Giovanni 9

Il cieco nato

 

Care sorelle, cari fratelli,
questo testo era usato presso la chiesa antica in tempo di quaresima e precisamente in occasione degli “scrutini battesimali“, cioè l’esame di fede dei candidati al battesimo. Tale scrutinio avveniva pubblicamente, in un contesto liturgico per valutare i progressi nella fede del neofita. Il legame tra il cap. 9 di Giovanni ed il battesimo è almeno triplice. Infatti “il battesimo era visto come “illuminazione”, quindi i passi del vangelo che parlavano di tenebre o di cecità erano utilizzati in funzione di questa venuta della luce. In secondo luogo, il nostro testo parla anche di un lavacro con acqua: il cieco nato è invitato ad andare a lavarsi nella piscina di Siloe, e questo può evocare la vasca battesimale. Infine, è chiaro che quello del cieco nato non è solo un episodio di guarigione,ma simboleggia un percorso di conversone che si conclude appunto con una sorta di scrutinio  ad opera di Gesù: “Credi nel Figlio dell’uomo?”

Salta subito agli occhi che il “breve esame di fede” è in netto contrasto con il lungo “scrutinio” a cui i farisei sottopongono il cieco nato. Mentre la domanda di Gesù serve ad aprire le porte della comunità dei credenti, il processo” intentato dai farisei al cieco nato porta all’esclusione di questo. “E lo buttarono fuori” v. 34. Si tratta  di un processo inquisitorio che si conclude quasi con una scomunica; al versetto 22 si legge che i genitori del cieco nato sono reticenti a testimoniare “perché se qualcuno riconosceva Gesù come Messia, non lo lasciavano  più entrare in  sinagoga”. Il termine usato è aposinagogos cioè fuori dall’assemblea, possiamo tradurre liberamente “scomunicato”.

Ma la scomunica non è l’ultima parola del testo. Come la pecora sperduta l’ex-cieco nato viene cercato, trovato e accolto come discepolo da Gesù e le ultime parole sono di dura condanna per i farisei, per coloro che hanno scomunicato e sono dure parole  per tutti gli inquisitori di tutti i tempi e di tutte le chiese. Il versetto 39 rappresenta il culmine dell’episodio: “Io sono venuto a mettere il mondo di fronte ad un giudizio; così quelli che non vedono vedranno e quelli che vedono diventeranno ciechi”. Ma il giudizio di Gesù è sostanzialmente diverso da quello degli inquisitori farisei: nel Vangelo di Giovanni Gesù non condanna nessuno direttamente, non prende l’iniziativa del giudizio: è la chiusura, la cecità delle persone che diventa una sorta di auto giudizio… nel capitolo 3,17-18 si legge infatti: “Dio non ha mandato suo Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è giudicato chi non crede è già giudicato, perchè non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio”.


Ma torniamo al testo. Un cieco nato recupera la vista, e dei vedenti risultano essere ciechi. In cosa consiste la cecità di coloro che sono convinti di vedere? Voglio sottolineare tre aspetti di questa cecità che si annida nelle panche di tutti i templi e che si riveste di occhiali religiosi. Il vedente che diventa cieco:

  1. è colui o colei che è assolutamente convinto e convinta di vedere, e non si rende conto della propria cecità;
  2. è colui o colei che, nella sua cecità, è chiuso e chiusa ad ogni novità, perché vive in un sistema chiuso e predefinito:
  3. è colui o colei che è incapace di vedere nel prossimo un fratello o una sorella, ma lo disprezza e lo emargina, lo scomunica.

In primo luogo, quindi, siamo spiritualmente ciechi quando crediamo di vedere perfettamente, quando pensiamo di non aver bisogno di occhiali, quando confidiamo non in un Dio d’amore ma nella nostra fede, nella nostra erudizione, nella nostra autorevole tradizione (siamo i discepoli di Mosè).
Nel processo che i capi del popolo intentano al cieco nato questo dà prova di una sorprendente saggezza. Nella sua semplice saggezza il cieco sa di non sapere. Per ben tre volte ripete: ”non so” e questa affermazione non è reticenza dovuta alla paura, come quella dei genitori, ma è un’ammissione spontanea e sincera. Egli non sa dove sia Gesù (versetto 12), non sa nemmeno se Gesù sia o non sia un peccatore (versetto 25), non sa chi sia il Figlio dell’uomo (versetto 36); ma una cosa la sa certamente: conosce l’esperienza fatta: “una cosa so, ero cieco e ora vedo” (versetto 25). I Farisei invece sono sempre sicuri del fatto loro. Quasi tutti sono sicuri che Gesù non viene da Dio perché….non osserva il sabato (versetto 16) ed al versetto 24 dicono: “noi sappiamo che quell’uomo è un peccatore”.


In secondo luogo, noi siamo spiritualmente ciechi quando ci chiudiamo davanti al nuovo. Perché i Farisei rifiutano Gesù? Perché non rientra nel loro schemi. Essi aspettano un  Messia ma non certo uno come Gesù, uno che va in giro con dei poveracci, frequenta esattori delle tasse, prostitute, guarisce il servo chiacchierato di un centurione. Essi vivono in un sistema chiuso, finito dove non c’è spazio per la novità. Un po’ come in un sistema assiomatico matematico: date le regole, i postulati, le ferree strutture logiche di induzione e deduzione da questi non si esce, a meno di non cambiare postulati, regole, insomma a meno di non uscire fuori e creare un altro sistema assiomatico (questo può funzionare in un sistema matematico ma nei rapporti sociali, nella vita quotidiana, nella vita di fede, nella società?).
Chiarisce bene  questo punto in un suo libro Ernesto Balducci. “Un sistema si regge a condizione che si dimostrino impossibili le ipotesi non previste dal suo principio fondamentale…La cecità del sistema e di chi lo esprime consiste in questo: che i suoi giudizi sono già tutti predeterminati…..Il nuovo non è previsto, dunque non c’è.” (Ricca /Balducci/Barsottelli, Evangelo  secondo Giovanni Oscar Mondatori) Eppure la novità, il rinnovamento sono parte integrante dell’opera creatrice di Dio; la Bibbia lo annuncia dalla Genesi fino all’Apocalisse: “Ecco, io faccio nuove tutte le cose” (Ap.21,5)

Infine siamo spiritualmente ciechi quando, di fronte al nuovo, di fronte al/lla diverso/a (o almeno pensiamo che tale sia), l’unica cosa che siamo capaci di fare è giocare la carta dell’esclusione, dell’emarginazione, della scomunica. Questo mendicante miracolato è riuscito a mostrare l’incongruenza del ragionamento dei farisei; ecco allora che lo insultano (versetto 28), gli rimproverano di “essere tutto quanto nel peccato fin dalla nascita” (versetto 34) ed infine lo buttano fuori. L’ex-cieco diventa così un aposinagogos. Già emarginato a causa della malattia, viene ricacciato nell’emarginazione perché ha osato mettere in dubbio le certezze di un sistema religioso. La storia della chiesa è piena di scomuniche (unilaterali o reciproche), è piena di esclusioni, di persone che sono state messe ai margini dalle nostre chiese per poi , magari dopo secoli, essere riabilitate e riscoperte come testimoni di fede autentica.


Care sorelle e cari fratelli, che siamo figli  della Riforma o i più ortodossi  tra i “discepoli di Mosè” insomma a qualunque chiesa noi apparteniamo, non siamo mai completamente immuni dalla mentalità inquisitoria. Anche noi spesso siamo troppo sicuri del fatto nostro; anche noi siamo chiusi al nuovo; anche noi reagiamo alle diversità, alle differenze con un riflesso identitario che è scomunica di fatto anche se non formalmente. Certo, oggi di fronte a noi  non c’è una novità radicale come quella rappresentata da Gesù (ma nel caso ci fosse sapremmo riconoscerla?) eppure non mancano, certo, segni dei tempi a cui si dovrebbe prestare  maggiore attenzione. Ci sono movimenti di risveglio spirituale oppure gli sviluppi della teologia femminista e queer, o ancora nuove riflessione etiche sulla sessualità nelle sue differenti forme, ci sono richieste impellenti di nuove forme di aggregazione  famigliare. Tutto ciò  riempie istintivamente molti e molte di noi di paure e sospetti e la reazione è sovente di chiusura preconcetta  di fronte a questi nuovi fenomeni.

Che il Signore liberi noi e tutti i cristiani da questa forma raffinata di incredulità, che ci insegni a riconoscere la nostra cecità e la nostra ignoranza, a dire “non so” quando non sappiamo, che ci apra alle novità, liberandoci dai nostri schemi predeterminati; che ci liberi dall’ossessione di alzare steccati e dalla paura delle differenze e delle diversità.
Che il Signore  dia a ciascuno e ciascuna di noi la fede semplice ed umile del cieco nato. Che ci renda capaci di testimoniare questa fede in un  gioioso “scrutinio” reciproco che non escluda ma, al contrario, apra le porte alla condivisione.
Amen

Predicazione di Giorgio Rainelli domenica 9 Novembre 2008, in occasione del convegno REFO, Chiesa Evangelica Valdese di Firenze