Predicare su un testo di Apocalisse è sempre una sfida. È una sfida per chi deve predicare. L’Apocalisse più di tutti gli altri libri del Nuovo Testamento richiede tempo e pazienza nella fase di preparazione e il risultato non è mai certo. È una sfida per chi deve ascoltare la predicazione. È quasi impossibile che la meditazione dell’Apocalisse non susciti emozioni forti, pensieri creativi, o talvolta distruttivi. Ricordiamo qui il noto episodio della città di Münster del 1534. Questa città è stata proclamata dagli anabattisti di tutta l’Europa, la vera incarnazione della Nuova Gerusalemme, descritta nella parte finale dell’Apocalisse, cap. 21,9-27. La pacificazione di Münster finì con un bagno di sangue.
Con toni assai meno drammatici possiamo ricordare la predicazione del pastore avventista Davide Mozzato del 17 febbraio scorso, incentrata sulla prima parte del capitolo 11 dell’Apocalisse. Le reazioni a quella predicazione spaziavano tra critiche e apprezzamenti; in ogni caso nessuno è rimasto indifferente.
Dopo questa lunga premessa, poniamoci ora di fronte al nostro testo. Nella logica interna dell’Apocalisse si tratta di un testo “cerniera”. Arrivano gli angeli con gli ultimi sette fratelli, ma intanto la bestia è stata sconfitta e i redenti cantano un cantico di vittoria. Questo cantico, dal punto di vista filologico, unisce due testi ebraici: Geremia 10,7 e il Salmo 86,9. La bestia (o piuttosto le bestie) sono nell’Apocalisse simboli di un male potente e arrogante, un male che si oppone a Dio. Il capitolo 13 fornisce a questo proposito descrizioni particolarmente suggestive.
Io, invece, vorrei concentrarmi sulla simbologia del mare. Nel nostro testo si tratta di un mare particolare: E vidi come un mare di vetro mescolato con fuoco (v.2). Questo mare tuttavia sembra essere tutt’altro che liquido. È carico di energia ma il sostantivo greco hualinê (dal hualys) fa pensare piuttosto a una pietra trasparente, un cristallo appunto. Si tratta in ogni caso di una materia solida.
Se volessimo paragonare questa immagine con l’immagine della bestia che sale dal mare, il confronto sarebbe molto interessante: Le fu data una bocca che proferiva parole arroganti e bestemmie. E le fu dato potere di agire per quarantadue mesi. Essa aprì la bocca per bestemmiare contro Dio, per bestemmiare il suo nome, il suo tabernacolo e quelli che abitano nel cielo (13,5-6). Insomma, una sorta di anti-culto basato su bestemmie e offese verbali, un culto che sorge da un elemento alquanto liquido.
Nel nostro testo invece si parla chiaramente di un culto di lode che stanno celebrando i redenti. È un culto che si fonda su una base solida e al tempo stesso impregnata di un’energia potente (il fuoco!). Basterebbe già l’ultima immagine per capire che per me questo breve testo e uno stimolo a riflettere sul nostro culto.
Scrive a questo proposito il teologo francese André Gounelle: Contrariamente a quanto spesso si dice, né la rettitudine e l’onestà rigorose, né l’azione e la devozione a grandi cause, né l’apertura e la disponibilità agli altri, né il servizio e l’amore del prossimo possono sostituire il culto. Il culto non è sufficiente per la vita cristiana, ma è indispensabile; se scompare, questa muore (I grandi principi del protestantesimo, Claudiana, 2000, p. 43).
Aggiungo ancora, seguendo Gounelle: non è Dio che ha bisogno della nostra adorazione, siamo noi che abbiamo bisogno di ascoltare la Sua parola durante questo particolare appuntamento che Egli fissa per noi.
Credo che ci vorrebbe un’assemblea di chiesa per parlarne; in questi mesi ho ricevuto diverse sollecitazioni in questa direzione e spero che riusciremo a realizzare questo piccolo sogno (sognato anche dalla collega e amica Gianna Sciclone) il sogno di un culto che si rinnova continuamente, posato su solide basi e carico di energia interiore.
Predicazione del pastore Pawel Gajewski, Domenica 20 Aprile 2008, Chiesa Evangelica Valdese di Firenze.