Matteo 15,21-28

… grande è la tua fede

 

Non mi convincono immagini sdolcinate di Gesù né esercizi di ermeneutica volti a mettere in evidenza soltanto i lati “edificanti” del comportamento del cosiddetto Gesù storico. Ho temuto sempre che tali immagini e interpretazioni potessero offuscare la piena umanità di Gesù, l'umanità fatta di emozioni, azioni e reazioni pienamente umane, alcune edificanti, le altre, un po' meno.

L'incontro con la donna cananea appartiene indubbiamente alla seconda categoria: tutto il gruppo sembra un po' “scocciato” dall'insistenza della donna. Si tratta di un magistrale ritratto della società in cui visse Gesù. Una società che valutava le persone in base alla nazionalità e alla lingua: prima i giudei, poi i galilei e, in seguito, i samaritani e i cananei. Gli ultimi considerati ovviamente una specie inferiore. Non dimentichiamo inoltre il criterio fondamentale dell'organizzazione sociale: prima gli uomini, poi le donne.

In questo contesto l'invocazione messianica della donna suona assai strano. Nella logica narrativa di Matteo si tratta di una vera profezia. La donna annuncia, a voce alta, la vera identità di Gesù: il messia, figlio di Davide. In questo contesto la reazione dei discepoli ha in sé qualcosa di contorto: vorrebbero scacciarla via come se si trattasse di una pazza scatenata. Ma anche Gesù non sembra affatto tenero: se egli rappresenta la salvezza, questa salvezza appartiene prima al popolo d'Israele; i cani (sic!) se ne devono stare fuori.

La reazione della donna suscita in noi una grande tenerezza, dal punto di vista teologico però la sua risposta indica l'obbedienza e la fiducia riposte in Gesù. Vi ricorda qualcosa questa lettura teologica? Martin Lutero ha definito la fede come obbedienza alla Parola di Dio e fiducia nelle sue promesse. Vista in questo modo la risposta di Gesù sembra più che ovvia. Non perché Lutero abbia definito la fede come obbedienza e fiducia, ma perché l'intero messaggio biblico la definisce in questo modo. La percezione dell'azione di Dio nella nostra vita e nella storia del mondo è dunque radicata nella fede. In questo senso la sola fide della Riforma non riguarda soltanto il destino ultimo ma inserisce potentemente anche nel presente, nella realtà quotidiana.

L'analogia con la società palestinese di venti secoli fa è sconcertante se pensiamo alla nostra: classi sociali fortemente marcate, razzismo, xenofobia, la mercificazione del corpo femminile.

Se pensiamo invece a noi, cioè alla Chiesa di Gesù Cristo che si incarna nella nostra piccola Chiesa valdese di Firenze, ci scopriamo molto simili alla comunità dei discepoli. Cerchiamo di evitare scocciature, amiamo i nostri schemi comportamentali (assai evoluti, politicamente ed evangelicamente corretti) e ciò che li sconvolge ci mette un po’ a disagio, ci irrita. Non è una critica. Sono contento che siamo così. Il che non significa che non dobbiamo cambiare, anzi la nostra intera esistenza è segnata da una conversione continua. Ma io sono contento che non trasmettiamo un'immagine sdolcinata, altamente edificante, segnata da un sorriso perennemente incollato sulle labbra. Meno male che siamo così, vuol dire che siamo umani, che siamo veri.

La dimensione in cui si compie questa vocazione di incarnare la Chiesa di Gesù Cristo, anzi di incarnare il Cristo stesso (perché di vocazione si tratta) è la fede. E su questo piano che dobbiamo accettare, anzi dobbiamo arrenderci alla lezione della donna cananea. Accettare la lezione da chi spesso rimane emarginato e incompreso, ignorato da tutte le incarnazioni del potere religioso. Coloro che riteniamo inferiori, diversi, ignoranti, “sempliciotti” gridano ad alta voce: Signore aiutaci! E nel chiaroscuro dello sconcerto e della speranza giunge a loro una sentenza immeritata ma assai autorevole: Grande è la vostra fede. Va da sé che non siamo noi a pronunciare tale sentenza.

Nella storia raccontataci da Matteo è la fede della donna a produrre un cambiamento radicale nelle condizioni di salute della figlia malata; la narrazione lo lascia intendere molto chiaramente. Si tratta di una malattia non fisica: un demonio si è impossessato della ragazza. Senza alcun dubbio la psichiatria di oggi potrebbe fornirci un quadro clinico abbastanza affidabile se la descrizione fornita dalla donna fosse solo un po' più dettagliata. Attacchi isterici? Epilessia? Schizofrenia?

Non lo sapremo mai. Una cosa è certa però il 'daimonion' greco è una potenza incontrollabile che determina l'intero agire di un soggetto, spesso, anzi, sempre contro la sua volontà. Non lo confondiamo con immagini folcloristiche e pittoresche del diavolo.

Il demonio nasce nell'intimo dell'essere umano, è una creatura della mente e del cuore. Demone del potere, demone della visibilità, del divertimento... questa litania potrebbe continuare senza fine, sfociando in un moralismo pastorale che cerco di evitare.

Penso invece che nella vita di una chiesa cristiana un demonio subdolo, quasi invisibile ma enormemente pericoloso è quello che genera azioni socialmente utili ma sconnesse completamente dalla fede. Un demonio che infonde in noi la convinzione che Dio è impotente davanti al male che ci circonda. Un po' come lo Stato italiano è impotente (o pesantemente depotenziato) nei territori governati dalla criminalità organizzata.

Il primo demonio è strettamente imparentato con un altro, quello dell'attivismo e dell'apparire. È un demonio che fa pensare o addirittura gridare: “Viva la chiesa!” (vale a dire la mia chiesa e non quell’altra), anziché “Cristo è risorto!”

Essere o apparire? Ecco la versione postmoderna della distinzione di Erich Fromm tra essere e avere. La fede ha sempre a che fare con l'essere, anzi la fede fonda l'essere stesso della chiesa.

Ritorna quindi la necessità di, di ripetere ancora una volta la prima invocazione della donna che chiede aiuto, riconoscendo al tempo stesso la divinità di Gesù: Abbi pietà di noi, Signore! Solo così possiamo sperare di udire la voce del Signore che giunge all'improvviso: Chiesa valdese di Firenze, grande è la tua fede, ti sia fatto come vuoi.

Predicazione del pastore Pawel Gajewski domenica 4 Ottobre 2009, Chiesa Evangelica Valdese di Firenze