Amore e patto
Isaia 54,7-10
La straordinaria bellezza del capitolo 54 di Isaia colloca questo testo allo stesso livello del Cantico dei cantici. È una poesia d’amore, l’elogio di una riconciliazione avvenuta dopo anni di separazione.
La differenza fondamentale tuttavia tra questo testo e i canti nuziali del Cantico dei cantici è determinata da un particolare rapporto con la storia. Il misterioso autore del Cantico, identificato di solito con il re Salomone, trasmette messaggi eternamente validi, un dialogo amoroso che vale tanto per due persone innamorate quanto per il legame d’amore che lega Dio al suo popolo oppure a una singola persona credente. In questa ottica il Cantico trascende la storia. Il Secondo Isaia (Deutero-Isaia) invece colloca l’amore e la fede nella storia. La sua metafora del tradimento, della separazione e infine della riconciliazione è strettamente legata alla storia dell’esilio. È una lettura profetica e poetica al tempo stesso della storia del popolo. Il punto centrale di questo pensiero è la fede, intesa nel senso della fedeltà coniugale, esattamente come nel libro del profeta Osea. Non dobbiamo dimenticare che la fede ebraica è, prima di tutto, la fede del popolo d’Israele e poi dell’individuo, in altre parole l’appartenenza al Popolo della promessa permette di sperimentare un rapporto intimo e profondo con Dio. La fede cristiana, invece, inizia dal soggetto individuale, chiamato da Dio in Gesù Cristo a far parte del Suo popolo. Vale a dire: dalla fede individuale si procede verso quella confessata nella dimensione comunitaria. Questa è una fondamentale lezione trasmessaci da Martin Buber (morto nel 1965), nel suo saggio intitolato Due tipi di fede.
Nonostante le sembianze di un dialogo individuale, al centro del messaggio di questa mattina si trova il popolo che sta per ritornare dall’esilio. L’esilio è visto come una parentesi momentanea che non spezza, né intacca minimamente la fedeltà di Dio verso il suo popolo. La base di questa fedeltà non è costruita su un estemporaneo e inspiegabile sentimento verso un popolo infedele e a tratti bizzarro. Non è così! L’amore di Dio si fonda su un patto: «l’amore mio non si allontanerà da te, né il mio patto di pace sarà rimosso». Anche qui scorgiamo la differenza tra una lettura ebraica e la nostra cristiana. Nella prospettiva ebraica il patto è quello del monte Sinai e il segno visibile di questo patto è la Torah. Nell’ottica cristiana il patto è stato suggellato definitivamente nella morte e nella risurrezione di Gesù Cristo. I sacramenti (battesimo e cena) sono segni di questo patto, segni di una Parola che è diventata carne. La predicazione di questa parola annuncia l’eterna validità dell’amore di Dio per l’umanità.
Nel nostro sentire quotidiano tuttavia l’amore e il patto sembrano due opposti. Di primo acchito scegliamo ovviamente l’amore. Questa scelta istintiva non è minimamente sbagliata. Tra gli elementi che uniscono strettamente il Primo e il Secondo testamento, l’amore – dono, l’amore fedele di Dio sono concetti di primaria importanza.
I problemi cominciano, quando, invocando l’amore cristiano, qualcuno comincia a mettere in discussione la necessità di avere regole chiare e scritte del nostro essere chiesa, nell’esercizio delle funzioni pastorale come nell’impegno diaconale. Il solito adagio “vogliamoci bene” in alcuni casi può diventare deleterio per la Chiesa e per i suoi progetti. Qualcun altro afferma che nel nome dell’amore per il prossimo si possono non rispettare le leggi le leggi dello Stato. In questa ottica sarebbe dunque legittimo violare palesemente le norme sull’immigrazione, sulla fissa dimora, sul servizio sanitario e via di questo passo. Non dimentichiamo che uno Stato moderno, uno Stato democratico è frutto di un patto.
Un patto laico, che è sancito dalla carta costituzionale e rappresentato visibilmente dagli organi dello Stato. La struttura di questo patto tuttavia è uguale a quello di Sinai e lo sapevano bene i Padri fondatori degli Stati Uniti d’America, massoni e/o protestanti, lo sapevano bene i fondatori dello Stato d’Israele, in gran parte ebrei secolarizzati di fede politica orientata a sinistra. Senz’altro lo sapevano anche i padri della Costituzione repubblicana del nostro paese.
Nella visione morale cristiana del rapporto tra individuo e società esiste la sola ragione che giustifica la trasgressione della legge secolare: salvare la vita dell’altro quand’essa è minacciata da un pericolo grave e reale. Ricordiamo coloro che hanno salvato gli ebrei dallo sterminio, qui a Firenze senz’altro il pastore Tullio Vinay.
Per noi cristiani il miglioramento delle condizioni di vita del prossimo può e deve essere prima di tutto oggetto di preghiera, poi di un’azione civica, di un dissenso manifesto contro una legge ritenuta ingiusta, di una battaglia politica volta a cambiare tale legge. Nulla e nessuno tuttavia, tanto meno un preteso amore cristiano, può giustificare una palese e consapevole inosservanza di una legge dello Stato.
Predicazione del pastore Pawel Gajewski, Domenica 02 Marzo 2008, Chiesa Metodista e Chiesa Evangelica Valdese di Firenze.