La chiesa una e santa


(Testi di riferimento. 1 Cor. 12, 6; Lev. 19,1)

I Credi della chiesa antica proclamano solennemente l'unità della chiesa (insieme alla sua santità, universalità, apostolicità). Quando sono stati formulati, non esisteva ancora la pretesa di una chiesa particolare ad essere la sola chiesa di Cristo. Dal Nuovo Testamento apprendiamo che c'è stata fin dalla prima generazione apostolica una molteplicità di chiese locali, con modelli diversi che vanno dalla chiesa domestica, formatasi intorno a una persona convertita, che viene battezzata insieme ai suoi familiari e servi, e che in seguito continua ad ospitare la predicazione degli apostoli, alla chiesa di Gerusalemme formata da ebrei convertiti, fuoriusciti dalla sinagoga, della quale però mantengono un certo numero di regole sia liturgiche che etiche, alle chiese ellenistiche formate da pagani convertiti, che sperimentavano in diversi modi i doni e la presenza dello Spirito. Si parla della "chiesa di Dio" o delle "chiese di Dio" al singolare e al plurale, secondo se si accenna ai luoghi particolari o se si parla più in generale. Non prevale un modello, ma ci sono le esperienze più diverse, secondo i doni e le espressioni dello Spirito.

L'apostolo Paolo viaggia da un posto all'altro e scrive infaticabilmente lettere per mettere in relazione, ammonire, ricordare, rispondere a domande rivolte da chiese locali. Paolo sa come valorizzare le lingue, le guarigioni, i doni di profezia, la diaconia delle diverse chiese. Le sue esortazioni valgono sia per i singoli membri che per le comunità, perché nessuno si senta troppo misero e sprovveduto o al contrario troppo in alto, perché superdotato e al di sopra degli altri. Strumenti dell'unità per Paolo sono il "darsi la mano di associazione (koinonia)" dopo aver a lungo esaminato una controversia, come viene raccontato in Gal. 2, e il servizio reciproco, la colletta (anch'essa più volte definita koinonia) che deve servire per i più poveri, per creare uguaglianza e solidarietà.

 Il N.T. usa metafore per i credenti e per le chiese che nella molteplicità dei doni e dei servizi sottolineano l'unità: la chiesa è "corpo" dalle molte membra, che svolgono funzioni diverse (1 Cor.12, 12 ss.), corpo di cui Cristo è il capo (Ef. 4,4), è famiglia di Dio (1 Tim.3,5), Tempio di Dio (1 Cor.3,16), casa, costruzione e via di seguito. Chiesa, ekklesìa vengono da "klesis" (chiamata), sottolineando in questo la vocazione ricevuta dai singoli; kirche, church vengono da "circulum" (spazio delimitato). In un certo senso si inseguono i due significati fondamentali: chiesa è "assemblea" dei chiamati e dunque persone; chiesa è "luogo" concreto dove ci si riunisce, tempio.

La metafora della "casa" può esserci utile, significa anch'essa famiglia-persone, oppure edificio-costruzione in cui si nasce o si cresce. Ci sono molte case e sono più o meno funzionali: si nasce, vi si cresce, si sente il bisogno di sceglierne una propria dopo quella paterna (e un tempo anche questo sembrava impensabile); piccole, grandi, ci stanno strette e ci stiamo a disagio, sono monumentali, gerarchiche, autoritarie o sono piccole, accoglienti; esclusive o inclusive... non bisogna farne un idolo, né un dramma. Non potrebbe mai esserci una sola casa per tante persone e non sarebbe utile! Devono essere tante per offrire educazione, protezione, spazio a ciascuno, e tuttavia si danno insieme delle leggi, possono fare programmi, diventare grandi nazioni e stati e federazioni di stati. Quello che sembra possibile e auspicabile dal punto di vista del diritto comune, sembra invece del tutto impensabile per le chiese: si farà prima l'Unione Europea, o le chiese si riconcilieranno e si inviteranno reciprocamente alla Cena del Signore?

 L'ostacolo principale all'unità è stato ed è il desiderio di imporre il proprio modello di chiesa a tutti gli altri, non riconoscere la "casa" altrui e affermare che solo noi siamo casa, solo noi abbiamo la vera rivelazione (come se fosse possibile possederla!), siamo i soli garanti dello Spirito (come se fosse a nostra disposizione) e dunque i nostri sacramenti sono validi, quelli degli altri non lo sono. Ma chi potrà mai imprigionare lo Spirito perché non continui ad operare dappertutto nel mondo?

Oggi nell'ecumenismo si sono fatti dei passi importanti perché, malgrado le spesso scostanti e incaute dichiarazioni della Curia Romana, di fatto anche i cattolici non possono non riconoscere che le altre sono delle chiese cristiane possibili. Il cammino "conciliare" indicato come "la via protestante all'unità" che consiste negli incontri bi- e multi-laterali, nei riconoscimenti reciproci della fede e dei ministeri va avanti e si afferma come via possibile di unità. Il prossimo pericolo è una specie di paralisi reciproca, se ci si ferma solo ai riconoscimenti e non si arriva anche a programmi seri per procurare la pace nel mondo e per salvare e rispettare la natura che ci circonda.

La chiesa di Dio è dichiarata una e santa. Sappiamo che "santo" nella Bibbia non indica una qualità morale degli esseri umani o delle cose, ma indica che appartengono a Dio; Dio le ha prese per sé e non si spaventa del peccato umano, della nostra indegnità, perché anche in quella ha deciso di trasmettere la sua Parola liberatrice. In questo senso sono santi Abramo, Mosé,  Davide... e poi Pietro, Giovanni, Paolo dei quali la Bibbia non fa l'agiografia, non racconta le alte qualità morali o le eroiche scelte, ma al contrario fa conoscere tutti gli errori e i dubbi. Queste descrizioni sono fatte per noi affinché non contiamo sui nostri meriti o non disperiamo per la nostra incapacità, ma impariamo a contare su Dio solo e sulle sue promesse.

Con la vocazione veniamo inseriti in un processo di "conversione" che in qualche modo deve essere sempre rinnovata. Avviene in un certo momento storico quando ne prendiamo coscienza e poi deve diventare per noi la nuova realtà della nostra vita. Dio non si tira indietro e non viene meno alle sue promesse."Siate santi, perché io sono santo" (Lev.19,1) Anche noi dobbiamo rispondere al suo amore, fidandoci di lui. Certi che niente e nessuno potrà distruggere il processo di santità avviato nella nostra vita. Siamo perciò invitati ad una specie di conversione continua che consiste nel prender sempre di nuovo coscienza del comandamento di Dio e del dono del suo Regno.

Il popolo di Dio, Israele, è la radice santa dalla quale veniamo. Il popolo cristiano ha dovuto staccarsi e diversificarsi, e ha finito per negare il carattere particolare del popolo ebraico, nel suo aspetto di appartenenza a Dio. Ma Dio non viene meno alle sue promesse anche se il popolo non è degno e non obbedisce alla sua volontà. Questo avviene sia per i cristiani che per gli ebrei. Si è fatto tanto male agli ebrei, quasi che i cristiani invece fossero invece degni  e giusti, solo perché a parole o per tradizione accettavano Cristo. Eppure Gesù è stato ebreo; le sue parole e il suo messaggio di salvezza valgono sia per gli ebrei che per i cristiani. Oggi sempre più siamo chiamati a considerarci in continuità con la vocazione d'Israele, una continuità che non conosce revoca (Rom. 11).

Il tempo in cui è stato formulato il Credo Niceno era un tempo in cui occorreva ancora diversificarsi dall'ebraismo, che comunque era già da lungo tempo sconfitto come nazione; il cristianesimo cominciava ad esser prevalente e a flirtare con il potere (al 313 si fa risalire la "conversione" dell'imperatore Costantino, mentre il Concilio di Nicea è del 325). Il senso che doveva avere per la chiesa cristiana di allora dirsi "santa" è certamente più esclusivo di quanto siamo disposti ad attribuirci oggi in tempi di intiepidimento generale. Sempre ci sono stati movimenti di riforma o di rinnovamento nelle chiese che hanno riscoperto la "santità" come caratteristica loro particolare, sia per la vita dei singoli credenti, che per l'indirizzo di testimonianza della comunità. Più visibili  ed efficaci sono stati i movimenti che hanno sottolineato il rigorismo etico dei credenti: la fissazione di valori, la prescrizione di comportamenti è impegnativa, ma in fondo più facile da capire. Si poteva venir condannati dalla comunità per aver rubato del pane, ma la comunità nel suo insieme non si rendeva conto che usava il lavoro degli schiavi, e anche a loro insegnava ad essere onesti e leali, ma non insegnava ad esser liberi. La comunità a sua volta si impegnava a far sì che tutti avessero il pane, ma non era consapevole delle grandi ingiustizie fra i sessi, le razze, le generazioni. Si "vedeva il moscerino, ma si inghiottiva la trave", come nell'espressione usata da Gesù. C'è dunque stato e c'è tuttora un abuso del concetto di santità e un suo accaparramento da parte di alcuni.

Il Credo afferma e proclama la santità di tutti quelli che rispondono alla chiamata di Dio, della chiesa invisibile che ha Cristo come capo e di tutte le chiese particolari, che sono "casa" per i credenti. L'"una santa" è anche per noi; per tutti quelli che credono e per noi vale la parola: "Voi siete una stirpe eletta, un popolo che Dio si è acquistato, perché proclamiate le virtù di colui che vi ha chiamati dalle tenebre alla sua luce meravigliosa" (1 Pietro 2, 9).