"Predicazione e preghiera"
II Tessalonicesi 3,1-5
Se questo breve testo tratto dalla II Tess. fosse un frammento di una relazione morale significherebbe una valutazione assai positiva della comunità di Tessalonica. Basta vedere il primo capitolo della Seconda lettera ai Tessalonicesi. È una comunità di cui l’autore dello scritto si fida pienamente, un in cui l’azione di Dio si manifesta con costanza generando una vita di preghiera e di servizio. Insomma un auspicio per la nostra comunità di Firenze.
Dal punto di vista dell’esegesi neotestamentaria è però evidente l’evoluzione avvenuta nel seno di questa comunità. Lo vediamo chiaramente, paragonando le due epistole indirizzate ai Tessalonicesi. Nella prima vediamo una forte tensione escatologica, in altre parole la maggior parte dei credenti di Tessalonica è convinta che la fine del mondo sia eminente e quindi le fatiche ordinarie, il lavoro quotidiano incluso, non hanno più senso. Nella seconda non si vede più questa tensione: la comunità vive la sua fede in maniera serena; la data esatta della risurrezione universale, della piena manifestazione di Cristo non sembra essere la principale preoccupazione; il punto centrale dello scritto è la perseveranza durante le persecuzioni.
Questa differenza ha indotto diversi studiosi a considerare la II Tess. uno scritto post-paolino. La chiesa di Tessalonica sarebbe in tale prospettiva un esempio di un’evoluzione del comune sentire delle comunità cristiane delle origini. Il v. 5 costituisce in questo caso una sorta di programma: Il Signore diriga i vostri cuori all'amore di Dio e alla paziente attesa di Cristo. La versione della nostra Bibbia Nuova Riveduta è in questo caso già un’interpretazione teologica. Il testo greco parla della ‘hypomonê tou Christou’, in altre parole la pazienza, o meglio la perseveranza di Cristo.Non si tratta di imitare Gesù torturato dai suoi aguzzini. Questa perseveranza è piuttosto una qualità che Cristo Gesù conferisce a chi crede in lui.
Stamattina vorrei però concentrarmi sul primo versetto del nostro testo: Del resto, fratelli, pregate per noi, affinché la parola del Signore possa spandersi rapidamente e sia glorificata, come lo è fra voi. Ho detto già che questa frase denota uno stato di salute spirituale particolarmente buono: i Tessalonicesi sperimentano pienamente l’azione della Parola di Dio, sono profondamente radicati in essa – questo è il significato dell’espressione “la Parola di Dio glorificata”.
La questione teologica che emerge da questo breve versetto è invece il rapporto tra predicazione e preghiera. Nel versetto che stiamo esaminando l’autore dello scritto chiede di essere sostenuto con le preghiere dei Tessalonicesi. All’inizio dello scritto (1,11) vediamo però che l’apostolo prega per la comunità dei Tessalonicesi. Si tratta dunque di un movimento bidirezionale. In parole semplici posso affermare che la predicazione non esiste senza la preghiera. Chi predica deve pregare – questo è ovvio.
Dietrich Bonhoeffer scrive a questo proposito parole stupende: «Il lavoro concernete la predicazione inizia con la preghiera prima dello studio del testo. La predicazione non è una conferenza in cui sviluppo le mie idee; non si tratta della mia parola ma della parola che è proprietà di Dio. Perciò invoco lo Spirito santo perché sia lui a parlare. Vieni, Signore, ed abbi cura degli esseri umani per mezzo della tua parola che vuoi annunciare con la mia bocca! Questa preghiera fa parte dell’ordine costitutivo del lavoro e non di un aspetto edificante».
È un po’ meno ovvio che ogni membro di chiesa dovrebbe pregare affinché la parola di Dio si spanda. Visitando le persone anziane e malate avverto spesso il dolore generato dall’impossibilità di partecipare al culto domenicale. Credo tuttavia che queste persone hanno all’interno di una chiesa una loro vocazione particolare: quella di pregare, di intercedere affinché la chiesa tutta quanta renda testimonianza fedele alla Parola di Dio.
Predicazione del pastore Pawel Gajewski, Domenica 22 Giugno Chiesa Evangelica Valdese di Firenze