Il racconto del buon samaritano è accuratamente intrecciato dall’evangelista Luca in una conversazione fra Gesù e un maestro-dottore della legge.
Il testo si apre con una domanda che il dottore della legge rivolge a Gesù, dice il testo perché voleva tendergli un tranello, per metterlo alla prova, letteralmente tentarlo,cioè spingerlo a fare una affermazione che lo mettesse in contraddizione con la legge.
Alla domanda del dottore della legge su cosa è necessario fare per ereditare la vita eterna, non segue una risposta da parte di Gesù, ma una domanda di Gesù: Che cosa c’è scritto nella legge di Mosè?Cosa vi leggi?
Gesù risponde con una domanda, alla domanda del dottore della legge. Gesù fa rispondere lo stesso dottore della legge alla sua domanda.
La domanda di Gesù è: che cosa c’è scritto nella legge di Mosè? Che cosa vi leggi?
Il dottore della legge risponde bene, conosce il contenuto della legge citando Dt 6,5 cioè l’amore per il Signore, e Lv 19,18 l’amore il prossimo.
L’espressione legge di Mosè è usata per indicare le scritture ebraiche, il Primo testamento.
La domanda del dottore della legge è: Che cosa devo fare per ereditare la vita eterna? zoèn aionion in greco. La risposta di Gesù è: fai questo è vivrai. Poiei kai zese. Gesù nella sua risposta sposta l’accento dalla dimensione ultraterrena a quella terrena.
E Gesù conclude affermando che il dottore della legge ha risposto bene e che se farà questo vivrà.
Non solo è necessario conoscere la legge del Signore, ma viverla.
Dopo la risposta di Gesù che invita non solo ad una ortodossia, ma ad una ortoprassi di nuovo abbiamo una domanda del dottore della legge, ed a questo punto c’è la parabola con la quale Gesù risponde: il Buon Samaritano.
Dopo la parabola abbiamo ancora una domanda di Gesù che si rivolge al dottore della legge che ha udito la parabola, una risposta del dottore delle legge, ed infine la conclusione di Gesù.
Gesù e il dottore della legge però alla fin fine sembrano concordare sulle risposte. Ma come mai allora Gesù racconta la parabola del Buon Samaritano. Sia Gesù che il dottore della legge conoscono le risposte giuste.
Abbiamo all’inizio del nostro testo, prima che Gesù racconti la parabola, due buone domande, due buone risposte, e due persone che si trovano più o meno in accordo.
Allora cosa c’è che non va in questo dialogo?
Il dottore della legge domanda dice per giustificarsi “chi è il mio prossimo”?
Gesù non concorda con questa domanda, domanda che è proposta dal dottore della legge per giustificarsi, per aggirare il problema dell’obbedienza della legge del Signore che egli conosce.
E’ come se avesse detto discutiamo un po’ su chi è il prossimo per vedere se alla fin fine riesco ad esimermi dall’osservanza del comandamento dell’amore che però è contenuto nelle Scritture.
Luca sottolinea che la domanda è posta dal dottore della legge per giustificarsi, per trovare una possibilità di aggirare il comandamento e non prenderne sul serio l’osservanza. Grazia a buon mercato!!!
Gesù non concorda su questa domanda e racconta la parabola del Buon Samaritano rovesciando il concetto di prossimo.
il dottore della legge si domanda chi sia il suo prossimo, questo implica una separazione fra chi è prossimo e chi non lo è.
Gesù ribalta il concetto di prossimo alla fine della parabola chiedendo chi dei tre si è fatto prossimo del viandante che si trovava in difficoltà. Chi si è fatto prossimo il sacerdote, il levita, oppure il samaritano?
Vediamo la parabola:
Un uomo scendeva da Gerusalemme verso Gerico, quando incontrò i briganti. Gli portarono via tutto, lo presero a bastonate lasciandolo mezzo morto.
Passa un sacerdote ed un levita e passano oltre. Un samaritano invece lo soccorre.
Il racconto presuppone che gli ascoltatori del tempo conoscano chi sono i sacerdoti, i leviti (gli assistenti del tempio) e i samaritani, e siano al corrente delle forte tensioni fra giudei e samaritani.
I samaritani erano discendenti di una popolazione mista, che aveva occupato le terre inseguito alla conquista Assira del 722 a.C.
Essi si opposero alla ricostruzione del Tempio e della Città di Gerusalemme e i samaritani hanno un loro tempio sul Monte Garizim.
Il Samaritano è l’esatto contrario sia del dottore della legge, sia del levita, sia del sacerdote.
Il racconto deve essere stato fortemente traumatico per i primi ascoltatori, mandando in frantumi le loro categorie che determinavano chi è parte del popolo di Dio e chi non lo è.
Gesù sceglie intenzionalmente un samaritano per mostrare cosa significhi il comandamento dell’amore per il prossimo.
Il dottore della legge aveva cercato di intendere in modo restrittivo il comandamento perché la domanda chi è il mio prossimo implica che alcuni lo sono ed altri no.
Gesù invece lo invita a vedere in ogni bisognoso che, umanamente parlando non hanno alcun diritto su di lui, colui al quale egli deve mostrarsi come prossimo.
Il comandamento divino non conosce limitazioni.
Ma dietro a questa esigenza illimitata sta la persona di Gesù Cristo, che è lui stesso l’amore di Dio incarnato è lui stesso il buon samaritano.
Gesù invita il dottore della legge a fare lo stesso, ma non per ereditare la vita eterna, l’abbiamo visto all’inizio sposta l’attenzione dalla vita ultraterrena a quella terrena: fai questo e vivrai.
Nel farsi prossimo egli, il dottore della legge, che sa quale è
il comandamento, potrà viverlo.
Ribaltando il concetto di prossimo Gesù evita che il dottore della legge possa evitare con sofisticati ragionamenti l’obbedienza.
AMEN
Predicazione di Fabio Traversari Studente in Teologia
Chiesa Evangelica Metodista di Terni - Domenica 19 Novembre 2006
Facoltà Valdese di Teologia – Lunedì 20 Novembre 2006