offerta da Dio ad Adamo e a Eva era fondata in una persona.Quella persona era la loro speranza! Dio disse «questa schiaccerà il capo» al serpente, immagine della morte e del vuoto (v. 15). Questa speranza è incarnata in «lei» nella discendenza della donna cioè nel Figlio di Dio.Ne consegue che la realizzazione di questa speranza non era il trionfo:
di un’idea su un’altra,
di una cultura su un’altra,
di una città su un’altra,
ma il trionfo di una persona su colui che ha minacciato l’individuo creato da Dio.
Viaggiare nella speranza
Eva iniziò il viaggio della speranza in presenza di Dio.Un viaggio che l’avrebbe portata ad attraversare un tunnel difficile, con sensi di colpa e solitudine, che l’avrebbe messa di fronte al dolore di vedere un figlio uccidere l’altro figlio e per finire sarebbe stata confrontata con la morte.Ma è stata la speranza a sostenerla. Capì che non sarebbe stato sempre così, che stava per accadere qualcosa di glorioso. La speranza aveva invaso la sua esistenza e le aveva dato nuovo coraggio nel conflitto contro il male. Uno dei pericoli maggiori in cui possiamo incorrere è proprio perdere la speranza in Dio e nelle sue promesse.Se questo dovesse accadere potrebbe venir meno il senso stesso della nostra vita.
Nel suo viaggio della speranza Eva non sapeva molto della lunga attesa. Il piano divino prevedeva che la venuta del Figlio di Dio, e cioè l’incarnazione della speranza, sarebbe avvenuta in un preciso momento del conflitto cosmico (Gal 4:4).Il figlio promesso doveva nascere da una donna. Lo stesso grembo attraverso il quale il peccato si era impossessato della razza umana, fu utilizzato da Dio che con il mistero dell’incarnazione vi seminò la realtà della speranza divina per il mondo intero. Ma l’avventura prosegue ancora, non si è arrestata il 25 dicembre dell’anno zero.
La nostra speranza avrà la sua piena realizzazione al ritorno del figlio della donna o dell’uomo qual dir si voglia. Noi, come Eva, fratelli e sorelle siamo impegnati nel viaggio della speranza. Il suo viaggio è diventato il nostro.
Non stanchiamoci, non scoraggiamoci, non abbandoniamo questo cammino.È un viaggio comune, comunitario. In tutto il mondo infatti il popolo di Dio sta viaggiando nella stessa direzione. Tutti si aspettano che questa speranza si realizzi presto perché tutti condividono lo stesso sentimento. Il popolo di Dio attende di abitare la casa del Padre: «Dimorare per l’eternità in questa casa di benedizioni, sopportare nell’animo, nel corpo e nello spirito non le scure tracce del peccato e della maledizione, ma la perfetta somiglianza con il nostro Creatore, progredire in saggezza, santità e conoscenza per l’eternità, esplorare incessantemente nuovi campi di pensiero, scoprire sempre nuove meraviglie, accrescere la capacità di gioire e amare, e sapere che oltre a noi ci sono gioia, amore e saggezza infinite: tali sono gli obiettivi cui tende la speranza cristiana» (My life today, p. 361).
Se non hai ancora abbracciato tale speranza, ti invito a farlo oggi stesso e a intraprendere con noi, mano nella mano questo viaggio straordinario.
L’uomo che piantava gli alberi
di Claudio Coppini
Cari amìci e fratelli, provo a raccontarvi una storia, che ha a che fare con un'altra storia, ma che in fin dei conti è la storia, che vorremmo fosse, anche la nostra storia. E penso al giovane Davide, che ha di fronte il gigante Golia che ha messo in fuga tutto l'esercito israelita e provo a immedesimarmi nei suoi pensieri: è troppo grosso non ce la farò mai, oppure è un bersaglio così grande che non posso mancarlo. Così: quando penso al Dio di Abramo, di Mosè, di Giacobbe, di Davide e di Gesù Cristo, trovo che, malgrado la condizione umana, sia continuamente atterrata, oppressa e quasi senza speranza è comunque e in qualsiasi momento, pronta ad accogliere la forza rivoluzionaria dell'evangelo, che libera, e ci libera, per risorgere a nuova vita. L'apostolo Paolo ci scrive: "Perciò dice: Risvegliati, o tu che dormi,e risorgi, da morti, e Cristo t'inonderà di luce."
Ecco, che mi permetto
di scriverle,
gentile signora Simona(responsabile ufficio stampa della Salani, la
casa
editrice de."L'uomo che piantava gli alberi") per raccontarle
quest'incontro, tra " L'uomo che piantava gli alberi" e Radio Voce
della speranza di Firenze, una radio evangelica nata a Firenze nel 1979
e
facente parte di un circuito," la Voce della speranza", con altre 9
radio sul territorio nazionale). Tutto è cominciato, nel modo
più banale, poco
più di un anno fa, quando, sul tavolo della saletta dove
registriamo i
programmi, é spuntato "per caso" tra i fogli, un libriccino
giallo,
dall'apparenza innocua e insignificante, con un titolo un po’ da
editoria per
ragazzi: "L'uomo che piantava gli alberi." Nonostante la sequenza di
indizi..., c'era qualcosa che mi attirava irresistibilmente verso quel
libro,
così l'ho preso tra le mani, poi l'ho girato sul dorso, e ho
letto questa
meditazione dell'autore, che per me é stata messaggio di
rivelazione, ci scrive
Jean Giono: “Quando penso che un uomo solo, ridotto alle proprie
semplici
risorse fisiche e morali,
è bastato a far uscire dal deserto di quel paese di Canaan trovo
che, malgrado
tutto, la condizione umana sia ammirevole".
Cominciavo a presagire
che sotto
quell'apparente semplicità, c'era qualcosa di formidabile per
me, per noi, che
doveva essere passato, e passato poi di nuovo e ancora. Così non
ho resistito e
l'ho trafugato per le 48 ore successive, il tempo fino a quando sarei
ritornato,
nuovamente in radio per il programma in diretta del venerdì
"l'altrobinario".
Ricordo che quella sera mi struggevo e non vedevo l'ora di sbrigare le
ultime
cose per mettermi a letto e lasciarmi incontrare da questa storia.
Continuava a
fare capolino nei miei pensieri quella affermazione dell'autore,
riportata sul
retro della copertina in cui si respirava a pieni polmoni la piena
consapevolezza del ruolo del testimone, del testimone della speranza
che non
può mancare per nessun motivo prevedibile o imprevedibile
all'incontro con la
storia e con l'umanità, eppure in principio ci appare un
incontro del tutto
banale. Che potrà mai avere d'interessante la storia di questo
"piccolo"uomo che nel momento in cui accoglie tutta la fragilità
della esistenza umana nella propria vita (la morte del figlio e della
moglie),
impara con grande umiltà a nascere di nuovo attraverso un atto
d'amore, che si
fa progetto quotidiano di vita, in chiave universale. In questa sua
esperienza
liberatrice e rinnovatrice frutto di un amore disinteressato,
c'è tutta la
speranza della buona notizia dell'evangelo. Lasciandosi fecondare
dall'amore,
Elzeard è a sua volta semenza di quell' amore, che produce fede,
rafforza la
speranza e rigenera amore. Eccolo puntualmente ora e tenacemente
lì, pronto ad
agire per adempiere un vero miracolo vivente (il "Vieni e seguimi" di
Gesù) per fecondare lui stesso con il sudore dell'amore, quella
terra così
sterile ed ostile.( l'apostolo Paolo ci scrive che "l'amore tutto
sopporta"). Mette a disposizione e usa il suo tempo quotidiano, (la
sola
vera grande ricchezza che ha scoperto di possedere), per il servizio
disinteressato di piantare alberi e inspiegabilmente la sua vita sembra
essere
da subito in pace proprio col tempo, (il nostro guardiano di sempre),
anzi il
tempo sembra mollare la sua presa di fronte a quella sua costanza
creativa che
si apre all'eternità. Quel "piccolo grande " uomo sembra aver
ritrovato il vero antidoto contro il ricatto del tempo, in quell'amore
che ha
maturato il frutto della disponibilità e il coraggio per poter
non dovere mai
dire, mi spiace.
(L'apostolo Giovanni ci scrive " Dio ha tanto amato il mondo, che ha
dato
il suo unigenito Figlio, affinché chiunque crede in Lui, non
perisca, ma abbia
vita eterna"). Gesù ci ha liberati con la forza dell'amore,
l'amore che
agisce e guarisce, che rompe il guscio duro e impermeabile del
pregiudizio e
dell'egoismo, l'amore che si fa grazia, per dar nuova vita a quel
battito
interrotto e per far pulsare più cuori all'unisono
dell'evangelo. Ecco che
sperimentando l'esperienza di Elzeard, ci liberiamo anche dal complesso
d'inferiorità verso gli uomini portatori di speranza, che non
sono affatto
grandi uomini,ma uomini e donne consapevoli della propria
unicità e
responsabilità nella storia umana, pienamente coscienti e
presenti:hic et nunc,
irrinunciabilmente, anche se chiamati nello spazio più angusto
che possiamo
riuscire a immaginare e per il tempo più dilatato che riusciamo
a sopportare.
Eppure, eccoli lì, proprio dove sono chiamati ad essere e a
testimoniare, per
emancipare questa umanità deviata e ferita. Ecco, che
cos'è la fede nelle
promesse e nell'amore di Dio, è proprio questo; e se: "un uomo
solo
ridotto alle proprie semplici risorse fisiche e morali, é
bastato a far uscire
dal deserto quel paese di Canaan trovo che, malgrado tutto la
condizione umana
sia ammirevole".
Nella Bibbia c'è
un personaggio,
che come Elzeard è altrettanto sconosciuto, eppure conosciuto,
per aver
invocato il Signore, con una preghiera così intensamente vissuta
da ricevere il
dono di essere scritto nel libro della vita e conosciuto per
l'eternità. IL
Signore ha gradito così grandemente la preghiera di Jabez: "Ti
prego,
Signore di allargare i miei confini", che grazie a quella preghiera il
nome
di Jabez non potrà più essere dimenticato. L'Eterno ama i
nostri atti più
semplici, ma consapevoli e li premia in modo formidabile.
Come sarebbe importante anche per noi invocare il nostro padre celeste,
con una
tale preghiera e quanto sarebbe efficace per la nostra crescita
spirituale,
pregare perché ci aiuti ad aprire le nostre chiusure, ad
accettare ciò che è
semplicemente, diverso o nuovo e non per questo, cattivo, allora
sì, che
potremo davvero contribuire quotidianamente per un mondo, il nostro
mondo, che
cambia e che ogni giorno, diventa un po’ migliore. Ma l'uomo che
piantava gli
alberi ci lascia anche l 'altra testimonianza, senza la quale, troppo
spesso le
nostre speranze svaniscono; è una pista che dobbiamo seguire,
nostro malgrado,
tenendo fedelmente, fisso lo sguardo su l'obiettivo, non facendosi
risucchiare
dalle abitudini, dalle mode o dalle follie del mondo, ma riuscendo ad
essere nel
mondo senza essere del mondo.
Ecco, allora la fede,
percorrere
strade che non conosciamo, attraversando luoghi, che non conosciamo,
eppure
sapendo che giungeremo a destinazione. Ma questo "piccolo grande" uomo
ha, ancora qualcos'altro da dirci ed ecco che a cavallo tra la prima e
la
seconda guerra mondiale, mentre i suoi macabri cantori, seminavano la
menzogna
di un mondo nuovo e migliore in mezza Europa, e non i violini ma colpi
di
mortaio, prima, e tonnellate di bombe poi, manifestarono l'orrore e il
trionfo
delle tenebre, l'uomo che piantava gli alberi, rimane come
salvaguardato dalla
catastrofe, che lo circonda, ma non lo sfiora e lui resta, quasi
inverosimilmente, ma permanentemente impegnato a piantare gli alberi,
illuminato
dalla luce della verità che ci fa scorgere costantemente
l'obiettivo da
raggiungere.
Da solo risuscitò a nuova vita, un pezzo di quella Provenza
arida ed ostile,
senza chiedere nulla, ma facendosi nulla per una speranza che giorno
dopo giorno
s'è fatta più vicina fino da esser certezza, ed ecco che
la vita è ritornata
e ritornata in abbondanza.(Lutero ci scrive che "se l'uomo non si fa
nulla,
Dio non può far nulla per lui";
L'apostolo Paolo ci scrive che "se sono debole, allora sono forte").
Ringrazio il Signore e ringrazio il giornalista, lo scrittore e l'uomo
non
violento Jean Giono, che ha saputo essere puntuale, testimone di
speranza per
raccontarci, questo miracolo vivente in cui ho toccato tutta
l'umanità del Dio
incarnato, che in Cristo Gesù, scende nei bassifondi della
storia, per fare il
cammino a ritroso insieme a ciascuno di noi. Questo, Dio veniente, che
viene
verso di noi, è anche l' Emanuele, il Dio con noi, che si
umanizza nella
debolezza per riempirci della potenza del suo spirito.
Se imparassimo anche noi, come l'uomo che piantava gli alberi, a porre
correttamente l'attenzione, e quotidianamente la cura,
all'obiettivo-vita, come
conditio sine qua non, ma anche come piena consapevolezza di una scelta
personale profonda e in continuo divenire, non il frutto solo di
zelante studio,
ma di atti quotidianamente adempiuti e condivisi per la crescita di una
responsabilità che ci apre all' autodeterminazione di una
disciplina e di un
rigore che si fanno non più grido disperato o soffocato, dalla
solita mano
impunita, che la storia non si stanca di ripresentarci con la solita
agghiacciante puntualità, ma stavolta NO, è la forza
devastante e
inarrestabile della bontà che ci contagierà tutti,
inesorabilmente, non più
in odore di morte, ma in sapore di vita.
Impegniamoci a imprimere un’ orma di bene intorno a noi, che si possa scorgere in modo che chi viene dietro, possa non smarrire la traccia, ma proseguire nel cammino della luce, che è Cristo,(Dostjievski ci scrive : "Per me la verità è tutto, ma se Cristo fosse in contrasto con la verità, io seguo Cristo") e ( l'apostolo Paolo ci scrive :"Per me Il vivere è Cristo"). Gesù non cerca uomini e donne perfetti, ma fedeli. Per Lui è molto più importante essere atteso che compreso, perché è nella nostra attesa fiduciosa alle sue promesse, che il Signore ama rivelarsi per la nostra comprensione. Ed è in quell'attesa piena di trepidazione e tenerezza che gli manifestiamo tutto il nostro amore disinteressato ed è questo che il Signore gradisce più di ogni cosa.
Sotto la luce di Cristo
è
possibile riconoscere ogni cosa, a cominciare dai lupi rapaci,
travestiti da
agnelli (l'apostolo Paolo ci scrive:" Ma tutte le cose quando sono
riprese
dalla luce, diventano manifeste; poiché tutto ciò che
è manifesto, è luce.
Comportiamoci da figli di luce, poichè il frutto della luce
consiste in tutto
ciò che è bontà e giustizia e verità"; ma
quello che, veramente conta
per noi qui e ora, è che con Lui siamo capaci di amare, quindi
di vivere una
vita piena e sovrabbondante. Che dire ancora, se non che nulla è
scontato e che
nulla è banale nel quotidiano che viviamo e che i nostri
"banali"
presunti, se provassimo a sperimentarli, una volta per tutte,
scopriremmo che
sono proprio i nostri piccoli, consapevoli atti quotidiani, che a poco
a poco
crescono, si trasformano e trasformano, e incredibilmente cambiano il
mondo che
ci circonda. Il messaggio che Gesù ci dà , comincia a
farsi sempre più
chiaro, se osiamo seguirlo, non siamo più gli spettatori
sonnecchianti o le
comparse, per un attimo, della nostra vita, della vita, della storia,
ma attori.
E così è accaduto che quel piccolo libro appoggiato sul
tavolo della radio ,
che sarebbe potuto restare, staticamente e comodamente, lì
dov'era, invece no,
è stato sospinto dai "sospiri" ineffabili dello Spirito Santo,
al
quale non può rimanere indifferente, la nostra curiosità,
prima, e la gioia
della condivisione fraterna, poi.
Ecco che qualcosa s'accende in noi e ci dice passalo, passalo, come
quel canto
giovanile: "Un fuoco ha inizio da una piccola scintilla e tutto dopo un
po’
si accende e poi sfavilla.
Così l'amor di Dio, quando in te verrà, accettalo,
accettalo, accettalo e
vivrai! Amico anche per te è morto il mio Signore; amico, anche
per te è
risorto il Salvatore. Ti chiama con amore, non aspettare più.
Rispondigli,
rispondigli, rispondigli di si! E come un fuoco in te quest'amore si
diffonde, e
pensa ad altri che sono privi del suo amore. Racconta ad altri ancora,
cosa è
Gesù per te ed ora tu, si, proprio tu, ad altri passalo!"
Quando nella Parola di
Dio (la
Bibbia), trovi qualcosa, passalo, non tenerlo solo per te, passalo,
perché non
è tuo.
Passalo e riceverai 100 volte tanto. Ecco, con "L'uomo che piantava gli
alberi" abbiamo semplicemente cercato di mettere in pratica questo
canto e
di passare il suo messaggio evangelico essenziale, certi che "Qualcun
altro" avrebbe fatto il resto.
Ad oggi sono più di 150 le persone alle quali lo abbiamo
"passato",
con questa dedica: "ad un piantatore d'alberi", pensando che molti
altri, che noi non conosciamo, e non conosceremo, saranno raggiunti , a
loro
volta, proprio da ognuno dei 150 rami, di quest'albero che è
l'amore. Se siamo
finalmente pronti a donare il nostro tempo, allora sì, siamo dei
piantatori
d'alberi!
(seguono i nomi dei primi 150 piantatori)
Naire De Feo una radioascoltatrice di Palermo, sorella in fede e
artista ha
ricevuto in dono dalla radio,circa 7/8 mesi fa,il libro, ne è
rimasta così
coinvolta, che si è messa in moto per cercare di organizzare,
insieme a noi,
una mostra di pittura, alla quale hanno già aderito una ventina
di artisti
(pittori), per una mostra itinerante che partirà da Palermo e
farà tappa a
Firenze nel 2007. Gli artisti partecipanti svilupperanno dei lavori
dopo aver
letto il libro :" L'uomo che piantava gli alberi", li doneranno per un
progetto che stiamo individuando. Pensiamo di coinvolgere La Reach
Italia
adozioni a distanza per vedere se ce la facciamo a raggiungere 10.000
€, con i
quali è possibile costruire un pozzo in Africa, cioè
provare a piantare un
albero. Un progetto per il 2007 per cui dovremo cercare dei sostenitori
, ma che
sarà foriero di inaspettate e insospettate sorprese. Un sogno
invece che ho io
è:"L'uomo che piantava gli alberi" nelle scuole fiorentine come
soggetto di un concorso per i ragazzi delle Medie inferiori e superiori
stimolando la loro fantasia a produrre lavori espressivi di vario
genere. Un
modo anche per allontanarli e allontanarsi dall'isola dei famosi...e
ritornare
sui i nostri passi, magari proprio sotto ad un albero con un buon libro
una
chitarra e alcuni amici. "Se anche pensassi, che domani è la
fine del
mondo, lo stesso, pianterei un albero". Martin Lutero.
Grazie per il contributo, che molti daranno, e non solo...
e-mail speranziani@radiovocedellasperanza.it
wwww.radiovocedellasperanza.it
Riflessione per i bambini
Il segreto della vittoria
di
Giovanni Negro
Vicino a un grande stagno vivevano dei ranocchi che un giorno decisero di fare una gara. Il loro obiettivo era di arrivare in cima alla torre del castello che si trovava a poca distanza dal loro stagno. Per l’occasione affissero delle locandine sui tronchi degli alberi. Nel giorno prestabilito si radunarono molte specie di insetti e di animali. Erano così accorsi i grilli, le lumache, le cavallette, i ditischi, le mantide e perfino gli scoiattoli, le faine e altri animali. Molti avevano portato con sé anche vari cartelli, alcuni con su scritte frasi del tipo: Ma chi ve lo fa fare? Non fate i buffoni! È troppo alto per voi! È impossibile! Siete scarsi! Non ce la farete mai!
Evidentemente parecchi dei presenti non credevano che i ranocchi avrebbero raggiunto la cima della torre. Comunque, la gara cominciò. Ma nel vedere la difficoltà del percorso e i vani tentativi di molti dei partecipanti, tutti i presenti iniziarono a dire: «Che pena!!!». «Non ce la faranno mai!». I ranocchi cominciarono ad avvilirsi, e molti gettarono la spugna, tranne alcuni tra i più forti. Intanto, coloro che erano in basso continuavano: «Che pena!!!». «Non ce la faranno mai». «Si stanno rendendo ridicoli». «È impossibile!».
Scoraggiati e avviliti, a poco a poco tutti i ranocchi si dettero per vinti tranne uno, testardo e generoso, che continuava a insistere. Alla fine, quel ranocchio, solo e con grande sforzo, raggiunse la cima. I presenti, stupiti, volevano sapere come avesse fatto. Lo intervistarono tutti per chiedergli il segreto della sua vittoria, ma egli sembrava non capire. Ripeterono le domande, ma non ci fu un cenno di risposta. Fu così che allora scoprirono…che era sordo!.
Non credete che in certe circostanze oltre a essere sordi sarebbe bene essere anche ciechi? Quante volte, sicuri di noi stessi, abbiamo pensato di ascoltare, frequentare compagni e luoghi, o vedere cose poco positive senza esserne condizionati negativamente? Non illudiamoci! Tutti possiamo inconsapevolmente o consapevolmente essere condizionati sia da ciò che è buono e sia da ciò che è male. Salomone ci dà un ammonimento che richiede una seria riflessione: «Può un uomo camminare sui carboni accesi senza bruciarsi i piedi?» (Pr 6:28).
Proviamo a pensare che cosa sarebbe accaduto ai ranocchi se, anziché vedere o sentire tutte quelle parole, fossero stati incitati con frasi d’incoraggiamento? Bisogna avere la forza di respingere ogni condizionamento che non favorisca la crescita del vostro carattere o che derubi le migliori speranze del cuore, senza però rinunciare a stare con gli altri, incuranti dell’approvazione o del giudizio altrui. Sfruttiamo ogni occasione per condividere con gli altri le benedizioni e i privilegi di cui godiamo; e così «faremo grandi cose e saremo certamente vittoriosi» (1 Sam 26:25).
Quali diritti e quali libertà per le donne musulmane ?
di Vera Petrosillo Velluto
La parola d’ordine che ha mobilitato l’occidente da nord a suda, da est a ovest dopo il crollo dell’Unione Sovietica è stata libertà e diritti per le donne dell’Afganistan dove lo Stato Talebano aveva ripristinata la tradizione, rimasta sepolta durante il periodo sovietico, della supremazia dell’uomo e la conseguente discriminazione e oppressione delle donne.
Con la vittoria degli Alleati, il mondo credette che le donne afgane sarebbero tornate a scuola e a viso scoperto. Ma non è accaduto. Il “burqa“voluto dai Talebani non è stato rimosso, gli abusi sulle donne continuano, la Polizia Religiosa di memoria talebana è stata reintrodotta sotto il nome di Ministero dell’Istruzione Islamica e, in aggiunta, dalla televisione democratica sono state bandite le cantanti. E allora? Risulta evidente che il cambiamento può venire soltanto dalla forza delle donne.
In occidente, particolari situazioni storiche hanno favorito l’evolversi di una cultura laica che, svincolandosi dal credo religioso, ha affermato principi di uguagliaza e di libertà, dai quali le donne venivano però escluse. Realizzata l’ingiustizia della esclusione, le donne occidentali hanno denunciato la società patriarcale, la tradizione religiosa androcentrica e hanno preteso i diritti e le libertà negati.
Il percorso compiuto dalle donne occidentali è, tuttavia, improponibile alle donne dei Paesi musulmani dove il potere politico si identifica con quello religioso e le popolazioni sono soggette a tradizioni tribali e religiose patriarcali, anche diverse da luogo a luogo. Una consolidata tradizione religiosa islamica considera le donne come la sorgente di ogni male e responsabili delle tentazioni sessuali degli uomini. Da ciò deriva la separazione fra i sessi durante la preghiera e la copertura del corpo femminile in pubblico. La disobbedienza a questi obblighi religiosi è punita fino alla lapidazione dalle leggi degli Stati arabi più radicali.
II mondo intellettuale musulmano non è, però, quella struttura monolitica che ci viene spesso presentata e non è privo di correnti di pensiero che riguardano la questione femminile.
. Già nel XVIII secolo, i filosofi musulmani avevano ritenuto che alle donne dovesse essere consentito l’accesso all’istruzione e nel XIX secolo, alcuni intellettuali egiziani riconobbero che, in un contesto mondiale che andava modernizzandosi, la situazione della donna musulmana diventava insostenibile.
Da alcuni anni, studiose musulmane continuano a denunciare l’ interpretazione di parte dei testi coranici che, condotta col metro dei valori maschili, ha avuto come risultato la segregazione della donna. Nell’intento di modificare l’esistente, conducono sui testi del Corano una ricerca, simile a quella condotta dalle teologhe femministe cristiane, per verificare quanto peso abbia avuto nella sua interpretazione la cultura patriarcale.
Le scrittrici musulmane, che coraggiosamente sfidano l’accusa di apostasia, nei loro libri ( molti non ancora tradotti in italiano) negano che le prescrizioni contro le donne derivino dal Corano e reclamano l’uguaglianza di genere nella vita familiare e sociale.
Nel libro: “The Prophet and the Women” l’egiziana Nahed Salim denuncia le ambiguità teologiche nella interpretazione del Corano e offre numerosi esempi della interpretazione di parte che ha danneggiato le donne.
La pakistana Rita Hassan, docente universitaria e pioniera della teologia femminista nel contesto della tradizione islamica, afferma che “tutte le fonti su cui si basa la tradizione islamica ( Corano, Sunna, Hadith (i detti del Profeta) Fiqh (il diritto canonico) sono stati interpretati soltanto da uomini musulmani che si sono arrogati il compito di definire da un punto di vista ontologico, teologico, sociologico e escatologico la condizione delle donne.” “…. Moltissimo” ella dice “di quanto circola sotto il nome di islam è una interpretazione patriarcale dell’Islam, la cui influenza sulla vita delle donne musulmane, è stata incalcolabile”
. Sulla stessa linea sono la dr. Amina Wadud e l’islamista Asra
Nell’ottobre del 2005 ha avuto luogo a Barcellona il primo congresso del femminismo islamico che, quale ne sia stata la partecipazione, è da considerarsi, senza ombra di dubbio, un avvenimento di rilevante interesse. Molto rilievo ne è stato dato sulla stampa internazionale ma, non mi sembra ne abbia avuto nei mass-media italiani.
E’ lecito chiedersi perché sappiamo così poco di quelle organizzazioni femminili musulmane che affrontano con decisione il tema della parità e coraggiosamente si oppongono alla recrudescenza del fondamentalismo religioso islamico, mentre andrebbero sostenute in questo impegno foriero, non solo di giustizia, ma di pace per tutti?
Chiediamoci quante donne musulmane sono a conoscenza delle nuove prospettive che si offrono per la loro liberazione dal potere del maschio. Il più delle volte, anche per mancanza di istruzione, le masse femminili musulmane non possono accedere ai testi che dovrebbero, invece, essere letti dal maggior numero possibile di donne e anche di uomini.
A questo si aggiunge la mancanza di informazione mediatica su questi temi specifici , infatti, attraverso i mass - media dei Paesi arabi (anche i più democratici) passano messaggi e filmati che ripropongono la sottomissione della donna nella famiglia e nella società.
Fin dal suo nascere l’ONU, sul tema dei diritti umani delle donne ha redatto molti documenti, accettati anche dai Paesi arabi, ma sono pochi gli Stati islamici che hanno messo in pratica quanto hanno sottoscritto. Alcuni di questi Stati arabi potrebbero essere costretti da mirate politiche economiche occidentali a rispettare gli impegni presi a livello internazionale. In Afganistan, gli Alleati potrebbero pretendere dal governo il rispetto degli accordi intercorsi per i diritti delle donne.
A sua volta, l’Italia, che nel 2000 ha ratificato i documenti dell’ONU, è tenuta ad applicare nel suo territorio le leggi internazionali sulla uguaglianza di genere e, quindi, rifiutare ogni eventuale richiesta di legittimazione di tradizioni tribali o religiose lesive della dignità della donna, come escissioni, infibulazioni, matrimoni poligami e quant’altro. Che una male intesa comprensione della identità culturale dei popoli, non induca il governo italiano a permettere, nonostante e malgrado il dettato costituzionale, che nel suo territorio vengano violati i diritti umani delle donne, siano o non siano esse cittadine italiane.
Le mani di DIO
Un Maestro viaggiava con un discepolo incaricato di occuparsi del cammello.
Una sera, arrivati ad una locanda, il discepolo era talmente stanco che dimenticò di legare l’animale.
“Mio Dio - pregò coricandosi - prenditi cura del cammello: te lo affido.”
Il mattino dopo il cammello era sparito.
“Dov’è il cammello?” chiese il Maestro.
“Non lo so” rispose il discepolo “devi chiederlo a Dio! Ieri sera ero così sfinito che gli ho affidato il nostro cammello. Non è certo colpa mia se è scappato o è stato rubato. Ho esplicitamente domandato a Dio di sorvegliarlo. E’ Lui il responsabile. Tu mi esorti sempre ad avere la massima fiducia in Dio, no?”
“Abbi la più grande fiducia in Dio, ma prima lega il tuo cammello” rispose il Maestro.
“Perché Dio non ha altre mani che le tue ‘
(dalla circolare “L’Eco della Comunità” della Chiesa Apostolica Italiana)
Il naso tra i libri
di Sara Pasqui Rivedi
Jeremias Gotthelf , Elsi, la strana serva, Adelfi 1999 pp.126 7.75€
Biografia
Jeremias Gotthelf, pseudonimo di Albert Bitzius, nacque a Morat, cantone di Friburgo (Svizzera), nel 1797. Figlio di un pastore protestante trascorse la sua infanzia a Utzenstorf (Berna), nel 1814 entrò all’Accademia per studiare teologia, al termine del corso di laurea si trasferì per un anno in Germania al fine di completare gli studi, rientrato in Svizzera non abbandonò più il suolo elvetico fino al giorno della morte. I primi anni di pastorato li trascorse in un grande villaggio del Bernese, dal 1829 al 1830 fu vicario a Berna, ma questo fu un periodo difficile e segnato da delusioni perché si trovò in posizioni decisamente antitetiche sia con le autorità politiche troppo aperte ad ogni sollecitazione innovatrice sia con quelle religiose troppo intransigenti. Il pastore Albert Bitzius, in quegli anni, si era conquistato fama di individuo sospetto presso i suoi superiori per alcune idee riformiste, infatti egli si batteva per eliminare il dolore e la miseria dal mondo auspicando l’affermarsi di uno stato sociale cristiano, purtroppo le sue aspirazioni furono vanificate, ben presto comprese che la società in cui viveva non aveva alcun interesse a migliorare le condizioni di vita degli umili e dunque decise di ritirarsi in un luogo appartato, lontano dalle temperie politiche della grande città e da liberale convinto si trasformò in un acceso conservatore. Si rifugiò nel piccolo villaggio di Lützeflüh situato nell’Oberland bernese, esattamente nell’Emmenthal, dove la popolazione era costituita esclusivamente da contadini dei quali, in breve tempo, divenne pastore, educatore e riformatore sociale. Restò a Lützeflüh dal 1832 fino al 1854, anno della sua morte. Nel 1833 sposò Henriette Zeender e da questo matrimonio nacquero tre figli. All’età di quarant’anni cominciò a scrivere, il primo libro pubblicato nel 1837 con il titolo Lo specchio dei contadini lo firmò con lo pseudonimo di Jeremias Gotthelf. Scelse il nome Jeremias ispirandosi al profeta che con incisività e determinazione denunciò il peccato quale elemento di separazione da Dio ed il cognome Gotthelf che letteralmente vuol dire “Dio ti aiuti”. Nell’arco di diciotto anni scrisse 12 romanzi ed oltre 40 racconti. I suoi libri ebbero vasta diffusione non solo in Svizzera, ma anche in Europa. J.G. è considerato uno dei massimi scrittori di lingua tedesca ed il più grande epico, anzi l’unico epico svizzero, perché i suoi romanzi ed i suoi racconti sono vere grandi epopee in prosa.
Egli probabilmente non avvertì affatto questa grandiosità epica che lo contraddistingueva poiché il suo unico scopo fu quello di educare sul piano religioso, morale e sociale. Uomo di profonda fede fu un grande filantropo e dedicò tutta la vita a migliorare le condizioni sociali dei suoi contadini sfruttati in modo veramente disumano e brutale ed a riscattarli dall’ignoranza in cui giacevano a causa di una politica miope e tesa solo al loro annientamento psicologico. Per questo si prodigò affinché fosse introdotta una riforma scolastica, fondò associazioni culturali ed istituti di educazione, pubblicò riviste pedagogiche, religiose e morali per l’emancipazione dei propri parrocchiani. I proventi che ricavava dalla vendita dei suoi libri servivano a finanziare tutte queste opere. Fu anche un grande predicatore dall’enfasi profetica e si oppose sempre strenuamente al male ed alla malvagità poiché ne avvertiva la potenza ed al tempo stesso percepiva l’urgenza di contrastarli con la forza del bene.
Va ricordato che Gotthelf nei suoi libri fece largo uso del dialetto bernese, più esattamente di quello parlato nell’Emmenthal proprio al fine di facilitare l’apprendimento ai suoi contadini.
Il suo valore, riconosciuto assai tardi, consiste precipuamente nella peculiarità di ricostruire un mondo arcaico ormai perduto da tempo e renderlo vivo ed attuale a tal punto che il lettore vi si immerge con immediatezza e partecipazione sentendosi completamente a suo agio come se facesse parte di quel mondo e di quel tempo.
Le “storie rustiche” del pastore Bitzius si distinguono per spontaneità, vivacità, genuinità, freschezza ed armonia, ma anche per una vena sottile di humour ed hanno il merito di evidenziare i tratti di luce, gli aspetti positivi della vita. In Italia solo nell’ultimo scorcio del XX secolo la casa editrice Adelphi ha pubblicato alcuni dei suoi libri glissando completamente sulla biografia, il lettore attento ed interessato scopre che J.G. era un pastore protestante da una recensione di Gotthielf Keller (1819-1890) posta alla fine del romanzo Il ragno nero ritenuto il suo capolavoro.
Elsi, la strana serva
Jeremias Gotthelf nei suoi numerosi racconti offre al lettore una teoria di personaggi nettamente divisi tra buoni e cattivi, furbi ed ingenui, stolti ed avveduti, ma tutti quanti membri di quella società rurale così ben nota all’autore. Gli argomenti trattati riguardano esclusivamente gli interessi contadini: la terra, la casa, la dote, il testamento ed i vari riti religiosi. L’osteria è descritta come il centro della vita sociale paesana, infatti anche le donne non disprezzano sedersi al tavolo e concedersi una sosta rallegrata da un bicchiere di vino, mentre i giovanotti vi invitano la ragazza che aspirano sposare, insomma è un luogo di ritrovo e d’incontro, ma soprattutto rappresenta l’unico passatempo dei giorni festivi.
Il racconto che desidero presentare, pubblicato nel 1843, è ritenuto dalla critica un piccolo capolavoro narrativo. L’azione si svolge nel 1796 cioè nel periodo in cui l’esercito francese (la rivoluzione è già avvenuta) tenta di penetrare nel territorio elvetico per conquistarlo sconvolgendo i ritmi di vita, le abitudini e le tradizioni degli svizzeri. I protagonisti del racconto si muovono ed agiscono in questo drammatico contesto e ne sono le vittime innocenti perché pagheranno con la vita l’indifferenza e l’inettitudine della classe dirigente in quanto la vecchia Repubblica bernese cadrà e le sue milizie mal equipaggiate e mal guidate verranno travolte dal nemico producendo il crollo di un mondo di certezze. Dunque, Elsi, la strana serva si può considerare un racconto storico in quanto le vicende politiche e militari di quel periodo si intrecciano con quelle di due giovani innamorati e determineranno la loro tragica fine.
Elsi Schindler è la figlia di un ricco mugnaio discendente da una famiglia socialmente elevata, il quale è caduto in rovina per la sua mania di grandezza e non solo ha perduto tutti i beni e le proprietà, ma anche l’onore. La ragazza, orgogliosa e fiera della sua origine, per non essere costretta a subire ogni tipo di umiliazione scompare senza lasciare traccia di sé. I fratelli si sono arruolati ambedue da tempo nell’esercito, la madre è morta e la giovane, bella, intelligente, volitiva e dotata di eccellenti qualità decide di abbandonare il paese natio e di cercare lavoro presso una fattoria lontana con il proposito di non rivelare mai la sua origine e al sua storia. Viene accolta benevolmente da una famiglia di agricoltori sebbene con una certa riserva da parte della padrona in quanto la fanciulla ha modi assai raffinati ed un portamento un po’ altero. Tuttavia Elsi, in breve tempo, si guadagna la fiducia e la simpatia della massaia perché dimostra di essere un valido aiuto, rivela una notevole solerzia nello sbrigare il lavori domestici e soprattutto non si attarda in chiacchiere e pettegolezzi. Certamente suscita una forte curiosità nella donna, essa intuisce che la ragazza cela un segreto e ripetutamente tenta di carpirle qualche informazione, ma inutilmente perché la giovane serva elude ogni domanda chiudendosi in un ostinato silenzio. Elsi è assai proba e timorata di Dio, assiste ogni domenica al culto nella chiesa parrocchiale e rifugge dalla tradizionale sosta in osteria manifestando avversione per quel tipo di evasione e di svago. Di lei si innamora un onesto giovane di nome Christen che desidera sposarla, ma ogni sua richiesta incontra un netto rifiuto, Elsi non è insensibile alle attenzioni dell’uomo, ma l’orgoglio e la vergogna di rivelare la sua storia le impediscono di dare spazio ai propri sentimenti. In realtà la ragazza con la sua caparbia ostinazione pecca di arroganza. Dopo una serie di rifiuti inspiegabili il giovane, deluso ed amareggiato, si arruola e parte per la guerra. La fanciulla sconvolta – solo ora ammette a se stessa di amarlo – ed angosciata per il timore che Dio punisca il suo orgoglio facendo cadere sul campo di battaglia l’uomo, rivela finalmente il suo segreto alla padrona la quale dimostra comprensione e dichiara di volerla aiutare. Purtroppo gli eventi precipitano, la notizia che i francesi avanzano getta nella disperazione Elsi che decide di raggiungere Christen. Lo troverà già ferito mortalmente, lo chiamerà per nome e le loro mani si congiungeranno per entrare insieme “in quel luogo dove non c’è nulla a dividere le anime che si sono incontrate qui sulla terra”.
Il racconto potrebbe presentarsi come la storia di un amore sfortunato e perciò non avrebbe niente di significativo se Jeremias Gotthelf non mettesse in luce la sofferenza, la solitudine, il dolore e la morte, tutte realtà connesse fra loro da una relazione etica e religiosa. Per questo motivo ancora oggi i suoi racconti mantengono fresco il loro fascino e l’aura di mistero che li avvolge. Elsi è una figura femminile che si discosta dalle altre scaturite dalla penna del pastore Bitzius poiché è tratteggiata con incisiva essenzialità e con una certa asprezza di linguaggio, ne emerge una creatura nobile ed appassionata, ma anche scontrosa ed eccessivamente severa con se stessa. La mirabile descrizione del paesaggio, l’amorevole rappresentazione del quotidiano contadino e la sofferta partecipazione alla tragica avventura bellica costituiscono ulteriori pregi del racconto.
Segnalazioni della Claudiana
Prosegue lo sforzo della nostra casa editrice in vista del Cinquecentenario della nascita di Calvino che cadrà nel 2009. Fondamentale in quest'ottica il secondo volume della collana "Calvino - Opere scelte": Contro nicodemiti, anabattisti e libertini, a cura di Laura Ronchi De Michelis.
I testi contro i nicodemiti, gli anabattisti e i libertini rappresentano una tappa significativa nell'impegno di Calvino a difesa dell'ortodossia cristiana e dell'integrità della Parola di Dio.Con un linguaggio vigoroso e ironico, talora assai colorito, Calvino discute e smonta una a una - da teologo nonché da curatore d'anime - le tesi degli oppositori, contrapponendovi la semplicità potente della Sacra Scrittura. Ampiamente diffusi e tradotti in varie lingue, i tre testi - il primo dei quali conobbe due traduzioni italiane nel volgere di pochi anni - entrano nel vivo di molte scelte importanti per l'uomo del Cinquecento e segnano in profondità la vita culturale e religiosa dell'Europa. Come il primo titolo della Collana, Dispute con Roma, anche questo volume ha il testo originale a fronte, permettendo così un esame approfondito della prosa e della logica del Riformatore ginevrino.
EUTANASIA Riflessioni sul "diritto" a una buona morte a partire dalla
legislazione olandese
Eutanasia a cura di Paolo RICCA pp. 96 - euro 6,50
Nel contesto del dibattito suscitato in questi giorni dalla lettera
aperta di
Piergiorgio Welby al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, la
legge
olandese che regolamenta l'eutanasia resta un importante punto di
riferimento.
Dalle reazioni estreme di qualche anno fa - l'eutanasia come occasione
per
liberarsi di anziani scomodi o, al contrario, entusiastica conquista di
civiltà
e libertà - il dibattito si è fatto più sfumato.
Corredato dal testo della legge e da un opuscolo edito dallo Stato olandese con le domande più frequenti sull'eutanasia, il volume aiuta ad affrontare con cognizione di causa il delicatissimo tema. Alle dichiarazioni della Chiesa riformata olandese e della Chiesa valdese italiana, si aggiungono le riflessioni di tre teologi protestanti: Paolo RICCA, tra i primi in Italia a occuparsi di eutanasia, Ermanno GENRE, docente di Teologia pratica alla Facoltà Valdese di Teologia di Roma, e Franco BECCHINO, ex presidente del Tribunale di Savona.
André Gounelle, Parlare di Dio, pp. 171, euro 16,50
Del teologo francese Claudiana ha già pubblicato un piccolo saggio intitolato "I grandi principi del protestantesimo" che ha avuto e ha tuttora ottimi risultati di vendita. In questo ultimo libro, Gounelle affronta il tema teologico per eccellenza: come possiamo parlare di Dio? In 170 pagine ci conduce in un viaggio che ci farà apprezzare la ricerca stessa di un linguaggio per esprimere Dio, più che il raggiungimento di conclusioni.
IL LIBRO «Tutte le enunciazioni su Dio rischiano di mascherare o travestire la sua verità invece di darne testimonianza. Le definizioni cui giungiamo sono infatti ipotesi che occorre riformare o riformulare. La Bibbia assume qui una funzione critica decisiva: lungi dall'imporci una dottrina di Dio, interroga, limita e trasforma le nostre». Indagando con rigore sui principali attributi di Dio e sui linguaggi usati per dirlo, Gounelle cerca di rispondere a domande quali: Dio esiste? Dove possiamo trovarlo? Il fine è mostrare, all'interno della realtà che cambia, la dinamicità di Dio e il suo senso, ricco e sempre nuovo, collocandolo nella ricerca dei credenti e degli esseri umani, non nelle loro conclusioni.
Ermanno Genre : Gesù ti invita a cena L'eucaristia è ecumenica pp. 160, euro 14,00
La Cena del Signore da momento di condivisione e convivialità si è trasformata nel tempo in uno dei principali scogli del dialogo ecumenico. Genre, ponendo l'accento sul fatto che è Gesù e non la chiesa che invita alla Cena, invita credenti e chiese a riscoprire la valenza ecumenica di questo gesto liturgico e simbolico.
IL LIBRO: Dopo anni di incontri e discussioni, il dialogo tra le chiese
cristiane sembra arenato sulla diversità delle forme liturgiche
in cui si
celebra l'eucaristia. Eppure nel cristianesimo delle origini la
molteplicità
delle celebrazioni eucaristiche non metteva in questione l'unità
della chiesa
primitiva. Il pane e il vino che le chiese cristiane di ogni parte del
mondo
distribuiscono ai fedeli non sono "possesso" di nessuna di esse
bensì
dono di Dio alla sua chiesa e all'intera umanità: accogliere
l'invito a
condividerli è atto più forte di ogni divieto
ecclesiastico. Come scriveva
Ernesto Balducci: "La chiesa sa che il suo compito è di essere
una chiesa
conviviale dove la qualifica di fraternità abbia la meglio su
ogni altra
distinzione: la chiesa dovrà essere, nel mondo di tutti, una
pacifica galassia
di innumerevoli fraternità". Su questa scia, Genre sostiene la
piena
legittimità dell'ospitalità eucaristica tra cristiani di
diversa appartenenza
ecclesiale, tutti invitati all'unica mensa di Cristo che fa dei molti e
dei
diversi una sola comunità
“Fa sentire i sordi e fa parlare i muti”
(Mc.7,31-37)
Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani
(18-25 gennaio 2007)
Merc. 17 gennaio ore 18 Dialogo ebraico-cristiano: “Arte e immagine nell’ebraismo” Rav Joseph Levi, intr. Mons. T. Verdon
Giov. 18 gennaio :presso la Chiesa Valdese (v. Micheli 26) ore 18 “In principio era la Parola” messaggi di p. A. Beshai (ch. Copta), don E. Lettieri (ch. Cattolica), p. R. Featherston (ch. Anglicana)
Ven. 19 gennaio presso la Chiesa Battista (Borgo Ognissanti 6)ore 18 “Lo Spirito sarà il mio testimone” incontro di preghiera con la parrocchia cattolica di S. Lucia sul Prato.
Sab. 20 gennaio presso la Chiesa Anglicana St. Mark’s (Via Maggio 16) Preghiera ecumenica di Taizé
Lun. 22 gennaio ore 21, presso l’Auditorium Stensen (Viale Don Minzoni 25 g): Tavola Rotonda: “Movimenti cattolici e denominazioni protestanti” relatori don Andrea Bellandi e prof. Fulvio Ferrario.
Mart. 23 gennaio ore 19 presso la Chiesa Cattolica Sacra Famiglia (Via Gioberti 33): “La donna aveva paura e tremava” incontro con i giovani; la serata si concluderà in modo conviviale.
Merc. 24 gennaio ore 17 presso la Comunità Luterana (Via de’ Bardi 20) “La parola salvifica di Cristo” messaggi di M. Bontempi e D. Buttitta.
Gio. 25 gennaio ore 18 presso la Chiesa Greco-Ortodossa (Borgo San Jacopo 32) “Ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore”. Messagi del past. M. Affuso, don A. Jacopozzi, p. Petre Coman.
Ven. 26 gennaio: Dialogo Islamico-cristiano “I miracoli di Gesù nel Corano” dell’Imam Izedin Elzir, intr. G. Sciclone. Al Centro Int. Studenti “G. La Pira” Sala Teatina, via de’ Pescioni 3.
LA CHIESA DI BUSH CONTRO LA GUERRA DI BUSH. NEGLI USA, I METODISTI LANCIANO UNA CAMPAGNA PACIFISTA
(da una trascurata
notizia dell’Agenzia
Adista)
33570. WASHINGTON-ADISTA. Una settimana di proteste e atti di disobbedienza civile per l'immediato ritiro delle truppe dall'Iraq e la sottoscrizione di un appello per la pace: a farsi promotore di questa campagna non è stato un movimento pacifista ma la Chiesa Metodista Unita, ovvero la confessione a cui appartiene il presidente statunitense George W. Bush. La "Dichiarazione di Pace", questo il titolo dell'iniziativa, si è svolta in 150 città statunitensi nella forma di una settimana di mobilitazione (dal 21 al 28 settembre), partendo da un appello all'azione nonviolenta per porre fine alla guerra in Iraq. Grazie all'adesione di più di 500 gruppi, la metà dei quali rappresentati da organismi di matrice religiosa, nonché di otto membri del Congresso, si è trattato di un importante atto "di testimonianza morale per dare un nuovo corso al nostro Paese", come ha detto il vescovo metodista Susan Morrison. Articolata in più di 400 eventi - marce e manifestazioni, celebrazioni interreligiose, veglie e processioni, fino ad atti di disobbedienza civile nonviolenta presso le sedi locali del Congresso e basi militari un po' in tutto il Paese - la Campagna ha avuto il suo momento culminante nell'atto della firma pubblica dell'appello da parte dei Metodisti Uniti e di altri presenti, davanti alla Casa Bianca, e della consegna a mano del documento.
"Il presidente mente sul possesso di armi di distruzione di massa da
parte
dell'Iraq e ha lanciato un'offensiva 'illegale'", hanno detto alcuni
relatori durante la manifestazione di Washington. "La nostra richiesta
in
quanto movimento è di finire la guerra ora", ha affermato la
Morrison,
perché la situazione attuale in Iraq è "un incendio senza
fine che
consuma vite, risorse e le fragili possibilità di pace". La
manifestazione
non si è svolta senza incidenti:
trentaquattro manifestanti - nessuno dei quali appartenente alla Chiesa Metodista Unita - che cercavano di consegnare la Dichiarazione a Bush in persona, sono stati arrestati e accusati di condotta turbolenta. Il clero metodista ha firmato la Dichiarazione per porre fine alla guerra e ha confermato il proprio impegno esplicito per trasformare l'appello in un progetto concreto per la pace. Protestare contro la guerra, ha affermato Jim Winkler, uno dei vertici della Chiesa Metodista Unita, non è diverso rispetto al resto del lavoro che la Chiesa svolge per promuovere altre mobilitazioni di carattere sociale. La Chiesa ha espresso posizioni profetiche sui diritti civili, sui diritti delle donne e sul disarmo nucleare prima che il Congresso agisse, ha spiegato. Membri della gerarchia dei Metodisti Uniti si sono incontrati ogni settimana con membri del Congresso proprio sul tema della guerra in Iraq: "Vediamo sempre più repubblicani a disagio rispetto al mantenimento della rotta", ha detto Mark Harrison, responsabile del programma "Pace con giustizia". Secondo il vescovo Morrison, la presenza Usa in Iraq sta "solo aggravando la situazione"; "l'Iraq è ora in guerra civile - concorda Winkler - perché noi siamo lì". Come la posizione del più illustre tra i suoi aderenti dimostra, non tutti i Metodisti la pensano in questo modo: le differenze di opinione d'altronde vanno rispettate, afferma uno dei vertici della Chiesa metodista di Washington. "Questo però non cambia il fatto che i leader ecclesiali hanno una responsabilità profetica". (ludovica eugenio)
Notizie dalle chiese fiorentine
Dalla Chiesa Battista
Mentre scriviamo ci giunge la triste notizia dell'improvvisa scomparsa del giovane Manfred Lukas. Ci stringiamo alla madre Caterina e a Florica e lo piangiamo nell'amore di Cristo.
Le attività del mese sono proseguite regolarmente. Mercoledì 20 dicembre c'è stata una serata multimediale sul messaggio del Natale: è stato proiettato un documentario con testi, lettture, musiche e immagini realizzate da un gruppo della chiesa coordinati da Paolo Biagini (regista) e dal pastore Volpe (aiuto regista). Hanno collaborato (sperando di non dimenticare nessuno): Saverio, Miki, Danilo, Claudio e Sonia.
Venerdì 22 dicembre concerto del duo Violino-Pianoforte con Mihai Chendimenu e Dalida Jacono, con musiche di Pugnani-Kreisler, Wieniawsky, Paganini. A cura del Consiglio di chiesa e della sorella Serena Innocenti è stata raccolta l'offerta d'amore a sostegno delle Missione Battista Europea.
Dalla Chiesa Valdese
Abbiamo ospitato con molto piacere il Coro Gospel “Black & White Ensemble” di Prato. Un incontro interreligioso con cena è avvenuto da noi in v. Manzoni. Per la domenica della Diaconia ha predicato Gian Luca Barbanotti e il presidente della Diaconia Valdese Fiorentina, Graziano Ventura, ha portato il saluto. La nostra chiesa ha ospitato il Concerto di Jolando Scarpa, organizzato dal Centro “P.M.Vermigli”.
Le feste di Natale sono state molte: il 17 quella dei bambini, il 24 un’agape con i gruppi stranieri e il 25 il culto con Cena del Signore. Il 31 la predicazione è toccata a Gabriele De Cecco, durante una breve vacanza della pastora.
Continua a sabati alterni lo studio biblico su: Gesù nella letteratura e nelle altre religioni.
Appuntamenti comuni
Il CCP “P.M. Vermigli” sta organizzando un dibattito sulla proposta di legge in merito ai “patti civili” e le coppie di fatto con interventi di teologi e giuristi per sabato 13 gennaio in v. Manzoni 19 alle ore 17.