Romani 10,9-17

Ascoltare la Parola, confessare la fede

L’Epistola ai Romani è senza dubbio il manifesto della Chiesa di Gesù Cristo. Questo scritto riassume magistralmente i contenuti fondamentali della fede cristiana e traccia un percorso esistenziale all’insegna della Grazia. Trattandosi di uno scritto programmatico, un pastore che è chiamato a presentare le linee guida della sua predicazione e del suo agire, non può fare a meno di confrontarsi con il capolavoro della teologia paolina. Se non seguissi il lezionano UN GIORNO UNA PAROLA, avrei scelto proprio questo brano per il culto d’insediamento, in questo caso però seguire il lezionario mi è stato di aiuto perché il brano Romani 10,9-17 è previsto per la liturgia di oggi.
Rispetto alle predicazioni dei due mesi scorsi, vorrei proporre oggi una cosa diversa. Si tratta di dare un risalto particolare alla Parola stessa e quindi la mia meditazione si limiterà al commento dei versetti dì Paolo. È un maldestro (e presuntuoso!) tentativo di imitare Karl Barth la cui teologia è stata per me particolarmente illuminante. Sento il dovere di precisare che il testo scritto non sarà uguale alle parole pronunciate dal pulpito. La predicazione è una realtà viva, lo Spirito la rende tale nel momento stesso in cui il predicatore con timore e tremore si presenta davanti alla Chiesa riunita nell’ascolto della Parola.

Perché, se con la bocca avrai confessato Gesù come Signore e avrai creduto con il cuore che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvato; infatti con il cuore si crede per ottenere la giustizia e con la bocca si fa confessione per essere salvati. Difatti la Scrittura (Isaia 28,6) dice: «Chiunque crede in lui. non sarà deluso».

In questa prima sezione non c’è alcuna sequenza di tipo cronologico. L’atto di fede, quello interiore, è strettamente legato alla confessione pubblica della fede. Anche la distinzione tra giustificazione e salvezza, importante dal punto di vista teologico, è in questo caso secondaria. La visione di Paolo è unitaria: cuore e bocca, giustificazione e salvezza sono un’unica realtà. Il centro della fede cristiana è la risurrezione di Gesù che dimostra al mondo intero la sua Signoria divina.
Una chiesa o una persona credente che si ferma sull’atto interiore rischiano di frammentare la visione di Paolo. Le battaglie a favore della laicità, il sostegno al pluralismo religioso e alla multiculturalità non sono e non possono essere impedimenti alla nostra chiara ed esplicita confessione della fede in Gesù Cristo. Non va bene l’ostentazione della propria fede, ma l’eccessiva timidezza può rivelarsi davvero deteteria.

Poiché non c’è distinzione tra Giudeo e Greco, essendo egli lo stesso Signore di tutti, ricco verso tutti quelli che lo invocano (Gioele 2,32). Infatti chiunque avrà invocato il nome del Signore sarà salvato.

La grandezza della fede cristiana è proprio questa: la proclamazione della sostanziale uguaglianza di tutti gli esseri umani davanti a Dio. E la Signoria di Gesù che rende possibile questa realtà. Facciamo però attenzione a non generalizzare troppo l'affermazione di Paolo. Tale affermazione sembra perfettamente in sintonia con le più importanti dichiarazioni dei diritti umani. Ma non sono queste dichiarazioni a rendere attendibile il nostro testo, al contrario, è il nostro testo a rendere plausibili altre dichiarazionI. Non dimentichiamo tuttavia che esistono tuttora nel mondo tante scuole dì pensiero religioso ben lontane da qualunque pensiero di uguaglianza, sistemi religiosi che teorizzano la disuguaglianza come volontà divina.

Ora, come invocheranno colui nel quale non hanno creduto? E come crederanno in colui del quale non hanno sentito parlare? E come potranno sentirne parlare, se non c’è chi lo annunzi?

Queste espressioni sono una forte esortazione rivolta a chi crede in Gesù. Al tempo stesso queste parole possono spiegare le regioni dei nostri fallimenti. Se intorno a noi vediamo tante persone che non credono (o non credono più) in Gesù Cristo, se le altre proposte religiose non cristiane riscuotono più successo della predicazione cristiana, vuoi dire che non abbiamo annunziato abbastanza la Buona Notizia oppure l’abbiamo annunziata in modo errato, facendo leva sull’esaltazione della nostra piccola chiesa, sull’etica, sulla politica. Tutte queste cose vengono dopo, il principio è invece l’annuncio di Gesù Cristo.

E come annunzieranno se non sono mandati? Com’è scritto (lsaia 52,7): «Quanto sono belli i piedi di quelli che annunziano buone notizie!»

Il verbo mandare (o “inviare”) allude chiaramente a una missione, un mandato. Tale mandato viene esclusivamente da Dio e qualunque autorità umana della Chiesa può solo riconoscere tale mandato e non deve mai conferirlo basandosi sulla propria autorità. Per la nostra Chiesa valdese di Firenze e per la Unione delle chiese valdesi e metodiste vedo in questo versetto due importanti indicazioni. La nostra non può essere (o diventare) una chiesa basata sull’appartenenza sociologica. Ogni membro di chiesa riceve da Cristo un mandato e spetta alla comunità di riconoscere tale mandato, sostenendo e incoraggiando la persona affinché la sua vocazione porti frutti abbondanti. La seconda indicazione riguarda i ministeri costituiti (della Parola di Dio, di governo, dì servizio alle persone bisognose). il senso di ogni ministero e del loro essere collegiale è l’annuncio di Gesù Cristo. Non v’è alcuna gerarchia o sottomissione ma soltanto diversità di compiti. Questa impostazione esclude qualunque forma di prevaricazione e dì accentramento a discapito degli altri e della collegialità stessa.

Ma non tutti hanno ubbidito alla buona notizia; lsaia (lsaia 53,1) infatti dice: «Signore, chi ha creduto alla nostra predicazione?»

Ritorniamo ancora al problema del fallimento, individuale e/o comunitario. La Bibbia tutta quanta non lo esclude, anzi, lo evidenzia con cura. La stessa Bibbia nella sua totalità propone anche una soluzione infallibile. Questa soluzione si articola in due elementi: la conversione e la preghiera. A questi due sostantivi sì possono aggiungere due aggettivi: continua e incessante. Abbiamo bisogno dì una conversione continua. La conversione non può essere limitata a un determinato momento del cammino di fede. La preghiera invece deve ritornare al primo posto della nostra vita comunitaria e individuale. Non bastano soluzioni basate su teorie psicologiche sociologiche o politiche. Se le soluzioni nascono dalla preghiera funzioneranno sicuramente. Se confidiamo eccessivamente nelle cose puramente umane, il fallimento può soltanto aggravarsi.

Così la fede viene da ciò che si ascolta, e ciò che si ascolta viene dalla parola di Cristo.

E così sia... Oggi e negli anni del nostro cammino insieme che il Signore vuole donarci.

Predicazione del pastore Pawel Gajewski il 30 Settembre 2007 in occasione del suo insediamento come pastore della Chiesa Evangelica di Firenze