Un digiuno profetico
Isaia 58,1-9
Può sembrare paradossale che proprio in questa domenica di carnevale affrontiamo il tema del digiuno. I prossimi due giorni, infatti, saranno segnati da festeggiamenti, sfilate, cenette sontuose a base di carne suina, il martedì grasso appunto. Dopo tutto questo arriverà però il Mercoledì delle ceneri; nelle chiese cattoliche le teste dei fedeli saranno cosparse di cenere in segno di penitenza. Inizierà il tempo liturgico chiamato “quaresima” oppure nelle mie lingua materna “il grande digiuno” (pl. wielki post).
Questo alternarsi di divertimento e di riti penitenziali appartiene in sostanza al medioevo, quel periodo storico e culturale in cui la religione dominava su ogni settore della vita sociale. Oggi la quaresima ha un valore puramente simbolico e quindi sarebbe più auspicabile chiamarla “tempo della Passione” nel senso della preparazione alla commemorazione dell’evento centrale della storia della salvezza: la morte e la risurrezione di Gesù.
La prassi penitenziale è profondamente radicata nell’ebraismo. Il testo di questa domenica rispecchia la situazione dopo il ritorno dall’esilio babilonese. La ricostruzione del tempio e il ripristino del culto hanno senz’altro contribuito al ritorno verso una ritualità che non poteva essere praticata in Babilonia; pensiamo ai sacrifici di espiazione previsti nel caso di alcune trasgressioni della Legge dell’Eterno (si veda Levitico capitoli 5-7). Anche la prassi penitenziale descritta nel nostro testo è profondamente radicata nella religiosità ebraica; in questo caso si tratta piuttosto di riti da praticare nell’ambito domestico e della vita privata.
Senza alcuna fatica possiamo intuire che il profeta, chiamato di consueto Trito-Isaia, si schiera nettamente contro qualunque forma di ritualismo. Troviamo qui un chiaro collegamento al cap. 1 di Isaia che denunciava simili problemi a Gerusalemme molto prima dell’esilio. Si tratta di un elemento portante della predicazione profetica: il rito religioso in sé non è da biasimare, al rito tuttavia deve corrispondere una determinata condotta morale. È quasi superflua la considerazione che si tratta di un messaggio particolarmente attuale. Riti religiosi e superstizioni popolari troneggiano sulla nostra società ipertecnologica senza incontrare particolari resistenze. Quindi il richiamo alla giustizia sociale suona forte anche oggi: Il digiuno che io gradisco non è forse questo: che si spezzino le catene della malvagità, che si sciolgano i legami del giogo, che si lascino liberi gli oppressi e che si spezzi ogni tipo di giogo? (v. 6).
Il messaggio profetico non trascura tuttavia la dimensione familiare e individuale della condotta morale: che tu divida il tuo pane con chi ha fame, che tu conduca a casa tua gli infelici privi di riparo, che quando vedi uno nudo tu lo copra e che tu non ti nasconda a colui che è carne della tua carne (v. 7). L’ultima espressione ricorda il dovere di assistere in particolare i parenti più stretti e con molta probabilità si riferisce ai genitori, coerentemente al quinto comandamento del Decalogo: onora tuo padre e tua madre.
Dal punto di vista dell’esegesi cristiana, gli ultimi due versetti del brano (8-9) assumono tuttavia un significato diverso. Nella prospettiva ebraica la guarigione da una malattia spirituale e una rinnovata relazione con Dio sono legate a una opera preliminare volta a mettere in pratica le indicazioni del profeta che annuncia l’essenza spirituale della Legge dell’Etrno. In fondo a questo messaggio vediamo una bella elaborazione del modello sacerdotale: non è un sacrificio che crea o rinforza il rapporto con l’Eterno bensì le buone opere, le opere della giustizia.
Nella prospettiva cristiana la situazione si presenta diversamente. Prima che noi fossimo disposti a trasformare le nostre strutture d’ingiustizia, Dio in Gesù Cristo si è fatto già partecipe attivo e compassionevole delle sorte degli ultimi. Prima che noi mettessimo in pratica le opere della legge Dio in Cristo si è fatto la nostra retroguardia e il nostro sostenitore. Prima che noi abbiamo gridato, Dio in Cristo Gesù ci ha già dato la risposta.
Prendiamo dunque atto di questa opera di Dio, e mettendo in pratica le esortazioni del profeta camminiamo sereni e certi che la perfetta umanità di Dio manifestatasi in Gesù Cristo sosterrà è trasformerà la nostra umanità imperfetta e dubbiosa.
Predicazione del pastore Pawel Gajewski, Domenica 03 Febbario 2008, Chiesa Metodista e Chiesa Evangelica Valdese di Firenze.