Fu crocifisso, morì e fu sepolto
(Mc. 15, 25; Rom. 6, 4)
Gesù è stato crocifisso all'ora terza, che corrisponde
all'incirca alle nove del mattino; è rimasto appeso alla croce
fino alle tre del pomeriggio. Sei ore interminabili di tortura finale
prima di morire, forse trascorse in un penoso dormiveglia, interrotto
dalle ingiurie dei passanti, degli altri crocifissi con lui (Mc.15,32).
E' la comunità dei discepoli che conta queste ore; una
comunità che non c'è più, perché tutti sono
fuggiti, hanno tradito o rinnegato; una comunità che non
c'è ancora, perché solo dopo la risurrezione si
raccoglierà e si riconoscerà come tale. Quello che fonda
la comunità, si potrebbe quasi dire, non è l'insegnamento
di Gesù, le sue guarigioni e i suoi miracoli, non la
consapevolezza del peccato per il tradimento e l'abbandono o per
l'impotenza, ma l'esperienza del morire e risorgere con lui.
La comunità che fugge dalla croce, o che impotente guarda da
lontano (v.40), conta le ore come le lunghe ore della veglia delle
guardie: ogni tre ore un cambio, perciò si dice la terza, la
sesta, la nona... Chi soffre ed è vicino alla morte non sempre
è in grado di contare il tempo, ma per chi gli è vicino e
aspetta la sua liberazione questo tempo sembra interminabile. Si cerca
distrazione, compagnia, ma il pensiero non si distacca dalla persona
amata che soffre: una parte di noi se ne va con lei/lui e sappiamo che
la nostra vita è giunta ad una svolta, non sarà
più come prima. Molti di noi contano i giorni della guerra,
altri contano i morti (con tutte le faziosità che sono abituali
in questi casi). Contare i giorni è vivere protesi verso la
fine, che può essere anche un nuovo principio.
Ci sono i discepoli un po' lontani dalla croce, e ci sono le discepole,
che sono un po' più vicine a Gesù; in questo caso come
donne corrono meno rischi! alle donne si addice la pietà per i
morti... C'è dunque la comunità di Gesù, ma non
è raccolta, è dispersa, forse anche disperata, ma conta
le ore della veglia in attesa della morte.
Basterà che appaia Gesù risuscitato e chiami di nuovo
ciascuno per nome, perché la comunità si raccolga e
riviva. La comunità ha contato le ore e ha contato i giorni. Al
terzo giorno...risuscitò. La mattina del primo giorno della
settimana, molto presto... le donne vanno al sepolcro (16,2). Fino a
quel tempo non avranno dormito per l'angoscia profonda; poi non
dormiranno per l'agitazione di aver visto Gesù risorto e di
dover raccontare a tutti la notizia. Prima hanno dormito i discepoli,
quando Gesù chiedeva loro di vegliare e pregare con lui; forse
fino all'ultimo non hanno pensato che le cose si mettessero così
male. Chi ha sentito le voci dal cielo, ha visto guarire i lebbrosi,
fermare il vento e la tempesta, come può pensare che ora
Gesù non risolverà al meglio la crisi con le
autorità e non metterà a posto ogni cosa, facendo
scendere dall'alto l'aiuto sovrannaturale che il Padre non può
negargli?...
Gesù crocifisso, sia pure ingiustamente, condivide il peso della
maledizione divina (ricordata in Gal.3,13), subisce una condanna
(Rom.6,23: Il salario del peccato è la morte), si espone alla
più grave delle tentazioni, di sentirsi "abbandonato da Dio" (il
grido sulla croce Mc.15,34).
Il Credo delle chiese cristiane antiche ripercorre questa vicenda nel
suo dilungarsi sulla storia di Gesù. Sarebbe bastato dire:
è morto e risuscitato per noi. Ma sarebbe stata una formula
fredda, incomprensibile. Invece dice: "fu crocifisso per noi sotto
Ponzio Pilato, patì (morte) e fu sepolto. Il terzo giorno
risorse dai morti". Oppure nel Credo latino: "fu crocifisso,
morì e fu sepolto; discese nel soggiorno dei morti. Il terzo
dì risuscitò". Si conserva della chiesa antica il ricordo
del dolore, l'attesa della morte, la definitività della morte
con la sepoltura e la discesa agli "Inferi", la gioia e la sorpresa del
"terzo" giorno.
K. Barth ha scritto pagine memorabili (nel suo commento breve al Credo)
sulla "sepoltura" di Gesù. Perché il Credo insiste, anche
nella formulazione breve di quello latino, sul "fu sepolto"? Non
bastava dire: morì? La sepoltura sottolinea ancora una volta
l'umanità di Gesù; si dice di Gesù qualcosa che
tutti possono dire, anche quelli che non credono in lui. Ma per quelli
che credono in lui si riempie di significati arcani. "Si seppellisce
qualcuno che è ancora presente, ma è già assente,
che non ha più né presente, né avvenire. E'
diventato passato allo stato puro". La sepoltura è il
nostro avvenire comune, tutti camminiamo in questa direzione e
diventeremo "passato", che resterà solo nella memoria di alcuni,
finché anch'essi non saranno "passato". Dio in Cristo ha
accettato per noi di diventare questo "passato" che invece si trasforma
in una vita possente che è l'avvenire della fede.
Calvino diceva: Dio nasconde per un tempo la sua divinità e non
mostra la sua virtù. Tutti gli esseri umani siamo orientati
verso la morte e la sepoltura che può avere maggiori o minori
ornamenti, ma ha lo stesso effetto sulla carne, cioè sulla
persona, che sia stata un re o un disoccupato (La Livella, di
Totò). Nel Credo si afferma che questo è il dono di Dio
in Gesù: essere diventato per noi il nostro passato, aver
nascosto per un tempo la sua eternità, essersi nascosto anche
nelle parti più invisibili e inconoscibili dell'esistenza (gli
Inferi), per noi: perché identificandoci con lui che è
divenuto "passato" noi possiamo protenderci verso la vita, senza temere
la sepoltura e l'Inferno.
Chi è stato battezzato in Gesù, è stato seppellito
nella sua morte, ed ora può vivere nel futuro della fede; non
vivrà orientato verso la sepoltura, ma verso il futuro che
quella sepoltura di Gesù ha aperto. Chi non crede in Gesù
corre come- verso- il passato; chi crede, vive in Gesù un
passato che viene sconfitto in una vita senza fine. Rom.6,4 usa
ampiamente la metafora del battesimo come morte alla vita del peccato,
"affinché, come Cristo è stato risuscitato dai morti
mediante la gloria del Padre, così anche noi camminassimo in
novità di vita". Ecco di nuovo il camminare, con un nuovo
orientamento; la sepoltura è alle spalle e non ci riguarda
più, è qualcosa che Dio ha già affrontato per noi
e non deve più preoccuparci. Si può scomodare perfino la
gloria di Dio per fare camminare piccola gente oscura, come noi siamo,
in avanti verso la "novità di vita".
Non c'è più nulla nella morte che non si possa
affrontare, dal momento che Gesù ha già vissuto la morte
peggiore possibile, essendo innocente. Ma poiché si identificava
a noi, è il nostro peccato che veniva condannato, è il
nostro orientamento sbagliato che è stato percorso fino
all'estremo e cancellato con una svolta fondamentale che ha colpito in
pieno chi la faceva, ma intanto la storia ora gira all'inverso per chi
ha creduto e seguito Gesù. Nessuno può vedere Dio e
vivere, secondo la più elevata teologia, che il mondo ha saputo
esprimere, nell'ebraismo: Gesù ha veduto Dio, ha accettato di
esser suo Figlio, ha vissuto come suo Servo, ha predicato come il
Messia, ha subìto la vicinanza meravigliosa e pericolosa del
sacro e perciò è morto. Dopo questo il sacro non
sarà più pericoloso, come quando si stacca la corrente e
si può toccare i fili, oppure la corrente circola, ma è
isolata, si può vivere anzi si deve vivere alla sua luce. Siamo
chiamati ad essere "santi"!
Più tardi la chiesa spiegherà la discesa agli Inferi, che
sembra un esser inghiottiti dal Nulla, come un annuncio della vita nel
Regno dei Morti (1 Pt.3,19). Non c'è più alcuna
realtà, anche la più disperata, che non possa esser
rivolta alla vita nuova della risurrezione. Gesù ha visitato e
riscattato gli Inferi che non sono più il nostro destino; il
nostro destino è esser trascinati nella risurrezione di Cristo.
Questo destino positivo deve esser offerto a tutta
l'umanità e non solo a pochi eletti; quale responsabilità
è la nostra, ma al tempo stesso anche una grandiosa
possibilità di vivere non verso la sepoltura nostra e di altri
esseri umani, ma verso una vita risorta e dunque ricca, benedetta,
amata per tutti gli esseri umani, a cominciare dai più disperati
e forse colpevoli... da noi, ma anche dagli iracheni, dagli afgani, dai
ceceni e da tutti quanti quelli che vivono più vicini alla morte
che alla vita.
Quando diciamo: io credo! Diciamo la nostra identificazione nel
battesimo con la morte e la risurrezione di Gesù. Siamo posti
sotto il suo nome; per noi si è realmente compiuta la salvezza e
ora possiamo vivere nella riconoscenza e nella testimonianza.