Oltre
di Ettore Serafino
Verso la vetta
salire
ogni passo un giorno
ogni giorno un passo
sostando al tramonto
l’alba rinnova
a vincer l’ascesa
lo sforzo
nebbia talora
nasconde la cima
ovvero
netta tagliata nel sole
s’avventa
all’attesa
di dense nubi
qual flutti
da prora sicura
d’aereo vascello squarciati...
posato il piede
sull’ultimo slancio del monte
che incontri?
forse ristoro
all’ormai esaurito
salire
respiro lento
all’ansito greve
limpido sguardo
a sudato velo
sceso sugli occhi?
ben venga
questo ritemprarsi
di forze...
la sola vera salita
al culmine giunto
t’è innanzi
scivolo infinito
di cielo
non visibile vetta
l’eternità...
Pensando a:
“E quando avrete raggiunto la vetta del monte,
allora incomincerete a salire” di Kahlil Gibran,
Il Profeta, 1923.
(Tratto da: Protestantesimo 57, 2002, p.171
Pasqua 2007
IL RISORTO … DOV’E’?
di Mario Affuso
La Pasqua non è una ricorrenza annuale da celebrare con riti solitamente collegati a tradizioni rispettose solo delle varie religiosità popolari. La Pasqua è una realtà liturgica che annoda insieme Parola e storia su quell’accadimento che costituisce l’evento fondativo della fede cristiana: la risurrezione di Cristo. Di questa si fa strenuo paladino l’apostolo Paolo per il quale «Se Cristo non è (stato) risuscitato vana dunque è la nostra predicazione e vana pure la vostra fede. Noi siamo trovati falsi testimoni … e voi siete ancora nei vostri peccati … Ma ora Cristo è (stato) risuscitato dai morti!» (1 Cor 15:14, 17b, 20a). Alla testimonianza degli evangelisti, Paolo accosta il contributo della sua esperienza personale, perché in qualche modo Lo ha visto e può affermare: «Cristo apparve anche a me, come all’aborto, perché sono il minimo degli apostoli» (v 8).
La ricchezza dei sensi e dei valori che si fondono nell’evento pasquale non possono esaurirsi in una unica riflessione domenicale, sia pur quella della Pasqua annuale; pertanto è la domenica, in quanto pasqua ebdomadaria (= settimanale) e dies resurrectionis, che convoca qui e là i credenti tutti perché si ritrovino per capire e vivere insieme l’insondabile ricchezza di un evento che inserisce nella storia dell’umanità e nella vita personale di ciascuno una tensione verso il compimento che si manifesta ad ogni livello della umana esistenza.
*
Credo che l’evangelista Giovanni sviluppi in modo
ben articolato la sua testimonianza della risurrezione. Alla umiliazione infamante che culmina nella crocifissione di Gesù (19:17-37), preceduta dalla farsa dell’incoronazione (1-16), segue il trattamento regale della sepoltura contrassegnato da almeno due fatti eclatanti: (a) dalla enorme quantità di aromi («mirra ed aloe») – circa 33 chili! (19:39) - che Nicodemo mette a disposizione pensando, forse, ad una sorta di imbalsamatura, e (b) dalla deposizione del cadavere in un sepolcro nuovo «ove nessuno era stato ancora deposto» (19:41).
La tomba è situata in un giardino; giardino che, nella ricca simbologia della narrazione giovannica, sembra voler rimandare il lettore, quello familiare ai testi biblici, all’Eden genesiaco ove si consumò il primo e radicale ‘peccato’.
Insomma, la sepoltura doveva corrispondere alla dignità ed alla santa regalità di Gesù, così come apparivano a coloro che più o meno nicodemisticamente Lo avevano seguito.
La risurrezione esalta la reale e regale sovranità del Cristo sulla morte e sui suoi effetti. Sovrano è infatti Colui che si è sottoposto al potere della morte e che all’alba del terzo giorno, per irruzione della dynamis divina, risorge consacrandosi vincitore. Illuminanti le parole di Paolo ai Filippesi: «come un uomo, umiliò se stesso, facendosi ubbidiente fino alla morte, e alla morte di croce. Perciò Dio lo ha sovranamente innalzato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni nome» (Fil 2:8b-9).
*
La risurrezione di Gesù trova una profetica anticipazione nei miracoli di risurrezione che gli evangeli riportano. Spicca fra i tre quello della risurrezione dell’amico Lazzaro di Betania che l’evangelista Giovanni riporta con un brillante ed intenso stile narrativo (11:1-46). Non è un caso – e non è fuori luogo notarlo – che quella di Lazzaro fu soprattutto un tornare alla vita, quella biologica. Al comando di Gesù il fratello di Marta e di Maria uscì , sì, dalla tomba, ma così come era stato sepolto «con i piedi e le mani avvolti da fasce, e il viso coperto da un sudario» (v 44). Vivo, ma non libero. Fu necessaria una ulteriore parola del Maestro: «Scioglietelo – disse - e lasciatelo andare» (v 44b). Fu un invito a liberarsi da ogni possibile raccapriccio al pensiero di dover toccare un cadavere, anche se tale più non era, ed a scioglierlo da quanto ancora lo teneva legato.
Quella di Gesù, invece, fu vera risurrezione: non ebbe bisogno che alcuno Lo liberasse dai panni sepolcrali; egli uscì fuori dalla tomba libero, con un corpo glorificato e dotato di particolari ed eccezionali peculiarità esistenziali. Non è perciò casuale il dettaglio relativo agli indumenti funebri che avevano legato il corpo di Gesù e che è solo Giovanni a descrivere con insistenza (20:5, 6b, 7a), segnalando persino «il sudario che era stato sul capo di Gesù, (che) non (era) per terra con le fasce, ma piegato in un luogo a parte» (v 7).
Il sepolcro, abitacolo di morte, è vuoto: la sua preda non è scappata, né è stata portata via: ha solo vinto la sua battaglia, abbandonando impotenti e tra loro separate le ‘catene’ che Lo tenevano avvinghiato. Ha abbandonato i propri abiti mortuari per segnalare una libertà piena e conseguita non solo per sé ma anche per tutti noi.
Tutto questo si configura come un primo adempimento di quanto prometteva con le note rassicuranti parole, incipit dei cosiddetti dialoghi di addio (Gv 14-16): «Il vostro cuore non sia turbato; abbiate fede in Dio,
e abbiate fede anche in me! Nella casa del Padre mio ci sono molte dimore; se no, vi avrei detto forse che io vado a prepararvi un luogo?» (Gv 14:1).
*
Ma, è qui che sorge un assillante interrogativo. Se lo poneva Maria Maddalena, che sembra trasmetterlo anche a noi, credenti di questo inizio del terzo millennio: «Hanno tolto il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’abbiano messo» (20:2b). In altre parole noi oggi ci domandiamo: Dove è Gesù, il Risorto? La sofferta esclamazione della Maddalena esprimeva una preoccupazione quanto al cadavere, ma, come riferisce Luca, a lei e ad altre donne fu detto: «Perché cercate il vivente tra i morti? Egli non è qui, - non è più quel cadavere che cercate - ma è risuscitato» (24:4c). Lo si può trovare ovunque lo si ricerca, ovunque vi sia anelito di libertà e di liberazione. Egli è là, in solido con il Padre, da ove Egli stesso attende di ritornare. Egli stesso dirà molto chiaramente: «Salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro» (20:17). Sarà Paolo a spiegare ai credenti di Colosse (ed a noi) che Gesù è «seduto alla destra di Dio» (Col 3:1b). In forza della risurrezione (e conseguente ascensione) è rientrato nell’armonia trinitaria e non solo come Dio ma nella pienezza della sua natura teandrica, divina ed umana nello stesso tempo. L’umanità stessa ha ormai una ‘rappresentanza’ presso il Padre, il che rende possibile, a chi ha fede in Gesù risorto, di partecipare alla Sua stessa vita. L’apostolo può esortare: «Se siete risuscitati con Cristo, cercate le cose di lassù».
La biblica rappresentazione spaziale «lassù» è propria della fede che, quale fede viva e vissuta, la trasferisce nella storia, nel «quaggiù», ove è possibile condividere la nostra esperienza quotidiana con il Cristo-in-noi. Si stabilisce ormai una comunione vertical-perpendicolare sul crinale della presenza attiva dello Spirito di Dio mandato nel mondo ed effuso nella vita di quanti Lo sanno percepire e ricevere.
V’è una sostanziale diversità fra il «lassù» del Cristo glorificato ed il «quaggiù» della nostra condizione storica. Il «lassù» rimanda ad un Vangelo di liberazione che può e deve tradursi nel «quaggiù» come scelta di vita ed impegno etico.
Le grandi cose che Gesù ha operato sono ancora nascoste, non evidenti, esigono una nostra risposta di fede perché divengano visibili. Cristo ha operato le opere di Dio (Gv 10:23, 37-38) volgendole tutte a nostro favore, perciò nulla di quanto Egli ha operato è asettico, slegato dalla nostra realtà umana, dall’uomo concreto. Per tutti è ormai aperto uno spiraglio di vita autentica e vera. La sua stessa risurrezione è da porsi nella prospettiva di una nostra personale risurrezione (Rm 4:25b).
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Saremo donne e uomini di risurrezione se nelle tragedie che attraversano e travagliano il mondo sapremo cogliere e trasmettere i segni del Risorto, gli esiti della sua risurrezione: creare nuove solidarietà; appoggiare e difendere i nuovi diritti (quelli che attendono di essere affermati nella più ampia ansia di liberazione che ferve intorno a noi); alimentare e sostenere nuovi e più radicati desideri di pace e di riconciliazione.
La risurrezione del Cristo ci ha posto nella condizione di poter leggere la storia con gli occhi di Dio. Come Gesù ha attraversato il tunnel della morte prefigurandosi la luminosità della risurrezione, così noi, quali testimoni di Dio e sospinti dallo Spirito suo santo, potremo calarci nel tunnel dell’umana sofferenza che, per quanto oscura e tenebrosa, non smorzerà la speranza di «nuovi cieli e nuova terra ove giustizia abita» (2 Pt 3:13).
Pilato e Caiafa, il potere politico ed il potere religioso sembrano a volte ed a tutte le latitudini vittoriosi e determinanti, ma è solo perché spesso, molto spesso, siamo preoccupati più della visibilità delle chiese che della presenza del Cristo nella storia; non ci accorgiamo che stiamo strapazzando se non proprio dimenticando quei valori della risurrezione che ci sono stati affidati quali espressioni della ‘grazia divina’ che cerca di agire in noi per agire anche mediante noi.
Oh, se ci sentissimo «risuscitati con Cristo»!
È questione di fede e di fede soltanto, se è vero, come è vero, che tutto «quello che è nato da Dio vince il mondo; e questa è la vittoria che ha vinto il mondo: la nostra fede» (1 Gv 5:4).
SCORAGGIAMENTO?
di Aldo M. Etchegoyen
Oh Dio, non ti scoraggiare per favore.
La depressione non è buona, provoca angoscia e scoraggiamento
Oh Dio, sta attento con la depressione,
Se tu ti scoraggi, siamo noi a soffrire di più.
Sì! hai ragione, hai creato la vita e hai fatto tutto per bene
Congratulazioni per tanta opera meravigliosa!
Inoltre, come se i fiori ed i boschi, i fiumi ed i mari,
la terra, l'acqua, il fuoco e l'aria, fossero poco
hai avuto la straordinaria idea di creare l'essere umano,
uomo e donna, capaci di amare, di creare vita,
di proiettare nel futuro tante cose;
ma…allora… la tua immagine no?
Tutto meraviglioso!! nuovamente mi congratulo!!
Tutto lo hai fatto bene…però… francamente…oggi
e la storia passata ci lasciano vedere che il progetto
tanto meraviglioso non è riuscito del tutto bene.
Ricordi? Quando domandasti l’opinione agli angeli
sulla creazione dell'uomo?
Che discussione ci fu!
L'angelo della giustizia diceva “non crearlo, Signore,.. sarà ingiusto"
L'angelo della pace aggiunse "No per favore,
sarà violento e guerriero"
Quello della misericordia volle migliorare la situazione,
dicendo "Io l'aiuterò"
Finalmente tu chiamasti l'angelo della verità "Tu sarai
il ponte di unione tra il cielo e la terra"
Alcuni di essi avevano ragione,
C’è stato Erode nel passato e ce n’è parecchi anche oggi,
Nel nord, nel sud, all'est e all'ovest
Servitori della morte,
servitori dell'oro e del petrolio,
delle ricchezze, della corruzione,
della droga e del crimine… tu sai di che parlo,
li conosci molto bene.
Ma nonostante tutto, non ti scoraggiare Signore!
Non posso dire… io ti aiuto a che le cose siano migliori,
Sarebbe una gran superbia!!.. tuttavia
Tu continui a tenerci nella tua agenda affinché
Siamo servi e serve della vita.
Pregando, lavorando, annunciando la tua Parola
e denunciando la malvagità,
Andando ed accompagnando, cantando e piangendo,
ridendo e confidando.
Andiamo Signore, non ti scoraggiare!!
c'è molta gente che vuole servire la verità, la giustizia, la pace, in sintesi la vita.
Nella tua Chiesa e fuori di essa, in sinagoghe e moschee,
in pagode e piazze.. perfino in comitati politici
ed uffici di governo, in comunità aborigene e nere
Grazie Oh Dio perché continui ad avere speranza in noi,
Dacci il tuo aiuto per seguirti con fedeltà.
Non ti scoraggiare…che se no succede anche a noi.
Prendici per mano ed andiamo…il meglio sta per venire!!
Così sia!
(da : Red de Liturgia del CLAI)
Cristianesimo, religione civile?
di Raffaele Volpe
Introduzione: Nein!
“Nein”, è il titolo del libriccino col quale Karl Barth rispose al suo amico e collega Emil Brunner sulla grande questione della teologia naturale. Nein è la mia risposta alla domanda tema del nostro incontro: Cristianesimo, religione civile? No! Assolutamente no. Credo che il titolo di questo nostro incontro è volutamente ambiguo. Pone una domanda, ma ne sottende almeno due. Quale Cristianesimo? Quale religione civile?
Potremmo immaginare un Cristianesimo di tipo protestante, o di tipo cattolico romano o di tipo ortodosso. Ma già queste tre tipologie sottendono tante altre: il protestantesimo si declina al plurale. E così è per il cattolicesimo e per l’ortodossia, anche se in modo meno drammatico. D’altronde il punto interrogativo nel tema della conferenza già lascia intuire almeno due posizioni contrapposte nell’ambito cattolico: tra chi sostiene la posizione di un cattolicesimo romano come religione civile dell’Italia e perché no, dell’Europa e chi è invece contrario.
Se questa mia introduzione è sostenibile, bisogna subito dire che la risposta alla domanda diventa implicitamente negativa: il cristianesimo non può essere religione civile perché non vi è un cristianesimo solo e perché non vi è una sola definizione di cosa sia una religione civile. Ed è questa anche la mia tesi, una tesi che si fonda sul concetto di pluralità: sono tante le forze che concorrono al patrimonio intellettuale e materiale che rappresenta una cultura. Se una religione civile debba esserci, potrebbe essere una religione civile laica che si fonda sul principio di partenza del politeismo dei valori e quindi sulla necessità di costruire uno spazio formalmente regolato dove i partecipanti costruiscono insieme le fondamenta di un vivere civile.
Potrei citare Karl Popper che scriveva: “Dovremmo essere orgogliosi di non possedere un’unica idea, bensì molte idee, buone e cattive, di non avere una sola fede, un’unica religione, quanto piuttosto parecchie fedi, buone e cattive. E’ un segno della superiore energia dell’Occidente il fatto che ce lo possiamo permettere. L’unità dell’Occidente su un’unica idea, su un’unica fede, su un’unica religione, sarebbe la fine dell’Occidente, la nostra capitolazione, il nostro assoggettamento incondizionato all’idea totalitaria”.
Primo punto: quale laicità?
Mi trovo quindi più a mio agio se riformulo il tema con un’altra domanda: Quale tipo di laicità per la nostra Europa? Anche di laicità ce ne sono molte. Vorrei proporvi una laicità di relazione. Un sistema che pur rivendicando i principi di neutralità dello Stato riguardo alle religioni o di netta separazione tra lo Stato e le comunità di fede, si pone il problema dei modi e delle forme di una relazione.
Certo questo modello prevede il superamento di qualsiasi condizione privilegiaria di una confessione religiosa sulle altre. Come ad esempio gli strumenti concordatari. Fa suo invece l’articolo 52 della Costituzione Europea
1. L'Unione rispetta e non pregiudica lo status di cui godono negli Stati membri, in virtù del diritto nazionale, le chiese e le associazioni o comunità religiose.
2. L'Unione rispetta ugualmente lo status di cui godono, in virtù del diritto nazionale, le organizzazioni filosofiche e non confessionali.
3. Riconoscendone l'identità e il contributo specifico, l'Unione mantiene un dialogo aperto, trasparente e regolare con tali chiese e organizzazioni.
Emerge una nuova idea di laicità. Il filosofo Marramao dice che l’ “idea democratica moderna di matrice giacobina di un’appartenenza interamente risolta nella cittadinanza non è più in grado di fronteggiare le sfide della società contemporanea. Sappiamo ormai che vi sono dei bisogni di identificazione simbolica che non possono trovare mai piena realizzazione nella sfera della cittadinanza, anche la più allargata che si possa immaginare o progettare”.
Nell’Europa di oggi è più laico, permettetemi questa espressione, garantire il pluralismo delle comunità di fede e quindi la loro visibilità sulla scena pubblica piuttosto che comprimerle all’interno dei recinti confessionali. E’ più laico il dialogo delle istituzioni con le comunità di fede. Le comunità di fede possono essere, quindi, soggetti attivi di grande importanza per lo sviluppo della società civile.
Lo Stato è altrettanto laico, anzi ancora più laico, non se sposta le pratiche religiose nell’ambito privato, ma se riesce in qualche modo a riconoscere la status pubblico che le comunità di fede rivendicano. Certo si apre qui un campo minato. Non si può tornare indietro rispetto alla modernità e ai processi di secolarizzazione che l’hanno caratterizzata. Bisogna andare semmai avanti.
Ma non si può neanche correre il rischio di un multiculturalismo non comunicante, dove ogni comunità, ottenuto il proprio riconoscimento, resta una monade rispetto alle altre comunità e rispetto allo Stato. Se ci si limita ad attestare l’irriducibile molteplicità dei sistemi culturali senza mettere in atto processi di comunicazione, si rischia di rendere impossibile la vita sociale. E’ ancora una volta efficace l’immagine che il filosofo Marramao utilizza di differenze blindate che si rapportano le une alle altre come monadi senza porte e senza finestre.
C’è bisogno che lo spazio pubblico si trasformi in spazio affollato di presenze culturali e religiose in cui lo Stato attua un principio di laicità che significa presidio del pluralismo nel confronto continuo e paritario tra tutti i soggetti partecipanti. Si stabilisce un patto di cittadinanza che sancisce norme condivise e definisce un nucleo pur minimo di valori comuni che tutti debbono osservare. Qui nessuno può imporre all’altro i propri valori e le proprie credenze.
Le confessioni religiose debbono necessariamente, se vogliono partecipare a questo processo, rinunciare nella arena pubblica ad ogni pretesa di autosufficienza dogmatica e debbono accettare di relativizzare il proprio punto di vista. Le identità stesse delle diverse comunità, grazie a questo spazio pubblico di dialogo, accolgono
come una opportunità di crescita il riconoscersi parziali, mai assolute. Identità che accettano laicamente la loro costitutiva limitazione e rinunciano ad una visione narcisistica di sé. Identità che si de-assolutizzano. Si storicizzano. Conciliando in tal modo l’universalismo della cittadinanza con un pluralismo identitario. Il primo reso sensibile alle differenze e il secondo attento al rischio del particolarismo.
Tutto questo ha effetti immediati anche sul genere di legislazione in materie delicate quali bioetica ed altro. Non entro in merito, dico solo che il principio guida non può essere il bene così inteso da una o più confessione come fondamento della legge, ma il giusto. E’ democraticamente giusta una legge che, su problemi complessi e delicati, non obbliga a determinate scelte e non ne vieta altre in nome di un’unica, particolare concezione, ma permette ai cittadini di essere soggetti responsabili del loro agire.
Secondo punto: un po’ di evangelica sobrietà
Ma permettetemi di fare un passo verso un contributo protestante al tema dell’Europa, della pluralità e della laicità.
Eberhard Juengel, teologo protestante, in un suo intervento dal titolo: La nuova Europa, gioia senza illusioni, apre dicendo: “Quando i cristiani e le chiese protestanti del nostro continente si riuniscono per riflettere sulla loro responsabilità cristiana per l’Europa è opportuno che si richiamino alla sobrietà, e alla sobrietà evangelica”.
Qui si vuole allontanare la tentazione di pensare che possano tornare i vecchi tempi quando l’Europa era cristiana e il cristianesimo era europeo. Onorare le proprie radici significa guardare avanti. Guardare ai frutti che spunteranno. E non guardare indietro, con la pretesa di installarsi nella casa europea per cristianizzarla di nuovo, offrendosi come la religione civile in un’Europa riunita in un’unica polis, dimenticando così la cittadinanza che tutti i credenti hanno fin da ora nella città futura.
D’altronde bisogna anche ammettere che il problema del cristianesimo, nelle sue declinazioni, vive un problema di rilevanza che è legato non tanto al fatto di essere più o meno protagonista a livello sociale e politico, ma nella incapacità di dire qualcosa sul piano spirituale. Il bel libriccino di Filippo Gentiloni, La Chiesa post-moderna, è un’analisi in questa luce della chiesa cattolica romana. Il rischio in questi casi è, invece di riconoscere le ragioni di fondo della propria irrilevanza, dimostrare ad ogni costo una propria importanza, un volere autorealizzarsi ad ogni costo.
Qui le chiese protestanti debbono reagire con estrema chiarezza: compito della chiesa evangelica non è rappresentare se stessa, ma rendere testimonianza a Cristo e di rappresentarlo nella parola e nell’azione. Non autopresentarsi, ma presentare Cristo. Rappresentarlo.
Quando la comunità dei credenti si rallegra per quel Dio che è mistero del mondo, al punto da far nascere per lui fame e appetito e vivo desiderio, allora Dio viene realmente presentato sulla terra come colui che è offerto.
Detto questo, il protestantesimo europeo non si vede come un avversario della moderna secolarizzazione e del pluralismo che ne deriva. Le chiese devono anzi rallegrarsi che il loro patrimonio spirituale si manifesti anche in una dimensione laica. Si pensi alla libertà di coscienza, all’affermazione della dignità della persona, alla protezione degli handicappati, all’obbligo scolastico per tutti, questi sono tutti tesori laicizzati della chiesa. La secolarizzazione non è il contrario del cristianesimo. E la teoria luterana dei due regni accoglie l’esistenza di un mondo emancipato dalla chiesa con grande serenità.
Quindi la sobrietà evangelica accoglie la società che si è pluralizzata. La verità del messaggio evangelico ha senza dubbio una pretesa universale, ma nella società essa si presenta come una verità in mezzo a molte altre, che non ha in sé altra autorità se non quella dell’argomentazione e del dialogo.
SOLO LA’ DOVE CHIESA E STATO SONO NETTAMENTE E PACIFICAMENTE SEPARATI, LE CHIESE POSSONO ESSERE DI NUOVO, COME GIA’ DICEVA JAKOB BURCKHARDT, ELEMENTI E MODELLI DI LIBERTA’. Le chiese si devono chiedere se non siano talvolta venute meno al loro appassionato amore per la libertà, per sopravvivere o ottenere qualche modesto vantaggio, e se invece di riporre la loro fiducia nella verità che libera si siano affidate alle penombre della politica.
Terzo punto: Sola fide
Questo secondo punto mi apre al terzo ed ultimo. Ad una analisi teologica di uno dei cardini della fede protestante, l’affermazione: sola fide. Con questo cerco di definire quale specifico contributo può dare il protestante nell’ambito di un dialogo nello spazio pubblico.
Per i riformatori la fides è l’unico rapporto possibile con Dio. E la caritas l’unico rapporto possibile con il prossimo. Questo significa una netta distinzione tra fides e caritas, tra religione ed etica. Il modo di rapportarsi a Dio in quanto assoluto si esprime mediante il fiduciale atteggiamento del credente verso Dio. E’ un affidarsi alla misericordia di Dio. O come si esprime il sociologo Peter Berger: ritenere che la realtà che si cela dietro la nostra esperienza quotidiana sia benevola nei nostri confronti.
L’etica, quindi, non ha da tradurre in pratica verità extraterrestri e si limita a rispondere ai bisogni del prossimo.
Non esiste, perciò, un’etica religiosa, perché sul piano religioso l’unico rapporto con Dio è quello della fides, mentre ogni regolamentazione appartiene alla necessità di convivenza e di reciprocità umana. Il credente assume la grazia come punto di partenza per una nuova prassi, autenticamente secolare. Vissuta nel mondo e per il mondo.
E’ qui la famosa giustizia aliena di Lutero: il punto di partenza per cui noi non ci stiamo migliorando per essere giusti davanti a Dio. E questa giustizia si può accogliere soltanto per fede, non per opere. Le opere sono l’espressione della gratitudine umana per la gratuità della misericordia di Dio. Le opere si esercitano nella contraddittorietà della nostra vita, lì dove è impossibile padroneggiare interamente il senso del nostro atto. Lì dove l’ambiguità del risultato è inevitabile. L’opera rimane sempre opaca, rivedibile, provvisoria. Non per questo sprecata o inutile. Proprio nella relatività sta il valore dell’umano e del mondano.
Ripeto: vi sono due giustizie, una assoluta e quindi aliena, che ci viene attribuita. Ed una giustizia relativa, che noi cerchiamo di promuovere nella società civile. La prima giustizia mi raggiunge e mi sollecita. Ma i risultati delle mie decisioni resteranno nel campo dell’umano, dove saranno criticabili e perfettibili.
La distinzione radicale che Lutero propone e afferma lo porta a separare nettamente la sfera religiosa da quella civile. E l’essere umano diventa competente soltanto all’interno del suo mondo. Comincia qui la critica ad ogni pretesa ecclesiastica di dire la verità invece di invocarla e renderle eventualmente testimonianza. Il precetto diventa civile, si secolarizza, si relativizza.
La fede non si può vedere nei fatti, perché se i fatti potessero tradurla e renderla visibile, il soggetto ricomincerebbe a chiedersi se ha fatto abbastanza, se ha fatto bene, se ha veramente fede. Precipiterebbe di nuovo in una incertezza psicologica invece che essere una certezza incrollabile.
Proprio perché la decisione in ultima analisi resta pienamente umana e relativa, sempre un po’ zoppicante, proprio per questo essa è anche relativa a un contesto storico e sociale. Qui valgono le regole del dialogo perché la relatività delle opere è tale che un confronto con altre opinioni e decisioni è non soltanto possibile, ma anche doveroso.
La dimostrazione degli atti umani, le spiegazioni circa i loro motivi e modalità, non possono essere date come ultime, come deduzioni necessarie a partire da un elemento assodato in termini di verità assoluta. Risposte umane alla richiesta divina, non traduzioni o realizzazioni di essa. Non si può ricorrere alla fede per dire alla gente che cosa deve fare. Non è lecito trasformare in dettato religioso quella che è scelta in termini relativi tra possibilità diverse. Le decisioni prese sono in sé precarie e simili a una scommessa. Il compito della fede è sostenere una decisione nella sua relatività, non darle un carattere assoluto. Non esiste un’etica credente, esiste un’etica e basta.
Una voce amica...
di Valentina Badel
E’ “l’ora delle tenebre”.
Gesù è solo; quella solitudine angosciosa che si prova in mezzo a tanta gente. Solo.
I discepoli, giustamente spaventati, si sono allontanati. E anche se fossero vicini, di che conforto potrebbero essere per il loro Signore? Hanno sempre “ricevuto”. Non hanno niente da dare; non hanno capito il significato di questi avvenimenti perché non hanno mai prestato attenzione agli avvertimenti del loro maestro.
Le donne, affrante dal dolore, non hanno niente da dire. Neanche loro capiscono.
Non c’è neanche il “consolatore ufficiale”, il cappellano di turno. No, i religiosi sono i più accaniti negli scherni e nella crudeltà.
I soldati fanno il loro lavoro; già pensano alla retribuzione; non saranno loro ad aver compassione per i condannati. Nessuno può dare al Signore un po’ di conforto. Nessuna voce amica.
Eppure sì. In mezzo alle tenebre, nell’orrore di questa situazione, una voce amica c’è! Quella del peggiore; di uno di cui si dice: “E’ irrecuperabile”.
Nelle sue parole non c’è recriminazione, non ci sono scuse (colpa della società, dell’infanzia, dei compagni...), solo un riconoscimento semplice e onesto della sua situazione di peccato. “Non merito niente di più..., la condanna è giusta”. Poi l’atto di fede: “Ricordati di me!”
Per quale miracolo quell’uomo afferra in quel momento la grazia? Chi l’ha preparato a questo?
Com’è stato convinto?
E’ come un flash in mezzo alle tenebre questo dialogo meraviglioso:
“Ricordati di me...”
“Oggi sarai con me...”
Non più il condannato disprezzato, ma il compagno del Giusto.
“C’è gioia nel cielo per un peccatore che si ravvede”.
Gesù, in mezzo alle sofferenze vede il primo “frutto” del suo sacrificio. Un uomo, indegno, come tutti gli uomini, che fa la sua entrata nel “Regno di Dio”.
“Signore, ai piedi della tua croce, non ho niente da offrirti. Solo il mio cuore contrito, e la mia voce che ti dice: sono colpevole e tu sei santo. Ricordati di me...”
Miracoli protestanti!
di Valdo Pasqui
L’8
marzo sul Corriere della Sera l'ormai consueta rubrica Calendario di
Ernesto Galli della Loggia era dedicata a noi protestanti.
Per chi non l’ha letto lo trascrivo:
"MIRACOLI
PROTESTANTI. Curioso destino quello del Protestantesimo. Nacque
per l'appunto da una protesta: contro il mercato delle indulgenze,
contro la mentalità spesso magico-superstiziosa, contro il
ritualismo e la fede superficiali del mondo
cattolico. Oggi però, grazie alle Chiese evangeliche e battiste,
esso riscuote il massimo successo nel cuore dell'Africa con una
predicazione - su cui ci ha informato di recente Domenico Quirico in un
bell'articolo sulla Stampa - che fa appello in modo spudorato proprio
al bisogno di miracolo, al timore del demonio, alle speranze ingenue di
arricchimenti subitanei delle più misere plebi del continente.
Il tutto con un uso di denaro proveniente dagli Usa da far invidia alla
più spregiudicata Curia rinascimentale. Per ironia della storia,
insomma, il Protestantesimo più vitale e a suo modo impegnato
ripete oggi - parecchio in peggio, bisogna dire - proprio i modelli che
in origine voleva combattere."
Che dire ? Provo a condividere con voi alcune riflessioni:
1) L'articolo di Quirico cui si è ispirato Galli della Loggia
è già orientato nel titolo: "La Bibbia e il dollaro
conquistano l'Africa" e nel titolino di spalla "Le sette protestanti
dilagano nel Continente nero". Contiene un errore madornale
perchè in una figura riporta "Le fedi del continente"
classificate come: Sunniti (ma non è una fede, è una
diversa tradizione dell'Islam!), Cristiani (forse intendeva
cattolici?), Religioni indigene, Protestanti (che dunque non sono
cristiani!). Solo leggendo il testo si capisce diversamente, ma quanti
si limitano a guardare solo le figure!
Quirico racconta che in Kenia il pastore Loren Davis "accusa
Satana di essere causa dell'aids", ma fino a prova contraria non
è la chiesa cattolica che pratica ancora l'esorcismo
persino durante i battesimi dei bambini ? Ancora cita che "in Kenia
l'87 per cento dei pentecostali giurano di essere stati beneficiari o
testimoni di un miracolo". Ma non dice quanto sia particolare il
concetto di "miracolo" per il pentecostalismo. Ha pure il coraggio di
affermare che "in Uganda scoraggiano la diffusione dei preservativi per
limitare l'aids, invocando la pratica dell'astinenza". E la chiesa
cattolica, la CEI e la Binetti dove li mettiamo ? Non ho dubbi che i
pastori evangelicals e i movimenti pentecostal-like giochino
facilmente sulle credenze popolari e che sfruttino ampiamente il dio
denaro, ma certamente l'immagine fornita mi pare oltremodo forzata
perchè volta solo a dare un'immagine negativa: non
c’è un minimo accenno a opere sociali, scuole, ospedali
etc. Insomma Quirico è decisamente preoccupato che il 56% della
popolazione sia evangelica ed allora, attingendo al più vieto
antiamericanismo, mascherato da un condivisibile antibushismo, spara a
zero sul protestantesimo senza distinguo e senza possibilità di
appello.
2) Galli della Loggia forza ancor di più la mano con
l'accostamento alle indulgenze che mi pare poco azzeccato: la chiesa
cattolica con le indulgenze i soldi li prendeva, non li dava. Volendo
attaccare avrebbe potuto parlare di neocolonialismo. Inoltre
addirittura bolla il protestantesimo con un "parecchio in peggio"
! Perchè la chiesa cattolica come si comporta in Africa? Ed il
business dei pellegrinaggi a Fatima, a Lourdes e a San Giovanni Rotondo
serve forse a rimpinguare le casse della Tavola valdese ?
3) Nel giro di poco tempo è la terza volta che una testata di
livello nazionale "spara a zero" generalizzando sul protestantesimo:
articolo su Repubblica a proposito dei Calvinisti a Padova, poi quello
della Stampa di sabato scorso ed ora quello riportato. Solo un caso ?
Dei protestanti italiani non si parla mai perché sono una
minoranza insignificante e invisibile. Sia chiaro, talvolta invisibile
anche per propria incapacità di comunicare e testimoniare in
modo efficace. Del protestantesimo mondiale in genere si parla al
negativo o come braccio operativo dell’imperialismo americano o
come origine di tutti i mali imputabili al capitalismo, al liberismo e
alla globalizzazione. Credo che per l’italiano, anche per chi ha
un certo livello di istruzione ed è dotato di una cultura
superiore alla media, il protestantesimo sia una specie di algebra
incomprensibile e quindi, come fanno i ragazzini, da respingere in
toto. Questo ci deve far riflettere: possiamo, dobbiamo fare di
più e meglio per farci conoscere e capire.
4) Non mi sento per niente attratto dagli evangelicals, dai
battisti americani del sud e da alcuni movimenti pentecostali
perché non condivido le posizioni
teocon e tutte quelle
forme di spettacolarizzazione che facendo prevalere le componenti
emozionali e di suggestione, a mio avviso, spesso rischiano di
banalizzare il messaggio evangelico. Tuttavia occorre tener conto delle
diverse culture e sensibilità, per esempio quelle delle
popolazioni africane che richiedono forme di espressione e
linguaggi diversi da quelli ai quali sono abituato. Come non ricordare
il concetto, direi la visione, di ospedale del grande dottor Schweitzer
a Lambaréné ?
Precisato questo, ritengo inconcepibile che sulla stampa italiana si
parli di protestantesimo e di evangelici solo al negativo ed in modo
incompleto ed approssimativo. Forse come valdesi ci sentiamo al riparo,
perchè noi siamo la piccola riserva indiana intellettualmente
privilegiata, da esibire un paio di volte l'anno per avvalorare il
politically correct degli organi di comunicazione
ufficiali. Temo che prima o poi capiterà anche a noi qualche
articolo più o meno denigratorio. Ci dobbiamo dunque rassegnare
?
Certo si potrebbe dire: che parlino male dei protestanti
purché ne parlino, sempre meglio del silenzio! Il vero
miracolo sarà il primo articolo equilibrato che
verrà pubblicato su un quotidiano nazionale. Credo invece che
occorra organizzarsi, anche localmente, per controbattere e per far
conoscere in Chi crediamo, quello che siamo e cosa facciamo. Il
prossimo convegno sulla
diaconia, l'8pm e il 5pm sono le prime cose che mi vengono in mente.
Rapporti fra le chiese evangeliche fiorentine
Il Consiglio dei Pastori di Firenze è stato costituito il 29 febbraio 1927; è formato da pastori o conduttori che hanno responsabilità pastorale e da diaconi di opere evangeliche di Firenze e dintorni; è frequentato anche da pastori emeriti. Non ha voce rappresentativa, né giuridica. Si riunisce di solito ogni 2° mercoledì del mese, tranne l’estate. Serve per condividere studio, informazioni e preghiera. Ha curato e cura gli elenchi delle chiese e dei loro indirizzi ed orari, pubblicandone un volantino, e inoltre un sito-web: FirenzEvangelica che le chiese dovranno sforzarsi di tener aggiornato e funzionante.
Ogni tanto, nel corso dell’anno, vengono organizzati incontri, come la Festa della Riforma o la Domenica delle Palme.
In tempi recenti, soprattutto ponendosi il problema della “rappresentatività” nelle consulte comunali e regionali, si sta discutendo il testo del “Patto fra le chiese”, che pubblichiamo di seguito. Il Consiglio desidera conoscere il parere delle chiese nel merito in vista di un approfondimento dei rapporti e della possibilità di presentarci come fronte unico verso l’esterno.
Un nuovo patto tra le chiese
Noi confessiamo che troppe volte abbiamo contribuito a lacerare il Corpo di Cristo.
Noi confessiamo di non aver saputo apprezzare la diversità di doni che il Signore Gesù Cristo ci ha donato.
Noi confessiamo di avere spesso criticato il nostro fratello o la sua chiesa di appartenenza.
Noi confessiamo di non esserci impegnati nel costruire legami dì solidarietà tra le chiese.
Noi confessiamo di non aver fatto il possibile per testimoniare insieme la potenza e la bellezza dell’evangelo nella nostra città.
Per questo motivo noi ci impegniamo:
A fare tutto il nostro possibile per contribuire all’unità nella diversità del Corpo di Cristo.
A collaborare con gli altri colleghi affinché non vi siano tra noi dispute, scismi, critiche scortesi o diffamazioni.
A sostenere tutte quelle iniziative volte alla testimonianza dell’unità nella diversità del Corpo di Cristo nella nostra città.
A rendere il Consiglio dei Pastori un luogo di raccordo tra le Chiese, informando il Consiglio delle attività delle singole Chiese e le Chiese dell’attività del Consiglio.
A pregare l’un per l’altro, mostrandoci premura e offrendo una cura reciproca.
A prenderci cura della nostra città, consacrando i nostri doni, le nostre vocazioni e le nostre risorse per proclamare l’evangelo della grazia.
A proposito di paradossi
«Che meraviglioso artista
- esclama Giovanni Crisostomo -
lo Spirito Santo !».
Tocca un pagano ed ecco un patriarca: Abramo.
Tocca un imboscato ed ecco un mediatore: Mosè.
Tocca un pastorello ed ecco un re: Davide.
Tocca una vergine ed ecco una madre: Maria.
Tocca il pane ed ecco il Corpo.
Tocca il vino ed ecco il Sangue.
Tocca dei traditori ed ecco degli apostoli.
Tocca un persecutore ed ecco un predicatore.
Tocca l’impossibile umano ed ecco il possibile
sovra-umano: la vittoria sulla morte.
(Sabino Palumbieri, 1980).
(da : L’Eco delle Comunità,
organo della Chiesa Apostolica Italiana, marzo 2007)
VISIONE
di Oretta Nutini
Vedo, come in un quadro un po’ sfocato,
un uomo al quale fu proibito entrare
nella chiesa (di Dio?) : fu giudicato,
indegno della grazia del Signore.
A un tratto, Gesù è apparso, il dito alzato
verso la porta chiusa ad indicare
la barriera dei preti, sul sagrato,
che non fecero entrar quel. peccatore.
Gesù, che anche la croce ha perdonato,
guarda, e in tutti la sua parola è scesa
come allora: “Chi è senza peccato —
(ogni sguardo è già chino) — entri in chiesa”.
Lettera aperta alla Chiesa
Cattolica Fiorentina
Ci siamo ritrovati, uomini e donne della Chiesa fiorentina, per un passaparola intorno alla comune esigenza, come credenti e come operatori pastorali, di esprimerci in merito ad alcuni avvenimenti recenti, secondo il diritto/dovere dei laici di far conoscere il proprio parere, su aspetti che toccano la vita della chiesa (cfr. Lumen Gentium 37) e della società.
Sentiamo anzitutto la necessità, sulle tracce del Vaticano II e dell’esperienza fiorentina del sinodo diocesano di alcuni anni fa, di una effettiva ripresa del dialogo e del confronto nella comunità ecclesiale, in cui tutte le espressioni plurali della riflessione dei credenti possano esprimersi e i Pastori possano realizzare pienamente il loro ministero della sintesi.
Ci sollecita a questa richiesta il disagio da noi provato in questi mesi di fronte a vari e diversi interventi di esponenti della gerarchia ecclesiastica su temi ed avvenimenti “eticamente sensibili”, di carattere pubblico o riferiti a persone.
Riteniamo che la proposta di dottrine e indicazionimorali debba essere accompagnata da riflessioni teologiche e atteggiamenti pastorali che abbiano a cuore la condivisione dei dolori e delle aspirazioni degli uomini contemporanei, riconoscano quanto di profondo e sincero c’è nelle scelte, talvolta travagliate, delle persone, in modo da testimoniare quello stile evangelico che richiama a farsi prossimo non per dettare regole “ma per infiammare il cuore dell’uomo mentre si conversa con lui lungo il suo cammino” (cfr. Lc. 24, 33).
In particolare riteniamo di proporre alla riflessione e al confronto i seguenti punti:
1. Il Concilio Vaticano II ha sottolineato la legittima autonimia delle realtà terrene e politiche. In una società come quella attuale, le disposizioni normative devono considerare la pluralità di posizioni dei cittadini: occorre rispettare i diritti di tutti per giungere a regole che garantiscano la libertà e la solidarietà tra le persone. Questo anche in materia di convivenze diverse dal matrimonio, tema sul quale sono presenti nella società orientamenti e scelte diverse.
2. La distinzione tra fede cristiana e scelte politiche è sottolineata non per separare ma per ricomporre, in modo mai definitivo, la radicalità del Vangelo e la laicità dell’essere cittadini. Se la fede cristiana si riduce a una morale, si priva della sua forza profetica. La tolleranza nei confronti delle opinioni altrui non nasce dalla debolezza della fede, ma dalla sua sicurezza che non si impone attraverso la legge dello stato (cfr. Duquoc).
Per questo non possiamo tacere la preoccupazione per interventi che chiedono alla politica e alle leggi di esser garanti dei valori cristiani come socialmente necessari e culturalmente unificanti. Questo ci sembra lesivo della laicità dello stato e della politica e pericoloso per l’autonomia e la significatività della fede religiosa.
3. Tanti hanno vissuto poi con vero e proprio sconcerto il fatto che sia stato negato il funerale cristiano a un credente che ha molto sofferto e alla sua famiglia. Quanto accaduto non ci sembra aver offerto una testimonianza adeguata allo stle evan gelico e di fiducia nel mistero della misericordia accogliente di Dio.
Per questo riteniamo importante:
· Creare nelle nostre comunità cristiane spazi di confronto e condivisione
· Chiedere al Vescovo e ai Pastori della Chiesa fiorentina di accentuare nel loro ministero l’ascolto delle diverse esperienze e competenze di cui la Chiesa è ricca.
· Proporre a quanti guardano “dall’esterno” questa Chiesa di prestare attenzione alla pluralità di scelte e di esperienze che in essa vivono e che non possono essere ridotte ad un’unica voce.
Pensiamo che in questa prospettiva si possa ancora affermare che “Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini di oggi, dei poveri e soprattutto di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore” (Gaudium et Spes, 1).
(seguono un centinaio di firme)
la storiella
San Pietro aggiusta il mondo
Un giorno san Pietro se ne stava a riposarsi sotto una quercia e nel caldo del meriggio pensava:
“Chi sa come mai un albero grande come la quercia fa ,dei frutti così piccoli, e un albero basso come la zucca li fa così grossi? Ci dev’essere stato un errore: gli alberi grandi dovrebbero fare frutti grandi e quelli piccoli li dovrebbero fare piccoli. Lo voglio dire al Signore che vi metta rimedio. Sì sì, in questo modo ci sarebbero ghiande, noci, ciliegie a volontà.»
Così pensando s’appisolò e poco dopo fu svegliato di soprassalto da una ghianda caduta da una fronda. Quando si fu riavuto, grattandosi la testa disse:
« Evidentemente Quello ha previsto proprio tutto: pensiamo un po’ che mi sarebbe successo ora se le ghiande fossero state grandi come le zucche! - meglio che tutto resti com’è! »
(da: La Bibbia dei poveri, di Carlo Lapucci, Mondatori 1985, p.39)
Il naso fra i libri
a cura di Sara Rivedi
S.Yizhar
La rabbia del vento
Einaudi 2005 pp.85 8.59€
Brevi cenni biografici
S.Yizhar, il cui vero nome è Yizhar Smilanski, è nato a Rehovot nel 1916, è uno scrittore ebreo di origine russa. Ha iniziato a scrivere intorno agli anni trenta. A quel tempo abitava nella Palestina posta sotto mandato britannico. Durante la guerra d’indipendenza ha combattuto nel Negev. Questa esperienza gli fu di ispirazione per molti suoi racconti. È stato docente all’Università di Tel Aviv ed è considerato uno dei padri fondatori della letteratura israeliana. Ha scritto due romanzi ed alcune raccolte di racconti, dei saggi e dei libri per ragazzi. La rabbia del vento è la prima sua opera pubblicata in Italia.
La rabbia del vento
Il breve romanzo, intenso e drammatico, narra l’esperienza vissuta da un gruppo di soldati israeliani che hanno avuto l’ordine di distruggere un villaggio palestinese e di evacuarne gli abitanti che saranno deportati nei campi profughi situati aldilà del confine. La vicenda si colloca alla fine degli anni quaranta, poco dopo la fondazione dello stato di Israele. Il narratore è uno dei giovani a cui è stata affidata la missione il quale, durante lo svolgersi dell’azione, mentre i suoi compagni eseguono gli ordini nella più totale indifferenza, anzi con fastidio, una punta di cinismo ed un atteggiamento supponente e sprezzante verso la popolazione araba ritenuta vile e paurosa, prova un senso di disagio e di vergogna per ciò che si accingono a fare. Dubita sulla opportunità dell’ordine che stanno eseguendo e tenta di coinvolgere il gruppo dei commilitoni manifestando a più riprese la sua perplessità, ma non incontra rispondenza, anzi un compagno lo rimbecca nervosamente mettendolo a tacere.
Il libro, quando fu pubblicato, nel 1949, suscitò in Israele un’ondata di forti polemiche ed un acceso dibattito sulle norme etiche che uno stato democratico dovrebbe rispettare e che riguardano anche i rapporti con il nemico. Per lungo tempo fu inserito nelle letture scolastiche; purtroppo in seguito, con l’inasprirsi delle vicende politiche, fu tolto dai programmi.
La narrazione inizia con un ritmo largo e maestoso, l’Autore si sofferma a descrivere la bellezza della campagna in una mattina invernale illuminata e scaldata dal sole. Durante la notte è caduta la pioggia ed ora l’aria è mite e le gocce rimaste sospese sui fili d’erba brillano, attorno al plotone che procede vigile ed attento verso il villaggio palestinese si apre a ventaglio la terra da millenni coltivata con fatica e dedizione dalla mano paziente dell’uomo e nel silenzio che tutto avvolge il narratore evoca rimandi biblici. Poi, al primo colpo di arma da fuoco, l’atmosfera pacifica ed incantata del paesaggio si frantuma, si spezza, il racconto assume toni concitati, gli abitanti terrorizzati si danno alla fuga, abbandonano disordinatamente le loro povere case che di lì a poco le cariche di esplosivo faranno saltare in aria, il ritmo si fa sempre più incalzante in un crescendo di paura e di tensione, in breve i palestinesi vengono raccolti e riuniti all’ombra di un alto sicomoro, caricati sui camion e strappati al loro habitat naturale, da quel momento uomini, per lo più vecchi, donne, bambini diverranno degli esuli che sperimenteranno lo sradicamento e lo straniamento. Tutto avviene nello spazio di poche ore , poi il silenzio scenderà sulla valle deserta e abbandonata, un silenzio gravido di disperazione e di dolore. L’Autore chiude così il suo libro:
“E quando avesse avvolto tutto…..allora Dio sarebbe sceso nella valle e vi avrebbe vagato per vedere se il grido giunto fino a Lui era così grande”.
Il giovane narrante, in cui si adombra lo scrittore, vittima di un dirompente dissidio interiore, confessa di aver tentato di cancellare dalla sua mente il ricordo di quella mattina sforzandosi di minimizzare l’episodio vissuto, sostituendo l’indifferenza al disagio morale e soprattutto giustificandolo come un’azione di guerra, un ordine militare a cui non era possibile sottrarsi. Quasi ad esorcizzare il tormento che lo angoscia e lo inquieta decide di descrivere come sono accaduti i fatti e così, con uno stile asciutto, conciso, essenziale narra, in tutta la sua cruda realtà, lo svolgersi della vicenda con la descrizione di una sequela di scene.
Il vecchio che si umilia e supplica i soldati affinché gli sia restituito il cammello che rappresenta tutto ciò che possiede, non sa l’infelice che dovrà abbandonare anche la casa ed il campicello!
Un altro vecchio, distrutto dalla paura, che implora pietà ed al tempo stesso ride, piange, vomita.
Due vecchie donne inebetite ed abbandonate a se stesse che sembrano attendere di essere soccorse da qualcuno.
Una giovane madre disperata che corre, urla, piange, con un neonato in braccio e l’altro figlio più grande attaccato alla gonna, la povera creatura intuisce che sta per perdere definitivamente il suo piccolo, povero mondo di certezze, il suo rifugio.
Un gruppo di ciechi che si tengono per mano e brancolano immersi nella loro notte senza fine.
Degli anziani personaggi, forse i notabili del villaggio, che attendono con aria dignitosa l’avvicinarsi della catastrofe che si ritrovano a vivere e dal loro volto traspare angoscia e sgomento.
Ma c’è anche la donna che piange silenziosamente ed avanza fiera e sprezzante, quasi a sfidare il nemico, tenendo per mano il figlioletto ed ignorando il drappello dei soldati.
Alla vista di questi sciagurati nel narratore cresce il senso di disagio, il suo pensiero va ad altri esuli, gli ebrei, il suo popolo di appartenenza, che nel corso della storia sovente sono stati simili ad “un gregge spaventato, silenzioso, sospirante” . Non può più tacere e, rivolto ad un compagno ma è come se lo gridasse al mondo intero, esclama: “È proprio necessario mandarli via ? Che male possono fare ? I giovani sono scappati….che bisogno c’è ?”.
Sono domande a cui nessuno risponderà, ma che lasceranno il segno nel giovane e sensibile soldato.
La Claudiana segnala un piccolo, ma interessante libricino scritto da Eric Noffke dal titolo "Il Vangelo di Giuda. La verita' storica tra scoop e pregiudizi" (84 pp., Euro 6,00).
Negli anni Settanta del Novecento, in Egitto venne rinvenuto un codice
del IV secolo in lingua copta, traduzione di uno scritto gnostico del
II secolo, il Vangelo di Giuda.
Il testo - che non fornisce informazioni di rilievo sul cristianesimo
delle origini ma è assai prezioso per lo studio dei gruppi
gnostici del
tempo - riporta il resoconto della rivelazione di Gesù a Giuda
sul senso della propria missione nonché sulla realtà del
peccato e della salvezza. Da esecrato traditore, Giuda diviene un
importante tassello dell'opera di salvezza del genere umano.
Oltre alla figura di Giuda, rivalutata nella sua dimensione tragica, da
queste pagine emerge così un cristianesimo "alla
rovescia", una fede diversa, messa ai margini dalla storia e a lungo
celata.
Notizie dalle chiese fiorentine
Chiesa Metodista
Continuiamo a lottare! Questo mese inizieremo con il primo gruppo in casa. Vogliamo anche fare un esperimento con il titolo di un libro, nelle scuole come nella chiesa: “Come rovinare un figlio in dieci mosse”. Vedremo se questo fa agire i genitori.
Faremo “chiesa insieme” ad un gruppo russo e rumeno il 1 aprile. La sera del 6 aprile avremo una “cena pasquale” alle ore 20.
Per Pasqua staremo all’alba con Cristo e prenderemo insieme la prima colazione. Alle ore 10.30: culto di risurrezione. Il 25 aprile continueremo con il corso per le coppie, il 19 aprile con la celebrazione del corso Alfa. Continuiamo a lottare!
Augusto Giron
Chiesa Valdese
I culti e le attività si sono concentrati in Via Manzoni fino al 1° aprile quando torneremo a Via Micheli con il Culto delle Palme al quale parteciperà un Coro Gospel. L’agape sarà al solito in Via Manzoni e poi seguirà un’assemblea a tema, che, questa volta, sarà riservata ai soli membri. Si discuterà il documento elaborato dal Glom (della FCEI) sulla “omoaffettività” e la richiesta alle chiese evangeliche di “benedire” anche le convivenze di persone dello stesso sesso.
Il culto del 4 marzo è stato presieduto da Davide Buttitta; la predicazione del 11 era del past. Franco Carri, a Firenze per il Convegno della Diaconia, e quella del 18 del past. Giovanni Conte, che invece era stato trattenuto a Firenze dai medici per motivi di salute. A tutti va il nostro ringraziamento.
Molti fratelli e sorelle sono stati in ospedale e hanno subito interventi: Franca Malapelle, Francesco Amato, Rosetta Canonizzo, Piero Chiostri, Norma Mazzarino, Eva Conforti, Margherita Caporali.
A tutti va il nostro pensiero affettuoso e la preghiera al Signore perché vengano ristabiliti. Abbiamo seguito con particolare trepidazione l’operazione al cuore della piccola Miriam Rinaldi, che, grazie a Dio, è andata molto bene e la piccola si rimette a meraviglia!
Sono morti: la nonna di Fabio Traversari e il suocero di Michele Monsignore. A queste famiglie va ancora la nostra solidale simpatia.
Il 28 marzo verrà festeggiato il compleanno di Marcella Olivieri ad un traguardo importante (80 anni!), ma non ancora preoccupante, vista la sua vitalità e quella del suo compagno Ernesto: auguri di cuore e a rivederci ai 90!
Il 31 marzo siamo invitati (tutte le chiese) al “sabato avventista” delle Palme, mentre per il Venerdì Santo prevediamo un culto-concerto in Via Micheli con la partecipazione di un grande organista, il maestro Jolando Scarpa della Chiesa Metodista di Bologna. Il Culto di Pasqua sarà al solito nella Chiesa della Trinità alle ore 10.30.
I predicatori locali sono invitati a Pisa per un incontro di aggiornamento, organizzato dal Circuito, domenica 15 aprile. I giovani parteciperanno al convegno “Osare la pace per fede 2” che si terrà a Milano il 14-15 aprile, convegno che continua quello ospitato da noi nel 2004.
Chiesa Battista
Il culto domenicale prosegue con inizio alle 11:00. E' preceduto dallo studio biblico del Past. Raffaele Volpe sul Vangelo di Matteo delle ore 9:15. Il Mercoledì sera, alle ore 19:45, si continua a studiare il libro del Profeta Isaia (a partire dal capitolo 40): gli studi sono curati dalla sorella Patrizia Sciumbata. Tutti i materiali sono disponibili sul sito internet all'indirizzo:
http://chbattistaborgognissanti.interfree.org
Il 3 marzo, di fronte ad una ventina di partecipanti, la sorella Serena Innocenti ha tenuto un seminario sul tema “Il protestantesimo come orizzonte dell'identità femminile”. Una cena-buffet ha chiuso la serata.
Domenica 11 marzo, dopo una frugale agape a base di Lasagne alla Thomas Muntzer, si è tenuta l'Assemblea finanziaria. Subito dopo si è riunito il Consiglio di Chiesa.
Sabato 17 marzo e Domenica 18 la pastora Lidia Maggi ha curato un “week-end teologico” dedicato al tema della preghiera: un interessante seminario sabato sera (25 presenti circa), seguito da un'originale predicazione domenica mattina.
Proseguono gli incontri di preghiera nelle case: Brandoli-Tonarelli, Baconi-Magherini e presso Gloriana Innocenti. Purtroppo significativa è la lista dei fratelli e delle sorelle con problemi di precarietà di ogni genere, salute, casa, lavoro: a loro il pensiero e l'affetto di tutta la comunità.
Appuntamenti di aprile
31 marzo culto comune delle chiese evangeliche fiorentine
Alle ore 10 in via del Percolino 1, presso la Chiesa Evangelica Avventista; con predicazione della past. Gianna Sciclone.
6 aprile “Venerdì Santo” Culto-concerto presso la Chiesa Valdese alle ore 18, con la partecipazione dell’organista Jolando Scarpa della Chiesa Metodista di Bologna.
14-15 aprile a Milano: Secondo incontro ecumenico nazionale di giovani: “Osare la pace per fede” in preparazione della Terza Assemblea Ecumenica Europea “Rischiarare le tenebre: la luce di Cristo e la giustizia del Regno”.
18 aprile mercoledì alle ore 21 in Via Spaventa 3 incontro interreligioso “Il volto di Dio” con il rav Joseph Levi, don Giorgio Mazzanti, e l’imam Izzedin Elzir.
27 aprile venerdì alle 18.30 in Via Manzoni, conferenza del Centro Vermigli su “La famiglia ieri e oggi: il punto di vista cattolico” conferenza di Mons. Enzo Chiavacci.
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