Romani 8,26-27

Come pregare?

Questo brevissimo brano ci annuncia due verità fondamentali per la nostra vita cristiana. La prima di queste è che noi non sappiamo pregare. Il testo greco dice per l’esattezza: «non sappiamo per che cosa dobbiamo pregare». L’affermazione è di tipo assoluto e quindi la nostra incapacità di pregare non è uno stato transitorio, accidentale o una sensazione che proviamo ogni tanto; si tratta della condizione esistenziale di ogni essere umano. Leggendo questo brano nel contesto dell’intera epistola ai Romani notiamo facilmente un parallelismo con il problema della legge: Paolo afferma con la stessa determinazioni che siamo assolutamente incapaci di mettere in pratica la legge di Dio. Sappiamo ovviamente che la nostra giustizia non dipende da noi, dalle nostre opere ma esclusivamente da Dio che ci rende giusti e quindi anche capaci di compiere il bene.

Lo stesso discorso vale per la preghiera: è sempre Dio che ci mette in grado di pregare. Questa è la seconda verità fondamentale: è lo Spirito di Dio che prega per noi, letteralmente: sopra di noi.

Proseguendo nella lettura del testo troviamo nel v. 27 un termine particolarmente difficile ‘to fronêma’. La traduzione più semplice potrebbe essere “la mente”. Questo termine greco non lega però la mente alla ragione; ‘fronêma’ è la sede degli affetti, dei sentimenti, dei desideri (anche nel senso del desiderio erotico). Aveva quindi ragione Giovanni Diodati. Nella prima edizione della sua traduzione della Bibbia troviamo, infatti, questa espressione: il sentimento e l’affetto dello Spirito.

Proviamo ora a trarre da queste indicazioni una breve lezione sulla preghiera che per molti di noi è una sfida non facile da affrontare. Spesso nella vita di tutti i giorni la preghiera è soggetta a due atteggiamenti: o diventa un atto puramente formale, legato a una certa disciplina, interiore o esteriore, oppure la si abbandona del tutto, pensando: “Io non sono capace di pregare”. Entrambi gli atteggiamenti sono pericolosi, entrambi tuttavia hanno in sé qualcosa di buono. Una disciplina aiuta a tenere alta l’attenzione verso la preghiera. L’attenzione e la disciplina però da sole non bastano. Bisogna riconoscere sperimentare pienamente l’incapacità di pregare, l’aridità spirituale, per fare un salto di qualità. Questo è l’elemento positivo contenuto nel secondo atteggiamento.

Va da sé che Dio non ha bisogno delle nostre preghiere; la sua gloria non muta in funzione delle nostre preghiere, come ci insegna Giovanni Calvino nel suo catechismo per i fanciulli. Siamo noi che abbiamo bisogno di pregare. Soltanto che travolti da questo bisogno commettiamo l’errore capitale: preghiamo principalmente per noi stessi, partendo dai nostri desideri ed elencando a Dio tutto quello che vorremmo avere o sperimentare.

Il nostro testo ci insegna un’altra via di preghiera, una via difficilmente narrabile. Bisogna ricorrere alle metafore. Ricordo una bellissima sensazione che risale ai tempi della mia infanzia: percepire intensamente la presenza dei miei genitori a casa, magari dietro una porta chiusa. Potevo giocare o riposare tranquillamente perché mi sentivo protetto dalla loro presenza. Nei confronti di Dio è proprio questa sensazione a generare la preghiera di lode. La lode significa in fondo: gioire perché Dio esiste, perché mi ama e mi protegge. Questa è la fonte della nostra preghiera che ci permette di uscire dal nostro egocentrismo per intercedere e impegnarci a favore degli altri.

Concludo con una preghiera tratta dal libro di Jörg Zink Come pregare, appena ripubblicato dalla Claudiana, (p.11).:

O Dio, eterno, santo, ricco di mistero.

«Io vengo a te. Voglio ascoltarti, vorrei risponderti: riporre in te la mia fiducia, amare te e tutto il creato.

Ripongo in te, nelle tue mani, i miei timori, i dubbi e l’ansia. Non ho fede né pace da portarti.

Accoglimi, Signore. Sii con me perché possa vivere con te giorno per giorno.

Guidami: vorrei trovarti, incontrare la tua misericordia.

Vorrei appartenerti, ringraziarti e lodarti, Signore, mio Dio»

Predicazione del pastore Pawel Gajewski, Domenica 4 Maggio 2008, Chiesa Evangelica Valdese di Firenze.