Il termine “geremiade” esiste nella gran parte delle lingue europee. È un esempio del fatto che la nostra cultura attinge – consapevolmente o inconsapevolmente – spesso i propri modi di esprimersi dalla Bibbia. Il più delle volte questo termine vine usato in un'accezione piuttosto negativa: un discorso lungo e lamentoso che sa di disfattismo o che denota l'incapacità d'azione da parte di chi lo pronuncia. Basta però conoscere un po' il libro del profeta Geremia per comprendere l'infondatezza di tale interpretazione del nostro termine. Geremia è uno dei personaggi più luminosi e capaci d'azione che la storia del regno di Giuda abbia mai conosciuto. La sua “sfortuna” è stata di vivere in un tempo in cui il nabij (profeta, veggente) era chiamato ad annunciare la guerra e la distruzione anziché la pace e la prosperità.
Devo confessarvi una cosa. Quando mi trovo di fronte a un testo biblico non narrativo di una lunghezza considerevole - come il nostro di oggi - ben quattordici versetti, provo un senso di disagio. Per la mia sensibilità ogni versetto di questo brano meriterebbe un sermone di almeno 15 minuti... Andando tuttavia di questo passo gli effetti di un discorso sviluppato in 210 (14 versetti X 15) minuti - tre ore e mezza - potrebbero essere devastanti per l'uditorio. In questa prima parte dunque vorrei segnalare alcuni elementi teologici fondamentali per la comprensione dell'intero brano; nella seconda parte invece cercherò di concentrarmi sull'ultimo versetto del testo di stamattina, il versetto 29.
Il castigo annunciato da questo oracolo in cui l'Eterno parla direttamente al suo popolo non ha nulla a che vedere con uno scoppio incontrollato di collera divina. Non si tratta neanche dell'effetto di una giustizia immanente e retributiva secondo la quale il colpevole deve essere necessariamente punito (e il giusto premiato). L'oracolo vale per tutti, buoni e cattivi, giusti ed empi. Si tratta di annunciare l'esecuzione di un programma ben fissato il cui senso ultimo si rivelerà alla fine di un percorso lungo e articolato quando la pace vera ed eterna regnerà su tutto ciò che esiste. Il versetto 20 nell'originale ebraico parla dei “giorni a venire”. Vedo in questo pensiero un collegamento diretto alla I Corinzi 14,32-33: Gli spiriti dei profeti sono sottoposti ai profeti,perché Dio non è un Dio di confusione, ma di pace. Sia nel testo di Geremia che in quello di Paolo appare evidente l'esistenza di un criterio che permette di distinguere la profezia dal delirio pseudo-profetico che sopprime l'uso della ragione e stravolge il messaggio dell'Eterno. I “giorni a venire” quindi non sono un rimando alla “fine del mondo” ma a un tempo che sicuramente i destinatari diretti del messaggio non potranno sperimentare, le generazioni future tuttavia comprenderanno il senso della profezia. Infatti, guardando la storia del Popolo eletto dal nostro punto di vista possiamo comprendere bene il senso dell'oracolo.
Vale la pena soffermarci per un attimo sui vv. 23-24 del nostro testo e in particolare sul v. 23: Sono io soltanto un Dio da vicino», dice il SIGNORE, «e non un Dio da lontano? Oltre al tetragramma ben visibile anche nella traduzione italiana nel testo ebraico compare la parola “Elohi” al singolare, abbinata a un singolare gioco di aggettivi praticamente intraducibile. Da un lato si vuole affermare che l'Eterno non è una divinità domestica bensì l'essere divino universale. Dall'altro lato questo gioco di parole può essere interpretato nel senso temporale. L'Eterno non è il Dio del momento ma il Dio di sempre, quello di prima e quello del dopo; qualunque sia quel dopo da un punto di vista umano. Qui si dimostra una forte contrapposizione con il Baal. Il raggio di azione di questa divinità si esauriva per così dire nella fertilità, sia quella della terra alimentata dalla pioggia, sia in quella del mondo animale e alla fine in quella umana, in altre parole nella contingenza. La potenza dell'Eterno invece va oltre qualunque contingenza.
Adesso vorrei dedicare le ultime righe di questo sunto della predicazione al versetto 29: «La mia parola non è forse come un fuoco», dice il SIGNORE, «e come un martello che spezza il sasso? Immagini dotate di enorme potenza espressiva stanno alla base di questo versetto. L'immagine del fuoco compare già in Geremia 20,9: Se dico: «Io non lo menzionerò più, non parlerò più nel suo nome», c'è nel mio cuore come un fuoco ardente, chiuso nelle mie ossa; mi sforzo di contenerlo, ma non posso. L'immagine del martello ritorna invece nella parte finale del libro di Geremia: Come mai si è rotto, si è spezzato il martello di tutta la terra? Come mai Babilonia è diventata una desolazione fra le nazioni? (50,23); O Babilonia, tu sei stata per me un martello, uno strumento di guerra; con te ho schiacciato le nazioni, con te ho distrutto i regni (51,20).
Queste immagini mi fanno riflettere su due cose. La prima è la predicazione. Non è raro che la predicazione diventi un esercizio di retorica svolto per conquistare consensi e simpatie personali. Si predica ciò che la maggioranza (o una minoranza particolarmente influente in una comunità) vuole sentire. Il nostro brano di oggi mette in evidenza gli effetti devastanti di tale annuncio. La predicazione della Parola di Dio non deve creare consensi simili a quelli nel campo politico. Al contrario, essa talvolta genera dissensi perché le logiche umane tendono a prevalere sulla logica di Dio, senza rendersi conto che tale tendenza è sempre deleteria.
La seconda cosa è invece un interrogativo con cui voglio chiudere questa meditazione. Oggi qual è la volontà dell’Eterno nei confronti delle nostre due chiese fiorentine, valdese e metodista? Ho l'impressione che l'assemblea congiunta di ieri ha dimostrato che non abbiamo ancora su questo punto idee particolarmente chiare. Personalmente ho condiviso uno degli interventi in cui si invitava la nostra chiesa a rimettersi intorno a una Bibbia aperta per interpretare alla luce della Parola sia la nostra situazione interna (una chiesa che rischia l’estinzione, almeno dal punto di vista numerico) sia le sfide che ci pone la società intorno a noi. Sono certo che facendo tale percorso di riflessione e di preghiera l'Eterno farà sì che prima o poi comprenderemo con tutta la lucidità di cui siamo capaci la Sua volontà senza confonderla con i nostri desideri umani.
Predicazione del Past. Pawel Gajewski, Chiesa Valdese di Firenze, Domenica 10 Giugno 2012