I Corinzi 9,16-23

L’evangelizzazione come relazione

Una città famosa per la sua raffinata cultura e lo straordinario gusto estetico. Un crocevia per tanti stranieri. Un luogo segnato dalla pluralità e dalla tolleranza, anche se non privo di problemi d’integrazione tra popoli diversi. Numerose comunità cristiane convivono in questa città. Esse sono unite dalla comune fede in Gesù Cristo, ma tutto il resto è causa di divisioni e di continue tensioni tra i conduttori delle comunità e tra le comunità stesse. Alcuni sono fieri delle loro origini, ben radicate nella terra dei loro padri nella fede. Gli altri praticano le stesse usanze dei primi pur non avendo gli stessi legami con la terra dei padri. Gli altri ancora, pur condividendo la stessa fede non hanno mai praticato le antiche usanze. Qualcuno, sicuramente più di uno, indipendente dalla sua provenienza, vive ai margini di tutte le comunità; dopo un’esperienza di vita comunitaria si è lasciato travolgere dal clima d’indifferenza e di un certo edonismo che domina nella città.

Introduciamo in questa città un predicatore particolarmente carismatico. Questo uomo propone la visione di una diversità riconciliata in Cristo. Egli desidera porre fine a tutti i conflitti che tormentano la città. Il nostro può vantarsi di nobili origini, tuttavia è nato nella diaspora, ha frequentato la terra dei padri da adulto, per studiare le Sacre Scritture. Da un po’ di tempo il suo messaggio suscita reazioni contrastanti: ammirazione e critiche pesanti; sembra che egli abbia tradito le antiche usanze e dottrine dei padri per correre dietro alle effimere novità, predicando la necessità di una conversione radicale e frequentando gli ambienti notoriamente in conflitto tra loro. Il suo unico obiettivo è parlare a tutti di Gesù Cristo nella speranza che almeno qualcuno accolga questo messaggio.

Credo che si capisca già di quale città e di quale personaggio si tratta. Il testo I Cor. 9,16-23 è scritto su un registro assai personale; è un’apologia del proprio ministero. Questo testo è anche la coordinata fondamentale per ogni ministero esercitato nella chiesa cristiana. È una testimonianza data in una dimensione corale, collegiale, in una determinata chiesa, in un determinato momento storico. La sua portata oltrepassa tuttavia gli stretti confini delle denominazioni cristiane.

Paolo utilizza abbondantemente il termine “evangelo” e il verbo “evangelizzare”. L’evangelo significa “buona notizia”, è una cosa risaputa. Ma l’evangelo è prima di tutto una dimensione esistenziale in cui è ancorato tutto il resto. Questa consapevolezza e fondamentale per superare le divisioni e i conflitti personali, ma al tempo stesso essa permette di gestire il rifiuto o il fallimento.

La Seconda lettera ai Corinzi è abbastanza incentrata sulla debolezza umana e la forza della grazia. Evangelizzare in questa prospettiva significa entrare in relazione con l’altro per trasmettergli il proprio modo di essere senza violare o sminuire il suo. Questa definizione dell’evangelizzazione come relazione è stata proposta giovedì scorso a Pistoia, durante una riunione del nostro piccolo gruppo di diaspora. È una definizione particolarmente importante in una società in cui le relazioni diventano eccessivamente vulnerabili, in cui il pregiudizio impedisce di conoscere veramente l’altro, in cui i luoghi comuni sostituiscono la sana curiosità per i modi diversi di vivere, di pregare, di gioire e di soffrire. Soltanto la consapevolezza di credere in un Dio Uno e Trino, in un Dio-Relazione può trasformare radicalmente le nostre scarse capacità relazionali fino al punto di immedesimarsi realmente nell’altro.

Predicazione del pastore Pawel Gajewski, Domenica 1 Giugno 2008, Chiesa Evangelica Valdese di Firenze.