Un evangelo svelato

II Corinzi 4, 3-6

 

Perché la predicazione dell’evangelo è così poco efficace? In una città di mezzo milione di abitanti il numero dei credenti cristiani si conta soltanto in centinaia, o, al massimo in qualche migliaio. E un problema che si pongono molte chiese, tra queste senz’altro anche la nostra. Perché la persona cui voglio bene, che vive al mio fianco, come compagno o compagna di vita, sembra impermeabile al messaggio evangelico? Perché i miei figli che hanno ricevuto una buona educazione evangelica sono così lontani oggi dalla vita della chiesa? Sono convinto che la maggior parte di noi ha trovato appropriata alla sua situazione personale almeno una di queste domande. Sono i principali “perché” che ci tormentano ogni giorno. La certezza che questi “perché” sono vecchi come il cristianesimo stesso sembra una consolazione piuttosto magra.

Il brano che abbiamo appena letto non è tuttavia una semplice conferma dell’eterna attualità di alcuni problemi pastorali. L’apostolo Paolo propone delle risposte. Prima di addentrarci in questo campo particolarmente sensibile, proviamo ad esplorare un terreno più neutro e più sicuro, quello delle metafore usate dall’autore dell’epistola.

La metafora principale è quella della luce. Nell’antica tradizione cristiana, prima della comune esaltazione del Natale, legato in sostanza alla religiosità imperiale, si festeggiava con grande convinzione la festa dell’epifania. Il termine “epifania” preso alla lettera significa l’apparizione di un sovrano vittorioso o di un eroe. I cristiani, molto correttamente hanno applicato la categoria dell’epifania a Gesù Cristo, figlio di Dio, e quindi re dei re, sovrano assoluto della storia umana. Nei vangeli sinottici l’epifania di Gesù assume i tratti di una suggestiva narrazione legata ai magi d’Oriente, venuti ad adorare il neonato (Matteo 2,1-12). Luca nel capitolo 2 del suo vangelo costruisce una narrazione diversa e molto più estesa che parte dall’adorazione dei pastori e, attraverso diversi episodi legati all’infanzia di Gesù, e al tempio di Gerusalemme (Simeone e Anna, Gesù dodicenne nel tempio) ci porta verso il battesimo di Gesù. Sulla questione del battesimo di Gesù inteso come epifania concordano in sostanza tutti e quattro i vangeli.

Paolo tuttavia scrive la sua Seconda lettera ai Corinzi molti anni prima del sorgere delle narrazioni appena elencate. Per lui conta qualcosa altro. Il mondo è stato rinnovato, in altre parole, creato di nuovo. Vediamo questa allusione nel v. 6 del nostro testo, un versetto che si riferisce chiaramente a Gen. 1,3. Mentre la prima creazione significa la comparsa di tutto ciò che esiste, l’essere umano compreso, la seconda vuoi dire la trasformazione radicale dell’essere; una trasformazione che inizia proprio con l’essere umano, quasi al contrario della prima creazione. Per questo motivo Paolo usa la metafora della luce. Non è una luce qualsiasi, non si tratta neanche della luce comparsa all’inizio della creazione. E una luce ben definita e quindi unica: la luce della conoscenza della gloria di Dio che rifulge nel volto di Gesù Cristo (v. 6). Quando nella seconda metà del Cinquecento i ginevrini incidevano nel loro sigillo cittadino " post tenebras lux", quando intorno al 1620 i nostri antenati valdesi adottavano lo stemma recante la scritta “Lux Lucet in tenebris”, si trattava sempre di questa luce, strettamente legata alla conoscenza della gloria di Dio.

Abbandoniamo ora il terreno della nostra riflessione teologica sulla luce, per affrontare le risposte che Paolo dà ai nostri (e ai suoi) tormenti pastorali ed esistenziali. Prima di tutto compare un’altra metafora, quella del velo, di un evangelo velato. È una metafora geniale. Sì, la predicazione annuncia un evangelo che non è immediatamente comprensibile. Chiunque può distinguerne la sagoma, qualche suo tratto distintivo...La visione nitida della pienezza dell’evangelo, dei suoi colori, dei suoi riflessi sembra invece una capacità di pochi. Un altro possibile significato dell’epifania è appunto lo svelamento, in altre parole l’atto di togliere il velo. Chi può togliere il velo dall’evangelo annunciato da Paolo e da tanti altri predicatori? Giovanni Calvino ci dà su questo argomento un’indicazione precisa: è Dio stesso con la luce interiore dello Spirito Santo a togliere il velo dall’evangelo, a renderne chiara la ricezione.

Rimangono tuttavia da esplorare un tema abbastanza delicato: la via della perdizione e gli increduli ai quali il dio di questo mondo ha accecato le menti. Non è un linguaggio cui siamo abituati. Con una punta di sufficienza lo liquidiamo come “discorso di basso spessore teologico”, o, addirittura, “moralismo”. Eppure con tutta l’onestà intellettuale dobbiamo riconoscere che l’umanità procede oggi a passo spedito verso l’autodistruzione. Le tendenze autodistruttive dell’essere umano non sono una novità, solo che oggi la velocità con cui esso procede su questa via è aumentata vertiginosamente. I rifiuti che invadono la regione Campania, gli alti forni che esplodono a Torino ne sono solo una timida avvisaglia.

Il dio di questo mondo si chiamo oggi “now generation” ovvero una generazione dell'ora”. Una generazione che pretende che ogni suo desiderio, nobile (matrimonio, figli) o meno nobile (divertimento, beni di consumo) venga soddisfatto ora e qui, senza attesa e senza eccessiva fatica, ovvero il senso ultimo della fatica è quello di soddisfare i propri desideri in modo più spedito e più copioso possibile. E come soleva dire Martin Lutero, l’essere umano ricurvo su stesso, che si ritiene perfetto e che considera legge ogni suo desiderio terrestre. In questa prospettiva Dio non è altro che un erogatore di beni cui ci si rivolge quando le forze umane si rivelano insufficienti e quando bisogna fare conti con malattia, insuccesso, fallimento dei propri progetti...

Il compito dei credenti, e quindi delle chiese (nel senso delle comunità di fede), è oggi proprio quello di rivelare la fallibilità dell’essere umano. In altre parole si tratta di un’epifania al contrario: dove l’essere umano si è proclamato signore assoluto, proprio li bisogna rivelare il suo fallimento e la precarietà della sua condizione esistenziale. Soltanto spezzando il giogo dell’autoreferenzialità potrà risplendere la luce della gloria di Dio affinché l’essere umano riceva la sua nuova dignità, per camminare a testa alta con uno sguardo di gratitudine rivolto verso Dio e con le braccia aperte e accoglienti, tese verso il prossimo.

Predicazione del pastore Pawel Gajewski, Domenica 6 Gennaio 2008 Epifania, Chiesa Metodista e Chiesa Evangelica Valdese di Firenze