Il capitolo 3 del Genesi è assai carico di drammaticità. Nella perfetta armonia del creato, nella paradisiaca beatitudine dell'essere umano si inserisce una nota destinata a cambiare il tenore e il ritmo della narrazione. È come se nell'ascolto della musica volessimo passare dalla Primavera delle Quattro Stagioni di Antonio Vivaldi alle prime note della Quinta Sinfonia di Ludwig van Beethoven.
Giovanni Calvino nel suo Commentario su Genesi definisce il contenuto di questo racconto come spiegazione come l'uomo […] si sia rivoltato contro Dio e sia stato interamente cambiato e degradato a tal punto che l'immagine di Dio in lui, alla quale era stato formato, è stata cancellata.
Più volte a proposito di questo racconto ho dovuto affrontare un interrogativo carico d'angoscia: Come mai Dio si sia comportato con tanta severità nei confronti dell'essere umano?
Per rispondere a questa domanda è necessario mettere in chiaro alcune regole che riguardano l'interpretazione del testo biblico, ovvero è necessario chiarire il concetto di verità. La domanda posta così significa che la persona che la pone interpreta il testo biblico come narrazione dei fatti realmente accaduti; come se leggesse la cronaca degli eventi appena accaduti fatta da un buon giornalista. È importante ricordare ancora una volta che la Bibbia non è una cronaca (non lo sono nemmeno i due Libri delle Cronache) degli eventi; la Bibbia è un'interpretazione ispirata di alcuni eventi del passato, alcuni di essi fondanti e fondamentale per la storia umana, un'interpretazione orientata a rivelare la verità “oggettiva” non tanto su tali eventi ma piuttosto sul nostro essere in rapporto con Dio.
La domanda che dobbiamo affrontare non è dunque quella sulla severità di Dio. Il vero problema è la natura umana perennemente in tensione tra malvagità e nobiltà; la vera domanda alla quale il testo propone la risposta e la situazione del mondo continuamente sospeso tra progresso e degenerazione. Queste domande sono insite nella nostra natura da quando abbiamo cominciato a riflettere criticamente.
Ed ecco le Scritture ci propongono una riposta, una riposta che punta sull'abuso della libertà vista come perfetta somiglianza a Dio. Il nostro errore consiste però nell'andare in cerca di una libertà autonoma, completamente scissa da Dio. La narrazione di Genesi 3 non si ferma però su questo aspetto. La parte finale del racconto infonde speranza. La situazione in cui ci troviamo è provvisoria e noi siamo stati già inseriti da Dio in un processo di redenzione dell'abuso della libertà.
Va da sé noi cristiani interpretiamo il versetto 15 in cui Dio si rivolge al serpente (Io porrò inimicizia fra te e la donna, e fra la tua progenie e la progenie di lei; questa progenie ti schiaccerà il capo e tu le ferirai il calcagno) come “proto-evangelo”, vale a dire in chiave assolutamente cristocentrica. La figura del serpente ha sempre destato tanta curiosità. Chi è il serpente? Che cosa rappresenta? Walter Bruggemann nel suo commentario propone una risposta che io condivido pienamente: Qualunque cosa potesse simboleggiare nelle versioni primitive del racconto, nel racconto attuale non ha alcun significato indipendente. È uno stratagemma per far progredire il racconto. Non è un simbolo fallico, né satana, né un principio del male, né la morte. È un personaggio del dramma.
Avviandomi verso la conclusione di questa riflessione traggo da Bruggemann anche la sua interpretazione teologica e pastorale dell'intero racconto: Questo racconto è una critica teologica dell'ansia. La libertà che non ha coscienza dei limiti della vita umana ci lascia in balìa dell'ansia. L'ansia è la nostra afflizione quotidiana. La sperimentiamo anche nella nostra chiesa, talvolta molto dolorosamente. L'ansia domina l'uomo e la donna; il serpente ne diventa un'esternazione. E così i nostri progenitori ritengono che sostituirsi a Dio, possa annullare l'ansia che li pervade.
Sostituirsi a Dio vuol dire pretendere la perfezione sempre ovunque e a ogni costo. Sostituirsi a Dio porta all'attivismo esasperato in cui non c'è più alcun spazio per l'altro (l'ALTRO). La verità è invece diversa. È solo Dio, l'ALTRO a poter sconfiggere l'ansia che ci pervade. È bene che questo ragionamento venga accostato alle parole di Gesù sull'ansia (Matteo 6,25-33). Il non affidare a Dio le nostre vite conduce alla morte. Rivolgersi a lui abbandonando il nostro presunto benessere e aprendosi ai Suoi doni e ai Sui progetti per noi è il modo migliore per avviarci verso il paradiso che non è perduto.
Predicazione del Past. Pawel Gajewski, Chiesa Valdese di Firenze, Domenica 6 Marzo 2011