Il testo che abbiamo appena letto è un’esaltazione perfetta del concetto di agape. Vi troviamo sia il sostantivo “agape”, così caro a noi valdesi, sia il verbo strettamente legato al sostantivo. Nel gergo esegetico si usa dire che il nostro concetto ha un campo semantico particolarmente ampio.
Proviamo a ricordare il significato di questo concetto così importante: amore — dono; amare, donandosi. La teologia cristiana sia dì Giovanni, sia dì Paolo ha preso questo temine dalla filosofia greca che indicava con esso la forma più alta dell’amore. Nella mentalità greca l’amore per la patria ma anche l’amore materno o paterno venivano associati a questo concetto che implicitamente alludeva anche al dono estremo, il dono della proprìa vita. “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici”. Con queste parole Gesù ancora una volta propone il proprio modello. Egli dona la propria vita per l’umanità che ama ma anche ai discepoli chiede disponibilità senza limiti.
Ritorniamo però al nostro testo di stamattina. Vorrei collegano a due argomenti. Il primo è un percorso di ricerca e di predicazione che abbiamo iniziato qualche settimana fa. Si tratta del rapporto tra legge (comandamento) e amore (agape). Il secondo argomento è la Festa della Riforma di oggi e quindi la testimonianza comune delle chiese evangeliche, a Firenze e altrove.
Cerchiamo dunque di affrontare questi due argomenti ripercorrendo insieme i passi salienti del nostro brano.
"Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore”. L’amore non può restare “parola”; il luogo dell’amore è la prassi, la vita concreta. Le opere in sé non salvano; piuttosto sono l’espressione della salvezza ricevuta, la manifestazione della vitalità della fede. Esiste quindi un parallelo, tra Gesù e i suoi discepoli: l’amore verso il Padre che essi vivono si traduce nella “osservanza dei suoì comandamenti”, superando la schiavitù legalista attraverso la libera adesione dell’amore: “un amore che risponde al suo amore".
La salvezza ricevuta gratuitamente, il senso della vita ritrovato, trovano un suo concreto riscontro: l’amore verso l’altro essere umano (sì veda anche i Gv. 3,14: “sappiamo dì essere passati dalla morte alla vita perché amiamo i fratelli”). Senza l’amore praticato quotidianamente dai credenti in lui Dio è in un certo senso “assente”. In altre parole, si può dìsquisire quanto si vuole su di Lui, si può predicare la sua parola possono avvenire anche importanti conversioni individuali. Sul piano sociale si crea tuttavia un vuoto che inevitabilmente viene colmato da idoli che la società crea a sua immagine e somiglianza, esaltando il benessere che in fondo non c’è e la bellezza che è frutto dì artifici particolarmente sofisticati.
L’amore nei rapporti sociali si traduce in solidarietà vissuta: una solidarietà che non può ridursi a un “sentimento”, ma deve essere fondamento strutturale del convivere quotidiano nella ricerca di rapporti di giustizia nella condivisione dei beni che sono stati creati per le esigenze di tutti, non di pochi “privilegiati”. Questo riguarda anche la questione dei diritti civili: i cristiani sì impegnano in una lotta contro qualunque forma di disuguaglianza davanti alla legge, si tratti dei privilegi di alcuni (leggi: impunibilità di fatto) o di soprusi che subiscono gli altri perché privi dì conoscenze e di mezzi per ricorrere all’aiuto dei principi del foro.
“Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi”. L’insistenza sul tema dell’amore reciproco tra i discepoli fondato sul suo amore per loro è indicativa di una stretta relazione tra comunità di Gesù e missione di annuncio della salvezza. Se non esiste la comunità fondata sull’amore, non esiste neppure la missione. I discepoli devono fare come ha fatto lui: mostrare, attraverso l’amore, la presenza del Padre che salva. Non si può proclamare il messaggio dell’amore senza fondano sull’esperienza cocreta dell’amore, né è possibile offrire l’alternativa al mondo ingiusto senza creare un nuovo modello di comunità, una comunità accogliente e solidale.
“Voi siete miei amici, se fate ciò che vi comando”: una frase che, al di fuori del suo contesto, potrebbe apparire parecchio ambigua. I potenti di questa terra considerano “amici” coloro che sottostanno ai loro voleri. Ma qui il fondamento di tutto è l’amore che crea comuni ideali, dai quali scaturiscono disponibilità e dedizione. Soprattutto in questo caso in cui il rapporto di amicizia nasce dall’azione dello stesso Spirito, donato dal Padre a Cristo e da questi trasmesso aì suoi discepoli.
“Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri”. L’insistenza dì Gesù sul comandamento dell’amore lo rende prototipo e fonte di ogni altro comandamento1’adesione a Cristo nella fede, secondo i criteri umani è molto esigente e solo a partire dal Suo amore si può dare una risposta adeguata. Tuttavia se ogni singola persona credente si apre a questo amore si realizza la comunità di Cristo e la sua presenza si rende efficace in mezzo a noi.
Oggi, il giorno in cui ricordiamo l’inizio della Riforma, l’invito ad aprirsi all’agape di Cristo diventa un programma d’azione comune. Non si tratta di superare tutte le differenze teologiche e/o etiche. Al di là delle confessioni e al di sopra delle denominazioni cristiane, tutto il popolo di Dio, unito in Cristo Gesù è chiamato a dare una comune testimonianza dell’amore incondizionato verso ogni essere umano. Questo è il vero culto cristiano che scaturisce dal messaggio della Riforma.
Predicazione del pastore Pawel Gajewski, 28 Ottobre 2007 Domenica della Riforma, Chiesa Evangelica di Firenze