Il nostro è un testo molto antico del cammino nel deserto, ricorda una doppia “mormorazione” per il cibo da parte del popolo e per uno “sgravio di responsabilità” da parte di Mosé. Si stabilisce nel racconto un interessante rapporto fra la distribuzione dei beni fondamentali e la condivisione dell’amministrazione. Il popolo è stanco della manna, che rappresenta la risposta più immediata ed elementare (ne fanno focacce), desidera qualcosa di più: carne da mangiare in abbondanza; ma come procurarne per milioni di persone, senza intaccare le povere risorse delle greggi che si portano dietro? Mosé, dal canto suo, è stanco di dover sempre risolvere i problemi. Lo sentiamo rivolgersi a Dio, perfino con troppa confidenza, a rimproverare Dio stesso, perché non si arrangi da solo a rispondere alle richieste del popolo che diventa sempre più esigente.
Il popolo in marcia è definito al v. 4: “un’accozzaglia raccogliticcia” che si era unito ai fuggiaschi in cerca anch’essi di una “terra promessa”. Come dire: gli stranieri che cosa vengono a cercare da noi, che non c’è lavoro neanche per i nostri figli… poi hanno sempre maggiori pretese, vorrebbero anche le case popolari, e i contributi per la pensione… I discorsi che sentiamo fare sull’autobus. Nelle esigenze, non sembrano esserci differenze fra gli israeliti regolari e gli stranieri che si sono uniti a loro; quando poi si tratta di scegliere dei capi, sembra che essi vengano scelti fra i responsabili delle tribù d’Israele. Ma ce ne sono due fuori squadra e anch’essi riceveranno lo Spirito.
Dio risponde in due modi, dopo l’affermazione famosa “La mano del Signore si è forse accorciata? Ora vedrai…” (v.23): prima c’è l’organizzazione dell’amministrazione, lo Spirito di Dio scende su 70 persone che diventano “responsabili” insieme a Mosé. Poi ci sarà il passaggio e l’invasione delle quaglie nel campo, in modo che tutti abbiano abbondanza di carne per tanto tempo.
La discesa dello Spirito sui 70 responsabili li fa diventare “profeti” ed essi profetizzano nella tenda di convegno, con l’aggiunta di due che non ci sono andati e profetizzano nell’accampamento. Non è dato di sapere cosa abbiano profetizzato; come più tardi anche dei discepoli si dirà solo che parlavano delle cose grandi di Dio e tutti li capivano nella propria lingua materna. In un tempo di capi carismatici i “profeti” sono persone-guida a somiglianza di Mosé. Più tardi ci saranno re, capi militari, sacerdoti e via di seguito.
C’è come uno scollamento fra il popolo e i suoi capi, forse c’è sempre stato dacché esiste il mondo. D’altronde quando non c’è nessun capo, di nessun tipo, si finisce nell’anarchia assoluta, il più forte comanda e arraffa tutto quello che trova; il delitto rimane impunito e il popolo è solo una “accozzaglia di gente raccogliticcia”. Dei capi devono esserci, ma un capo isolato soffre ben presto di sindrome-da-troppo-da-fare e cade in depressione… Mosé parla ben due volte del popolo come di un “peso insopportabile” o “troppo gravoso”. Come conosciamo bene il fenomeno! I politici si lamentano per la poco partecipazione della gente, la gente si lamenta dei politici perché ricevono troppi soldi e fanno troppo poco per il bene comune.
Ma si può e si deve passare dalla mormorazione alla risoluzione. Il braccio del Signore si è forse accorciato? L’amministrazione sarà condivisa e nessuno avrà lo Spirito del Signore da solo, anche se lo meritasse (come Mosé).
Il profeta Gioele più tardi dirà la promessa del Signore del dono del suo Spirito: sui vecchi e sui giovani, sugli uomini e sulle donne, perfino sui servi e sulle serve. Non si prevede che ci sia un merito particolare, né che ci siano delle categorie più predisposte di altre, non è previsto un clero messo a parte per lo Spirito. Tutte le divisioni che noi umani abbiamo creato sono delle “prove” di conduzione e gestione dei beni da condividere sulla terra. Nessuno dovrà restarne escluso e chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvato!
Pastora
Gianna Sciclone, Chiesa Evangelica Valdese di Firenze, Domenica 27
Maggio 2007 Pentecoste