Matteo 12,38-42

Vedere i segni dell’Amore



«Maestro, noi vorremmo vedere da te qualche segno», la richiesta di alcuni “scribi e farisei” rivolta a Gesù è del tutto legittima. Essi ragionano con il proposito di paragonare Gesù a Mosè. Infatti, Mosè e Aaronne hanno rivelato il progetto di Dio attraverso una serie di segni (cfr. Esodo, capitoli 7-11). Nel linguaggio biblico il termine sêmeion indica generalmente un segno miracoloso, vale a dire uno stravolgimento della realtà ordinaria. Tutte le religioni hanno giocato molto su questa dimensione. Ancora oggi in alcune correnti carismatiche del cristianesimo la ricerca del “segno” fa parte del percorso di fede. Nel cattolicesimo romano il “segno” cioè un miracolo è indispensabile per proclamare una persona beata o santa.

Il nostro brano ci fa comprendere però un atteggiamento piuttosto critico che il cristianesimo delle origini ha manifestato nei confronti di tale ricerca. Nelle risposte che Gesù dà ai suoi interlocutori risuona, infatti, la voce della comunità post-pasquale che si è interrogata profondamente sul significato dei segni ricevuti. Infatti Matteo racconta nei capitoli precedenti alcune guarigioni e narra persino l'episodio di una ragazza (apparentemente?) morta ritornata alla vita (Matteo 9,18-26). Il segno per eccellenza è tuttavia la risurrezione di Gesù, letta alla luce del libro di Giona. Non dimentichiamo il racconto di Giona fortemente simbolico è stato interpretato dai seguaci di Gesù sin dall'inizio come profezia della sua risurrezione. Ninive, la grande capitale imperiale indica invece l'intero mondo dei gojim che riscoprono la fede nel Dio d'Israele. La stessa cosa vale anche per la “regina del mezzogiorno” (cfr. 1 Re 10,1-10). In questo caso però viene richiamata la figura di Salomone. Salomone rappresenta simbolicamente sia la perfezione del governo sia la somma saggezza.

Credo però che la vera chiave interpretativa dell'intero brano è la parola greca pleion (più grande, di più). La sintassi di questa frase è un po' particolare. L'aggettivo non si riferisce direttamente a Gesù bensì all'intera realtà dell'annuncio evangelico. Chi legge questo testo o lo ascolta è dunque portato verso una realtà più grande. Una realtà che trascende la storia con tutte le sue contingenze.

Meditare questo testo proprio oggi può avere almeno due risvolti. Il primo è quello di sempre: la nostra ricerca personale di un segno che possa confermare la credibilità della fede, anzi della fiducia che abbiamo riposto in Dio per mezzo di Cristo Gesù. La risposta rimane però quella di sempre. Qualunque segno, positivo o negativo abbia scalfito la nostra esistenza, il segno è uno solo: la risurrezione di Gesù e quindi anche la nostra risurrezione.

Il secondo risvolto è la realtà che ci circonda. È una realtà assai carica di eventi: la tragedia del Giappone e della Libia; l'isola di Lampedusa che versa in una situazione particolarmente drammatica... Ho elencato semplicemente le notizie di prima pagina del giornale di ieri. Sono convinto che questi eventi si possano inserire nella categoria dei “segni”. Per non essere portati fuori strada nella loro interpretazione è importante la luce della Rivelazione di Dio. Il segno ha una caratteristica particolare: il suo significato non è equivoco. Non è un simbolo che si presta a molteplici interpretazioni.

Ogni atteggiamento di rassegnazione rivela la precarietà della nostra condizione e l'insufficienza delle nostre forze.

Ogni freddo calcolo di possibili affari da concludere o da perdere rivela la cecità umana che non vede oltre la coltre dell'autoreferenzialità.

Ogni azione di solidarietà, di altruismo (penso ai tecnici rimasti nella centrale nucleare di Fukushima) sono raggi di luce che rivelano un Amore più grande di ogni capacità di amare puramente umana.

Predicazione del Past. Pawel Gajewski, Chiesa Valdese di Firenze, Domenica 20 Marzo 2011