Osservazioni preliminari
La benedizione finale dell’epistola è la più completa, nella sua brevità, che troviamo nel N. T. Per questo motivo venne usata nella liturgia, fin dai tempi antichi, sotto il nome di benedizione apostolica. Senz’altro la sua impostazione trinitaria fa pensare ad un’altra formula simile, quella di Matteo 28,19, ovvero la formula battesimale. Va ribadito che entrambe sono formule liturgiche, in altre parole il loro Sitz im Leben è la liturgia della Urgemeinde. In entrambi i casi, l’uso liturgico delle formule precede la loro codificazione scritta. Impossibile valutare quale, delle due formule, sia quella più antica, con molta probabilità sono “coetanee”.
Resta aperta la questione se nell’insieme della 2 Corinzi questo versetto è un’aggiunta posteriore, Giuseppe Barbaglio, ad esempio sostiene la tesi dell’aggiunta post-paolina. In ogni caso bisogna precisare l’asserzione fondamentale per la teologia sistematica: nel NT si trovano alcuni elementi particolarmente chiari di una teologia trinitaria, tuttavia il NT non è sufficiente per difendere la teologia trinitaria così come la conosciamo noi (gli unitariani leggono lo stesso NT!).
Alcune riflessioni sul numero «tre»
Sia in ebraico (ghimel), sia in greco (gamma) la terza lettera dell’alfabeto, corrispondente al numero «tre» significa di solito un movimento circolare od «ondeggiante». Il significato metaforico è sempre quello di completezza. Indubbiamente il primo riferimento fenomenologico è la coppia umana che indica la relazione per eccellenza, la quale però raggiunge la sua pienezza quando subentra il «terzo» elemento, cioè la prole (cfr. Genesi 1,27-28). In tutte le antropologie teologiche e filosofiche influenzate dalla cultura greca si parla della triplice dimensione dell’essere umano: corpo, anima, spirito.
Inoltre anche l’ordine creato consiste in tre parti: cielo, terra e mondo sotterraneo. Nel calendario ebraico compaiono tre feste principali (Es 23,14-19). Anche la preghiera era sollecitata tre volte al giorno (Dn 6,10; Sal 55,18); il santuario era diviso in tre parti (1 Re 6,2-22); gli animali di tre anni erano particolarmente apprezzati per sacrifici speciali ( 1 Sam. 1,24; Gen. 15,9).
Un testo spesso citato in riferimento al numero «tre» è Genesi 18: l’apparizione di Dio raffigurato come tre uomini. Indubbiamente ha contribuito a tale collegamento la famosa icona di Andrej Rublëv (1360-1430) intitolata appunto “La Trinità”, un’icona che è comunque abbastanza diffusa nell’arte sacra ortodossa. Dal punto di vista prettamente teologico il dipinto del grande iconografo russo non ha alcuna attinenza alla teologia trinitaria cristiana, esso è tuttavia particolarmente stimolante per la nostra immaginazione.
Trinità ecclesiologica (uno spunto per la predicazione)
Intendo con questa strana espressione i tre termini associati alle tre persone della Trinità: ‘charis’, ‘agàpê’ e ‘koinônia’. L’uso liturgico della nostra formula fa pensare ovviamente alla comunità che elabora e usa questa formula. Tale comunità indubbiamente riflette su se stessa sul proprio essere chiesa.
Che cosa ci costituisce come chiesa di Gesù Cristo? È solo ed esclusivamente la sua grazia e quindi l’elezione da parte sua.
Che cosa unisce gli eletti? È l’agape che in un certo senso (1 Gv 4,8) diventa il vero nome di Dio.
Che cosa rende visibile e incisiva la chiesa? È la koinonia, dono e azione dello Spirito, che inserisce la chiesa, intesa nella sua dimensione concreta e tangibile, in una rete di relazioni che coinvolge anche tutte le altre espressioni visibili dell’«essere chiesa». Al tempo stesso la koinonia permette alla chiesa di trovare la giusta dimensione della comunione con il ‘kosmos’ circostante.
Predicazione del Past. Pawel Gajewski, Chiesa Valdese di Firenze, Domenica 2 Ottobre 2011