Abbonda di sostantivi il testo Romani 5,1-5. Sono sostantivi di un certo peso: giustificazione per fede, pace, grazia, speranza, gloria. E poi ancora la celebre sequenza paolina: afflizione, pazienza, esperienza, speranza. Il primo elenco appartiene alla sfera religiosa, il secondo a quella considerata esistenziale, vale a dire di tutti i giorni.
Molti studiosi del linguaggio affermano che la maggior parte dei termini che fanno parte del primo elenco non ha oggi alcun significato profondo, specialmente tra i giovani tra i 15 e 25 anni. È invece ben diversa la situazione quanto al secondo elenco. Questo tipo di linguaggio ancora sembra comunicare qualcosa... La mia esperienza di pastore e di educatore conferma pienamente i risultati di queste ricerche. Vorrei però fare una precisazione. Tra le parole appena elencate v'è una che unisce i due elenchi e suscita emozioni profonde, talvolta molto contrastanti. Si tratta della parola “speranza”. È un termine assai esistenziale ma anche profondamente inserito nella riflessione teologica. Basta ricordare il famoso saggio di Jürgen Moltmann “Teologia della speranza”, diventato ormai un classico della teologia contemporanea.
Il nostro brano contiene però una particolarità. È il versetto 5 in cui compare uno stretto legame tra la speranza cristiana, l'amore di Dio e l'opera dello Spirito Santo. Può sembrare strano ma questo versetto, senz'altro centrale dell'intero discorso (dal 1 a 5) non menziona in maniera esplicita né la fede, né la grazia. Nei versetti che seguono (dal 6 in poi) compare invece Cristo Gesù nella sua centralità assoluta. Ma sappiamo già abbastanza bene che il nome di Gesù è il sinonimo dell'agape di Dio rivelataci pienamente nella sua persona. Lo Spirito Santo e la sua azione sono dunque strettamente legati a Cristo Gesù.
Ho l'impressione che questo paradigma teologico, cioè il legame tra speranza, opera dello Spirito e la centralità di Cristo sia oggi particolarmente visibile nella vera e propria esplosione creativa dei movimenti pentecostali.
Tale esplosione è assai visibile nelle aree più afflitte dei problemi politici ed economici sia casuale. Pensiamo ai quartieri popolari di Palermo, di Bari o di Napoli. Pensiamo all'America latina, al Brasile. Contrariamente ai luoghi comuni il risveglio pentecostale non colloca la speranza in un futuro remoto e inafferrabile. Vedere realizzata la speranza di un mondo più giusto è uno dei cardini di queste chiese e di questi movimenti. “La loro dottrina è nel loro fare” ha scritto Harvey Cox nel suo celeberrimo saggio “Fire from heaven”. A noi protestanti storici può sembrare strano ma la zone del casertano che frequento da due anni (Aversa, per intenderci) pullulano di opere diaconali: nidi, scuole materne, cooperative di servizi, tipografie e persino diverse pizzerie. Il segreto di questo impegno nel sociale, di questo slancio nel fare si trova però in una spiritualità assai particolare. Il cardine di questa spiritualità sta nel riconoscere l'azione rigeneratrice dello Spirito Santo.
Se i concetti come fede, grazia, salvezza oggi sembrano così astratti, la ragione va cercata in due atteggiamenti che ritengo errati. Il primo è un atteggiamento di totale chiusura nei confronti dell'azione dello Spirito Santo legato alla profonda convinzione (talvolta spostata nell'inconscio) che la mia vita non può subire alcun cambiamento radicale. Con piccoli passi, con la forza della volontà e con la determinazione posso raggiungere al massimo qualche lieve miglioramento. Il secondo è un atteggiamento opposto: una ricerca costante di pratiche (esoteriche o spirituali che dirsi voglia) volte a sperimentare pienamente l'azione dello Spirito, la rigenerazione profonda e continua. Mi limito a dire che tale modo di fare assomiglia a una sorta di droga leggera e che alla fine può generare una profonda frustrazione.
La strada giusta è invece questa di abbandonarsi all'azione dello Spirito rende vivo e operante l'agape di Dio. Questo processo purtroppo non è facile. Sfugge alle logiche umane ma al tempo stesso ha bisogno di nutrirsi dei concetti umani attraverso i quali il messaggio delle Scritture diventa Parola di Dio. È una corsa a ostacoli in cui troppa tensione interiore fa inciampare ma anche l'eccessivo rilassamento può provocare grossi danni. È una via in cui il rapporto di fiducia nei confronti di Dio è fondamentali. È una relazione in cui l'obbedienza a colui che ci ama diventa la virtù principale.
E proprio in questo quadro che si colloca la preghiera intesa come principale azione dello Spirito e non come sforzo interiore della nostra volontà. La preghiera si trasforma in azione e l'azione ritorna continuamente alla sorgente cioè alla preghiera. Questa costante interazione tra preghiera e impegno nel mondo è appunto la piena manifestazione della gloria di Dio nella vita di una persona credente e nell'esistenza di una comunità di fede.
Predicazione del pastore Pawel Gajewski Domenica 28 Febbraio 2010, Chiesa Evangelica Valdese di Firenze