Credo

(testi di riferimento: Ebr.11,8-16 e Luca 7,1-10)


"Crediamo in un solo Dio..." Così comincia il Credo niceno-costantinopolitano (IV sec.), uno dei più antichi e conosciuti della chiesa cristiana antica. Esso è tuttora più usato dal cristianesimo ortodosso d'oriente; nel mondo occidentale è stato sostituito dal Credo Romano (posteriore di un paio di secoli), che comincia con "Credo in Dio, padre onnipotente...". La differenza è fra un plurale (più antico) e un singolare (più moderno): una accentuazione dell'individuo? Viene dalla prassi battesimale della confessione di fede, che certo appartiene agli individui come elemento decisionale, ma avviene nel quadro della fede collettiva della chiesa. Vuol essere la risposta di individui chiamati da Dio e avviene dichiarando i propri contenuti e dentro dei limiti.

Il contenuto è al tempo stesso il soggetto e non l'oggetto della fede: "...per fede Abramo, quando fu chiamato, ubbidì, per andarsene in un luogo che egli doveva ricevere in eredità; e partì senza sapere dove andava" (Ebr.11,8). Questo versetto è un "riassunto in forma narrativa" della fede. Ci sono: 1) la chiamata di Dio, 2) la risposta di un individuo, ma noi sappiamo che si tratta della fondazione di un popolo, 3) la promessa (di una eredità: terra e discendenza), 4) l'inizio di un cammino (partì) che si fa con il Dio della chiamata, 5) la gratuità di questo rapporto (senza sapere dove andava), non perché si veda la terra, la discendenza, la guarigione, il successo. Abramo in tutto questo cammino non possiederà che la spelonca di Macpela, che acquisterà per seppellire Sara. Avrà due figli (contro una cinquantina delle antiche famiglie patriarcali poligamiche), in tarda età: di cui uno (Ismaele) perso di vista, che si farà da sé ("come un asino selvatico", Gen.16,12), l'altro (Isacco) sarà un sognatore forse malaticcio, padre di due gemelli in lotta fra loro. Ma ugualmente, anche se le realizzazioni sono poche, Abramo vivrà della promessa straordinaria di essere il partner umano di Dio, il suo amico che lo riceve quando viene a trovarlo e imbandisce la tavola, che riceve le sue confidenze sul futuro dei popoli (Sodoma e Gomorra) e si lascia influenzare dalle sue richieste; che si lascia spingere fino al limite estremo di un passo da cui non si tornerebbe indietro, come alla richiesta del sacrificio d'Isacco, ma nella "fiducia" (qui è chiamata "ubbidienza") lo riceve come "per risurrezione" (Ebr.11,19) ed è la possibilità di continuare con Dio il suo viaggio.

La fede è "viaggio" come per Abramo, ed è anche "guarigione". Negli incontri che Gesù fa durante il breve tempo della sua predicazione ci sono entrambi questi aspetti: la chiamata di discepoli e il loro mettersi a seguirlo e gli incontri con malati che verranno guariti. Gesù usa molto spesso, secondo i racconti dei Vangeli, la formula: "la tua fede ti ha salvato" (emorroissa, paralitico, ciechi/Bartimeo, lebbroso, donna cananea, donna che bagna di lacrime i piedi di Gesù) e nel racconto del centurione romano Gesù "trova" tanta fede nel centurione sconosciuto. L'atteggiamento di Gesù non è quello del santone, che per la sua fede e la sua indubbia vicinanza con Dio, trasmette un po' della sua sacralità guarendo le malattie; naturalmente c'è anche questo nell'atteggiamento di chi si avvicina a lui (pensiamo all'emorroissa che cerca di "toccare anche solo il lembo della sua veste"), ma Gesù dà valore alla persona e riconosce (suscita?) la fede di quella persona, per quanto umile, colpevole, pagana. E' Gesù che dà dignità e fa essere la fede di queste persone un "credere".

Il centurione romano di Capernaum è probabilmente un'anticipazione di quello che la comunità primitiva sarà chiamata a fare più tardi, portare ai pagani la salvezza, l'incontro con la parola di Cristo, quando non è più presente di persona. La gente lo reputa "degno" di ricevere l'attenzione di Gesù, lui stesso però si dice "inadatto" a ricevere Gesù in casa sua e lo prega di dare solo un ordine, in favore del suo servo malato, che a quanto pare gli sta molto a cuore. Traduce nel suo linguaggio fatto di autorità e comando la potenza spirituale di Gesù; non ci sarà incontro dei due, se non per mezzo di intermediari ('presbiteri' nel greco, che più tardi indicherà i responsabili della comunità cristiana) e in mezzo ci saranno solo parole. Gesù sottolinea e si stupisce, ammira la fede del centurione; in molti altri casi Gesù sembra valorizzare l'individuo e per il valore che gli/le attribuisce la persona sembra si guarisca da sola. Questo non avviene senza Gesù e tuttavia l'essere umano non è puro oggetto di un'azione divina; diventa, per grazia di Dio, anch'esso "soggetto", senza che però la sua guarigione sia una ricompensa alla fede. I due eventi, la guarigione e la fede, a volte sono contemporanei: a volte la fede precede il miracolo e vive anch'essa quel "viaggio" dove il paese promesso è sconosciuto o salutato da lontano. A volte la guarigione è un dono gratuito senza che ne scaturisca la fede, perché noi umani siamo distratti da tante altre cose che mettiamo al centro della nostra vita.

La risposta della fede non è obbligatoria, ma avviene nella libertà (F. Ferrario, Libertà di credere). Ci possono essere spiegazioni diverse alla vita e all'impegno nella storia, il Dio rivelato da Gesù non si impone, ma si offre come presenza nel nostro viaggio. Nell'offrirsi di Dio è possibile la risposta negativa dell'uomo. E' un "mancato credito" alla promessa di Dio, si dà credito a altre centralità dell'esistenza: la Bibbia ne parla come di "idoli" che vanno smascherati e respinti. L'idolo più evidente al tempo di Gesù, come nel nostro, è Mammona, il dio-denaro, di cui veniamo ammoniti a non diventare servitori.

Crediamo in Dio (il termine greco è: eis) che indica movimento; si potrebbe dire "credo a" che vuol dire "do fiducia" oppure "ritengo che sia vero", oppure "credo che" e questo comporterebbe un discorso, una conoscenza. Il "credo in" implica un programma di vita. Crediamo in un unico Dio: lo stesso di Abramo e Mosé, lo stesso di Gesù il Cristo. Come vedremo quando parleremo della "comunione dei santi", c'è un movimento comune di persone che hanno avuto fiducia nella chiamata di Dio e si sono messi in cammino in tutti i tempi, lasciandosi rinnovare dalla sua chiamata, rinascendo sempre di nuovo alla sua promessa che ci precede. Non è possibile credere una volta per tutte e poi vivere di rendita di quella fede: la fede è incontro sempre nuovo con la Parola di Dio e di Gesù.

Credere al plurale significa accettare di muoverci dentro dei limiti, ma anche secondo scoperte comuni. L'annuncio della predicazione della chiesa avviene secondo delle priorità che sono state pensate e hanno bisogno di esser rielaborate in ogni tempo, per non trascurare l'urgenza che i nostri contemporanei diano una analoga risposta di fede. Gesù ha cominciato il suo servizio terreno con le parole. "Ravvedetevi (cambiate mente - metanoeite) e credete all'Evangelo!" (Mc.1,15). Bisognerebbe chiederci quali conseguenze per la vita nostra e del mondo ha la fede nel Dio unico: potrebbe essere che non confessiamo il Dio unico se muoviamo guerra ad una nazione povera, anche se abbiamo la stessa confessione di fede. E invece troviamo delle sorprendenti convergenze con gente di altre religioni se comprendiamo di essere figli e figlie dello stesso Dio che estende le sue promesse a tutti i diseredati della terra.

Il "Dio unico" scompare nel Credo Romano, anche se resta la pretesa di affermazione della sua unicità, contro dèi di altre culture. Il Dio unico,come si è rivelato in Cristo, non ha bisogno di nostre difese, e non va scagliato contro quelli che si esprimono in altro modo; ma si rivela a tutto campo dove e quando vuole. Ogni religione pretende di conoscere il solo vero dio, ma se Dio non trascende la comprensione dei suoi adoratori, allora non è un dio abbastanza grande, ma è solo quello dei nostri pensieri ("I miei pensieri sono più alti dei vostri pensieri e le mie vie sono più alte delle vostre vie"... Is.55,9).  La Bibbia con grande libertà lo confessa unico in tante situazioni diverse e con  metafore diverse secondo le culture e l'immaginario dei suoi credenti. Il miracolo avvenuto a Pentecoste è stato l'ascolto della testimonianza resa all'unico Dio, ciascuno nel proprio natìo linguaggio, cioè anche, vorremmo dire con una forzatura, secondo la propria religione perché Dio è più grande di quanto noi possiamo capire e parlare e noi non possiamo escludere che abbia parlato anche ad altri in tanti altri modi. Ci lasceremo dunque raccontare come Dio li ha accompagnati, come li ha guariti quando erano malati, come li ha risuscitati quando erano morti. Il nostro è un Dio che racconta e si lascia raccontare, e la nostra confessione di fede è l'espressione della nostra fiducia nella quale vogliamo continuare a vivere e alla quale invitiamo anche i nostri contemporanei.