Mat. 5, 21-26

“… e lì ti ricordi che il tuo fratello ha qualcosa contro di te”

 

”Voi avete udito …” così cominciano le sei ‘antitesi’ del Sermone sul Monte, seguite da un “Ma io vi dico…” di Gesù, che ci sembra, anche ora, una formula molto audace: Gesù deve aver avuto un’autorità indiscussa e una fiducia estrema nello Spirito, datogli da Dio al momento del battesimo, fiducia tale da creare nei discepoli la fede e fondare la chiesa che mette in pratica la sua Parola. Le ‘antitesi’ sono una caratteristica di Matteo, in Luca si trova il contenuto di qualcuna, ma senza questa contrapposizione. A cosa si contrappone Gesù?

Qui in Matteo, Gesù tratta i testi più sacri (come sono i comandamenti) da pari a pari, con la stessa autorità che può aver avuto Mosé o Dio stesso, che secondo Esodo 31,18 avrebbe scritto i comandamenti direttamente “con il suo dito” su tavole di pietra. Non si tratta infatti di sottigliezze fra rabbini nell’interpretazione della Legge, ma di affrontare alcuni fra i temi più scottanti di ogni epoca che vengono radicalizzati al massimo per mostrarne il contenuto nascosto. Naturalmente non tutti gli argomenti hanno lo stesso peso: si parla di non uccidere e poi perfino di amare i nemici, si parla di commettere adulterio anche solo nel cuore, e poi però di non fare giuramenti altisonanti ma di attenersi alla sobrietà. Cercheremo di commentare soprattutto quelli più scioccanti.

La prima antitesi riguarda il “Non uccidere” che Gesù estende anche all’ingiuria contro il fratello, al dirgli ‘scemo’ o ‘pazzo’. In questa forma ci concerne tutti. Mentre il “Non uccidere” potevamo considerarlo un po’ lontano dalla nostra cultura, finché non è arrivata la legge che consente di armarsi per autodifesa… oppure potevamo considerarlo importante per un dibattito sulla pena di morte, la forma in cui ne parla Gesù  coinvolge tutti, anche i bambini.

La vita, l’autostima, il futuro di mio fratello sono il limite da non infrangere. Gesù onora il comandamento “Non uccidere”, ma va ben al di là. Uccidere è infrangere la legge, ma per il seguace di Gesù anche un pettegolezzo, una ingiuria, un giudizio pesante o una parola detta con leggerezza, che ha conseguenze sulla vita di un mio fratello o di una mia sorella sono gravi, perché ugualmente non hanno rispettato il limite posto alla mia esistenza, che consiste appunto nella vita e nell’interesse dell’altro. Sappiamo del resto per esperienza quanto danno si può fare a persone labili e insicure se le si considera “fuori di testa”: ci diventano davvero per la nostra stessa catalogazione. Ugualmente comprendiamo l’esitazione dei genitori di figli che sono malati psichicamente, ma non chiedono la certificazione della loro invalidità, che li segnerà a dito per il resto dell’esistenza.

Gesù non entra nel merito di chi ha ragione e chi ha torto. Chi “offende il fratello o lo calunnia pubblicamente non ha più alcuno spazio davanti a Dio, perché omicida” (Bonhoeffer, Sequela p.120). Separandosi dal fratello si è separato anche da Dio. Da qui viene la severità che  nega valore all’offerta, ma anche più in generale al culto, se prima non ci si è riconciliati con il fratello. Dio decide di ritirarsi in secondo piano e venire dopo il fratello. “Se stai per offrire la tua offerta sull’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualcosa contro di te…” Non dice: tu hai qualcosa contro tuo fratello, ma “tuo fratello ha qualcosa contro di te”, cioè ti rimprovera di avergli fatto un torto! Può darsi che abbia ragione o che non abbia ragione, anche in questo caso deve diventare un problema per te. Allora fermati! Prenditi tempo per risolverlo e riconciliarti, prima di fare altro (il culto?).

Il rapporto con Dio passa necessariamente per il rapporto con i fratelli e le sorelle offesi; basta pensare alla parabola del Samaritano, dove forse per motivi di purità cultuale il sacerdote e il levita passano al largo e non soccorrono il ferito. Gesù inverte le priorità considerate più sacre: prima viene il prossimo poi Dio? Bisogna mantenere il punto di domanda, perché in effetti anche per noi è troppo audace!  Ancora Bonhoeffer: “Dio non vuole lasciarsi separare dal nostro fratello. Non vuole essere onorato mentre un fratello viene disonorato. Egli è il Padre. Infatti è il Padre di Gesù Cristo, fattosi fratello di tutti noi. Questa è la ragione ultima, per cui Dio non vuol più separarsi dal fratello. Il Figlio che ha assunto corpo umano è stato disonorato, oltraggiato, per amore dell’onore del Padre. Ma il Padre non si lascia separare dal Figlio, e quindi neppure da coloro cui il Figlio si è fatto uguale, per amore dei quali il Figlio ha subito oltraggio. Per amore dell’incarnazione del Figlio di Dio il servizio divino non può più separarsi dal servizio al fratello.”

Il testo dice: “… e lì ti ricordi” usando un termine carico di significati legati alla teologia e alla liturgia. Abbiamo da poco celebrato la giornata della “Memoria” ricordando gli ebrei, gli omosessuali, gli zingari, i malati mentali, i Testimoni di Geova che sono stati assassinati per toglierli via dalla comunità umana, che si pretende da alcuni formata da perfetti. E’ molto giusto che il culto dedichi una parte al “ricordo” (anche della nostra storia, dove gli omicidi sono stati tanti!). I discepoli di Gesù sono quelli che “trattengono il culto o l’offerta” per ricordarsi di chi ha qualcosa da rimproverare loro. Questi del 27 gennaio hanno veramente molto da rimproverare ai cristiani, anche se qualcuno ha detto che era giusto ricordare che era sopravvissuto perché qualche altro lo aveva nascosto e fatto scampare.

La riconciliazione con i fratelli è il tempo della grazia; si fa in tempo a riconciliarsi prima che sia troppo tardi, che arrivi il tempo del Giudizio Finale, dove non ci saranno sconti, ma si dovrà pagare fino all’ultimo centesimo. E paghiamo già in questa terra in effetti l’inefficacia delle chiese nel predicare la riconciliazione e la pace. Le chiese dovrebbero vivere per insegnare anche solo la riconciliazione e l’attenzione agli esclusi e diseredati dalla tavola dei potenti di questo mondo. Ce l’ha insegnato il documento di Accra; la nostra vocazione è questo ascolto e questa attenzione. Ci sono molti fratelli e molte sorelle nel mondo che hanno qualcosa da rimproverarci, anche se non a noi personalmente, hanno da rimproverare al sistema nel quale ci muoviamo. Non importa chi ha ragione, ma importa che loro sono nella povertà, nella malattia (Lebbra, AIDS), esposti alla guerra, pur essendo, molti, personalmente innocenti.

La parola di Gesù sul fratello ci coinvolge tutti e azzera le differenze fra colpevoli e non colpevoli. Noi siamo il figlio “prodigo” della parabola oppure siamo il fratello maggiore che non vuol saperne del ritorno dell’altro e vuol vivere di giustizia perbenista. Da noi è attesa la decisione di riconciliarci gli uni gli altri, come Dio ci ha riconciliati con sé e ci manda come ambasciatori di riconciliazione nel mondo. Dovrà essere una riconciliazione credibile, che prende sul serio la vita e il futuro degli altri.