Vorrei andare con il surf

di Néstor Aveiro (Paraguay)

Oh Signore, vorrei andare con il surf
Sulle onde del tuo amore
Con la tavola della mia fede
E così lasciarmi sollevare
Fino alle orecchie della tua grazia.

Oh Signore, vorrei camminare
Sulla spiaggia della tua grazia
E non mi azzardo ad andare più in là…
La mia anima non resiste a tanto amore!

O Signore, vorrei nuotare
Nelle correnti d’acqua viva
Che scendono dal tuo cuore
E così lasciarmi trascinare
Fino a quelli che vivono
senza il tuo amore.

immagine diaspora dicembre

Salmo 43

di Raffaele Volpe

 

Ogni volta che ci prepariamo per un nuovo Natale, pensiamo al Cristo che deve nascere, ma Cristo è già nato! Noi non siamo più in esilio, senza Cristo. Non viviamo più come se Cristo non ci fosse. Riuscite a immaginare per un attimo soltanto cosa sarebbe la nostra vita senza Cristo? Se non fosse nato? Se non fosse morto e risorto? O anche semplicemente: se dovesse ancora nascere?

Sì, sarebbe come vivere in esilio. In un luogo lontano, che non è familiare, in cui non ci sentiamo protetti; un luogo in cui si parla una lingua che non comprendiamo. Un luogo che non è sicuro. Perché un luogo senza Cristo è un luogo che non è sicuro; un luogo senza Cristo è l’esilio.

Ma noi non viviamo prima di Natale, noi viviamo dopo Natale. Noi viviamo nel tempo in cui Dio ha mandato il suo Figlio nel mondo per amare il mondo.

C’è un canto del xvii secolo di Paul Gerhardt, musicato dal grande Bach, che ha queste splendide parole: “Dovevo ancora nascere e tu per me nascesti… e prima che la mano tua facesse me, pensavi già a diventare mio”. No!, care sorelle e fratelli, noi non viviamo prima di Natale, noi viviamo nel tempo in cui Cristo è nato per noi, prima ancora che noi nascessimo.

L’ultima strofe dell’inno di Gerhardt dice: “Ed ora chiedo un sol favor, non dir di no, Signore: che io ti rechi sempre in me per tutta la mia vita. Il tuo presepe fa’ di me e vieni in me a riposar con le allegrezze tue!”. Che belle queste parole: fa in me il tuo presepe e vieni a riposare in me con le tue allegrezze!

Noi non viviamo in esilio, noi non viviamo prima di Natale, noi non siamo senza Cristo. Ma allora cerchiamo di vedere cosa vuol dire vivere dopo Cristo, quali sono i vantaggi di essere in Cristo e con Cristo e non senza Cristo.

Il salmo 43 inizia con tre verbi: giudica, difendi e libera. E’ il salmista che rivolgendosi a Dio chiede il suo giudizio, la sua difesa e la sua libertà. Ecco il primo vantaggio: questo processo davanti a Dio, per mezzo di Cristo: l’avvocato difensore, viene stravolto. Il pubblico ministero, l’accusatore, non accusa; l’avvocato difensore diventa il giudice stesso e il verdetto è la libertà.

Fammi giustizia, abbiamo chiesto a Dio. E Dio in Cristo ci ha fatto giustizia!

Difendi la mia causa, abbiamo chiesto a Dio. E Dio in Cristo ha difeso la nostra causa!

Liberami, abbiamo chiesto a Dio. E Dio in Cristo ci ha liberati!

Che vantaggio! Che vantaggio aver trovato in Cristo il nostro consolatore. Se ti chiedono perché credi, non esitare a rispondere: perché in Cristo mi sento al sicuro, mi sento protetto, mi sento libero.

Ma c’è un secondo vantaggio. Chi è in Cristo ha qualcuno che lo ascolta. Noi certe volte abbiamo bisogno di sentirci protetti, altre volte abbiamo semplicemente bisogno di chiedere, di domandare. Se nel tempo della fede, c’è un tempo dedicato a cercare un rifugio, una fortezza in Dio, c’è anche il tempo della domanda. E una bellezza dei salmi è proprio in questa pedagogia della domanda. Ci insegnano a chiedere a Dio.

Domandare a Dio non è mai una cosa semplice, è qualcosa di molto sofferto. Dietro una domanda c’è la lotta, c’è la ricerca, c’è la protesta. Il salmista dice che Dio è la sua fortezza entro cui riparare, ma poi si chiede: perché le porte di questa fortezza sono rimaste chiuse?

Ma allora qual è il vantaggio per noi che viviamo dopo Cristo? Il vantaggio è sapere che le nostre domande sono comprese. A volte più di una risposta, vogliamo la certezza d’essere ascoltati. E in Cristo possiamo essere certi dell’ascolto, perché lui parla la nostra stessa lingua, ha rivolto al Padre le nostre stesse domande. Non è soltanto l’amico nella consolazione, è anche l’amico nella protesta e nella domanda.

Ora voglio parlarvi del vantaggio più grande. In Cristo abbiamo trovato la radice della gioia. Il salmista dice a Dio: manda la tua

luce e la tua verità ed esse mi guideranno a te. E Dio ha mandato Cristo, luce e verità, che ci guida fino alla radice della gioia. E’ Dio stesso la radice della gioia. Gioia della mia gioia, dice il salmista rivolgendosi a Dio. Altre bibbie traducono: gioia della mia felicità. Oppure: il Dio che mi fa danzare di gioia. La Vulgata, la bibbia latina, dice: ad Deum qui laetificat iuventutem meam: al Dio che rallegra la mia giovinezza.

In Cristo il credente trova l’eterna giovinezza, perché può attingere alla radice della gioia, alla sorgente della felicità. I Padri della chiesa commentavano questa gioia della gioia come il cammino della chiesa verso la patria celeste, sotto la guida del pastore Cristo. La gioia come questo sospiro che diventa canto appassionato, allegrezza, danza, giovinezza.

Il salmista chiude il suo salmo con un ritornello: “Perché ti abbatti, anima mia, e perché ti agiti dentro di me? Sta in attesa di Dio!… salvezza del mio volto”. E il salvatore del mio volto, cioè della mia storia, della mia vita, è venuto. Non siamo più in attesa. Noi viviamo dopo il Natale, prima ancora che noi nascessimo, Cristo è nato per noi.

L’inno di Gerhardt che vi ho già citato dice nella terza strofe: “Giacevo nelle tenebre, tu fosti il mio sole; il sole che a me portò e luce e vita e gioia. Oh, sole che accendesti in me la luce santa della fe’, è bello il tuo splendore!”. Amen

 

 

“Vi spiego cos’è la felicità”

di Paul Ricoeur

(L’ Avvenire” del 21 giugno 2005, a un mese circa della sua morte, ha pubblicato questo intervento de/ grande filosofo francese davanti ai giovani di Taizè)

 

Cosa vengo a cercare a Taizè? direi una sorta di prova di quello in cui credo in modo più profondo, ovvero che ciò che comunemente chiamiamo “religione” ha a che fare con la bontà. Questo è un po’ dimenticato, in particolare in molte tradizioni del cristianesimo, dove c’ è una specie di restrizione, di chiusura sulla colpevolezza e sul male. Non che io sottovaluti questo problema, del quale mi sono molto occupato per molti decenni. Ma quello che ho bisogno di verificare è che per quanto radicale sia il male, esso non è così profondo come la bontà. E se la religione, o le religioni, hanno un senso è quello di liberare il fondo della bontà degli uomini, di andare a cercarlo là dove esso è completamente nascosto. Ora qui a Taizè vedo l’irruzione della bontà nella fraternità dei fratelli, nella loro ospitalità tranquilla e discreta, nella preghiera, dove vedo migliaia di giovani che non hanno l’articolazione concettuale del bene e del male, di Dio, della grazia o di Gesù Cristo, ma che hanno un movimento verso la bontà.

Il linguaggio della liturgia

Siamo oppressi dai discorsi, dalle polemiche, dall’ assalto del virtuale che crea una zona opaca. E sorge questa certezza profonda che è necessario liberare: la bontà è più profonda del male più profondo.

Non bisogna solo sentirla, questa certezza, ma anche darle un linguaggio, e il linguaggio che le viene donato qui a Taizè non è quello della filosofia né della teologia, ma quello della liturgia. E per me la liturgia non è semplicemente un’ azione, ma è un pensiero. C’ è una teologia nascosta e discreta nella liturgia, che

si riassume in questa idea: la legge della preghiera è la legge della fede”

Dalla protesta all’ attestazione

La domanda sul peccato è stata rimpiazzata dal centro delle discussioni attuali da un’ altra domanda, in un certo senso forse più grave, che è la questione del senso e del non senso, dell’ assurdo ( ... ). Noi apparteniamo alla civilizzazione che effettivamente ha ucciso Dio, ovvero che ha fatto prevalere l’ assurdo e il non senso sul senso. Questo però provoca una profonda protesta: e utilizzo questa – “ protesta “ - molto vicina ad un’ altra, “ attestazione perché l’attestazione procede dalla protesta che il niente, l’ assurdo, la morte non sono l’ ultima parola.

Questa considerazione riprende la mia domanda sulla bontà perché la bontà non è solo la risposta al male, ma è anche la risposta al non senso. In “ protesta “ sono comprese le parole teste e testimone ; si “ pro-testa “ prima di poter “ at-testare “. A Taizè si fa il cammino dalla protesta all’ attestazione, e questo cammino passa attraverso quello che ho appena detto: la legge della preghiera, la legge della fede. Infatti la protesta è ancora nel campo del negativo: si dice no al no. E invece bisogna dire sì al sì. C è dunque un movimento pendolare dalla protesta all’ attestazione. E credo che questo avvenga con la preghiera. Sono stato molto toccato questa mattina dai canti e dalle preghiere nella forma vocativa: “O Cristo...”. Qui non siamo nel campo del descrittivo né in quello prescrittivo, ma in quello esortativo e nell’acclamazione! E penso che acclamare la bontà sia l’ inno fondamentale.

 

Chi ci insegnerà la felicità?”

Io amo molto la parola felicità.

Tempo fa ho pensato che era troppo facile o troppo difficile parlare di felicità. Ma poi ho superato questo pudore. O piuttosto l’ho approfondito questo pudore, di fronte alla parola

felicità. La considero in tutta la varietà dei suoi significati, compreso quello delle Beatitudini. La formula della felicità è questa: “ beati coloro che...”. Saluto la felicità giustamente come una “ ri_conoscenza”, nei tre sensi del termine: la riconosco come mia, la approvo negli altri e sono grato per ciò che ne ho conosciuto in queste piccole felicità, tra le quali ci sono quelle della memoria, che mi guariscono dalle grandi infelicità dell’ oblio. In questo caso procedo al contempo come filosofo, nutrito dai Greci, e come lettore della Bibbia e del Vangelo, dove possiamo seguire il percorso della parola felicità, ma in due registri. Questo perché il meglio della filosofia greca rappresenta una riflessione sulla felicità, cioè la parola greca eudemonia (si parla dell’ eudemonismo filosofico in Platone e in Aristotele ). Ma io mi ritrovo molto d’accordo con la Bibbia: penso all’ inizio del Salmo 4: “ Chi ci farà vedere il bene? E’ una domanda un po’ retorica, ma che ha la sua risposta nelle Beatitudini. Esse sono l’ orizzonte della felicità di una vita sotto il segno della benevolenza, perché la felicità non è semplicemente ciò che non ho e che io spero di avere, ma anche ciò che ho gustato.

Tre immagini di felicità

Ho riflettuto di recente sulle immagini di felicità della mia vita. A proposito della creazione, di fronte a un bel paesaggio, la felicità è l’ ammirazione. Nei confronti degli altri, nella riconoscenza verso di loro, sul modello nuziale del Cantico dei Cantici, la felicità è il giubilo. E - terza figura - rivolta verso il futuro, la felicità è l’ aspettativa: io mi aspetto ancora qualcosa dalla vita. Spero di avere il coraggio davanti al dolore che non conosco, ma mi attendo ancora felicità. Uso la parola “aspettativa”: potrei usarne un’ altra che mi viene dalla Prima lettera ai Corinzi, nel capitolo precedente al famoso capitolo 13 sulla carità che “comprende tutto, scusa tutto” etc. Il capitolo precedente inizia così: Aspirate ai carismi più grandi”; “Aspirate, aspirate “ La felicità dell’ aspettativa completa la felicità del giubilo e dell’ammirazione.

Un servizio gioioso

Quello che anzitutto mi colpisce qui, in tutti i piccoli servizi quotidiani della liturgia, negli incontri di tutti i tipi, nei pasti e nelle

conversazioni, è l’ assenza completa di relazioni di dominio. Ho qualche volta l’ impressione che, in questa sorte di accuratezza paziente e silenziosa di tutti gli atti dei membri della comunità, ognuno obbedisce senza che nessuno comandi.

Da questo risulta un’ impressione di servizio gioioso, potrei dire di obbedienza amante, sì, un’obbedienza che ama, che è dunque tutto il contrario della sottomissione e del vagabondare. Questa strada, generalmente stretta, tra quello che ho appena chiamato sottomissione e vagabondare, qui è largamente indicata dalla vita comunitaria. E’ di questo che noi, i partecipanti - non quelli che assistono, ma che partecipano, come io credo di essere stato e di essere qui - beneficiamo. Godiamo di questa obbedienza amante che abbiamo proprio verso l’esempio che ci è dato. La comunità non impone una sorta di modello intimidatorio, ma, direi, una specie di esortazione amichevole. Mi piace questa parola “esortazione” poiché non siamo nell’ ordine del comando e ancora meno dell’ obbligo, ma neppure siamo nell’ ordine della diffidenza e dell’ esitazione, che oggi è l’ andamento della vita nelle professioni, nella vita urbana, nel lavoro e nel divertimento.

Questa tranquillità condivisa rappresenta per me la felicità della vita presso la comunità di Taizè.

 

immagine diaspora dicembre

 

 

Un bambino piccolo

di Elda Gil

 

Maria Manuela percorre i barrios
Mettendo da parte il cartone per guadagnarsi il suo salario.
Nella pancia si annida un bimbo piccolino,
José, suo padre, è un bracciante.

Cammina cammina, Maria si chiede
Quando nascerà?
Se nasce la Vigilia, lo chiamerà Emanuel,
Come il bambino del racconto che aveva letto una volta,
Il giorno che per stanchezza si era seduta in una chiesa
E aveva letto da un libro che aveva una copertina molto spessa.

Era un bambino povero com’erano loro,
Come loro, i genitori non avevano di che mantenersi,
Senza un luogo decente dove mettere la culla,
E per lume c’era solo la luce della luna.
Maria chiede che suo figlio sia
Come il bimbo del racconto, il Salvatore della terra.

E si addormenta sognando che verrà una stella
ad annunciarle che non farà più la cartonera
Perché il Buon Dio le darà la forza
Per lottare per il bimbo che porta nel ventre.

NATALE OGGI

Di Orietta Nutini

 

Guardo nel buio, com’è opaco il cielo
privo di scintillii se non di quelle
lucine appese, tremule, ad un filo,
misere, tenui, innaturali stelle.

Quelle vere, così lucenti e belle
che scorgevo nel blu terso, profondo
non si vedono più, solo fiammelle
che l’uomo accende perché sia giocondo

il tempo del Natale. Ma quel mondo
vivo che ci fu dato non è questo
della corsa al superfluo, un infecondo
egoistico spreco, un manifesto

disprezzo per l’altrui miseria,
un gesto che riduce il Natale a freddi, immoti
gingilli di facciata e col pretesto
copre scarsi valori e rare doti.

Il cuore non ha più radici, ignoti
sono i tesori della terra e cielo,
si nutre ormai di falsi idoli vuoti,
appassisce ed è un fiore senza stelo.

 

 

LAICITA’ e LAICISMO

di Marco Ricca

(untroduzione al dibattito del Centro “P.M. Vermigli su questo tema)

 

Background storico

 

Con Costantino e Teodosio, nel corso del IV secolo d.C. l’impero romano diventa cristiano e il cristianesimo diventa religione di Stato e l’unica ammessa (c’è tolleranza con gli Ebrei, inframmezzata da vessazioni e discriminazioni). La Chiesa assume una posizione dominante nella società.

 

Nel Medioevo viene elaborata la dottrina delle due spade, propugnata da Bonifacio VIII con la Bolla Unam Sanctam del 1302, con la quale si sostiene che le due spade (simboli del potere temporale, o politico, e spirituale, o religioso) appartengono entrambe alla Chiesa. Il potere politico viene esercitato da re e soldati su delega della Chiesa ad nutum sacerdotis (agli ordini del sacerdote, cioè del clero) e sempre a favore della Chiesa, mentre il potere religioso lo esercita direttamente la Chiesa stessa. Quindi il potere politico è al servizio della Chiesa.

 

La Riforma innova con la dottrina dei due regni di Lutero. Dio governa il mondo in due modi: con la Legge attraverso lo Stato, con l’Evangelo attraverso la Chiesa. Entrambi sono sottoposti a Dio ma non l’uno all’altro. Sono ciascuno autonomo rispetto all’altro, benché entrambi sotto Dio. La visione dello Stato e della politica resta teocratica (lo Stato è sottoposto a Dio), ma non è più clericale (lo Stato non è sottoposto alla Chiesa).

 

A partire dal Seicento inizia il processo di laicizzazione della cultura, della scienza (Galileo!), della politica e dello Stato. Lo studio della natura rivela che essa vive in base a leggi proprie che funzionano anche ipotizzando la non esistenza di Dio, e sul

piano politico l’origine del potere non è più Dio ma il popolo che lo delega al sovrano: l’autorità non viene dall’alto ma dal basso. Si comincia a ragionare, a vivere, a far politica, a gestire il mondo prescindendo da Dio (etsi deus non daretur = come se Dio non ci fosse). Inizia l’imponente fenomeno della secolarizzazione, che caratterizza l’Occidente, soprattutto europeo, e la modernità a differenza di altri continenti nei quali la dominante religiosa permane.

 

I termini ‘laicità’ e ‘laicismo’ – come tutti i termini molti utilizzati – sono diventati elastici e possono designare realtà tra loro diverse. In generale si può dire che ‘laicità’ designa una qualità, ‘laicismo’ designa piuttosto una dottrina, una visione del mondo.

 

Nel linguaggio ecclesiastico il ‘laico’ è un credente che non appartiene al clero. Nel linguaggio corrente, ‘laico’ è una persona che non ha una visione religiosa della vita e del mondo.

 

Stato laico è quello non fondato religiosamente e non legato a una visione religiosa del mondo. Nei confronti del fenomeno religioso (che comunque è universale e, a quanto sembra, permanente, non legato cioè a particolari condizioni sociali o culturali o a un particolare stadio dello sviluppo delle civiltà), e delle istituzioni che lo rappresentano (i vari gruppi religiosi presenti nell’umanità), lo Stato laico può assumere tre atteggiamenti diversi: (1) può essere neutrale, cioè può riconoscerle tutte senza però entrare nel merito (dichiarandosi quindi religiosamente incompetente), e riconoscere a tutte gli stessi diritti – quelli del ‘diritto comune’; (2) può essere favorevole, e questo in due modi: in generale verso il fenomeno religioso come tale, oppure privilegiando un gruppo o una religione a scapito di altre che vengono così in misura variabile discriminate; (3) può infine essere ostile, e anche qui in due modi diversi: esserlo in generale, verso ogni forma di religione, oppure esserlo verso una particolare religione, negandole certi diritti oppure perseguitandola. Di questi tre modi di essere ‘Stato laico’, quella migliore è la prima.

 

Elementi costitutivi della laicità dello Stato sono l’autonomia dal potere religioso, il rispetto delle diverse religioni presenti nel suo ambito senza privilegiarne nessuna (neppure quella maggioritaria, qualunque essa sia), il riconoscimento della libertà religiosa nei limiti del diritto comune. La laicità è, in sostanza, un’espressione e una forma di democrazia culturale applicata all’ambito religioso. Come tale essa è una qualità essenziale dello Stato democratico. Dove non c’è laicità, non c’è democrazia. Ogni attentato alla laicità è un attentato alla democrazia.

 

Dal punto di vista della fede cristiana, si deve dire che essa, nella sua forma autentica, si sposa felicemente con la laicità, anzi la promuove, e addirittura la produce, sia perché rifugge da ogni politica clericale (che è una forma di violenza sulle coscienze attraverso la strumentalizzazione delle istituzioni statali a fini religiosi), sia perché non intende affidare la sua testimonianza alla forza della Legge ma solo a quella dell’Evangelo.

 

Il laicismo è la dottrina che elabora le varie accezioni e applicazioni della laicità in un sistema organico che può diventare una visione del mondo.

 

Valdesi e mondo evangelico,

dove e come guardare

di Gianluca Barbanotti

 

Del culto della Riforma mi rimane il ricordo del Past. Paolo Ricca che con la sua toga, con molta naturalezza ed allegria, battendo le mani e muovendo ritmicamente le braccia, cerca di tener dietro alla danza proposta da un gruppo di canto. Questa immagine all’interno del culto della Riforma, che si è celebrato nel tempio valdese di Via Micheli con la partecipazione di diverse comunità presenti con centinaia di sorelle e fratelli, mi ha sollecitato alcune domande relative ai rapporti ecumenici e alla nostra collocazione all’interno del mondo evangelico.

 

Ci sono segnali, finalmente anche in Europa, di interesse spirituale. Al di là della moda New Age, di superficiali e superstiziose seduzioni, anche nel nostro paese cominciano a manifestarsi persone che sviluppano un interesse personale per la spiritualità: non si tratta di un interesse esclusivamente di tipo teorico speculativo, ma di vero desiderio di dare un senso alla propria vita cercando, in qualche modo, Dio. Per lo più sono persone equilibrate, che non hanno particolari problemi psicologici o di adattamento sociale e che non cercano quindi la dimensione spirituale come una facile fuga dai problemi quotidiani. E’ una novità, una buona notizia, potremmo dire un segno dell’azione dello Spirito Santo.

 

La chiesa cattolica, dal canto suo, non sembra in grado di rinnovarsi, legata ad un modello patriarcale, autoritario ed autoreferenziale. Il nuovo pontificato fra timide aperture e forti chiusure si presta ad un triste e logoro gioco delle parti dove un vescovo apre, il sinodo nega e il papa rilancia. E intanto la CEI fa shopping a spese dei cittadini italiani (insegnanti di religione, ICI, bonus scuola cattolica, ecc.) in una prospettiva che non lascia molto spazio alla tensione spirituale. Se questa lettura è corretta, ed Enzo Bianchi in un recente articolo sembra confermarlo, la chiesa cattolica non saprà intercettare il bisogno di spiritualità, ma solo quello di sicurezza religiosa e di integralismo conservatore.

I movimenti evangelici conservatori, i teo-con, lo zoccolo duro dell’elettorato di G.W.Bush, sono collocati (anche se forse anche a loro questa identificazione non piace) all’interno del mondo protestante, anche se ne rinnegano alcuni principi fondamentali quali, ad esempio, la separazione della chiesa dallo stato, adottando una prospettiva “patriottica” assolutamente estranea alla sensibilità della moderna cultura protestante: leggono la bibbia e sostengono la guerra; condannano l’aborto ma esigono il diritto di possedere un’arma da fuoco. Intanto si dice che negli Stati Uniti ci sia ormai più del 50% della popolazione (ispanici e afro americani compresi) che si dichiara “nato di nuovo” e nel Centro e Sud America la presenza evangelica si moltiplica in modo vertiginoso, sia come numero di aderenti che come numero di denominazioni. Stesso fenomeno in molti paesi del sud est asiatico e, naturalmente, in Cina. Cominciano ad essere presenti anche in Europa ed in Italia abbiamo già delle concentrazioni molto significative di evangelici di matrice pentecostale, specie in alcune zone del paese come in Sicilia, Palermo e Gela. Questi fenomeni, nel nostro paese, saranno amplificati dall’azione delle chiese composte da fratelli e sorelle stranieri, altro fenomeno in rapidissimo aumento.

Come ci collochiamo come Chiesa Valdese di fronte a questi fenomeni? Abbiamo un ruolo, un immagine, una storia, un appeal che ci colloca all’interno del mondo evangelico in una posizione del tutto particolare. La nostra consistenza numerica è ormai esigua anche di fronte all’articolato mondo evangelico italiano (oltre 200.000 aderenti contro i 20.000 delle chiese valdesi) che, inoltre, a fronte del nostro trend costante (per usare un eufemismo) manifesta uno sviluppo continuo. Ciò nonostante: i valdesi sono invidiati dagli altri evangelici, ma anche ammirati, sono temuti per le loro aperture, ma anche cercati per il loro rigore e la loro attendibilità.

La Chiesa Valdese ha una responsabilità importante nei confronti dell’evangelismo italiano, di oggi, ma forse ancora di più, di domani: offrire occasioni di riflessione e di incontro e sviluppare una comunità evangelica italiana ancorata ai principi della Riforma; evitare una deriva conservatrice di tutto il movimento verso posizioni integraliste sia sul piano politico che nelle posizioni etiche e bio-etiche; offrire una cultura teologica seria fruibile attraverso gli strumenti consolidati (facoltà, Claudiana, ecc.), ma anche attivando spazi appositi di confronto. E’ un compito che deve essere intrapreso senza alcuna presunzione, provando invece a leggerlo come una vocazione del Signore per una Chiesa che da anni non riesce a crescere numericamente. Non è semplice, si tratta di iniziare un cammino che parte dalla verifica della nostra volontà di dialogare, di essere aperti e disponibili verso queste realtà che non fanno del dialogo la loro missione prioritaria. E’ un cammino, e come tutti i cammini, ci porterà in un luogo diverso da quello da cui siamo partiti, e quindi dobbiamo attrezzarci ad affrontare il cambiamento, o per usare un sinonimo a noi più caro, accettare l’ennesima conversione che il Signore ci propone.

 

 

Una testimonianza

 

Il giorno 25 settembre la Chiesa Apostolica Italiana ha vissuto un evento di particolare risonanza e non solo comunitaria: una seduta battesimale nel corso della quale la giovane Eleonora Brachi, ha reso la sua profesione di fede scendendo nelle acque battesimali secondo le Scritture (Mt. 28:19b; At.8:37-38). Il battesimo, amministrato 'per immersione', è stato preceduto da una testimonianza - il cui testo viene qui riportato - resa alla numerosa assemblea formata, sì da credenti di espressione evangelica, ma anche da parenti e numerosissimi amici e colleghi universitari di Eleonora.


Si vuole cogliere questa occasione per ringraziare la Chiesa Battista di Borgognissanti e la Chiesa del Nazareno di Via Toscanini per l'ospitalità che ci accordano in occasione di queste riunioni battesimali.

 

Testimonianza di Eleonora Brachi

25 settembre 2005

 

Sono lieta oggi di poter condividere con voi un momento importantissimo della mia vita, quindi grazie a tutto voi per essere qui. La vostra presenza mi incoraggia e mi introduce in un clima di comunione e di condivisione di fede.

Un ringraziamento particolare voglio trasmetterlo alla mia famiglia: è essa che mi ha trasmesso quei valori fondamentali che sono fiera di possedere e per i quali sono qui oggi, riuscendo a starmi vicina ogniqualvolta ne ho avuto bisogno.

Ringrazio davvero di cuore il pastore Mario Affuso che mi ha ascoltata con pazienza e saggiamente guidata durante la mia preparazione al battesimo. Un anno fa, infatti, ho intrapreso un percorso, durante il quale, grazie ai preziosi insegnamenti ricevuti, è maturata in me un'emozione di fede sempre crescente e consapevole che mi ha condotta qui oggi, alla presenza del Signore e davanti a voi, ricolma di quella stessa emozione che ancora vivo con intensità.

In questi anni, e devo dirlo per onestà, non sono mancati dubbi, incertezze ed interrogativi esistenziali ai quali non riuscivo a dare una risposta... Poi, finalmente, ho capito: la sola razionalità mi limitava, mentre la fede in Dio e l’amore di Dio nei miei confronti mi rendevano veramente libera; di una libertà che dovrò sempre più imparare a gestire ed a sviluppare!

Il battesimo che oggi mi viene amministrato è una mia scelta, una decisione che io, nella lbertà della mia coscienza di credente ho preso, e, grazie alla quale, potrò finalmente intraprendere un rapporto personale più completo e più maturo con il Signore, entrando a far parte dell’intero popolo di Dio. Compiere questo passo mi porta senz’altro verso una strada illuminata, perchè ricca di serenità e d'amore, soprattutto dell’amore di Cristo; ma è strada anche alquanto difficile perché piena di responsabilità che però accetto col sorriso perché, affrontandole con serietà ed intelligenza, mi faranno sentire sempre più matura nel mio divenire.

Cercherò di rivolgere tutta la mia attenzione agli insegnamenti ed ai segnali che Dio vorrà mandarmi durante il corso della mia vita e mediante la Sua Parola, perchè solo ascoltandoLo attentamente riuscirò a seguire la Sua volontà... la volontà di Dio, ovvero ciò che di meglio esiste non solo per me ma per ognuno di noi. Il Signore è pronto ad indicare ad ognuno la strada che è opportuno imboccare per raggiungere la propria serenità; strada che Egli ad ogni svolta ci indica, ma che spesso noi non vediamo o non vogliamo vedere. Seguire la volontà del Signore non è facile, perchè immettersi su una strada larga ed asfaltata è sicuramente più comodo del percorrere una via tortuosa e stretta, ma forse, a volte, più interessante per i panorami che dischiude; perciò bisogna sempre considerare dove le due strade ci possono condurre.

La nostra serenità quindi dipende soltanto dalle scelte che noi facciamo, scelte che possono essere influenzate soprattutto dall'attenzione che poniamo nell'ascoltare Dio, dal rapporto che sappiamo instaurare con Lui.

Nel mio cammino verso Dio e con Dio gli ostacoli che incontrerò e che dovrò superare saranno tanti, saranno forse anche quotidiani e senz’altro farò tanti errori - dato che nessuno di noi non ne fa -, ma sono certa, ed è questa la cosa più importante, che quella gioia che oggi mi riempie il cuore non mi abbandonerà mai, perché il Signore non mi abbandonerà, come mi fa dire il Salmo 23 che vorrò proporvi, ma anche perché voi, come comunità e parte del Popolo di Dio, mi sosterrete con la vostra preghiera, la vostra amicizia, la vostra parola di incoraggiamento che la esperienza di ciascuno saprà dettare.

Consentitemi ora di leggere il citato Salmo 23: vuole essere, oggi, una mia confessione di fede.

Eleonora

 

 

 

Notizie dal Burkina Faso

di Lidia Barbanotti

(Riceviamo dal Burkina Faso questa corrispondenza, ricordiamo che ci siamo impegnati nella Chiesa Valdese di Firenze a devolvere a questa realtà la colletta e le offerte di Natale!)

Dalla capitale, Ouagadougou, si prende un autobus che in circa 12 ore, non proprio comodissime, porta a Djapaga, capoluogo della provincia orientale del Burkina Faso. Da qui, ultimo avamposto dotato di telefono, mancano 90 minuti di auto per arrivare a Mahadaga, villaggio (20 mila abitanti!) ove c'è il Centro presso il quale svolgo servizio di volontariato dal mese di settembre.


Al Centro c'é la scuola, una biblioteca, un'officina dove sono fabbricati e riparati tutti gli apparecchi ortopedici, un atelier dove due handicappati producono oggetti artigianali che sono venduti ai visitatori, un giardino dove sono coltivati diversi alberi da frutta e diverse verdure, che saranno poi vendute al mercato e sopratutto un ambulatorio di fisioterapia dove vengono curati i bambini e le persone del villaggio e dintorni che vengono ogni giorno per i massaggi. Il progetto principale si chiama "Handicapés en avant" ed ha come obiettivo la riabilitazione di handicappati, bambini ed adulti.


E' suddiviso in vari settori : la Rieducazione su Base Comunitaria (RBC) che consiste in visite a domicilio da parte degli animatori burkinabè, che a seconda dei casi fanno dei massaggi di fisioterapia agli handicappati, oppure insegnano i gesti elementari della vita quotidiana, come lavarsi, lavare i vestiti, mangiare, etc. A seconda dei casi e degli handicap cercano delle soluzioni affinché la persona sia meglio integrata nella vita sociale del suo villaggio, per esempio insegnano ad andare sulla sedia a rotelle, oppure insegnano ai ciechi a camminare con un bastone.

A seconda delle caratteristiche delle persone, si sviluppano anche dei microprogetti di sviluppo (microcredito), anticipando il capitale iniziale, che poi sarà restituito quando l'attività diventa redditizia. I microprogetti possono essere di allevamento di pollame, piccolo artigianato, essiccamento di frutta, etc. Gli animatori si occupano anche di controllare il corretto funzionamento degli apparecchi ortopedici che il Progetto ha dato ad alcuni handicappati
che ne avevano bisogno. Inoltre un'animatrice é incaricata di evangelizzare, o fare studi biblici con le persone individuate dagli altri animatori, che hanno bisogno di conforto spirituale.

Il Progetto segue più di 1500 persone, di cui la metà sono bambini! Non é un lavoro facile, perché ci sono sempre nuovi casi e le visite a domicilio sono in aperta campagna, in villaggi in mezzo al nulla.


La RBC ha consentito di individuare molti bambini sordomuti che non potevano andare a scuola, per questo da 3 anni é stata aperta una scuola specifica qui al Centro, a Mahadaga. Tutti i bambini che abitavano lontano (circa il 70% del totale) per poter venire alla scuola del Centro sono stati alloggiati presso delle famiglie di fiducia, che sono pagate dal progetto per il vitto e l'alloggio. In totale alla scuola ci sono 120 bambini circa, ma non sono tutti sordomuti, ci sono anche dei bambini handicappati fisici, mentali o che hanno dei problemi sociali (orfani, problemi in famiglia, etc.) e vengono alla scuola del centro per essere meglio seguiti con le cure e la riparazione degli apparecchi ortopedici. Inoltre da quest'anno é stata aperta la classe per i bambini ciechi, composta da una decina di bambini che imparano il Braille e il francese. I bambini ciechi sono alloggiati in un internato qui al Centro dove una signora si occupa di loro. Il progetto paga per ogni bambino della scuola l'alloggio, il vitto, la mensa e la scuola, anche se é richiesto, anche per una questione di principio, un piccolo contributo ai genitori.


Il giovedì, giorno in cui non c'é lezione, i bambini fanno apprendistato di un mestiere : cucito, falegnameria, lavorazione del cuoio , giardinaggio, tintura di stoffa, fabbricazione del sapone (che poi sarà dato mensilmente ad ogni bambino) e alcuni bambini impossibilitati a fare dei lavori manuali vendono i vestiti più malmessi che sono stati donati al Centro: i migliori sono dati ai bambini e agli handicappati seguiti dalla RBC (principio poco imprenditoriale, ma qui la gente compra comunque!).

Il giovedì pomeriggio c'é il Club biblico nella lingua locale, aperto anche ai bambini che non frequentano la scuola, e io aiuto la signora che se ne occupa. Durante la settimana io, Françoise (la responsabile del Centro) e la signora che si occupa del club, facciamo delle lezioni bibliche nelle classi della scuola, con relativa traduzione in linguaggio dei segni, cosi' anche i bambini sordomuti possono avvicinarsi alla Parola del Signore.

Il mio impegno è sopratutto di seguire i bambini IMC (Infermi Motori Cerebrali), questa sigla designa bambini che hanno sia problemi fisici che un ritardo mentale. Potrei dire, usando una terminologia italiana, che faccio l'insegnante di sostegno. Con molti di questi bambini abbiamo anche iniziato un programma di educazione all'autonomia nella vita quotidiana, in modo che possano essere in futuro indipendenti.

Da alcune settimane ho iniziato a lavorare in ufficio sull'aggiornamento delle pratiche di adozione a distanza, per aggiornare le famiglie che si sono prese la responsabilità di seguire "adottandoli" dei bambini di qui.

La cosa più incredibile é che tutto cio' va avanti sopratutto grazie alle donazioni, le spese sono tante e le entrate sono poche quindi é davvero meraviglioso vedere come il Signore ha guidato questo progetto fino ad ora!!

Personalmente io sono molto orgogliosa e fiera di essere coinvolta in questo Progetto perché trovo che l'idea di base sia molto innovativa, e lo sarebbe anche in un Paese occidentale: riscattare la figura dell'handicappato, renderlo indipendente ed autosufficiente, dargli le stesse opportunità di sviluppo qui a Mahadaga (e vi confermo che é veramente ai confini del mondo!) é un progetto nato con questi obiettivi vent'anni fa !

E per l'anno prossimo é prevista la costruzione di 2 classi, una per i sordomuti, l'altra per i ciechi.

Abbiamo bisogno delle vostre preghiere e del vostro sostegno, affinché tutto cio' possa andare avanti per la gloria del Signore. A presto Lidia


Il Barbiere

di Elsie Pontet

 

Un uomo entrò in una bottega di barbiere per tagliarsi i capelli e intavolò una discussione con la persona che lo serviva. Subito toccarono il problema “Dio”.

Il barbiere disse: Io non credo nell’esistenza di Dio, come dice Lei. E’ facile rendersene conto, basta uscire in strada e si vede che Dio non esiste. Se Dio esistesse, perché ci sarebbero tanti malati? Perché i bambini abbandonati? Se Dio esistesse non ci sarebbe tanta sofferenza e tanto dolore nell’umanità. Non posso pensare che esista un Dio che permetta tutte queste cose.

 

Il cliente restò pensieroso ed evitò di rispondere per evitare una discussione. Al termine del taglio il cliente uscì dal negozio e vide un uomo con barba e capelli lunghi. Entrò di nuovo dal barbiere e gli disse: La sa una cosa? I barbieri non esistono.

- Come? Se qui ci sono io…

- No, fece il cliente – non esistono; se esistessero non ci sarebbero persone con i capelli e la barba lunga come quest’uomo.

- I barbieri esistono, ma quello non vuole venire da me…

- Esatto! – disse il cliente – Questo è il punto: Dio esiste, ma le persone non vanno a cercarlo, perciò c’è tanto dolore e miseria.

immagine diaspora dicembre

 

Il Padre Nostro a puntate

di Elsa Woods

Rimetti a noi i nostri debiti

Nella versione italiana è tradotto letteralmente col concetto ebraico di debiti e crediti che abbiamo di fronte a Dio e agli altri. In altre lingue troviamo parole come “peccati” o “trasgressioni” invece di “debiti” e “perdono” invece di remissione. Non importa molto come si traduce, l’idea è chiara: qui si parla di colpa e perdono.

Viviamo in un periodo storico post Freud e Marx, dove la parola “colpa” è diventata arcaica. La parola è stata sepolta da Freud sotto la sua coperta che si chiama “sesso”. Il resto l’ha fatto Marx con la sua sepoltura sotto la coperta chiamata “ingiustizia social-economica”. Ma stranamente anche se la parola colpa non è più tornata di moda, il senso di colpa non si è fatto seppellire così facilmente. Ma con la parola colpa, così bene sotto le coperte di Freud e Marx, oggigiorno è ancora più facile per tutti, credenti e non credenti, sentirsi, come ci detta la nostra natura umana, cioè saldamente nella categoria dei creditori invece che in quella dei debitori. E’ difficile trovare oggi quel sentimento del pubblicano della parabola, che si batte il petto per dar voce a quel gran senso di colpa che sentiva dentro.

Sì, qui Gesù parla di colpa e perdono. Perdono!… Aiuto! Il perdono! Qui sto parlando dal pulpitino delle testimonianze! Meglio che vada al mio posto e mi nasconda in una di quelle panche massicce, dove bambini e vecchiette piccole possono nascondersi bene!

No - mi dice il Signore – non nasconderti, meglio confessare. Va bene, confesso: ho sempre pensato e penso ancora di avere un carattere facile al perdono, nel darlo e nel chiederlo. Mi sono sentita dire persino che ero troppo facile al perdono, quasi che peccavo di leggerezza.

Tutto abbastanza bene fin qui. Ma quando è venuta la grande prova di trovarmi “moglie ripudiata”, come si dice in linguaggio biblico, ho sinceramente fallito quella prova. Mi sono trovata con sentimenti di odio, giudizio e violenza addosso. Sentimenti che non sospettavo in me. Avevo visioni e sogni di strozzare la persona che mi aveva ferita, con la forza delle mie mani, di sputargli in faccia. Perdono? Niente! Tentativi di perdono sì. Però ci sono voluti anni per domare un po’ quei sentimenti di rancore e “non perdono”. E perfino adesso che la mia anima è molto più tranquilla non so se sono arrivata al pieno e sincero perdono. Dio solo lo sa. E questo vuol dire che in quegli anni di lotta la mia mancanza di perdonare mi ha escluso dal perdono di Dio? Spero proprio di no! Anzi, penso che attraverso quella lotta Dio mi abbia fatto sperimentare più profondamente l’unicità del suo perdono per me. C’è quella frase difficile in Matteo che dice, dopo il Padre Nostro, “se voi non perdonate agli uomini, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe”. Vuol dire che Dio è sottoposto al mio condizionamento umano? No di certo! E’ tutto il contrario; io devo essere condizionata da Lui! Dio mi perdona tutto quello per cui voglio ricevere perdono, sia per volontà sia per omissione. Fra l’altro: è importante che questi ultimi sono specificamente menzionati nella liturgia anglicana e di altre chiese storiche. E’ molto facile dimenticare questi ultimi, perché non saltano subito all’occhio.

Nel libro “Abba –Padre” l’autore Martinez sottolinea il fatto che il perdono di Dio non è condizionato da quello umano e lui commenta con una fra setta semplice: “Dio perdona? Anche noi perdoniamo!” E così sia per tutti noi, se vogliamo vivere cristianamente insieme. Come ci è stato recentemente ricordato da un commento a Fil.2: mettiamoci al lavoro, io per prima!

Una regola importante l’ho imparata dal mio veterinario ed è questa: non leccare le proprie ferite. La guarigione arriva molto più a lungo! Mettiamoci un collare tipo imbuto, come abbiamo visto sui cani, per impedirgli di leccarsi le ferite, anche se il nostro istinto dice: leccare, leccare, leccare… Dio dice: non leccare, ma perdona, così vi ho insegnato.

immagine diaspora dicembre

Il naso fra i libri

di Sara Pasqui Rivedi

 

Natale con Hans Christian Andersen


Profilo biografico

Quest’anno si celebra il bicentenario della nascita del grande scrittore danese per cui trovo opportuno ricordare questo personaggio a cui tutti noi dobbiamo gratitudine poiché le sue fiabe ci hanno divertito, intenerito, commosso, entusiasmato, incantato quando eravamo fanciulli. Rileggerle da adulti è un ottimo esercizio per riappropriarsi del mondo fantastico caro alla nostra infanzia e per scoprire la saggezza, la filosofia di vita, l’amore per la propria terra, la creatività, l’eleganza e la levità narrative di questo scrittore. Dunque H.C.A. nacque il 2 Aprile 1805 ad Odensee, città situata in una delle numerose isole che costituiscono la Danimarca. La sua infanzia, assai povera, fu rattristata dalla morte prematura del padre. La madre era una buona donna ed una lavoratrice instancabile, ma indulgeva un po’ troppo al bere. Hans soleva trascorrere il tempo libero a raccontare fiabe ai suoi compagni di scuola e a tutti i bambini del suo quartiere, quindi fin da ragazzo manifestò il prodigioso talento di evadere dalla realtà e rifugiarsi nel mondo della fantasia. A 14 anni abbandonò la città natale per raggiungere la capitale con l’intento di fare l’attore, sogno che non si realizzerà, tuttavia alcune persone influenti di Copenaghen mosse a pietà per la sua estrema povertà, ma sorprese dalla profonda fiducia e serenità che lo animavano, si impegnarono a farlo studiare. Nel 1828, dopo aver ottenuto la licenza liceale, iniziò a scrivere. Nel 1833 vinse una borsa di studio ed intraprese un lungo viaggio in Francia ed in Italia. Tornato in patria nel 1835 pubblicò il romanzo L’improvvisatore che incontrò l’interesse del pubblico e riscosse notevole successo. Da quel momento la fama non lo abbandonerà più, ma sarà tale e tanta che, ancora vivente, gli fu eretta una statua nel parco reale della capitale danese. Morì il 4 Agosto del 1875 nella sua casa chiamata Rolighed, nei pressi di Copenaghen. Durante la vita scrisse ben 156 fiabe, alcune delle quali sono tratte dalla tradizione popolare danese, altre sono rielaborazione di leggende danesi, altre ancora sono ispirate da fatti storici o mitologici scandinavi. Tuttavia non tutte sono ispirate dal mondo nordico, H.C.A., lettore assiduo e curioso oltre che infaticabile viaggiatore, fu sempre attento a cogliere suggerimenti ed ispirazioni che stimolavano la sua fantasia e dunque sovente trasse materia da storie e racconti dei paesi da lui visitati e dalla loro letteratura. Infine ne compose alcune dai richiami autobiografici poiché A. interpretò tutta la sua vita in chiave di fiaba. Va inoltre ricordato Il libro di Christine, un testo poco conosciuto, nato dalla collaborazione dello scrittore con Adolph Drewson, alto funzionario e discendente di una famiglia di magistrati. È un “libro di figure” composto da 123 tavole su cui sono state applicate figure ritagliate da giornali e riviste, una paziente opera di collage, all’epoca molto in voga, per divertire e al tempo stesso istruire ed informare i bambini. Il libro infatti fu donato da A.D. alla nipotina Christine Stampe il 30 Ottobre 1859, giorno del suo compleanno. Le immagini, le figure ritagliate e riportate su carta sono collocate in modo simpatico, estroso, anche stravagante, ma sempre festoso, allegro, divertente, dei versi, delle poesiole, delle filastrocche, veri stacchi poetici, completano ed arricchiscono il testo. Sfogliandolo si riesce a penetrare nel mondo fantastico caro a H.C.A. che senza dubbio fu il regista abile e creativo di questo libro straordinario, sorprendente, affascinante.

I bambini italiani lessero per la prima volte le fiabe di A. nel 1903 quando uscì il volume Quaranta novelle per la traduzione di Maria Pezzè Pascolato a cui inoltre va il merito di aver introdotto nel nostro paese i testi di Ruskin, Carlyle, Browning, Thoreau e quindi di aver fatto circolare nuove idee portando un soffio di aria fresca in una cultura chiusa polverosa e provinciale quale era quella italiana.

L’ultimo sogno della vecchia quercia (racconto di Natale)

Una quercia da ben 365 anni teneva le sue forte radici saldamente ancorate nella terra sulla cima di un pendio collinare proprio di fronte al mare. Era molto possente ed alta, i suoi rami si allargavano a raggiera attorno al tronco poderoso, la sua verde e fitta corona si ergeva sopra gli altri alberi del bosco non per dominarli, ma quasi a volerli proteggere benevolmente. Il grande albero vegliava per tre stagioni, primavera, estate, autunno, ma in inverno riposava e dormiva: questa stagione era la sua notte! Durante le numerose estati da lei vissute le effimere, piccoli insetti dalle ali leggere e trasparenti e dal corpo esile, le danzavano attorno inebriandosi felici del proprio volo, del sole che le scaldava, della luce che le stordiva. La vecchia e saggia quercia (in 365 anni di vita aveva acquisito tanta esperienza!) ogni volta che una di queste piccole creature si riposava sulle sue foglie fresche e tremule la compiangeva per la brevità della sua vita che durava solo lo spazio di una giornata, ma l’insetto le rispondeva di essere felice ugualmente e che i suoi attimi di gioia in fondo erano simili ai numerosi anni della quercia, dipendeva solamente da modi diversi di calcolare il tempo donato loro. E così l’effimera volava e gioiva del profumo dei fiori del bosco, poi, al tramonto, ormai sazia e stanca del volo e della gioia provata, ondeggiava, si posava esausta su uno stelo d’erba, chinava la testolina e si addormentava per non svegliarsi più: la sua breve vita si era esaurita con il compianto della quercia. Ed ogni giorno d’estate si ripetevano la danza, il dialogo tra l’insetto e l’albero, la caduta e la morte. Intanto l’inverno si avvicinava e la vecchia quercia si apprestava al lungo sonno, già si avvertivano le voci delle prime tempeste in arrivo che le auguravano una buona notte e le assicuravano che le avrebbero cantato la ninna nanna. Le sue foglie erano cadute ed i rami, ormai spogli, si apprestavano a lasciarsi scuotere dal gelido vento del nord.

Secondo i calcoli umani la nostra quercia era al suo quarto secolo di vita ed era così alta che serviva da punto di riferimento ai naviganti. Durante l’estate le volavano d’intorno le effimere, ma sui rami più alti la colombella costruiva il proprio nido, dalla cima della chioma il cuculo lanciava il suo richiamo, mentre in autunno, quando le foglie trascoloravano assumendo tonalità calde dal giallo oro al rosso rame, facevano sosta su di lei gli uccelli migratori per riposarsi. Sopraggiunto l’inverno le cornacchie con i corvi si lamentavano della scarsità del cibo saltellando da un ramo all’altro. Insomma il vecchio albero ospitava ed accoglieva tutti.

Un anno, il Natale ormai era prossimo, la quercia immersa in un profondo sonno ed insensibile a ciò che accadeva intorno a lei fece un bellissimo sogno. Sentiva suonare le campane delle chiese sparse per la campagna circostante ed avvertiva la carezza calda e piacevole del vento estivo. Era tutto così bello e luminoso da sollecitarla a distendere le fronde rivestite di foglie verdi tra le quali giocavano i raggi del sole, mentre l’aria profumava dei fiori e delle erbe del bosco, le farfalle si rincorrevano volando e le effimere si abbandonavano alle loro consuete frenetiche danze. La quercia nel sogno rivedeva e riviveva tutto il suo passato. Ad un tratto il possente albero sentì di nuovo la vita scorrergli nelle vecchie radici e nei rami nodosi e contorti, riacquistò il vigore giovanile e provò una gioia ineffabile e il desiderio irrefrenabile di salire sempre più in alto, verso il sole. Già si era spinto oltre le nuvole e di lassù scorgeva gli uccelli migratori volare sotto di sé, mentre attorno le stelle scintillavano come gli occhi vivaci e splendenti dei bambini e degli innamorati che per tanti anni avevano sostato felici e spensierati ai piedi del suo alto fusto godendo della benefica ombra che offriva loro. La vecchia quercia era sopraffatta dalla gioia e dallo stupore, ma poiché era buona e generosa, desiderava condividere la sua beata felicità con gli amici di tutta la vita cioè con le piante del bosco, gli alberi, i cespugli, le erbe, i fiori e questo sentimento la invase tutta facendola fremere e palpitare come se fosse stata un grande cuore. Chinando verso il basso la sua corona avvertì il profumo delle viole e del caprifoglio, le parve di udire il verso del cuculo ed infine notò un corteo verdeggiante che, insieme a lei, volava verso il cielo e non solo le piante di ogni tipo la seguivano, ma anche le altre creature che abitavano il bosco e tutte cantavano in coro come a rassicurarla: - Ci siamo, ci siamo ! – La quercia, al colmo della gioia esclamò: - Non è possibile godere di tanta felicità ! – Ma una voce risuonò esclamando: - Tutto è possibile in cielo ! – L’albero ormai distaccato completamente dal suolo che lo teneva prigioniero da ben 365 anni, capì che ogni legame terreno era stato reciso e che volava immerso nella luce verso il suo Signore e Creatore e che i suoi amici l’accompagnavano in questo straordinario viaggio. Era la notte di Natale e la tradizione ci tramanda che è una notte speciale, piena di prodigi e di avvenimenti stupefacenti. Mentre la vecchia quercia si abbandonava al suo meraviglioso sogno una terribile tempesta si abbatté sulla terra sradicando la pianta che aveva resistito per secoli alla violenza del gelido vento invernale.

La mattina seguente il sole tornò a splendere, le campane suonavano a festa annunciando la nascita del Salvatore e dai comignoli delle case s’innalzavano leggiadri sbuffi di fumo. Anche il mare non ribolliva più, ma era calmo ed all’orizzonte apparve il profilo di un bastimento scampato alla terribile tempesta. I marinai erano saliti in coperta e, felici di essere tutti in salvo, si apprestavano a festeggiare il Natale quando, guardando verso la riva, notarono con sgomento che l’alta e forte quercia, il loro punto di riferimento, non si scorgeva più, capirono che la violenza della bufera non aveva risparmiato la loro amica e ne rimpiansero la perdita. “Nulla potrà sostituirla” esclamarono rattristati poi intonarono i cantici natalizi ed innalzarono a Dio inni di ringraziamento per il dono di redenzione e saggezza offerto a tutti gli uomini e mentre cantavano si sentirono trasportati verso il cielo come la quercia durante lo splendido sogno che la notte di Natale le aveva donato. Essa aveva dato addio alla terra senza sofferenza e senza rimpianti. Dio voglia concedere a tutti i suoi figli di staccarsi dalla vita terrena con una simile visione di armonia, gioia, felicità e con la certezza di andare verso il loro Salvatore.

Andersen era un uomo semplice e sognatore, un puro di spirito che forse può apparire ingenuo come un fanciullo, ma la sua visione di Dio Padre che trae a sé amorevolmente le sue creature testimonia una fede convinta e profonda nella infinita bontà e generosità del Creatore. Con la sua tenera fiaba trasmette a tutti noi un messaggio salvifico non solo per gli uomini ma per l’intera creazione.

 

Lando Mannucci

di Giorgio Spini

 

Lando Mannucci era figlio di un evangelico, metodista episcopale, vissuto più di un secolo fa. A quel tempo optare, fra le varie denominazioni evangeliche, per quella metodista episcopale aveva un significato sul piano civile stesso. I metodisti episcopali erano il ramo americano del metodismo: la loro chiesa era nata in Italia da missionari americani e agli Stati Uniti era ancora legata.

Per molti, al tempo nostro, l’America è soprattutto la grande potenza che ha generato lo schieramento anticomunista nella guerra fredda. Cento e più anni fa, l’America era soprattutto la più grande repubblica esistente al mondo, l’antitesi delle monarchie europee. Oggi dirsi repubblicani non è nulla di particolare: tutta l’Italia è repubblicana; cento anni fa essere repubblicani era porsi contro l’ordine monarchico costituzionale, allora imperante: in pratica voleva dire essere sovversivi.

“Capitale e lavoro nelle stesse mani” aveva predicato Mazzini. Il padre di Lando Mannucci era un artigiano tipografo e aveva dato ai suoi due figli i nomi di Lando e di Cola Rienzo in memoria del tumulto dei Ciompi e del tribuno del popolo di Roma. Alla fede evangelica univa l’attaccamento alle tradizioni mazziniane e garibaldine. Del resto, anche taluni nipoti di Garibaldi erano metodisti episcopali e il successore di Garibaldi nella carica di Gran Maestro della Massoneria, Pietro Petroni, si convertì al cristianesimo evangelico e fu metodista episcopale. Quando Lando Mannucci era bambino, calò sull’Italia la cappa di piombo del regime fascista. I partiti furono soppressi; la parola e la stampa furono imbavagliate; le violenze sanguinose degli squadristi imperversavano. Le logge massoniche furono disciolte. A Firenze tre esponenti massonici furono assassinati dai fascisti in una sorta di pogrom sanguinario. Su questo orrori si levò trionfale la risurrezione dello Stato Pontificio con il Concordato tra il Vaticano e l’Italia di Mussolini, nel 1929.

Una nera notte di tirannide scese sugli italiani. Le sole fiammelle di libertà ancora accese restavano le piccole, tribolate chiese evangeliche.

Lando Mannucci crebbe in questo clima e in queste tradizioni, mai spente neanche dal terrore fascista. Era un ragazzino quando tra i banchi della sua chiesa metodista, i fratelli si bisbigliavano la notizia entusiasmante della fuga dal confino nell’isola di Lipari di Carlo Rosselli ed Emilio Lussu e con loro di Francesco Nitti, figlio del pastore metodista episcopale Vincenzo Nitti. Anche i ragazzini capivano certi bisbigli nelle chiese metodiste.

I disastri continuarono a piovere, la crisi economica annullò i finanziamenti dall’America. La Chiesa Metodista Episcopale di Firenze si chiuse e i suoi membri confluirono nella Chiesa Metodista Wesleyana di via de’ Benci. Cominciò la lugubre sequela della guerra del duce fino alla follia suprema, nel 1939, dell’intervento nella II Guerra mondiale, a fianco e praticamente agli ordini del Führer. Anche Lando finì nei Balcani come ufficiale di fanteria della divisione “Venezia”, con le forze che occupavano la Jugoslavia. Ma l’8 settembre 1943, al momento della scelta decisiva, non esitò un istante: improvvisatosi oratore, arringò i soldati perché non si arrendessero ai tedeschi e combattessero per la libertà, per l’Italia di Mazzini e di Garibaldi, unendosi ai partigiani jugoslavi di Tito. I soldati lo ascoltarono. La divisione “Venezia” e la divisione di alpini “Tridentina” si riorganizzarono come “Divisione Garibaldi” e combatterono a fianco dell’esercito di liberazione jugoslavo. Fu un calvario atroce, che costò perdite altissime ai nostri garibaldini. Ai combattimenti si aggiunsero lo spossamento di marce incessanti su terreni impervi, spesso senza razioni sufficienti e soprattutto le malattie epidemiche. I garibaldini ressero a queste prove disumane: guadagnarono il rispetto degli jugoslavi, serbarono ordinati i loro ranghi, finché ai primi del 1945 furono imbarcati per tornare in Italia. Ebbero però una percentuale tragica di perdite.

Lando Mannucci restò in servizio fino a raggiungere il grado di colonnello. In pratica si mise lui al servizio della fiumana dolente degli ex-combattenti, i quali si appellavano al Distretto per ottenere la sistemazione amministrativa che avrebbe causato loro il riconoscimento dei diritti maturati fra tanti patimenti e tanti pericoli. Dette l’esempio di un cristiano in uniforme, sempre pronto ad aiutare il prossimo, sempre pronto a stendere una mano fraterna. Neanche quando fu congedato, ormai anziano, smobilitò. Accettò di operare come presidente nazionale dell’Associazione Volontari Garibaldini Italiani (A.V.G.I.) e fu instancabile nel mantenere viva la fiamma degli ideali, per cui tante migliaia di garibaldini avevano sacrificato la vita. Fu così tanto amato ed ammirato da venire rieletto alla presidenza anno dopo anno. E tutti sapevano che il presidente Mannucci era così insostituibile perché il suo spirito era illuminato da una profonda, vivida fede cristiana evangelica.

Al suo funerale, nella Chiesa Metodista di Firenze, tra la folla che la colmava, erano ben visibili i labari dei volontari e le camicie rosse. Ma tutti, a cominciare proprio dai vecchi garibaldini, sentivano che quella non era la solita cerimonia “religiosa”. Era un estremo tributo di fraternità ad un cristiano che aveva attraversato “ la valle dell’ombra della morte” serbando intatto il tesoro della fede nel Principe della Pace.

Notizie dalle chiese fiorentine

 

Dalla Chiesa Battista di Firenze

Continuano con risultati incoraggianti tutte le attività della comunità: oltre al culto domenicale beninteso, sono ben frequentati gli studi biblici del mercoledì sull'Apocalisse, la scuola domenicale, il gruppo giovanile (il sabato alle 17:00) e il corso di omiletica della domenica mattina (ore 9:00). Continua l'attività di visite e di assistenza.

Renzo Ottaviani ha curato il culto e la predicazione del 30 ottobre soffermandosi sulle figure di Marta e Maria. Domenica 6 novembre durante il culto Donald e Laura Malcolm ci hanno raccontato, con l'ausilio di foto proiettate sul “grande schermo” gli sviluppi di una loro recente attività missionaria in Afganisthan. E' seguita un'agape con conversazione pomeridiana

Il consiglio di Chiesa si è riunito il 10 novembre per verificare l'andamento del programma ecclesiastico: c'è grande attesa per la FESTA DELL'ALBERO del 17 e 18 dicembre!!

Domenica 13 novembre è stata celebrata la DOMENICA DELLA CLAUDIANA: la colletta raccolta è stata devoluta alla Libreria di Firenze a sostegno delle spese sostenute per il nuovo Computer.

Giovedì 17 novembre il gruppo di preghiera di casa Brandoli-Tonarelli è tornato a riunirsi. Il prossimo appuntamento è fissato per giovedì 15 dicembre ore 20:00

Domenica 20 novembre agape brasileira per festeggiare il primo anniversario di matrimonio di Christopher e Andrea (meglio specificare: trattasi di una lei). Anche durante il culto è stato riservato un momento speciale per loro: molto emozionante.

Il pastore Piero Bensi ha affrontato di nuovo la prova del ricovero in Ospedale e di un intervento per un fastidiosissimo calcolo. Piero, ti siamo vicini.

FIOCCO ROSA

Ci felicitiamo con la sorella Hilde Ulivi Mori: è diventata nonna per la nascita di Ginevra Ulivi. Felicitazioni anche ai genitori, papà Andrea e la mamma Stefania.

 

Dalla Chiesa Valdese

 

Domenica 6 nov. abbiamo avuto la visita della past. Elisabetta Ribet, attualmente in servizio a La Noce di Palermo. Essa ha tenuto la predica col suo solito brio e ci ha ricordato alcune esperienze vissute insieme pochi anni fa. Il Concistoro con la past. Sciclone ha partecipato in toto e in parte al seminario su “Come far crescere la chiesa”, organizzato al Cares dalla Commissione del III Distretto. A Firenze ha predicato Anna Vezzosi.

Si è riunito per la prima volta il gruppo che organizza le visite nelle case e ha fatto un suo bel programma; segretaria ne sarà Eva Werner Conforti (tel. 055 3986123) che, dopo tanti anni di lavoro al Ferretti, ci dà ora questa bella disponibilità di organizzazione dle volontariato.

Sabato 19 nov. per tutto il giorno in v. Manzoni c’è stato il Bazar per l’autofinanziamento della chiesa, si sono riviste tante persone e abbiamo trascorso una magnifica giornata (Ricavato: un po’ più di 5000 €!). Sono venuti a mancare: Edy Ricci e Fabrizio Vacatello. E’ nato il piccolo Tommaso Zatteri, di Raffaello: alla nonna Letizia e alle zie grandi congratulazioni!

Per le feste natalizie si prevede:

per domenica 18 un culto coi bambini della Scuola Domenicale e piccola festa;

per giovedì 22 dicembre a partire dalle 19 culto con canti, letture e testimonianze con le chiese coreana, etiopica, brasiliana, ivoriana e infine un’agape multietnica alla quale tutti sono invitati a consumare e a contribuire…

 

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Sabato 10 dic. Dibattito sull’influenza della Mariologia nella cultura delle donne in Italia con Gianna Sciclone e Paola Palagi alle ore 16 presso la Radio Avventista, in v. del Pergolino 8.