Giovanni 2,1-11
Gioia di credere

Ho preso in prestito il titolo di questo sermone da un libro pubblicato dalla Claudiana nel 1999 e tradotto da Bruno Rostagno. È un libro bello e abbastanza impegnativo. L’ho ripreso in mano di recente perché contiene alcuni spunti pastorali assai validi per ravvivare la vita di una comunità cristiana. Il titolo italiano ha poco a che vedere con quello tedesco originale (Glaube hat Gründe. Wie ich eine lebendige Beziehug zu Gott finde). La bellissima espressione italiana “Gioia di credere” e il sottotitolo tedesco “Come posso trovare un vivo (o vivace) rapporto con Dio” sono invece assai pertinenti al testo biblico di stamattina: le nozze di Cana di Galilea.

Sono convinto che il messaggio centrale dell’intero brano sia espresso con la sua ultima frase: «…e i suoi discepoli credettero in lui». Ritorniamo quindi alla questione della fede che abbiamo analizzato già durante i culti nel periodo natalizio. Oggi però questa riflessione è legata a due concetti le nozze e il vino.

La festa nuziale è uno dei simboli della gioia riconosciuti universalmente dall’umanità. Il Cantico dei Cantici è proprio quel libro della Bibbia che celebra la gioia delle nozze e dell’unione intima tra due esseri umani. Nella molteplicità di riti e di usanze tuttora esistenti nel mondo le nozze esprimono sempre la pienezza della vita e diventano quindi fortissimi momenti di aggregazione. L’Autore del quarto vangelo sceglie proprio le nozze come luogo in cui avviene il passaggio fondamentale: i discepoli cominciano a credere in Gesù. Indubbiamente l’autore vuole trasmetterci la principale caratteristica della fede in Gesù: essa è come una festa di nozze. Sembrerebbe contraddittorio: il vangelo secondo Giovanni per più della sua metà ruota intorno alla passione e alla morte di Gesù. Va da sé però che anche in Giovanni tutto termina con le apparizioni di Gesù che contemplano anche un pasto comune (cfr. Gv 21).

Il secondo elemento del racconto contenuto nel capitolo 2 è il vino. Non penso che dobbiamo soffermarci troppo sulla miracolosa trasformazione dell’acqua in vino bensì sull’importanza del vino stesso e sulla sua abbondanza. Senza il vino la festa di nozze non può continuare e Gesù s’impegna affinché la quantità del vino sia veramente abbondante. Conosciamo bene il ruolo del vino nella cucina mediterranea e nelle nostre usanze gastronomiche. Apprezziamo questa bevanda ma al tempo stesso siamo talvolta un po’ diffidenti: il vino può sbloccare troppo facilmente alcuni dei nostri freni inibitori. Rischiamo di diventare “troppo sinceri” nel parlare e pericolosamente disinibiti negli atteggiamenti. Qualche ragione biblica di questa prudenza ci sarebbe di sicuro. Ricordiamo la storia di Noè (Genesi 9,21) che bevve del vino; s’inebrio e si denudò in mezzo alla sua tenda. Nel Salmo 104, 15 troveremo però questo bellissimo elogio delle usanze mediterranee: il vino che rallegra il cuore dell'uomo, l'olio che gli fa risplendere il volto e il pane che sostenta il cuore dei mortali. Quanto all’olio non dimentichiamo che questo meraviglioso prodotto della terra delle mani umane, oltre a far risplendere la pelle, lenisce anche le ferite. Qui in Toscana sappiamo bene che la produzione dell’olio e del vino è di solito legata alle stesse aree geografiche e che i due prodotti si abbinano perfettamente.

Personalmente amo tanto le nostre agapi comunitarie che mi permettono di sperimentare la gioia di stare insieme, di mangiare pane e olio (oltre a tutte le altre ottime pietanze che preparano le nostre sorelle in cucina), di condividere una caraffa di vino. Mi piacerebbe che questa atmosfera di condivisione si sentisse ancora di più anche nei nostri culti.

Sono convinto che molti di noi, tanto di estrazione cattolica quanto di quella genuinamente protestante abbiano ricevuto un’educazione religiosa basata su due presupposti assai sbagliati: 1 - la fede è una cosa seria e seriosa (Non ridere in chiesa!); 2 – la fede è come una pietanza raffinata, una squisita aragosta ad esempio, che bisogna mangiare con le posate adatte, rispettando almeno alcune regole ben precise (Non mangiare con le mani!).

Spero che mi perdonerete questa provocante esortazione: impariamo di nuovo a ridere (e magari anche a piangere) durante i nostri culti e riappropriamoci della nostra fede come se si trattasse del pane, del vino e dell’olio che normalmente non richiedono cerimonie particolari né posate d’argento ma che ci fanno star bene lo stesso.

Predicazione tenuta dal pastore Pawel Gajewski domenica 18 gennaio 2009, Chiesa Evangelica Valdese di Firenze