Colossesi 4,2-6

Una sinfonia di voci e silenzi

2 Perseverate nella preghiera, vegliando in essa con rendimento di grazie.
3 Pregate nello stesso tempo anche per noi, affinché Dio ci apra una porta per la parola,
perché possiamo annunziare il mistero di Cristo, a motivo del quale mi trovo prigioniero,
4 e che io lo faccia conoscere, parlandone come devo.
5 Comportatevi con saggezza verso quelli di fuori, ricuperando il tempo.
6 Il vostro parlare sia sempre con grazia, condito con sale, per sapere come dovete rispondere a ciascuno.

Colpisce subito la particolare struttura di questo breve testo. I primi tre versetti sono scritti in un tono assai personale, i due successivi sembrano invece far parte di una tradizione sapienziale di notevole spessore. È un particolare riscontrabile in tutta la Lettera ai Colossesi. Personalmente condivido il parere degli studiosi (Yann Redaliè, Giuseppe Barbaglio) che collocano questo scritto nella dimensione deutero-paolina, ovvero “Paolo dopo Paolo”. L'ipotesi più accreditata oggi è quella che afferma che da alcuni frammenti di testi, inviati sicuramente da Paolo durante la sua prigionia, la comunità post-apostolica abbia redatto in particolare due epistole: agli Efesini e ai Colossesi appunto. Le convergenze tra i due scritti sono notevoli e anche il ricorso a una tradizione sapienziale ebraica è simile.

La prima parte del testo è un’esortazione a perseverare nella preghiera. Su un secondo piano lo scrivente affida alle preghiere della comunità la sua missione di annunciare il mistero di Cristo. In un modo un quasi paradossale la prigionia diventa un'occasione propizia per questa missione. La seconda parte invece riprende l'insegnamento delle Scritture ebraiche: Proverbi 10,32; 15,23; 25,11; Ecclesiaste 10,12 – sono i riferimenti più evidenti. Non è immediatamente comprensibile l'espressione “condito con sale”. All'interno del Nuovo Testamento il sale è identificato con la sapienza evangelica: Matteo 5,13; Marco 9,50; Luca 14,34. In una prospettiva più ampia e piuttosto diffusa nella cultura del I secolo dopo Cristo il sale significava però anche un elemento neutro in una particolare triade con il mercurio e lo zolfo, dove gli altri due elementi simboleggiavano i due opposti che si attirano, che hanno bisogno l'uno dell'altro trovandosi però in una polarizzazione fortissima. Detto in termini odierni il sale simboleggia la capacità di sintesi e di mediazione tra due tesi apparentemente inconciliabili ma complementari nella loro sostanza.

Ritorniamo però alla preghiera. Il verbo utilizzato dall'autore dello scritto fa riferimento al sostantivo greco “proseuche” che solitamente viene tradotto con “preghiera”. L'etimologia di questo termine indica però non tanto un atto particolare quanto un luogo isolato dal resto dello spazio e dedicato esclusivamente al contatto con l'assoluto. Si potrebbe dire “tempio” nel nostro linguaggio. A questo proposito vale la pena ricordare le parole di Gesù in Matteo 6, 5-7: Quando pregate, non siate simili agli ipocriti che amano pregare stando ritti nelle sinagoghe e negli angoli delle piazze, per essere visti dagli uomini. In verità vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. Tu invece, quando preghi, entra nella tua camera e, chiusa la porta, prega il Padre tuo nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà. Pregando poi, non sprecate parole come i pagani, i quali credono di venire ascoltati a forza di parole.

Credo che ogni commento sia superfluo. Sarebbe più opportuna una sintesi. Eccola: il silenzio esercitato nel tempio interiore affinché si possa comprendere la voce dell'Altro. Poi dal silenzio si passerà alla parola. La parola condita con il sale. Peccato che nella vita quotidiana dominino parole cariche di zolfo, segnate della potenza incendiante di questa sostanza, non sono però più rare parole al mercurio, se pensiamo alla liquidità di questo metallo che riesce a penetrare in ogni solco in ogni fessura, anche invisibile, diventando talvolta un potente veleno.

Prendiamo dunque sul serio l'esortazione che contiene questo testo ed esercitiamo più spesso possibile il raccoglimento e la capacità di ascolto. Così le nostre parole anziché diventare veleni o dardi infocati che seminano distruzione si trasformeranno in una stupenda sinfonia in cui confluiscono tutte le voci nella perfetta alternanza tra silenzi e suoni.

 

Predicazione del Past. Pawel Gajewski, Chiesa Valdese di Firenze, Domenica 13 Maggio 2012