Filippesi 2,6-11

L'ascensione e l'etica del servizio

Chi nella nostra comunità è abituato a seguire il lezionario “Un giorno una parola” avrà notato che la liturgia di oggi non si basa sui testi indicati per la sesta domenica dopo Pasqua bensì su quelli dell'Ascensione che avremmo dovuto celebrare giovedì scorso. Per motivi di praticità la maggior parte delle chiese cristiane rimanda questa ricorrenza infrasettimanale che cade sempre di giovedì alla domenica successiva.

Grazie a questo fatto ci troviamo oggi a meditare uno dei brani più belli e più profondi dell'intera Bibbia: l'inno cristologico di Filippesi 2,6-11. Secondo la mia più profonda convinzione si tratta dell'unico brano in grado di rendere comprensibile il senso ultimo dell'ascensione. I racconti di Luca contenuti alla fine del suo vangelo e all'inizio degli Atti degli apostoli sono tentativi abbastanza riusciti di spigare alla comunità delle origini la presenza di Gesù reale ma diversa da quella fisica. L'epistola ai Filippesi porta invece l'intero evento di Gesù su un piano diverso: siamo chiamati a oltrepassare la storia per entrare nell'eternità, nella dimensione ultima dell'essere. Se posso permettermi un suggerimento di lettura, vorrei consigliare - a chi di voi ha ancora tempo per studiare - la lettura dei quattro volumi della Teologia sistematica di Paul Tillich per trovare questo tipo di approccio.

Ritorniamo però al nostro testo. Con molta probabilità i vv. 6-11 riprendono ed elaborano il frammento di un testo pre-paolino, una sorta di testo liturgico o catechistico che propone una visione dell’opera salvifica di Cristo tanto breve quanto ricca di significati. Una preziosa indicazione per la ricerca di tali significati è il versetto 5: Abbiate in voi lo stesso sentimento (sentire) che è stato anche in Cristo Gesù. Non si tratta di sviluppare un particolare sentimento o di imparare qualcosa sull’esempio di Cristo; il testo sembra piuttosto indicare una forma particolarmente intensa e profonda dell’essere in Cristo.

L’essere in Cristo ha due dimensioni identificabili con le due direzioni del movimento presente nel brano. Lo scendere dalle alte sfere dell’uguaglianza con Dio è corrisponde all’umiltà di un servizio simile a quello di uno schiavo. Questo servizio è portato alla sua conseguenza estrema: la morte di croce, quel particolare genere di morte riservata agli schiavi o comunque alla gente di bassa condizione sociale e priva di diritti civili. L’innalzamento ad una posizione di assoluta superiorità si esprime con il termine “Signore” (Kyrios), titolo riservato nel mondo e nel linguaggio ellenistico ad un sovrano assoluto.

L’abbassamento di Cristo Gesù ridona sicuramente dignità e valore a tutti coloro che vivono in condizioni di schiavitù, ma le sue conseguenze vanno ben oltre questa dimensione. L’essere in Cristo nel suo abbassamento ci interroga sul significato di tutto ciò che siamo soliti racchiudere nei vocaboli “servizio” o “diaconia”. Si tratta di intensificare i nostri sforzi assistenziali rivolti verso persone povere ed emarginate? Bisogna identificarsi anche nelle proprie condizioni di vita con le parti più deboli della società? Forse sarebbe giusto ricordare che ci vuole quello e ben altro ancora. La kenosi di Gesù, lo svuotarsi della sua divinità, il non considerare il suo “essere uguale a Dio qualcosa a cui aggrapparsi” (v. 6b), è una forma dell’essere rivolta totalmente verso l’altro; l’io sono divino si rivolge attraverso la persona del Figlio verso il tu sofferente dell’essere umano. In questo momento penso alla sofferenza dei genitori di Melissa Bassi e degli altri genitori le cui figlie lottano per la vita dopo il vile attentato di Brindisi.

Non vorrei però che questo pensiero suscitato dall'ennesima tragedia che lacera il nostro paese fosse considerato alla stregua di una buona azione che bisogna compiere in un giorno come questo. Le nostre “buone azioni” sono importanti ma devono essere viste in un’ottica tale da portare l’agire umano ben oltre. In altre parole si tratta di vedere non tanto la kenosi di Gesù nella sofferenza dell’altro ma piuttosto la trasformazione radicale del mondo operata da Dio in Cristo e rivolta verso la persona sofferente o emarginata. Il passaggio fondamentale di questo testo ci porta dalla sofferenza alla speranza.

La discesa di Gesù dalle sfere divine alla bassezza della condizione umana è, per certi versi, affascinante e carica di profondi significati etici. Ciò che sembra molto più sfuggente sono la sua ascesa e la sua gloria. Come e dove è possibile scorgerle? La pomposa maestosità di alcune celebrazioni religiose diventa sempre più patetica, gli edifici di culto, tanto questi splendidi e pieni di arte bizantina o barocca quanto quelli sobri e segnati dall’austera bellezza dell’essenziale, diventano sempre più monumenti della storia e non più punti di riferimento del presente. Le opere assistenziali gestite dalle chiese s’inseriscono abbastanza profondamente nei meccanismi del mercato segnato in maniera ineluttabile dalla logica di profitto.

Per trovare qualche argomento a favore della gloria di Cristo che è visibile già nell’età presente si dovrebbe comunque ritornare a studiare più attentamente l’agire umano. Nella frenetica indifferenza del mercato e nell’economia del profitto c’è ancora tanto spazio per la silenziosa bontà la piena gratuità. Scorgendo queste tracce bisogna però porsi la domanda: chi si trova realmente al centro di tali opere? Il loro fautore è il soggetto umano oppure esse testimoniano il Cristo risorto ed innalzato alla gloria eterna? La risposta a tale quesito non può essere considerata un sofisma di una neoscolastica o di una paleo-ortodossia riformata. Tocchiamo qui un nervo estremamente sensibile del nostro modo di essere cristiani. Ci impegniamo a compiere opere di giustizia e di solidarietà per guadagnarci la salvezza? No, di certo!

Andiamo incontro alla povertà e all’emarginazione per testimoniare Gesù come modello etico da seguire? Questa teoria ha avuto non molto tempo fa un notevole successo e continua e riscuotere parecchi consensi. Io, tuttavia, no esiterei a ricordare che solo un chiaro annuncio della gloria di Gesù Cristo, che è, al tempo stesso, il Servo soffrente e il Signore risorto, dovrebbe essere considerato il senso ultimo e fondamentale del nostro servizio cristiano.

Predicazione del Past. Pawel Gajewski, Chiesa Valdese di Firenze, Domenica 20 Maggio 2012