Un solo Signore, Gesù Cristo


(testo di riferimento: 1 Cor.8,6)

Veniamo al "secondo capitolo del Credo", quello su Gesù,  molto più lungo e dettagliato di quello su Dio (3 righe nel testo greco contro 19), o di quello sullo Spirito (5 righe). La prima parte cerca di definire Gesù nel suo rapporto con Dio (il Figlio Unigenito, la preesistenza, la partecipazione alla creazione), poi descrive cosa Gesù ha fatto (per noi e per la nostra salvezza è sceso...), è nato, è morto, è risuscitato, deve tornare in gloria, a giudicare... Noi dovremo necessariamente riassumere alcuni concetti e sfrondare le ripetizioni, anche se a quelli che le hanno formulate non dovevano apparire tali e probabilmente sono costate anni di dibattito, separazioni dolorose e più tardi sono state perfino causa di guerra fratricida e assassinio degli avversari.

Il termine "Signore" (Kyrios) traduce nella LXX (traduzione greca dell'Antico Testamento) il termine Adonai, con cui viene letto il Tetragramma impronunciabile, inteso come il vero nome di Dio. Sappiamo che gli ebrei lo pronunciano Adonai nelle preghiere, oppure nei brani di studio o di semplice lettura lo leggono Ha-shem, che vuol dire "il Nome". Quando Gesù viene chiamato Kyrios, nei suoi incontri terreni, può essere che questo termine venga usato come semplice appellativo di riguardo, come lo usiamo noi coi nostri vicini, oppure se ciò avviene dopo una manifestazione importante della forza dello Spirito, che opera in Gesù, diventa una proclamazione, una confessione di fede: è il caso per esempio del cieco-nato la cui guarigione è raccontata nel cap.9 del Vangelo di Giovanni, che alla domanda di Gesù "Credi nel Figlio dell'Uomo", risponde "Chi è, Signore, perché io creda in lui?" e dopo la autorivelazione di Gesù esclama "Signore, io credo" (v.38). Il cieco guarito usa in tutti e due i sensi il termine Signore: la seconda volta è l'equivalente della dichiarazione del Credo. Un altro caso celebre è quello del discepolo Tommaso, che, quando Gesù risorto torna tra i discepoli e lo rimprovera di essere incredulo, esclama "Signore mio e Dio mio!" (Gv.20,28).

Il Credo utilizza una delle più antiche confessioni di fede del Nuovo Testamento: "Gesù è il Signore", menzionata nella 1 Cor.12, 3, o nell'inno di Fil.2, 9-11, dove c'è anche un vero e proprio discorso sul Nome. E' importante per noi che sia la prima cosa che si dice su Gesù, ancor prima di descrivere la sua venuta e la sua azione nel mondo. Si dice infatti che l'impronunciabile nome di Dio si lascia pronunciare, che il Nome diventa una persona con una identità che sarà l'identità nuova anche di noi esseri umani, che vivendo come suoi discepoli impareremo ad amare e a vivere nella pace, e così saremo chiamati "figli di Dio". Dicendo per prima cosa che Gesù è il Signore, diciamo che s'identifica in lui lo stesso Dio che ha parlato con Mosé rivelandogli il suo Nome, che ha parlato al suo popolo attraverso i profeti, che ha eletto Davide come re e gli ha promesso un Regno spirituale a cui tutti gli esseri umani avrebbero fatto riferimento nei secoli. Il misterioso racconto della "trasfigurazione di Gesù" è un'indicazione in questo senso: Gesù è con Mosé ed Elia e la nuvola raffigura la presenza di Dio che prende possesso di Gesù.

Non solo Gesù è il Signore, ma è "il solo" Signore. Il Credo usa qui numerosi riferimenti biblici, come 1 Cor.8, 4-6 dove l'unicità viene riferita sia a Dio che a Gesù, contro idoli e falsi dèi, o Efes.4, 5 dove si includono nell'unicità anche lo Spirito, la fede, il battesimo, la speranza e la vocazione. L'unicità si iscrive nel rigoroso monoteismo ebraico, ma ha anche dei risvolti politici. Kyrios-Signore era il termine con il quale si offriva incenso all'imperatore e dunque si dichiarava la propria obbedienza e sottomissione a una struttura di potere che era quella esistente. I cristiani dei primi tre secoli sono stati perseguitati ed uccisi perché non erano in consonanza con l'Impero Romano, non offrivano incenso all'imperatore, non potevano dunque ricoprire cariche pubbliche, né militari. Erano marginali rispetto alla fiorente cultura ellenistica e poi romana. La dichiarazione "Gesù è il solo Signore" non può non avere un risvolto polemico, che si sottrae al regime imperiale e alla cosiddetta "pax romana" che consisteva nella conquista e nella imposizione delle proprie strutture politiche ed economiche (vie di comunicazione, prefetti per il mantenimento dell'ordine, tasse, lingua ufficiale, rapporti commerciali e così via).

Oggi assistiamo alla volontà di imporre analoghi sistemi imperiali con il ripetuto scopo di imporre una "pace mondiale" che dovrebbe evitare i pericoli del terrorismo, ma rischia di irritare e rendere ancora più disumani e fragili i rapporti tra i popoli, perché moltiplica la violenza, crea umiliazione e desiderio di vendetta. Se si vuole la pace non si deve preparare una guerra. I latini usavano il proverbio: "si vis pacem para bellum", ma appunto in quel quadro pagano imperialistico. Lo slogan americano "Enduring Freedom" mentre si mobilita l'esercito, si spostano aerei ed armi, le più moderne e sofisticate, contro l'Iraq, appare una specie di bestemmia: quello che rischia di "durare" è il terrorismo e non certo la pace! La beatitudine pronunciata da Gesù sui "facitori di pace" è ben altra cosa; è seguire disarmati il Signore che, piuttosto che farsi difendere con l'uso delle armi, dice a Pietro: "Riponi la spada al suo posto, perché tutti quelli che prendono la spada periranno di spada" (Mt.26,52).

"Signore" è spesso contrapposto nella Bibbia a servo, con il signifcato di "padrone"; anche in questo senso è molto usato sia nelle parabole di Gesù, dove spesso si parla di Dio come di un padrone di casa (o della vigna ecc.), sia nella terminologia dell'apostolo Paolo, che ama definirsi "schiavo" del Signore Gesù Cristo. Nella metafora si vuol esprimere anche qui un distacco e una rottura rispetto agli schemi umani, per cui la vera libertà consiste nell'esser "servo di Cristo" e di nessun altro, nemmeno di sé stessi, perché il servizio di Dio e del prossimo è la nuova identità dei "figli di Dio". Naturalmente la chiesa primitiva, che era fatta come noi di esseri umani, non ha capito fino in fondo né ha potuto portare fino alle conseguenze storiche concrete questo rovesciamento.

Le chiese come comunità concrete dovevano (e certamente in parte lo facevano) realizzare delle piccole società diverse, dove le donne e gli schiavi erano discepoli come gli uomini liberi, ma ben presto si sono lasciate irretire dai meccanismi e dalle strutture che sono difficili da cancellare. Nell'incontro dello Joint Committee della KEK e del Consiglio dei Vescovi d'Europa della scorsa settimana, un metropolita ortodosso (Daniel di Jashi), ha denunciato la forza dei modelli mondani di potere che ognuno ha in mente: la chiesa cattolica ha ereditato e adottato le strutture del Sacro Romano Impero, con pochi aggiustamenti; le chiese della KEK forse sono le continuatrici del "Sinedrio" ebraico, dove gli anziani facevano consiglio ed emettevano sentenze. Ma la comuinione fra le chiese (koinonia) è ben altra cosa. C'è anche necessità di adoperare e adattare gli strumenti umani, senza sempre inventarne di nuovi; egli suggeriva infatti di adottare per l'ecumenismo il modello dell'Unione Europea, nella quale gli stati cooperano fra loro senza creare un super-Stato e senza rinunciare alle loro identità, lingua, forma, ma accettando di avere insieme comunicazioni, servizi, moneta, un certo controllo reciproco per la difesa dei diritti umani.

Gesù Cristo come "Signore" potrebbe voler dire rompere la struttura imperialista e accettare su di sé e annunciare la possibilità di servizio ai minimi del mondo, che sono quelli che Gesù è venuto a salvare ("Gesù" vuol dire "salvezza"). Le chiese cristiane devono questo servizio al mondo e non certo affermare la propria cultura e potenza; questo significa anche per noi un cambiamento radicale di riferimenti e di immaginario per identificarci nei discepoli disarmati di un Signore-Servo di tutti e di ognuno, la cui storia è venuta a cambiare la storia del nostro mondo.